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Spinoza - Alberto Peratoner
Il filosofo
Ci sono dei filosofi che hanno la testa quadra, non nel senso deteriore del termine, ma per il fatto che sono rimasti affascinati dalla geometria: Platone e Spinoza soprattutto. Solo che quest’ultimo traduce questa sua predilezione in un sistema che risponde a un metodo ben definito. Il primo non ha la stessa pretesa – d’altra parte Euclide non era ancora nato –, ma usa la geometria per costruire
il mondo con una determinazione inaudita. Tanto per fare un esempio, riduce gli elementi a figure geometriche regolari.
«Ma perché?», si chiederà qualcuno. «Se sono già elementi, che bisogno c’è di renderli ancora più elementari?»
«Perché», risponderebbe Platone, «la geometria esprime il massimo di coerenza e di razionalità, e ha valore anche nel mondo materiale. Chi mai farebbe triangolari le ruote del suo carro? E dunque segna la discesa della ragione nella materia».
Spinoza farebbe il discorso ancor più semplice e sbrigativo: perché il metodo deduttivo attraverso la strumentazione propria della geometria – ossia la definizione degli enti in uso, la fissazione di semplici e intuitivi assiomi e la corretta derivazione di teoremi – garantisce la verità e la coerenza del ragionamento nel suo complesso.
Dunque Platone avrebbe la testa quadra perché il mondo è quadro
, cioè geometrico. Spinoza perché la mente è quadra
. Ma in tutt’e due l’obiettivo è il medesimo: «percepire l’essenza della cosa».
Da qui in avanti le strade di Platone e Spinoza si dividono, precisamente a partire da questo testo, lo Scolio alla Proposizione 14:
«SE SI TIENE CONTO CHE LA MATERIA È DAPPERTUTTO LA MEDESIMA […] NON SO PER QUALE RAGIONE LA MATERIA SAREBBE INDEGNA DELLA NATURA DIVINA; GIACCHÉ (PER LA PROPOSIZIONE 14) FUORI DI DIO NON PUÒ ESSERCI ALCUNA SOSTANZA DALLA QUALE ESSA PATISCA. TUTTO, DICO, È IN DIO, E TUTTO CIÒ CHE ACCADE, ACCADE PER LE SOLE LEGGI DELLA NATURA INFINITA DI DIO, E SEGUE DALLA NECESSITÀ DELLA SUA ESSENZA (COME FRA POCO MOSTRERÒ); NON SI PUÒ DUNQUE DIRE IN NESSUN MODO CHE DIO PATISCA DA UN ALTRO ESSERE, O CHE LA SOSTANZA ESTESA SIA INDEGNA DELLA NATURA DIVINA, ANCHE SE SIA SUPPOSTA DIVISIBILE, PURCHÉ SI CONCEDA, CHE È ETERNA E INFINITA».
Il filosofo ateniese in verità non solo ha scoperto la dimensione dell’immateriale – le idee e le loro relazioni –, ma si può dire che ha inventato anche una specie di anti-materia
, nel senso che ha espropriato le realtà corporee di tutto quello che avevano di bello e buono e l’ha assegnato al mondo ideale, in pratica lasciando il principio materiale in miseria, per quanto eterno e infinito, nel senso di indefinito
. Così quest’ultimo, da allora fino a oggi, ha preso le sembianze dei busti roteanti delle giostre, fatti apposta per essere infilzati a ogni colpo di lancia: tanto era imperfetto, indefinito e privo di ogni qualità.
I due filosofi a questo punto non si parlano più, perché di solito i materialisti non comunicano con i filosofi di spirito
e viceversa. Ma ecco spuntare all’orizzonte della filosofia greca un altro premonitore
di Spinoza, anzi un’intera squadra: Zenone di Cizio, il suo successore Cleante di Asso – nel ruolo di difensore – e infine Crisippo di Soli. La squadra degli Stoici.
Intanto – come Spinoza all’inizio del testo citato – loro erano certi che se dio esiste deve essere materia, ma una materia razionale, anzi la quintessenza della razionalità. I due frammenti che riportiamo, il primo di Zenone, il secondo – tratto da un discorso polemico contro gli stoici – di Crisippo, provano questo asserto:
«[ZENONE] SOSTIENE CHE I PRINCIPI DEL TUTTO SIANO DUE: QUELLO ATTIVO E QUELLO PASSIVO. IL PRINCIPIO PASSIVO È LA SOSTANZA SENZA QUALITÀ, LA MATERIA; IL PRINCIPIO ATTIVO È LA RAGIONE INSITA IN ESSA, CIOÈ DIO. QUEST’ULTIMA È ETERNA ED È DIFFUSA PER TUTTA LA MATERIA DANDO FORMA AD OGNI COSA». (Stoicorum veterum fragmenta, I, fr. 85)
«[GLI STOICI] AFFERMANO CHE I PRINCIPI DEL TUTTO SONO DUE, LA MATERIA E DIO. DI QUESTI, L’ULTIMO È ATTIVO, L’ALTRO PASSIVO. PERÒ, DICONO ANCHE CHE DIO È MISCHIATO ALLA MATERIA, IMPREGNANDOLA AL PUNTO DA CONFERIRE AD ESSA FIGURA E FORMA, COSTITUENDO IN TAL MODO IL COSMO. MA SE DIO, IN QUANTO PNEUMA INTELLIGENTE ED ETERNO, È PER LORO UN CORPO, E PURE LA MATERIA È UN CORPO, ALLORA, IN PRIMO LUOGO, CI DOVRÀ ESSERE UN CORPO CHE PENETRA ATTRAVERSO UN ALTRO CORPO». (Stoicorum veterum fragmenta, II, fr. 310)
È bene notare che i due principi – quello attivo e quello passivo – mostrano straordinarie analogie con il concetto di natura naturans e natura naturata enucleati da Spinoza e ampiamente illustrarti nella sezione dei Testi.
Anche il secondo punto del testo spinoziano sopra riportato trova rispondenza nella tesi stoica che nulla c’è al di fuori del mondo:
«GLI STOICI AFFERMANO CHE NEL COSMO NON C’È ALCUN VUOTO. […] IL VUOTO È DESCRITTO COME INFINITO, E IN EFFETTI COSÌ È QUELLO CHE SI COLLOCA FUORI DALL’UNIVERSO». (Stoicorum veterum fragmenta, II, fr. 502, 503)
Siccome per gli stoici dio è la ragione, cioè il Logos, dovunque diffusa, e la ragione è legge assoluta e stabile, tutti gli eventi sono necessari, come si legge in questo frammento in cui Zeus è un’allegoria del Logos:
«ANCHE CRISIPPO NEL PRIMO LIBRO DE GLI DEI DICE CHE ZEUS È LA RAGIONE CHE REGGE OGNI REALTÀ, L’ANIMA DEL TUTTO […]. IL COSMO È DOTATO DI ANIMA [È RITENUTO UN ESSERE VIVENTE] ED È DIO […]. INOLTRE ZEUS ASSUME IL NOME DI NATURA COMUNE A TUTTE LE COSE, DI FATO E DI NECESSITÀ. ED È ANCHE EQUITÀ NELLA LEGGE E GIUSTIZIA, ARMONIA, PACE E ALTRE CONDIZIONI DEL GENERE». (Stoicorum veterum fragmenta, II, fr. 1076)
Immagine seguita da didascaliaA sinistra: una pagina dell’Ethica ordine geometrico demonstrata, pubblicata per la prima volta nel 1677, in cui si annuncia la divisione in cinque parti dell’opera.
A destra: il frontespizio della prima edizione del Tractatus theologico-politicus, comparso anonimo, ad Amsterdam, nel 1670.
Insomma, tutti i temi trovati nel breve testo di Spinoza hanno un’attestazione corrispondente in campo stoico. E non solo i concetti, ma anche le conseguenze problematiche che da essi derivano sono simili: ad esempio la questione del libero arbitrio – annullato dal determinismo – e quella della scienza umana – resa vana dal numero infinito delle cause antecedenti – che riguarderebbero tanto gli stoici quanto Spinoza, assillando ambedue anche perché trovarono sulla loro strada molti e risoluti critici. Ecco due frammenti che riguardano Crisippo, in polemica con gli stoici:
Immagine seguita da didascaliaA sinistra: René Descartes, conosciuto come Cartesio, in un dipinto di Frans Hals. Spinoza divenne inizialmente noto come divulgatore del pensiero del francese.
A destra: Thomas Hobbes, ritratto da John Michael Wright. La sua posizione materialista è un punto di partenza importante per Spinoza.
«COME NON VEDERE L’ASSURDITÀ DELL’AFFERMAZIONE CHE LE CAUSE VANNO ALL’INFINITO E CHE LA LORO CATENA E LA LORO SERIE NON HA NÉ UN’ORIGINE NÉ UNA FINE? […] STANDO A QUESTO RAGIONAMENTO CADREBBE OGNI SCIENZA, SE LA SCIENZA, IN SENSO PROPRIO, È LA CONOSCENZA DELLE CAUSE PRIME; PER LORO, INFATTI, NON ESISTE UN TERMINE PRIMO NELL’ORDINE DELLE CAUSE».
(Stoicorum veterum fragmenta, II, fr. 949)
«QUELLI CHE INTRODUCONO UNA SERIE INFINITA DI CAUSE INCATENANO LA MENTE DELL’UOMO ALLA NECESSITÀ DEI FATI DOPO AVERLA PRIVATA DELLA LIBERA VOLONTÀ».
(Stoicorum veterum fragmenta, II, fr. 954)
Mentre Spinoza:
«NELLA MENTE NON C’È ALCUNA VOLONTÀ ASSOLUTA O LIBERA; MA LA MENTE È DETERMINATA A VOLERE QUESTO O QUELLO DA UNA CAUSA CHE È PURE DETERMINATA DA UN’ALTRA, E QUESTA A SUA VOLTA DA UN’ALTRA, E COSÌ ALL’INFINITO».
(Proposizione 48)
Infine i fondamenti stessi dell’etica negli stoici e in Spinoza appaiono consonanti, sia per il carattere naturale, sia per il fatto che originariamente si estendono a tutti i viventi e non solo agli uomini. Si tratta del principio di sopravvivenza che sostiene la morale e anche la politica, e la cui formulazione vale la pena di apprendere direttamente dalle parole dei protagonisti e, in questa forma, di essere messa a confronto. Dapprima Crisippo:
«LA NATURA UNIVERSALE, CHE È NOSTRA MADRE, FIN DALLA NASCITA CI HA INCULCATO E HA FATTO CRESCERE CON NOI L’AMORE E L’AFFETTO PER NOI STESSI, DI MODO CHE A CIASCUNO DI NOI ASSOLUTAMENTE NULLA FOSSE PIÙ CARO DI SE STESSO; INOLTRE [TALE MEDESIMA NATURA] HA STABILITO CHE PROPRIO IN QUESTO SI TROVASSE IL PRINCIPIO DI CONSERVAZIONE DELLA SPECIE UMANA: CIOÈ NEL FATTO CHE OGNUNO, NON APPENA VEDE LA LUCE, ABBIA COGNIZIONE E PROVI ATTRAZIONE PER QUELLE REALTÀ CHE GLI ANTICHI PENSATORI CHIAMAVANO PRIME PER NATURA
LE QUALI CONSISTONO NEL GODERE DI TUTTO CIÒ CHE GIOVA AL CORPO E DI RIFUGGIRE DA TUTTO CIÒ CHE NUOCE». (Stoicorum veterum fragmenta, III, fr. 181)
E dunque Spinoza:
«POICHÉ LA RAGIONE NULLA ESIGE CONTRO LA NATURA, ESSA DUNQUE ESIGE CHE CIASCUNO AMI SE STESSO, RICERCHI IL PROPRIO UTILE, CIÒ CHE È VERAMENTE UTILE, E APPETISCA TUTTO CIÒ CHE CONDUCE VERAMENTE L’UOMO AD UNA PERFEZIONE MAGGIORE, E, ASSOLUTAMENTE PARLANDO, CHE CIASCUNO SI SFORZI DI CONSERVARE IL PROPRIO ESSERE, PER QUANTO DIPENDE DA LUI. IL FONDAMENTO DELLA VIRTÙ È LO SFORZO STESSO DI CONSERVARE IL PROPRIO ESSERE E LA FELICITÀ CONSISTE PER L’UOMO NEL POTER CONSERVARE IL PROPRIO ESSERE».
(Scolio alla Proposizione 18)
Qui è in gioco non solo la libertà umana ma anche la libertà di Dio che, nello schema spinoziano, è libero e necessitato allo stesso tempo: libero perché ha un infinito potere e nessun vincolo esterno, e necessitato perché è tenuto a una inesorabile coerenza con se stesso. Ma di questo erano convinti anche gli stoici quando con Seneca, nel De providentia, 5, 8, davano corpo a questa sorprendente e icastica formula: «Dio ubbidisce sempre, dopo aver comandato una volta per tutte».
Materialismo, panteismo, naturalismo e meccanicismo si trovano insieme negli stoici e in Spinoza a quasi due millenni di distanza, in grazia di una tradizione che si può immaginare ininterrotta, ma anche per il fatto che i problemi essenziali dell’uomo e le relative richieste di soluzione sono sempre gli stessi, non infiniti, ma quanto più originari tanto meno numerosi.
I temi
Immagine seguita da didascaliaÈ uno Spinoza trentaduenne quello che ci viene mostrato in questo dipinto datato 1664 di Franz Wulfhagen, e ha appena composto il suo Breve trattato su Dio, l’uomo e il suo bene.
CONOSCENZA E METODO
La questione del metodo si presenta come prioritaria sin dal Prologo del Trattato sull’emendazione dell’intelletto, giustamente considerato «il Discorso del metodo di Spinoza» (cfr. pp. 47-48). In questo trattato l’autore distingue (cfr. pp. 54-62) quattro generi di conoscenza (perceptio): 1) indiretta, «per sentito dire o da qualche altro segno» (come, ad esempio, il giorno della propria nascita, appresa da altri, o l’identità dei propri genitori); 2) per generalizzazione di un certo numero di dati dell’esperienza (come la propria mortalità, il fatto che l’olio può alimentare la fiamma e l’acqua la può estinguere); 3) per mediazione inferenziale dell’essenza di una cosa da un’altra, «quando da un qualche effetto risaliamo alla sua causa, oppure quando si conclude da un qualche universale che è sempre accompagnato da una qualche proprietà» (come quando si trae dalla sensazione di un corpo l’unione dell’anima col corpo); 4) «mediante la sua sola essenza o tramite la conoscenza della sua causa prossima» (come il fatto di conoscere rende edotti su cosa significhi conoscere qualcosa, o il sapere che l’anima è unita al corpo dal conoscere l’essenza dell’anima stessa). Questo quarto genere di conoscenza, nel quale Spinoza annovera le verità matematiche, sarebbe il solo a garantire un rigore epistemologico capace di certezza: «solo il quarto modo comprende adeguatamente l’essenza della cosa e senza pericolo d’errore, perciò dovrà essere impiegato più di tutti gli altri».
Il paventato regresso all’infinito nella messa a punto del metodo – il rischio, cioè, che si renda necessario codificare un metodo per ricercare il metodo, e così via, – è arrestato vincolando il tutto all’esistenza di proposizioni autoevidenti, a loro volta fondantisi in idee vere, la cui essenza formale conferisce loro una consistenza reale in quanto idee.
L’essenza oggettiva di queste esprime la loro rappresentatività dell’oggetto reale intenzionato. Considerato il carattere autoevidente della verità di un’idea, il metodo garantisce dello sviluppo del sapere in forma riflessiva quale applicazione a un’idea vera data.
La prima parte del metodo consiste nell’analisi delle idee inadeguate, generate dalla potenza distorsiva dell’immaginazione, da lui distinte in idee finte, che derivano da un’attenzione rivolta contemporaneamente a diverse idee confuse, ma senza assenso, false, che all’attenzione a più idee confuse aggiungono l’assenso, e dubbie.
La seconda parte del metodo tratta della formazione delle idee chiare e distinte e della loro connessione logica, ed è incentrata sulle condizioni di una corretta definizione. Qui Spinoza tratta della definizione dell’intelletto quale conoscenza chiara e distinta posta all’origine della catena deduttiva, ma l’impiego del termine intellectus rimane oscillante tra un generico sinonimo di mens e lo specifico significato del quarto, ed unico perfetto, genere di conoscenza.
Nel Breve trattato (cfr. pp. 66-67), Spinoza ridisegna la classificazione del De intellectus emendatione e distingue, nell’ambito di un’antropologia delle facoltà, tre generi di conoscenza: 1) la «semplice credenza, che nasce dall’esperienza o dal sentito dire», comunemente denominata opinione
, che viene a comprendere i primi due modi del De intellectus emendatione; 2) la «credenza vera», detta comunemente ragione
, che perviene ai risultati attraverso catene di ragionamenti procedenti dai dati più noti ai meno noti, ed è immune da errore; 3) la «conoscenza chiara e distinta», raggiunta per evidenza intuitiva immediata, in sé infallibile, designata come intelletto
.
Nell’Ethica Spinoza riprende la propria concezione gnoseologica nella seconda parte, dedicata alla Natura e
