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Socrate
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Socrate

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Socrate, vissuto nel V secolo a.C., è forse il più celebre filosofo dell'antichità. Tuttavia, a testimoniarci il suo pensiero sono altri autori, in particolare Platone, che ne fu allievo: Socrate infatti non scrisse mai nulla. Così, paradossalmente, nelle pagine di questo libro risulta singolarmente vivo, perché, brano dopo brano, scopriamo scene che lo rendono davvero presente ai nostri occhi.
LanguageItaliano
PublisherPelago
Release dateDec 3, 2021
ISBN9791280714183
Socrate

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    Socrate - Roberto Radice

    PANORAMA

    Busto di Socrate, copia di epoca romana del famoso originale greco di Lisippo (330 a.C. ca.). Sala dei Filosofi, Musei Capitolini, Roma.

    Busto di Socrate, copia di epoca romana del famoso originale greco di Lisippo (330 a.C. ca.). Sala dei Filosofi, Musei Capitolini, Roma.

    IL PERSONAGGIO

    Socrate era brutto. Nell’Atene degli albori del IV secolo a.C., la scultura civile celebrava la forza, la gioventù e la bellezza di atleti e guerrieri, oppure la dignità di personaggi venerabili. Nell’iconografia dell’epoca, Socrate fu invece rappresentato con un aspetto silenico (Sileno, il dio delle selve, era sempre raffigurato come un anziano corpulento, calvo e peloso). E questo lo differenzia già dal pensiero del tempo, dal kalòs kai agathòs – il buono, il valoroso, il virtuoso si accompagna sempre al bello –, da quella visione dei valori ideali greci che la sua filosofia avrebbe scompaginato (non i valori in sé, ma il modo di raggiungerli). Perfino dopo la sua morte per cicuta e la successiva riabilitazione da parte di (quasi) tutti, quando nel 330 a.C. circa gli Ateniesi chiesero al grande scultore Lisippo di creare un busto del filosofo per esporlo all’ingresso del Pompeion, dove si riunivano le grandi processioni, lo scultore si basò proprio su un’immagine silenica, pur attenuandone alcuni aspetti: il filosofo rimaneva dunque un diverso.

    Socrate è anche il più misterioso dei filosofi. Forse è il più noto di tutti e quello di cui si sa di meno. Per Hegel era «un eroe dell’umanità», «il ritorno dello spirito nella sua interiorità», per Nietzsche era invece l’uomo che aveva distrutto l’antico spirito del pensiero greco che ricercava l’equilibrio necessario fra le due forze dell’apollineo e del dionisiaco, dell’ordine e del sublime sconvolgente: lo considerò un pensatore «cialtronesco, caricaturale», «pieno di nascondimenti, di retropensieri, di sotterfugi». E non a caso ne mise in risalto la bruttezza definendolo «monstrum in fronte, monstrum in animo».

    Socrate non formulò nessun sistema filosofico ma con il suo metodo dialogico distrusse le illusioni e i falsi concetti sulla conoscenza e il sapere che avevano gli Ateniesi, cioè la punta più avanzata della civiltà occidentale; li spinse a pensare per proprio conto, abbandonare i pregiudizi, non farsi fuorviare dalla prosopopea dei cosiddetti sapienti e cercare in se stessi l’essenza delle cose. Fu processato e condannato a morte con l’accusa fittizia di empietà; nei fatti gli Ateniesi gli imputarono un «attentato alla democrazia» avendo capito benissimo la rivoluzionaria portata filosofico-politica di questo sfascia-carriere.

    Socrate fondò il suo metodo sulla critica spietata delle opinioni comuni dell’uomo, creando il marchio di fabbrica che avrebbe poi distinto la società occidentale da tutte le altre.

    Socrate è misterioso anche perché esistono decine di Socrati, a seconda dell’interpretazione che ne hanno dato i suoi discepoli, a cominciare da Platone, oppure i suoi tanti detrattori e coloro che l’hanno studiato, sempre indirettamente (è noto che non lasciò nulla di scritto), nei secoli successivi, fino a oggi. C’è il Socrate platonico, quello che conosciamo meglio ma del quale non sappiamo fino a che punto fosse realmente come il fondatore dell’Accademia lo dipinge, e quanto di lui invece fosse stato addomesticato nei Dialoghi a sostegno della filosofia lì esposta; il Socrate metafisico o addirittura cristiano a sua insaputa, risultante dalle interpretazioni di alcuni pensatori cattolici, da Origene in poi; il Socrate santificato dagli umanisti («Sancte Socrates, ora pro nobis» – Erasmo da Rotterdam); il quasi-sciamano, come apparirebbe da recenti letture del suo metodo visto come una terapia della psiche. Ma tutti questi Socrati hanno almeno una cosa in comune: prendersi cura dell’uomo. E rispondere alla domanda:

    TI ESTÌ?

    Cioè: che cos’è (ciò di cui ci stiamo occupando)? Cos’è la verità, cos’è la virtù, cos’è la giustizia?

    E qui c’è il primo grande spartiacque tra quello che c’era prima di lui e quello che ci sarebbe stato poi. Fino a quel momento il cielo e la natura nella sua interezza erano stati considerati dai filosofi l’oggetto privilegiato della conoscenza umana che, invece, con Socrate andava sensibilmente restringendosi nelle sue possibilità: l’uomo, e con lui un’inedita riflessione di natura morale, rappresentavano, a questo punto, l’unico orizzonte di indagine. Cicerone, in proposito, scrisse di lui nelle Tuscolane:

    SOCRATE FU IL PRIMO A RICHIAMARE LA FILOSOFIA DAL CIELO, A COLLOCARLA NELLA CITTÀ, A INTRODURLA NELLE CASE E A COSTRINGERLA AD OCCUPARSI DELLA VITA, DEI COSTUMI E DELLE COSE BUONE E CATTIVE.

    Il suo approccio al problema lo conosciamo: Socrate dichiarava di non sapere nulla, profondendosi in lodi per i suoi interlocutori, che di fronte alla sua ammissione di «sapere di non sapere», si vantavano della propria conoscenza. In realtà, dimostrando poi l’infondatezza dei loro discorsi, Socrate allora rendeva i suoi interlocutori consci della propria ignoranza, fondando così le basi per cominciare una fruttuosa riflessione in comune. Tale procedimento noto come ironia socratica precede il momento maieutico, nel quale l’interlocutore di Socrate, guidato dalle sue domande, arriva, da solo, a costruire dei discorsi veri, seppure solo provvisori, stimolo per altra ricerca. Perché le domande aprono nuovi spazi mentre le risposte li chiudono.

    La morte di Socrate, dipinto di Jacques-Louis David, olio su tela, 1787, Metropolitan Museum, New York.

    La morte di Socrate, dipinto di Jacques-Louis David, olio su tela, 1787, Metropolitan Museum, New York.

    Così, solo conoscendo se stessi, gli uomini possono arrivare alla saggezza. Ma per trovare cosa? E in che modo? Ciascuno di noi, affermava il filosofo, ha in sé la conoscenza; questa è immanente all’uomo e non deriva dall’esterno. Basta tirare fuori da sé quegli spunti di verità che una persona già possiede; prima attraverso la dialettica, e poi con la ricerca interiore. Senza questo lavoro su se stessi, non ha senso vivere. Platone, nell’Apologia di Socrate, gli fa dire:

    UNA VITA SENZA RICERCA NON È DEGNA DI ESSERE VISSUTA.

    In questo modo, Socrate creò un secondo grande spartiacque con la filosofia all’epoca imperante, quella dei sofisti, intellettuali per lo più stranieri – tranne alcune eccezioni, come il tiranno Crizia – che giungevano ad Atene per vendere il proprio sapere. Anche se in realtà i sofisti non si erano mai uniti in un vero e proprio movimento e, anzi, molto spesso le loro teorie non si accordavano fra loro giungendo spesso a conclusioni opposte sui grandi argomenti, tutti presentavano alcune caratteristiche comuni: oltre alla loro provenienza da altre città e alla pretesa di farsi pagare per insegnare, erano più o meno tutti uomini colti, intellettuali a tutto tondo che si occupavano di politica, grammatica, letteratura, poesia. E attraverso la forza retorica delle argomentazioni, del potere persuasivo della parola, insegnavano la morale, le leggi, le costituzioni politiche. Anche i sofisti si distaccavano dalla filosofia naturale precedente, mettendo al centro delle loro argomentazioni l’uomo; tanto che secondo alcuni il primo approccio di Socrate alla filosofia fu attraverso di loro; tuttavia il concetto di «insegnabilità della virtù» e degli altri grandi temi della vita fu del tutto estraneo al nostro filosofo, il quale professava il «non sapere» agnostico che gli impediva di assumere posizioni assolute e universali. Platone nei Dialoghi chiarì le forti differenze dell’insegnamento socratico rispetto a quello dei sofisti, che definiva dei meri «cacciatori prezzolati di giovani ricchi», interessati al solo traguardo e al guadagno, piuttosto che al ragionare insieme, come dovrebbe accadere in filosofia, quando si ricerca la verità, ma si sa di non poterla mai possedere.

    Incisione che riprende un passo della commedia Le Nuvole di Aristofane, il quale ironizza sulla filosofia di Socrate raffigurato mentre si trova a mezz’aria in una cesta. Tratto dall’opera Emblemata dell’umanista ungherese Joannes Sambucus, 1564.

    Incisione che riprende un passo della commedia Le Nuvole di Aristofane, il quale ironizza sulla filosofia di Socrate raffigurato mentre si trova a mezz’aria in una cesta. Tratto dall’opera Emblemata dell’umanista ungherese Joannes Sambucus, 1564.

    Così, Socrate non studiò filosofia, non faceva studiare filosofia ai suoi discepoli, ma faceva fare filosofia; per lui la filosofia non era né un’acquisizione né una professione, ma un modo di vivere. Riuscì persino a trasformare il suo processo in un corso di filosofia, invece di sfruttare l’occasione per difendersi dai suoi detrattori e scampare alla pena di morte. Fu il primo saggio della storia del pensiero occidentale che andò in aiuto agli altri non solo con il ragionamento, ma anche con l’esempio della propria vita.

    Per Socrate, la virtù è scienza, cioè conoscenza; non si impara ma la si raggiunge con la consapevolezza delle proprie capacità. Si tratta di una posizione fortemente intellettualistica, di «intellettualismo etico» che gli attirò non poche critiche (a cominciare da Aristotele); poiché il filosofo ignorò, tralasciò, o almeno sottostimò largamente, l’importanza delle emozioni, dei desideri, della volontà all’interno della natura umana, concentrandosi esclusivamente sull’intelletto. Di conseguenza, se la virtù è scienza, il vizio è solo ignoranza, non è desiderio di fare del male:

    NESSUNO È MALVAGIO VOLONTARIAMENTE.

    Platone gli fa dire nel Protagora, in sintesi, che nessuno desidera fare del male; che nessuno sbaglia volontariamente e con cognizione di causa; che gli errori morali provengono da errori intellettuali. Bisogna quindi perdonare agli ignoranti le loro colpe, piuttosto che condannarli; precetto che peraltro mise in atto quando venne condannato alla pena

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