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Democrito - Roberto Radice
Il filosofo
Se ci fossero stati gli eleati che misero l’Essere in scatola, e non ci fossero stati gli atomisti che trovarono il mezzo per aprire questa scatola, nessuno avrebbe mai più assaggiato l’Essere: troppo ingombrante era quello di Parmenide, troppo aggressivo quello di Zenone e troppo algido e quasi burocratico quello di Melisso.
Allora rendiamo omaggio agli atomisti Leucippo e Democrito e a tutti gli altri pluralisti – Anassagora ed Empedocle – per il loro sforzo di salvare i fenomeni e di non buttare alle ortiche le grandi intuizioni dei pensatori di Elea, che costruirono un tempio all’Essere.
Forse Parmenide si era reso conto che l’uomo è schizofrenico, ossia che ha la mente divisa
(proprio questo, alla lettera, vuol dire schizofrenico
). Solo che per lui la schizofrenia non è per nulla una malattia, bensì è la condizione originaria di tutti gli esseri umani, i quali quando ragionano in astratto – ad esempio di geometria, di matematica e della formazione della Nazionale – parlano di un mondo di oggetti assoluti e fissi, e quando invece discorrono delle cose, ad esempio della partita, parlano di un mondo instabile e sempre in movimento. E non solo ne parlano, ma anche agiscono come se il mondo si muovesse, sicché può capitare loro, davanti a testimoni, di negare il movimento proprio mentre sono costretti a evitare una carrozza in corsa che è lì lì per travorgerli. In verità questo appare non poco incoerente. D’altra parte, credere che tutto si muove e che il due diventa tre, il triangolo quadrato, il bene male, è altrettanto pericoloso, e in ultima istanza ci renderebbe incapaci di fissare anche una sola idea, privi di pensiero come un qualsiasi animale.
Che fare allora?
Cercare una mediazione al massimo livello.
Il mondo sarà pure diviso in due, ma la mente non deve essere divisa, sicché la schizofrenia, congenita o no, va curata. Leucippo e Democrito propongono di intendere Essere e non-Essere non come enti astratti e universali alla maniera di Parmenide e dei suoi discepoli, ma, semplicemente, come il vuoto e il pieno, alla maniera in cui l’esperienza insegna. Certo, anche in questo caso i due termini sono molto diversi fra loro, ma non più assolutamente contradditori, e quindi possono esistere insieme e in certi casi addirittura collaborare. Ad esempio il vuoto può servire a rendere possibile il movimento e anche la molteplicità, perché dà spazio al pieno e divide un pieno da un altro.
Ecco finalmente comparire all’orizzonte gli atomi. E a questo punto si mette in moto un processo argomentativo fluido e necessario non solo nell’ambito fisico, ma anche in rapporto al metodo. Nella fisica i pieni continui – gli atomi, appunto – sono separati da spazi vuoti; in assenza di spazi vuoti ci sarebbe il contatto e quindi l’aggregazione di corpi complessi e addirittura di mondi in numero infinito.
Immagine seguita da didascaliaQuesto olio su tela di François-André Vincent intitolato Democrito con gli abderiti (1790) è conservato presso il County Museum of Art di Los Angeles.
Bella scoperta l’infinito. Era l’ultima parola di Melisso e sembra essere la prima – o fra le prime – di Democrito; solo che, nel caso dell’eleate, tutto – in quanto è Essere – è infinito e quindi è uno, mentre nel caso del nostro filosofo si tratta di un infinito numero di individui. Ma non è questo l’essenziale: il vuoto e il pieno alterano il metodo in generale, il quale da deduttivo-astratto diviene empirico-razionale, quello che di solito Democrito chiama prova empirica
. In verità la prova empirica consiste in nient’altro che nella ricerca in natura di ciò che assomiglia ai principi adottati e, in seguito, nella deduzione da essi di tutte le conseguenze.
Eccone il miglior esempio: «La dottrina di Democrito che tratta degli elementi risulta chiara dal suo primo libro di Fisica. Alla base di questa dottrina, sono posti gli atomi, ossia certi piccoli corpuscoli somiglianti a quei granelli di pulviscolo che si rendono visibili nel raggio luminoso che attraversa la finestra. Democrito non considerava come elementi questi granelli di polvere, bensì quei corpuscoli loro somiglianti in piccolezza e che sono tutti costituiti dalla stessa sostanza, ma che allo stesso tempo differiscono tra loro per grandezza e figura. E questi generano, come se fossero semi, tutti i corpi composti».
Nella prova empirica che è esposta nel frammento citato i corpuscoli pulviscolari non sono gli atomi, ma sono simili agli atomi, quasi che la natura stessa ci desse un esempio della realtà profonda che sfugge alla vista. Infatti ciascun elemento del pulviscolo normalmente non è visibile, ma lo diviene se si forza la natura in condizioni inconsuete, cioè se si fa su di essa un esperimento: ad esempio illuminando uno spazio vuoto con una lama di luce con fondo oscuro. Quella visione fugace ci mostra le controfigure
degli atomi, svelando che essi sono fra loro autonomi, vagolano nel vuoto, sono di tante forme diverse e molto piccoli, non seguono direzioni prefissate ma si muovono a caso. E poi sembrano così piccoli da non mostrare particolari qualità identificabili, ma da apparire tutti costituiti della stessa materia, distinguibili solo per la loro forma e la grandezza. A questo punto il filosofo non deve fare altro che tradurre in termini scientifici quanto ha visto nell’esperimento.
Sorge un problema: un siffatto pulviscolo sta fra gli oggetti di questa stanza che sono corpi completi e in buono stato, e ha tutta l’aria di essere quel che rimane (il residuo) di una costruzione delle singole cose circostanti, quasi fossero una parte inutilizzata dei semi di tutte le cose composte
.
È come se nello spazio di una stanza avessimo a disposizione il primo e l’ultimo momento finora trascorso di tutto il processo cosmologico. Di conseguenza bisogna chiedersi: che cosa è successo di così potente perché da quel mondo caotico, di cui c’è traccia perfino in questa stanza, si sia passati a questo cosmo così ben ordinato, da comprendere non solo questa casa, ma anche l’intera città, la terra e l’universo illimitato?
Nessuna finalità ha operato in tal senso, nessun intervento divino, ma semplicemente un immenso vortice che fungendo da vaglio separa le cose più pesanti da quelle più leggere e poi compatta gli atomi liberi in corpi in ragione delle loro forme, secondo una specie di selezione per cui «quelle parti in cui tutte le componenti si accordarono in modo da sembrare generate per un fine determinato, si conservarono, in quanto, una volta che si erano generate spontaneamente, risultarono utili».
Ecco allora che l’evento del vortice ha incastrato gli atomi che nello spazio erano solamente complementabili
, ma che grazie al vortice sono divenuti effettivamente complementari. Ripetiamo all’infinito questa operazione ed eccoci passati dal caos al cosmo, e dal caso alla necessità.
Aveva ragione Aristotele quando lodava gli atomisti e diceva che:
«LEUCIPPO E DEMOCRITO HANNO FONDATO LA LORO TEORIA COINVOLGENDO PIÙ DI ALTRI IL METODO, PONENDO UN UNICO PRINCIPIO ALLA SPIEGAZIONE DEI FENOMENI, PRINCIPIO CHE È REALMENTE CONFORME A NATURA».
Immagine seguita da didascaliaQuesta immagine impossibile
ci mostra Democrito ed Eraclito ragionare sul mondo e su un libro. La suggestione si deve a Hendrick ter Brugghen (1618).
In effetti il nostro filosofo fu sempre ligio alla sua regola della prova empirica e si servì solo della natura per spiegare la natura senza ricorrere mai a nessuna divinità o a nessun demiurgo. Anzi, andò oltre, entrò armato dello stesso metodo e degli stessi principi anche nella biologia e ridusse anche l’anima in atomi. Certo, erano atomi un po’ speciali, sferiformi, perché la sfera è la più mobile delle figure geometriche, va dappertutto ed è principio di moto e di vita. Si trova diffusa anche nel fango primordiale
, quello da cui si sono formati i primi umani.
Siccome gli atomi sferici hanno una forma perfetta, seguono perfettamente l’ordine della ragione, e poiché formano, a motivo della loro razionalità e sottigliezza, corpi caldi e ignei, costituiscono pure il corpo umano il quale è il più «atto a recepire il calore». Ecco perché
«L’UOMO È L’UNICO, TRA TUTTI GLI ANIMALI, A ESSERE DOTATO DI UNA CONFIGURAZIONE ERETTA E A SAPER ELEVARE IL SUO PENSIERO AL DI SOPRA DI TUTTO L’ESISTENTE».
Detto questo, Democrito comincia a trattare della storia umana dove, col solito metodo delle prove d’esperienza, demitologizza il passato remoto: nessuna dea provvidente ha fatto progredire l’umanità, bensì solamente «i bisogni e le circostanze che si sono creati nel corso del tempo» e le risposte adeguate che l’intelligenza umana ha trovato per essi.
Anche qui, volendo, si potrebbe trovare un punto di svolta analogo al vortice cosmico: si tratterebbe della nascita del linguaggio. Il linguaggio è comunicazione, la comunicazione porta alla collaborazione, alla convivenza e allo sviluppo delle arti. Grazie a esso si possono accumulare il sapere e i suoi frutti, e così il progresso umano va a mille. Andrebbe ancor di più se a questa rapida espansione non facesse seguito il corrompersi di quella «vita semplice delle origini
, priva del superfluo e concorde, senza né arconti né padroni né guerra né violenza né rapina».
Avrebbe ridotto tutto a un’ammirevole complesso il nostro Democrito se avesse messo a sistema anche la morale. E invece non l’ha fatto. Ai bordi del discorso etico il suo metodo si è inceppato e lo si comprende perfino dalla forma letteraria in cui si esprime. Come gli antichi saggi va per aforismi, non per discorsi articolati, lunghi quanto basta a reggere il peso di un’argomentazione.
«I SUOI CONCETTI, SEBBENE SIANO ESPRESSI IN UNA PERFETTA FORMA LINGUISTICA, NON PAIONO DEL TUTTO COERENTI, DATO CHE, RIGUARDO ALLA VIRTÙ, POCHE SONO STATE LE NOTE PIENAMENTE ESPRESSE E CONVERGENTI SU UN ORGANICO CONCETTO DI VITA BEATA».
Ha ragione Cicerone quando esprime il giudizio appena esposto, perché effettivamente si avverte la mancanza di un baricentro del discorso. Sono tutte massime condivisibili, ma fondate sul buon senso e sulla prova empirica della vita politica o personale.
Certamene l’atomismo non avrebbe incoraggiato altre soluzioni che una morale in polvere, edonistica e fondata sul piacere dei sensi; al massimo Democrito seppe spingersi fino a una buona disposizione d’animo
, dove però anche l’animo è un aggregato atomico, sicché è lecito spingersi oltre se si vuol restare nell’ambito dei sensi.
Ciò che manca al nostro filosofo è un’antropologia di riferimento che dia all’uomo la sua specificità rispetto al mondo. In questo caso non è la dimensione ontologica dominante – sia essa materialista o spiritualista o ambedue insieme – a fare la differenza. Gli stoici, ad esempio, ebbero una morale coesa e convincente pur essendo risolutamente materialisti perché ammisero due diversi principi ispiratori, uno per la componente fisica e l’altro per quella psichica dell’uomo, pur essendo l’anima un corpo allo stesso modo dell’organismo. Socrate ebbe solamente una concezione psichica, senza alcuna connotazione ontologica, dal momento che aveva abbandonato la filosofia della natura e non si occupava d’altro che di sapienza umana. Lo stesso Epicuro che usa la medesima cosmologia e la medesima fisica di Democrito, e pure è edonista e sensista, e insegue una selezione dei desideri per ridurre l’ansia di soddisfarli, ha un’intuizione di fondo che dà coerenza al suo impegno morale. Questa consiste nel piacere catastematico
, ossia nel piacere che nasce dall’assenza di dolore. Tale piacere, una volta immesso nel medesimo contesto di termini, principi e regole che ispirava Democrito, riesce a coagulare il discorso sulla felicità rendendolo appetibile e coerente.
Democrito rimane un filosofo della natura, e nel paesaggio naturale della filosofia l’uomo sta stretto e male.
I temi
Immagine seguita da didascaliaWilliam Blake rappresenta Democrito a partire da un dipinto di Peter Paul Rubens. L’immagine è tratta dai Saggi sulla fisiognomica di August Johann Lavater, Londra 1789.
LE ORIGINI DIALETTICHE DEL PENSIERO DI DEMOCRITO
Democrito è certamente il primo scienziato della natura nella storia del pensiero occidentale, non solo per le conclusioni a cui è giunto – scientificamente parlando, l’atomismo è la più attuale delle teorie antiche –, ma anche perché è stato il più coerente con il metodo della ricerca naturale. Più precisamente, sostiene Aristotele, «Leucippo e Democrito hanno fondato la loro teoria coinvolgendo più di altri il metodo, ponendo un unico principio alla spiegazione dei fenomeni, principio che è realmente conforme a natura» (fr. 146 Luria).
Tuttavia il movente del suo sistematico studio dei fenomeni naturali probabilmente non è di tipo scientifico (conoscere come è il mondo), ma dialettico: egli desidera rispondere a un colossale nodo di contraddizioni che si era generato con gli eleati. Se ne comprende la portata se si considera la filosofia come una vigorosa atleta che nel massimo dello sforzo sia colta da un crampo mentale, inteso come un uso scomposto dell’energia intellettuale la quale, anziché inoltrarsi in un discorso scorrevole, a un certo punto mette una tesi contro l’altra, determinando una specie di paralisi.
Il responsabile di ciò è Parmenide, ma la causa prossima è Zenone di Elea. Parmenide per dare ragione dei fenomeni era ricorso a
