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Pascal - Alberto Peratoner
PANORAMA
Blaise Pascal, incisione di Henry Hoppner Meyer da un dipinto del XVII secolo, 1833.Blaise Pascal, incisione di Henry Hoppner Meyer da un dipinto del XVII secolo, 1833.
IL PERSONAGGIO
Molti filosofi sono stati anche matematici o scienziati: Talete, Aristotele, Democrito, Cartesio, Leibniz. E svariati scienziati sono stati anche filosofi: Isaac Newton, Albert Einstein, Ernst Mach, Sigmund Freud, Kurt Gödel. Qualcuno senza accorgersene, come Galileo e Charles Darwin. Ma, forse più di tutti, Blaise Pascal è stato colui nel quale il pensiero scientifico e quello filosofico, seppure profondamente distanti nelle rispettive tematiche (dalle ellissi alla grazia divina, dalla pressione dei fluidi al libero arbitrio), sono stati compenetrati al massimo, per quanto riguarda il rigore metodologico, la tensione per la ricerca della verità – sia essa comprensibile o incomprensibile all’essere umano – e la razionalità nell’indagine. Tanto da influenzarsi e arricchirsi a vicenda, e tanto da fargli definire spirito geometrico il modello al quale ricondurre ogni argomentazione in qualsiasi campo del pensiero, quindi anche nella filosofia; spirito geometrico inteso come il metodo per arrivare a (e spiegare) una verità solo partendo da una precedente verità dimostrata. Esattamente come fece Euclide, che partendo da cinque assiomi e cinque postulati riempì, con successive dimostrazioni e teoremi che discendevano ciascuno dal precedente, i tredici libri degli Elementi , con i quali descrisse l’intero mondo della geometria.
Il paragone non è casuale, perché Blaise Pascal, al quale il padre Étienne – alto funzionario statale e ottimo matematico – aveva negato ogni tipo di testo di matematica e geometria affinché non fosse distolto dagli studi umanistici, a soli dodici anni, nel 1635, riuscì a reinventare
queste discipline da solo, giungendo per proprio conto alla trentaduesima proposizione del primo libro di Euclide. E, visto che non poteva conoscere la terminologia matematica, chiamava il cerchio «un rotondo» e la retta «una sbarra».
Tutto ciò fa capire quale tipo di intelletto avesse il giovane Pascal: una mente superiore, unita però a una salute fortemente compromessa fin dalla nascita, che lo avrebbe accompagnato in tutti i suoi trentanove anni di vita. «Dall’età di diciotto anni non passò un solo giorno senza dolori», scrisse la sorella Gilberte nella biografia che dedicò a Blaise, del quale fu anche madre putativa e infermiera. Queste due condizioni spinsero il padre a provvedere direttamente all’istruzione del figlio, che studiò a casa i classici e le matematiche, né filosofia né teologia, come invece era d’obbligo nelle famiglie altolocate francesi dell’epoca.
LA FRANCIA, LABORATORIO IDEOLOGICO
Erano gli anni dell’ascesa della nazione francese in Europa anche in seguito alla Guerra dei trent’anni che segnò un ridimensionamento di Spagna e Sacro romano impero; gli anni di Luigi XIII e poi dell’assolutismo di Luigi XIV detto il Re Sole
, dei cardinali-primi ministri Richelieu e Mazzarino, delle rivolte popolari della fronda contro la politica fiscale dello Stato e i privilegi dell’aristocrazia e del clero. Erano gli anni delle dispute religiose e teologiche, ma anche degli scontri fra cattolici e protestanti, nonostante la tregua avviata nel 1598 con l’Editto di Nantes, che garantiva la libera professione religiosa agli ugonotti (i protestanti francesi). Il tutto, mentre la rivoluzione scientifica di Copernico e Galileo e il «Cogito ergo sum» di Cartesio allontanavano la mano di Dio dal funzionamento del mondo e dell’uomo e, soprattutto in Francia, tenevano a battesimo una nuova mentalità che metteva in primo piano l’autonomia dell’individuo dal complesso prescrittivo e pratico-esistenziale della religione: la libertà di pensiero, una nuova costruzione di valori fondamentalmente laica, anche se non anticristiana, basata sulla capacità dell’essere umano di sviluppare una sua ragione autonoma. Era questo il movimento detto dei libertins o liberi pensatori, cui appartenevano in massima parte intellettuali aristocratici, e che non mancò di riflettersi anche nelle dispute teologiche sul libero arbitrio, sulla grazia divina, su una valutazione del peccato vista in un’ottica meno dogmatica e più rilassata e mondana
. E che può considerarsi il precursore di ciò che alcuni decenni dopo diventerà noto come Illuminismo.
La Pascalina è uno strumento di calcolo precursore della moderna calcolatrice. Fu ideata da Pascal a diciannove anni, nel 1642.
In questo clima visse Blaise Pascal, che grazie alla sua condizione sociale poté frequentare gli ambienti, laici e religiosi, della provincia francese più colta e della Parigi sorboniana, nei quali tali dispute trovavano alimento.
LE INDAGINI SCIENTIFICHE
La prima parte della vita di Pascal fu rivolta all’indagine scientifica, con risultati sorprendenti. A sedici anni scrisse il Saggio sulle coniche (figure geometriche come parabola, iperbole, ellissi e cerchio) nel quale è contenuto l’importante teorema che prende il suo nome; a diciannove ideò la prima macchina calcolatrice moderna, la Pascalina. Negli anni successivi compì i famosi esperimenti sulla pressione atmosferica, grazie all’osservazione del fenomeno della sospensione della colonnina di mercurio in un tubo capovolto appena compiuta in Italia da un discepolo di Galileo, Evangelista Torricelli. Con il barometro, fatto portare dal cognato Florin Périer a diverse altezze sul Puy-de-Dôme (le sue condizioni di salute non gli consentivano un’impresa del genere), Pascal dimostrò che la pressione atmosferica è inversamente proporzionale all’altitudine; inoltre, che il vuoto esiste, essendo legato al peso e alla pressione dell’aria; confutò così l’opinione degli antichi, i quali ritenevano che la natura, aborrendolo (il famoso horror vacui), non ne consentisse l’esistenza. Avendo assimilato l’aria e l’acqua sotto questo tipo di comportamento, Pascal fondò in pratica la scienza dei fluidi, scoprendone proprietà e impieghi, come il principio che porta il suo nome e la pressa idraulica, tanto che l’unità di pressione è oggi chiamata pascal in suo onore.
Esperimento idrostatico detto “della botte di Pascal” (presumibilmente eseguito dal filosofo nel 1646) in un’illustrazione del 1872 realizzata da Amédée Guillemin.Esperimento idrostatico detto della botte di Pascal
(presumibilmente eseguito dal filosofo nel 1646) in un’illustrazione del 1872 realizzata da Amédée Guillemin.
Ma già avvertiva che la sola scienza non bastava a descrivere o trovare la spiegazione di ogni cosa. Più tardi avrebbe scritto:
"L’ULTIMO PASSO DELLA RAGIONE STA NEL RICONOSCERE CHE VI È UN’INFINITÀ DI COSE CHE LA SORPASSANO¹"
ritenendo una forma di presunzione escludere dalla verità quanto appare incomprensibile alla ragione.
E negli ultimi anni di vita avrebbe poi consolidato tale posizione affermando, in una lettera al grande matematico Pierre de Fermat:
"TROVO CHE LA GEOMETRIA SIA IL PIÙ ALTO ESERCIZIO DELLO SPIRITO; MA ALLO STESSO TEMPO LA RICONOSCO TANTO INUTILE CHE FACCIO POCA DIFFERENZA TRA UNA PERSONA CHE È SOLTANTO UN GEOMETRA E UN ABILE ARTIGIANO.²"
DALLA SCIENZA ALLA TEOLOGIA
All’epoca tali convincimenti non erano ancora così drastici. Ma nel 1646, a ventitré anni, Pascal entrò in contatto con i seguaci del giansenismo, la corrente dottrinale sviluppata dal teologo olandese Cornelis Jansen e dal francese Jean Duvergier de Hauranne e che in Francia aveva una roccaforte nel monastero cistercense di Port-Royal presso Versailles. Tale dottrina sosteneva tra l’altro che il desiderio di conoscenza delle cose del mondo non rappresentava che una forma di concupiscenza, che da questa morbosità «nasce l’indagine sui segreti della natura, la conoscenza dei quali è inutile», e raccomandava ai cristiani di allontanarsene, concentrandosi invece esclusivamente sulla conoscenza di Dio.
L’incontro con i giansenisti, che si rifacevano direttamente ad Agostino, influì fortemente sulla visione filosofica e teologica di Pascal, specie per quanto riguarda il concetto di grazia. Il peccato di Adamo avrebbe originato una natura umana essenzialmente corrotta, senza la possibilità di riscatto da parte dell’uomo medesimo, se non attraverso la grazia di Dio. Questa prospettiva teologica determinò il suo pensiero in merito al libero arbitrio, all’etica e alla conoscenza, destinata a rimanere confinata entro limiti invalicabili. Le controversie teologiche più aspre tra la dottrina giansenista e la Chiesa di Roma, che più tardi condannerà cinque proposizioni estratte dall’Augustinus di Giansenio, riguardavano, infatti, soprattutto la questione della grazia,
