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Abitare la comunione: La grazia del Regno e la nostra corrispondenza
Abitare la comunione: La grazia del Regno e la nostra corrispondenza
Abitare la comunione: La grazia del Regno e la nostra corrispondenza
Ebook104 pages1 hour

Abitare la comunione: La grazia del Regno e la nostra corrispondenza

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«Tutti i membri della Chiesa sono interpellati e spinti a "giocarsi la vita per Cristo" ed essere responsabili della comunione, tutti chiamati a mostrare che la Chiesa è quel "noi", ossia un soggetto comunitario, che viene prima dei singoli "io"».
(Dalla Prefazione di mons. Francesco Moraglia)

Un libro che illumina sorprendentemente l'azione della grazia, presentando la Croce in una prospettiva nuova, sempre radicale ma umanizzata e con spunti decisivi per l'evangelizzazione.
LanguageItaliano
PublisherAres
Release dateFeb 1, 2025
ISBN9788892986046
Abitare la comunione: La grazia del Regno e la nostra corrispondenza

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    Abitare la comunione - Ugo Borghello

    Prefazione

    Scorrendo le riflessioni che Ugo Borghello offre ai suoi lettori – in questa e in altre pubblicazioni – si ha l’opportunità di essere condotti e via via portati a focalizzare, con sempre maggiore lucidità, quali siano gli elementi essenziali della vita cristiana e quali risultino, perciò, gli aspetti prioritari da coltivare e far crescere.

    In quest’opera, in particolare, sembrano riecheggiare le parole di san Josemaría Escrivá de Balaguer che parlava dei veri nemici tremendi del cristiano: non sono nemici che vengono dall’esterno quanto, piuttosto, la mancanza di filiazione e di fraternità¹.

    Ecco allora la benefica insistenza dell’Autore sulla capacità di generare e abitare la comunione, sull’essenziale appartenenza ecclesiale alla comunità cristiana – al Regno di Cristo, per usare i suoi termini –, un’appartenenza da riconoscere come primaria e fondamentale, e poi sul ruolo imprescindibile della grazia nella storia della salvezza, sull’esigenza di una continua conversione e di una reale collaborazione (la nostra corrispondenza) per vivere – aiutati e sostenuti dallo Spirito Santo, rinnovando il carisma di Pentecoste – da figli e da fratelli nella vera e piena Carità.

    Colpisce il costante riferimento alla vocazione battesimale come elemento decisivo per la vita del discepolo che è chiamato ad assumere la forza e la realtà del sacramento ricevuto come dono che continua a generare i suoi frutti e a suscitare vita cristiana.

    «Quello che manca – scrive infatti Borghello nelle pagine finali –, oltre a convincersi che per vivere il Vangelo occorre che la Chiesa offra cammini di santità, è l’atto generativo». E questo «atto generativo di vita nuova è naturalmente il Battesimo. [...] Si tratta di prendere coscienza che con il Battesimo ci si incorpora a Cristo, attratti dalla sua chiamata. Sequela di Cristo senza condizioni e senza sconti, in comunione con i fratelli. [...] L’atto generativo viene dalla chiamata personale a seguire Cristo in comunione con quei fratelli concreti che ognuno vede intorno a sé».

    Ne deriva, allora, la conclusione che la Chiesa sia sempre più orientata a porre al centro la comunione – derivazione immediata del mistero di Dio Trinità – e la vocazione universale alla santità che promana direttamente dal Battesimo.

    Soprattutto in questo tempo della Chiesa, scandito dal procedere del Cammino sinodale, diventa sempre più urgente il comune guardare di tutti i fedeli – pastori, consacrati e laici – alla persona di Gesù Cristo (che è Uomo per gli altri); è questa la meta a cui deve pervenire ogni percorso ecclesiale che è caratterizzato e sostenuto dalla fede in Lui.

    Siamo, dunque, chiamati a esprimere il volto pieno della Chiesa, comunità di coloro che, con il sacramento del Battesimo, hanno ricevuto il dono della grazia e, insieme, l’impegno e l’invito ad assumere e condividere la fede ricevuta e da annunciare e trasmettere continuamente, anche a partire dalla disponibilità a esercitare varie forme di ministerialità, tutte però poste a servizio dell’intera comunità ecclesiale e sempre in vista dell’evangelizzazione.

    Tutti i membri della Chiesa sono, quindi, interpellati e spinti a giocarsi la vita per Cristo ed essere responsabili della comunione, tutti chiamati a mostrare che la Chiesa è quel noi, ossia un soggetto comunitario, che viene prima dei singoli io. E la nostra vera ricchezza – su cui fioriscono le differenti e complementari vocazioni del popolo di Dio – rimane sempre il Battesimo da cui deriva la grande realtà e il sommo onore di essere e di poterci chiamare cristiani².

    † Francesco Moraglia

    Patriarca di Venezia

    Introduzione

    Il secolarismo avanza impetuoso. Sempre più si vive come se Dio non ci fosse o anche andando decisi contro la verità che Dio ha iscritto nella creazione. I giovani si giocano la vita in gruppi di coetanei senza passato e senza futuro. L’amore umano è ridotto a sentimenti narcisistici che non escono dall’io. Le famiglie sono sempre più fragili, con derive psicologiche che scardinano l’identità personale e causano sofferenze superiori a quelle delle guerre o delle epidemie. Molti dei cristiani ancora praticanti sono vittime del secolarismo. Non solo scarseggiano le vocazioni sacerdotali o di speciale consacrazione, ma anche le ragazze, che sono sempre state la forza cristiana nelle famiglie, nella scuola, nei fidanzamenti, si allontanano velocemente dalla Chiesa. Si moltiplicano libri e convegni, encicliche e sinodi, prediche ed esortazioni, ma il secolarismo avanza imperterrito. Il problema è che si crede di pensare liberamente con la propria testa, mentre è il cuore che decide l’appartenenza sociale in cui trovare immagine davanti agli altri. Chi pensa di essere individualista in realtà è configurato socialmente da imperativi collettivi che impediscono di cogliere ogni sforzo catechetico, ogni esortazione pastorale.

    Di fronte a tale crisi sociale ed ecclesiale si moltiplicano anche gli sforzi, le proposte, i programmi pastorali, ma sembra proprio che il mondo non ne voglia sapere. Eppure basterebbe guardare al Vangelo che è la buona novella, è bellissimo, è anche sorprendentemente facile rispetto alla vita confusa dal peccato e dall’ignoranza delle verità divine. Ma il bene del Vangelo opera per chi lo sceglie come ragione di vita, in comunione con fratelli disposti a tutto nella sequela di Cristo. Gesù dice: «Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo» (Lc 14, 33). Purtroppo si è lasciato questo messaggio ai voti religiosi – mentre è l’unico modo di entrare nel Vangelo –

    pur di capire che rinunciare a tutto non vuol dire privarsi di tutto, ma sposarsi: seguire Gesù succeda quel che succeda. Là dove nella Chiesa si chiede la vita, i frutti sono rigogliosi e anche facili, per ogni battezzato, in qualunque genere di vita. Questo concetto però non rientra ancora nei piani pastorali e si defrauda così la grazia divina. Faccio questa affermazione nonostante il grande dono dell’Enciclica Dilexit nos e il documento finale del Sinodo, che raccoglie il lavoro pastorale di tre anni in tutta la Chiesa. Nelle conclusioni finali si potrà vedere su quali argomenti, accennati nel presente testo, si può sostenere l’insufficienza dei testi del Magistero di fronte all’avanzare impetuoso del secolarismo. Non si tratta di una critica, ma di un apporto per una svolta pastorale.

    Grazia, opere e peccato originale

    Dio ci ha creati liberi per poter partecipare con responsabilità personale alla nostra salvezza. Tuttavia sul rapporto tra l’immensità del dono divino gratuito e il nostro merito, lungo i secoli si è fatta molta confusione, che tutt’ora sussiste, pur con la testimonianza dei santi che di fatto hanno vissuto bene l’equazione. San Paolo s’impegna a sottolineare che la salvezza è tutta di grazia, ma non può eliminare il tema delle opere, come gli ricorda chiaramente san Giacomo nella sua lettera. Gesù appare molto esigente e stimola continuamente la nostra responsabilità. Eppure, se si pensa di dare un primato alla grazia, ma con un merito che passa attraverso le nostre opere, si finisce per far dipendere tutto da quello che facciamo. Però sarebbe come affermare che Dio sta ad aspettare il nostro merito, e in questo modo sarebbe come uno specchio. Fosse anche l’uno

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