La posta in gioco (eLit)
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Inghilterra, 1805
Grazie a tre intraprendenti sorelle, Penny House diventa uno dei più raffinati ed esclusivi ritrovi dell'aristocrazia londinese.
Cassia Penny gestisce insieme alle sorelle una famosa casa da gioco. Il suo impeccabile gusto in fatto di arredamento ha sempre dettato moda nella capitale, e la cosa non è sfuggita al ricchissimo Richard Blackley, che tenta in ogni modo di accaparrarsi i servigi della ritrosa fanciulla per risistemare Greenwood Hall, un'antica residenza nobiliare pressoché in rovina. Dopo diversi tentativi infruttuosi, finalmente Richard vince una scommessa la cui posta è per l'appunto il talento di arredatrice di Cassia e la conduce con sé a Greenwood. Durante la permanenza nella signorile dimora, però, i due giovani si innamorano e finiscono per abbandonarsi alla passione trascorrendo insieme giorni indimenticabili. Fino a quando un terribile segreto emerge dal passato di Richard, un segreto che potrebbe separarli, oppure unirli per sempre.
Miranda Jarrett
Laureata in storia dell'arte, ha saputo conciliare l'interesse per la storia con la passione per la scrittura. I suoi romanzi hanno vinto infatti numerosi premi letterari.
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La posta in gioco (eLit) - Miranda Jarrett
1
Woodbury, Sussex, Inghilterra
1806
Cassia Penny teneva la schiena premuta contro lo schienale della sedia e le dita strette intorno al fazzoletto inzuppato che aveva appallottolato in grembo. La flanellina nera a buon mercato dell'abito da lutto le opprimeva la gola e i polsi, ed era così pesante e inadatta alla tiepida giornata di inizio primavera che lei sentiva il sudore colarle, sotto l'abito, lungo le braccia, tra i seni e nella piega delle ginocchia. Anche se teneva la testa alta, come le due sorelle tra le quali era seduta, aveva gli occhi che bruciavano per le lacrime versate, e sarebbe bastato un nonnulla per farla scoppiare di nuovo in pianto.
Aveva soltanto vent'anni, eppure si sentiva come se una parte importante della sua vita si fosse già esaurita. Niente sarebbe più stato come prima, per nessuna di loro.
Mr. Grosse, l'avvocato, sedeva alla scrivania ormai vuota di suo padre e le sue dita allineavano con precisione maniacale la pila di fogli che costituiva il testamento.
«Sono dolente di dovervi comunicare che la vostra vita dovrà cambiare, signorine» annunciò il legale con un sospiro mesto, del tutto consono alla giornata. «Immagino comunque che, data la vocazione di vostro padre, per voi non sarà una sorpresa.»
«Sappiamo che nostro padre era un modesto vicario di campagna» confermò Amariah, pronunciando ogni parola con aspra determinazione, come sempre quando qualcuno osava sfidare la maggiore delle sorelle Penny. «Siamo perfettamente consapevoli, oltre che onorate, del retaggio di bontà che nostro padre ha lasciato su questa terra, e della ricompensa che senza alcun dubbio lo attende in cielo.»
Per nulla impressionato, Mr. Grosse la guardò da sopra gli occhiali. «Disgraziatamente, Miss Amariah, le opere buone fruttano interessi molto scarsi in banca, e la generosità di vostro padre non gli ha permesso di mettere da parte alcun risparmio.»
«Nostro padre era un uomo gentile, buono e dall'animo straordinariamente nobile, Mr. Grosse» protestò Cassia alzandosi in piedi, «e io... noi... non vogliamo sentirvi dire qualcosa in contrario.»
Subito la mano di Bethany si posò sul braccio della sorella minore, costringendola dolcemente a rimettersi seduta. «Mr. Grosse sta dicendo soltanto la verità, Cassia. Nostro padre non si è mai preoccupato di accumulare dei beni terreni, e noi non ci aspettavamo certo che ci lasciasse un patrimonio in eredità.»
«Ma non ci aspettavamo neanche che morisse così presto.» Cassia sembrò rattrappirsi sulla sedia, impegnata com'era a ricacciare indietro le lacrime. Il reverendo Penny aveva soltanto quarantacinque anni. Chi avrebbe mai pensato che un cuore così grande si sarebbe fermato all'improvviso, mentre era occupato a strappare le prime erbacce nell'orto di casa?
«Eppure abbiamo già cominciato a pensare al nostro futuro, Cassia.» Il sorriso di Amariah era triste, vero, ma anche carico di una fiducia che Cassia non riusciva a condividere. «Papà ha sempre confidato nel fatto che noi tre fossimo in grado di trovare la nostra strada nella vita, ed è quello che faremo.»
«Purtroppo dovrete trovarla lontano da questo cottage, Miss Amariah.» Mr. Grosse fece un altro sospiro. «Sir Cleveland mi ha già informato che il nuovo vicario arriverà a giorni. E, naturalmente, è inteso che verrà a vivere al cottage. Sir Cleveland è dispiaciuto di dovervi mettere fretta, ma...»
«Sir Cleveland dice di essere preoccupato per le necessità spirituali della congregazione rimasta senza pastore.» Cassia tirò su con il naso per non piangere. «Ma più che altro è preoccupato per il nipote che da tempo desidera vedere al posto di nostro padre, quell'avido...»
«Cassia.» Detto da Amariah, quello era un rimbrotto in piena regola. «Le tue affermazioni non onorano certo la memoria di nostro padre.»
Cassia si affrettò ad abbassare lo sguardo sulle mani che stringevano il fazzoletto. Amariah aveva ragione, come sempre. Non importava che il vecchio cottage con le rose rampicanti e il laghetto con le anatre fosse l'unica casa che loro avessero mai conosciuto, e che adesso dovessero lasciarlo e dividersi per sempre. Doveva essere forte e coraggiosa come le sue sorelle e guardare al futuro, non al passato.
Nonostante non avesse la minima idea di come, o dove, si sarebbe svolto quel futuro.
Mr. Grosse si guardò intorno nella piccola biblioteca, osservando le casse e i bauli che avevano già cominciato a fagocitare i libri e gli effetti personali del reverendo Penny. «Avete preso accordi per trasferirvi temporaneamente presso qualche parente o degli amici?»
Bethany sorrise, serena. «Aiutati che Dio t'aiuta, come si dice. Nostro padre ha sempre condiviso con noi il suo amore per la conoscenza e noi intendiamo avvalerci di questi doni per mantenerci.»
Mr. Grosse parve sollevato al pensiero che gli fosse risparmiata la responsabilità di gettare le figlie del defunto vicario in mezzo alla strada. «Dunque avete dei progetti?»
Amariah annuì con la consueta aria di efficienza, nonostante il lutto. «Io sto prendendo in considerazione la proposta di Mr. e Mrs. Whiteside di fare da istitutrice alle loro figlie, a Rushington.»
«E Lady Elverston mi ha chiesto di trasferirmi a Elverston Hall per diventare la sua dama di compagnia.» Bethany intrecciò le mani davanti a sé con aria modesta, come se non credesse alla propria buona sorte. «È così gentile da sostenere che le piace come suono il pianoforte e da ricordare anche le piccole cene che preparavo per papà e i suoi amici. Ritiene che questi miei talenti possano esserle utili a Elverston Hall.»
«Eccellente» approvò Mr. Grosse. «E voi, Miss Cassia? Avete già deciso che cosa farete?»
La testa di Cassia si abbassò ancora un poco. Non era dotata come Amariah e Bethany. Le cose che sapeva fare meglio, vale a dire guarnire cappellini e trasformare vecchi abiti in strepitose creazioni all'ultima moda; oppure addobbare la chiesa a Natale con piante e ramoscelli rendendola magicamente simile alla foresta di Sherwood; o ancora inventare storielle divertenti per i giovanotti che le si affollavano intorno alla serata danzante che si teneva ogni mese nella sala delle feste della vicina Halvertown, non erano i talenti che avrebbero potuto consentirle di guadagnarsi da vivere, perlomeno non onestamente come ci si aspettava da una giovane di buona famiglia, quello che le sorelle Penny naturalmente erano state educate a essere.
Ma era stato più che sufficiente mentre suo padre era ancora vivo, quando lei era la sua piccola pazzerella che lo faceva ridere fino alle lacrime perfino nei momenti in cui lui sarebbe dovuto essere tutto preso dalla stesura dei suoi sermoni...
«Sono sicura che Cassia troverà presto qualcosa di adatto» disse in fretta Amariah, rispondendo in sua vece. «In fondo sono i nostri primi giorni di lutto, Mr. Grosse.»
«Certo, certo.» L'avvocato fissò accigliato i fogli davanti a lui. «Adesso però ho una rivelazione da farvi che può rendervi le cose più facili. So che potrebbe non trattarsi di una notizia molto gradita, visto il riflesso che ha sull'integrità di vostro padre. Ma naturalmente l'informazione non uscirà da questa stanza. Resterà un segreto tra di noi.»
Con il cuore che le batteva forte al pensiero di un'altra cattiva notizia, Cassia si spostò sul bordo della sedia. «Una rivelazione, signore? A proposito di papà?»
«Sì, Miss Cassia.» L'avvocato girò un altro foglio. «Vostro padre ha voluto che il relativo documento fosse tenuto separato dal resto del testamento, ma vi assicuro che l'eredità è perfettamente legittima.»
Si schiarì la voce, lo sguardo che passava dall'una all'altra delle sorelle. «Molto, molto tempo fa, un membro della congregazione di vostro padre, riconoscente e pentito, gli lasciò la parte più consistente del suo patrimonio. Vale a dire un... ehm... un circolo sociale privato a Londra.»
«Un circolo sociale?» Cassia scosse la testa. «A papà non è mai importato niente della mondanità. Perché mai avrebbe dovuto immischiarsi con un circolo?»
Mr. Grosse tossicchiò, imbarazzato. «Non c'è molto di mondano in un circolo privato di Londra, Miss Cassia. È la definizione elegante che viene data a questo genere di locali. L'altra, più adatta a un luogo del genere... vi prego di perdonarmi... è casa da gioco.»
«Nostro padre era proprietario di una casa da gioco?»
«Sì.» Mr. Grosse si affrettò a riportare lo sguardo sui documenti. «Mentre la maggioranza degli uomini si sarebbe sbarazzata rapidamente di un lascito di così dubbio gusto, vostro padre lo vide come un dono del cielo, un modo per raddrizzare dei torti. Permise al circolo di proseguire l'attività, donandone tutti i profitti alle vedove e agli orfani, in particolare a coloro che avevano dovuto soffrire proprio a causa del gioco.»
Cassia si premette le dita contro le labbra. Per quanto suo padre fosse stato di larghe vedute riguardo a certi aspetti della vita, non aveva mai visto di buon occhio né le scommesse né il gioco d'azzardo. Eppure adesso venivano a sapere che a Londra era stato proprietario di un'intera casa che ospitava proprio quel genere di attività. Come mai l'aveva tenuto nascosto alle figlie per tanto tempo?
«Papà possedeva una casa da gioco privata a Londra, Mr. Grosse?» Le sopracciglia inarcate di Amariah le conferivano un'espressione incredula del tutto inconsueta per lei. «A Londra? Nostro padre?»
«Temo di sì, Miss Amariah.» L'avvocato scosse il capo. «So che siete traumatizzate da questa notizia, dopo quello che...»
«Dove si trova questo circolo? In un quartiere rispettabile?» si informò Bethany. «Se è così, immagino che papà si sia visto nelle vesti di un moderno Robin Hood... che toglieva ai ricchi per aiutare i meno fortunati. Non riesco a immaginare niente di diverso.»
Mr. Grosse abbassò gli occhi, rimescolando i fogli. «Il circolo è ubicato in St. James Street, un indirizzo assolutamente rispettabile per un... un'attività come questa. Si chiama Whitaker's, anche se non ho idea di chi fosse Mr. Whitaker. Ah, ecco qui... un' incisione che illustra l'esterno dell'edificio.»
Spinse sulla scrivania un foglio e Amariah lo prese, tenendolo in modo che potessero vederlo anche le sue sorelle.
«Ha una bella facciata, vero?» azzardò Cassia, non sapendo che altro commento fare. Abituata com'era al piccolo vicariato annidato tra le verdi colline del Sussex, quella casa di città le sembrava accogliente come un blocco di ghiaccio, stretta com'era tra gli edifici adiacenti. Sulla facciata di pietra si aprivano tre piani di alte finestre squadrate, senza imposte, che rendevano l'insieme ancora più severo. Un gentiluomo solitario con un antiquato tricorno sulla testa puntava il bastone da passeggio verso l'ingresso: quattro scalini e una porta decisamente essenziale.
«È una bella casa» convenne con lei Mr. Grosse. «Da quanto ho potuto capire, un tempo Whitaker's era uno dei ritrovi più frequentati dai gentiluomini della migliore società e annoverava tra i suoi soci perfino dei Pari del regno e degli ufficiali della Corona.»
Amariah alzò gli occhi dall'incisione. «Non lo è più?»
Mr. Grosse si strinse nelle spalle, incerto. «Non è più quello che era una volta, no. Logicamente vostro padre non ci andava mai, e con il passare del tempo e delle mode il circolo ha perso la sua popolarità. Ma la proprietà in sé e per sé è sana e non dovrebbe essere difficile trovare un acquirente, a un prezzo che allevierebbe di molto le vostre attuali preoccupazioni finanziarie.»
«Voi sapete quali fossero esattamente le volontà di nostro padre al riguardo, avvocato?» volle sapere Cassia, senza distogliere lo sguardo dalla tetra casa di pietra riprodotta dall'incisione. «Voleva che vendessimo questa... sua proprietà, o che continuassimo la sua opera di carità?»
«Esatto, Mr. Grosse, dovete dircelo.» Adesso Bethany era anche lei sul bordo della sedia, e Cassia si chiese se la sorella stesse pensando alla stessa cosa. «Rimettere in equilibrio i piatti della bilancia della nostra società moderna era uno degli argomenti preferiti dei sermoni di papà. Se gli era stato concesso un mezzo tanto valido per mettere in pari quei piatti, non credo che fosse suo desiderio che noi lo abbandonassimo.»
«Sì, sì» confermò Amariah. «E se il quartiere è rispettabile come dite, potremmo stabilirci lì anche noi ed essere autosufficienti. Di sicuro papà avrebbe voluto questo per noi. Oh, sì, Mr. Grosse, dobbiamo esaminare la cosa da tutti i punti di vista.»
«Non posso dire di essere d'accordo.» Aggrondato, l'avvocato scosse la testa spargendo nell'aria la cipria della sua parrucca grigia. «È già alquanto insolito che un vicario di campagna abbia... degli interessi in una casa da gioco, Miss Amariah, ma che tre virtuose giovani donne seguano le sue orme, che decidano di vivere nello stesso edificio che ospita un covo di disperazione e di depravazione... Ah, no! Non è cosa da farsi, e io vi sconsiglio vivamente di invischiarvi in una storia del genere.»
«È forse contro la legge, Mr. Grosse?» indagò Cassia. L'edificio di città raffigurato nell'incisione non corrispondeva proprio alla sua idea di casa, ma lei e le sue sorelle avrebbero potuto renderla vivibile. «Alle donne non è permesso essere proprietarie di una casa da gioco?»
«Non ci sono motivi legali, questo no, ma agli occhi della società una situazione come quella che vi proponete sarebbe assai irregolare, assai...»
«C'è dell'altro che non ci avete detto, Mr. Grosse?» Amariah sfiorò con la punta delle dita l'incisione, come se toccandola potesse renderla più reale. «La casa viene forse usata per altre attività più disdicevoli?»
Il viso dell'avvocato si fece paonazzo.«Buon Dio, no, Miss Amariah! È solo una casa da gioco... E questo è già abbastanza disdicevole per delle signorine di buona famiglia come voi!»
«Il mondo può essere disdicevole, Mr. Grosse, anche per delle gentildonne.» Amariah si alzò in piedi e scosse le gonne nere, subito imitata da Cassia e da Bethany. «Volete scusarci per qualche minuto, Mr. Grosse?»
Borbottando tra sé, l'anziano avvocato non ebbe altra scelta che uscire dalla biblioteca. Mentre si chiudeva la porta alle spalle alzò gli occhi al cielo.
«Molto bene.» Amariah si rimise a sedere, accompagnata dal fruscio del cotone pesante del suo abito. «Non so se papà ci abbia lasciato un regalo o un grattacapo.»
«Un regalo... un grande regalo!» Cassia andava avanti e indietro sul tappeto, incapace di trattenere l'entusiasmo. «La sua eredità non solo ci consentirà di guadagnarci da vivere, ma anche di proseguire la sua opera. Inoltre... Pensate! Vivere a Londra, la più grande città del mondo!»
«Ciò a cui penso, Cassia, è tutto quello che dovremo imparare.» Amariah alzò una mano, levando un dito per ogni carenza che elencava. «Siamo state poche volte a Londra e non sappiamo niente della città e dei suoi usi. Là non abbiamo amici, nessuno a cui poterci rivolgere per un consiglio o un suggerimento. Non sappiamo neppure come trovare un macellaio onesto o una sarta. E, soprattutto, non abbiamo la più pallida idea di come funzioni una casa da gioco.»
«Impareremo.» Bethany sorrise, eccitata. «Non siamo stupide.»
Interrotta, Amariah le scoccò un'occhiataccia. «Ma potremmo dimostrarci delle grandissime stupide, Bethany. Non conosciamo le persone che hanno gestito finora il circolo, e non sappiamo se la fiducia che papà aveva in loro fosse ben riposta. Lo stesso Mr. Grosse ha detto che il circolo non frutta più gli stessi profitti di un tempo.»
Cassia fece un gesto nell'aria come per spazzare via le obiezioni della sorella. «Vuol dire che ci procureremo del personale più adatto.»
«E dove andremo a cercarlo?» Amariah alzò entrambe le mani. «Non conosciamo neppure le regole dei giochi che dovrebbero mantenere noi e le opere di carità patrocinate dal nostro amato padre.»
«Possiamo imparare» si ostinò Cassia. «Pensa a tutto quello che ci ha insegnato papà. Latino, greco, geografia, matematica e tutte le altre materie che è opinione comune che le donne non possano apprendere. Pensavamo che scherzasse quando ci diceva che quelle conoscenze sarebbero state la nostra dote, ma forse non scherzava affatto.»
Amariah riportò lo sguardo sull'illustrazione che teneva in mano e aggrottò la fronte. «Questo sarebbe molto diverso dal tradurre l'Iliade per papà.»
«In un certo senso sì, in un altro no» obiettò Cassia. «Pensa alla tua abilità a far di conto. Sono sicura che in un baleno riusciresti a imparare le regole dei giochi e a tenere la contabilità del circolo.»
Bethany annuì, battendo la punta delle dita sul bracciolo della sedia con aria eccitata. «Da quello che ho letto nei giornali di Londra, gran parte del successo di un circolo sta nel fornire ai gentiluomini un posto lussuoso e confortevole per i loro... passatempi. Per giocare, possono andare ovunque, ma state certe che tornerebbero da noi se il cibo e le bevande fossero di gran lunga migliori che negli altri locali.»
Cassia batté le mani. «Cosa che, con te in cucina, sarebbe garantita. Nessuno dei presuntuosi cuochi francesi di Elverston Hall può reggere il paragone con te, lo sai bene.»
Amariah sospirò. Non esattamente rassegnata, non ancora, ma quasi. «E tu in quale ruolo ti vedresti bene, Cassia?»
La minore delle sorelle alzò il mento e sorrise. Non era inutile come aveva temuto fino a non più di mezz'ora prima. Aveva dovuto soltanto trovare il proprio ruolo.
«Io farò del circolo un luogo che detta la moda» dichiarò. «Lo trasformerò in un locale tanto originale che coloro che non saranno ammessi saranno disposti a dare un occhio della testa per poterci entrare. Una volta che lo avremo sistemato come diciamo noi, non sarà più un luogo di disperazione.»
«Oh, Cassia» gemette Amariah. «Chi meglio delle tre figlie di un vicario di Woodbury conosce la moda di Londra?»
«Delle tre belle figlie» puntualizzò Cassia. All'unisono le tre sorelle guardarono verso lo specchio rotondo appeso sopra il camino dall'altra parte della stanza. Perfino vestite a lutto, con gli occhi rossi a furia di piangere e i capelli color rame raccolti in un nodo severo, formavano un terzetto straordinario: Amariah, la maggiore e la più alta delle sorelle, aveva il portamento di una duchessa; Bethany, la seconda, aveva un viso dolcissimo; infine Cassia, la piccola mattacchiona di papà, aveva le guance rosee e grandi, luminosi occhi azzurri.
«Non possiamo fingere di non essere belle» proseguì Cassia, «si vede bene che lo siamo, o perlomeno siamo graziose, avendo ereditato i capelli di papà e il bel viso della mamma. Lo dicono tutti. Non pensate che riusciremmo a suscitare la curiosità degli annoiati damerini di Londra?»
«Amoreggiare con i figli del signorotto locale nella sala delle feste di Halvertown non è la stessa cosa che affrontare i cattivi soggetti di Londra» obiettò Amariah. «Saremmo terribilmente disorientate, Cassia, e certo questa sarebbe un'ulteriore difficoltà.»
«Vorrà dire che più saremo irreprensibili» rispose Cassia, allargando le gonne in una riverenza degna di una presentazione a corte, «più sembreremo misteriose e irraggiungibili, visto che saremo le uniche donne virtuose in un mondo corrotto. E poi potremmo anche cambiare nome al circolo, per renderlo più nostro. Che cosa ne dite di Penny House?»
«Penny House!» esclamò Bethany, deliziata. «Oh, Cassia, lo adoro!»
Amariah rimise sulla scrivania l'incisione riproducente la casa da gioco e si premette le mani sulle guance.
«Non posso credere che stiamo parlando in questo modo con papà appena sepolto» disse piano. «Londra, una casa da gioco con il nostro nome, amoreggiare con dei gentiluomini dalle dubbie intenzioni... Oh, che cosa direbbe papà di tutto questo?»
«Lui... ci direbbe che siamo il suo branco di ochette» le rispose Cassia con la voce incrinata da un'ondata di commozione. «E poi ci direbbe di fare quello che riteniamo giusto, come avrebbe fatto lui stesso. Come ha sempre fatto quando era vivo.»
Bethany andò a mettersi tra le due sorelle, prendendole per mano. Insieme fissarono con aria solenne l'incisione raffigurante Whitaker's, sulla scrivania del defunto vicario.
«A Londra saremo insieme» disse ancora Cassia. «Non dovremo separarci. A papà sarebbe piaciuto saperci insieme.»
Bethany annuì. «Se poi scoprissimo che Londra non fa per noi, potremo sempre vendere, come ha suggerito Mr. Grosse.»
«Ma Londra fa per noi» dichiarò in fretta Cassia. «Se non sarà così, faremo in modo di adattarla ai nostri gusti.»
«Naturalmente, Cassia. È molto semplice. Tutta Londra si inchinerà alle sorelle Penny.» Amariah sospirò. «Sapete, non ho mai avuto molta voglia di occuparmi di quelle orribili ragazze Whiteside.»
Bethany alzò lo sguardo, gli occhi scintillanti e l'espressione trionfante. «E io credo che Lady Elverston dovrà sopravvivere senza sentirmi suonare il pianoforte tutte le sere.»
Cassia ansimò. Non riusciva ancora a credere che le sue sorelle avessero accettato. «Volete dire che andremo a Londra? Che raccoglieremo l'eredità di papà e faremo nostro il suo obiettivo?»
Finalmente Amariah sorrise, annuendo. «Sembra che, per qualche misterioso motivo, sia quello che papà desiderava per noi.»
«A Londra!» esultò Cassia, levando al cielo le loro mani intrecciate. «A Londra, e a Penny House!»
2
Londra, quattro mesi dopo
Richard Blackley accostò il viso al quadro, esaminandone la superficie alla ricerca delle screpolature dovute all'età. Non gli importava un fico secco che fosse stato dipinto duecento anni o due settimane prima, né sarebbe stato in grado di riconoscere la differenza, ma l'epoca avrebbe senza dubbio influito sul prezzo di base. Riportò lo sguardo sulla dicitura nel catalogo dell'esposizione. L'Indovina, Italia, XVI secolo.
Sorrise. La vecchia dalla faccia astuta non era un'indovina bensì una ruffiana, non c'era il minimo dubbio, e stava per arraffare l'ultima moneta in possesso del povero diavolo in secondo piano, occupato ad ammirare a bocca aperta la giovane prostituta dal turbante scarlatto affacciata alla finestra. Proprio quest'ultima era la figura che gli piaceva di più, la giovane con gli occhi scuri dall'espressione languida e i candidi seni nudi. Sapeva già dove avrebbe appeso il dipinto, nel suo spogliatoio a Greenwood, dove si sarebbe divertito a guardarlo mentre si faceva rasare.
Fece una crocetta sul catalogo, accanto al numero che contrassegnava il dipinto. Di solito non dava molta importanza all'arte, ma quel pezzo non voleva lasciarselo scappare. Che gusto c'era a essere ricchi se poi non si concedeva neppure un quadro che aveva il potere di farlo sorridere?
«Chiedo scusa, signore.» Una giovane donna si era fatta strada tra la folla occupata a esaminare i lotti che stavano per essere messi all'asta, ed era riuscita a insinuarsi tra Richard e il quadro... il suo quadro. «Non volevo urtarvi.»
«Perdonata» le sorrise lui, sollevando il cappello. Era facile sorridere a quella creatura graziosa con gli allegri occhi azzurri e i capelli di un rosso dorato che il cappellino nero da lutto sottolineava invece di nasconderli. Richard si chiese oziosamente per chi portasse il lutto. Il marito, un genitore, un figlio? «Anche se, ad essere sincero, non mi ero neppure accorto che mi aveste urtato.»
«È proprio quello che ho fatto, signore» replicò la giovane, «per cui avevo il dovere di scusarmi. Sarebbe stato scortese da parte mia non farlo.»
Era un'affermazione che non richiedeva alcuna replica, ma visto che la sua interlocutrice era tanto graziosa, Richard voleva dirle ancora qualcosa. Non che fosse sfacciata, quello no. I suoi modi erano molto diversi da quelli delle mezze sgualdrine che cercavano di attirare la sua attenzione. In effetti, se voleva essere onesto con se stesso, Richard doveva riconoscere che la giovane sconosciuta non sembrava per niente interessata a lui. La sua attenzione era totalmente concentrata sul quadro e lui notò con un certo sgomento che tracciava un cerchietto intorno allo stesso numero di lotto del catalogo.
«Farete un'offerta per questo dipinto?» le chiese. «Vi piace tanto?»
«Questa è la ragione per cui si viene di solito alla casa d'aste Christie's, non è vero? Per cercare di aggiudicarsi un pezzo che piace.» La giovane sottolineò le sue parole ripassando la matita sul cerchietto intorno al numero del dipinto. «La scorsa settimana ho venduto tre orribili dipinti di contadini con delle mucche, e adesso intendo premiarmi comprando questo.»
«Per voi?» domandò Richard, sorpreso. Non gli sembrava proprio il genere di soggetto che
