Intrighi a Penny House
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Inghilterra, 1805
Alla morte del padre, irreprensibile vicario di campagna, le sorelle Penny scoprono di aver ereditato una casa da gioco a Londra. Così decidono di trasferirsi nella capitale e di guadagnarsi da vivere mandando avanti il locale. In breve tempo Penny House diventa uno dei più raffinati ed eleganti ritrovi dell'aristocrazia. Cassia, la più giovane e vivace, ha un gusto impeccabile in fatto di arredamento, Bethany, dal carattere schivo e riservato, preferisce non comparire in pubblico e occuparsi della cucina, mentre l'integerrima Amariah si occupa della gestione economica di Penny House. E saranno proprio queste loro doti ad attirare l'attenzione del ricchissimo Richard Blackley, del Maggiore William Callaway e del chiacchierato Duca di Guilford, che per conquistare il cuore delle tre affascinanti sorelle si lasceranno coinvolgere nella più azzardata delle scommesse.
Miranda Jarrett
Laureata in storia dell'arte, ha saputo conciliare l'interesse per la storia con la passione per la scrittura. I suoi romanzi hanno vinto infatti numerosi premi letterari.
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Intrighi a Penny House - Miranda Jarrett
PARTE PRIMA
La posta in gioco
1
Woodbury, Sussex, Inghilterra
1805
Cassia Penny teneva la schiena premuta contro lo schienale della sedia e le dita strette intorno al fazzoletto inzuppato che aveva appallottolato in grembo. La flanellina nera a buon mercato dell’abito da lutto le opprimeva la gola e i polsi, ed era così pesante e inadatta alla tiepida giornata di inizio primavera che lei sentiva il sudore colarle, sotto l’abito, lungo le braccia, tra i seni e nella piega delle ginocchia. Anche se teneva la testa alta, come le due sorelle tra le quali era seduta, aveva gli occhi che bruciavano per le lacrime versate, e sarebbe bastato un nonnulla per farla scoppiare di nuovo in pianto.
Aveva soltanto vent’anni, eppure si sentiva come se una parte importante della sua vita si fosse già esaurita. Niente sarebbe più stato come prima, per nessuna di loro.
Mr. Grosse, l’avvocato, sedeva alla scrivania ormai vuota di suo padre e le sue dita allineavano con precisione maniacale la pila di fogli che costituiva il testamento.
«Sono dolente di dovervi comunicare che la vostra vita dovrà cambiare, signorine» annunciò il legale con un sospiro mesto, del tutto consono alla giornata. «Immagino comunque che, data la vocazione di vostro padre, per voi non sarà una sorpresa.»
«Sappiamo che nostro padre era un modesto vicario di campagna» confermò Amariah, pronunciando ogni singola parola con aspra determinazione, come sempre quando qualcuno osava sfidare la maggiore delle sorelle Penny. «Siamo perfettamente consapevoli, oltre che profondamente onorate, del retaggio di bontà che nostro padre ha lasciato su questa terra, e della ricompensa che senza alcun dubbio lo attende in cielo.»
Per nulla impressionato, Mr. Grosse la guardò da sopra gli occhiali. «Disgraziatamente, Miss Amariah, le opere buone fruttano interessi molto scarsi in banca, e la generosità di vostro padre non gli ha permesso di mettere da parte alcun risparmio.»
«Nostro padre era un uomo gentile, buono e dall’animo straordinariamente nobile, Mr. Grosse» protestò Cassia alzandosi in piedi, «e io... noi... non vogliamo sentirvi dire qualcosa in contrario.»
Subito la mano di Bethany si posò sul braccio della sorella minore, costringendola dolcemente a rimettersi seduta. «Mr. Grosse sta dicendo soltanto la verità, Cassia. Nostro padre non si è mai preoccupato di accumulare dei beni terreni, e noi non ci aspettavamo certo che ci lasciasse un patrimonio in eredità.»
«Ma non ci aspettavamo neanche che morisse così presto.» Cassia sembrò rattrappirsi sulla sedia, impegnata com’era a ricacciare indietro le lacrime. Il reverendo Penny aveva soltanto quarantacinque anni. Chi avrebbe mai pensato che un cuore così grande si sarebbe fermato all’improvviso, mentre era occupato a strappare le prime erbacce nell’orto di casa?
«Eppure abbiamo già cominciato a pensare al nostro futuro, Cassia.» Il sorriso di Amariah era triste, vero, ma anche carico di una fiducia che Cassia non riusciva a condividere. «Papà ha sempre confidato nel fatto che noi tre fossimo in grado di trovare la nostra strada nella vita, ed è quello che faremo.»
«Purtroppo dovrete trovarla lontano da questo cottage, Miss Amariah.» Mr. Grosse fece un altro sospiro. «Sir Cleveland mi ha già informato che il nuovo vicario arriverà a giorni. E, naturalmente, è inteso che verrà a vivere al cottage. Sir Cleveland è dispiaciuto di dovervi mettere fretta, ma...»
«Sir Cleveland dice di essere preoccupato per le necessità spirituali della congregazione rimasta senza pastore.» Cassia tirò su con il naso per non piangere. «Ma più che altro è preoccupato per il nipote che da tempo desidera vedere al posto di nostro padre, quell’avido...»
«Cassia.» Detto da Amariah, quello era un rimbrotto in piena regola. «Le tue affermazioni non onorano certo la memoria di nostro padre.»
Cassia si affrettò ad abbassare lo sguardo sulle mani che stringevano il fazzoletto. Amariah aveva ragione, come sempre. Non importava che il vecchio cottage con le rose rampicanti e il laghetto con le anatre fosse l’unica casa che loro avessero mai conosciuto, e che adesso dovessero lasciarlo e dividersi per sempre. Doveva essere forte e coraggiosa come le sue sorelle e guardare al futuro, non al passato.
Nonostante non avesse la minima idea di come, o dove, si sarebbe svolto quel futuro.
Mr. Grosse si guardò intorno nella piccola biblioteca, osservando le casse e i bauli che avevano già cominciato a fagocitare i libri e gli effetti personali del reverendo Penny. «Avete preso accordi per trasferirvi temporaneamente presso qualche parente o degli amici?»
Bethany sorrise, serena. «Aiutati che Dio t’aiuta, come si dice. Nostro padre ha sempre condiviso con noi il suo amore per la conoscenza e noi intendiamo avvalerci di questi doni per mantenerci.»
Mr. Grosse parve sollevato al pensiero che gli fosse risparmiata la responsabilità di gettare le figlie del defunto vicario in mezzo alla strada. «Dunque avete dei progetti?»
Amariah annuì con la consueta aria di efficienza, nonostante il lutto. «Io sto prendendo in considerazione la proposta di Mr. e Mrs. Whiteside di fare da istitutrice alle loro figlie, a Rushington.»
«E Lady Elverston mi ha chiesto di trasferirmi a Elverston Hall per diventare la sua dama di compagnia.» Bethany intrecciò le mani davanti a sé con aria modesta, come se non credesse alla propria buona sorte. «È così gentile da sostenere che le piace come suono il pianoforte e da ricordare anche le piccole cene che preparavo per papà e i suoi amici. Ritiene che questi miei talenti possano esserle utili a Elverston Hall.»
«Eccellente» approvò Mr. Grosse. «E voi, Miss Cassia? Avete già deciso che cosa farete?»
La testa di Cassia si abbassò ancora un poco. Non era dotata come Amariah e Bethany. Le cose che sapeva fare meglio, vale a dire guarnire cappellini e trasformare vecchi abiti in strepitose creazioni all’ultima moda; oppure addobbare la chiesa a Natale con piante e ramoscelli rendendola magicamente simile alla foresta di Sherwood; o ancora inventare storielle divertenti per i giovanotti che le si affollavano intorno alla serata danzante che si teneva ogni mese nella sala delle feste della vicina Halvertown, non erano i talenti che avrebbero potuto consentirle di guadagnarsi da vivere, perlomeno non onestamente come ci si aspettava da una giovane di buona famiglia, quello che le sorelle Penny naturalmente erano state educate a essere.
Ma era stato più che sufficiente mentre suo padre era ancora vivo, quando lei era la sua piccola pazzerella che lo faceva ridere fino alle lacrime perfino nei momenti in cui lui avrebbe dovuto essere tutto preso dalla stesura dei suoi sermoni...
«Sono sicura che Cassia troverà presto qualcosa di adatto» disse in fretta Amariah, rispondendo in sua vece. «In fondo sono i nostri primi giorni di lutto, Mr. Grosse.»
«Certo, certo.» L’avvocato fissò accigliato i fogli davanti a lui. «Adesso però ho una rivelazione da farvi che può rendervi le cose più facili. So che potrebbe non trattarsi di una notizia molto gradita, visto il riflesso che ha sull’integrità di vostro padre. Ma naturalmente l’informazione non uscirà da questa stanza. Resterà un segreto tra di noi.»
Con il cuore che le batteva forte al pensiero di un’altra cattiva notizia, Cassia si spostò sul bordo della sedia. «Una rivelazione, signore? A proposito di papà?»
«Sì, Miss Cassia.» L’avvocato girò un altro foglio. «Vostro padre ha voluto che il relativo documento fosse tenuto separato dal resto del testamento, ma vi assicuro che l’eredità è perfettamente legittima.»
Si schiarì la voce, lo sguardo che passava dall’una all’altra delle sorelle. «Molto, molto tempo fa, un membro della congregazione di vostro padre, riconoscente e pentito, gli lasciò la parte più consistente del suo patrimonio. Vale a dire un... ehm... un circolo sociale privato a Londra.»
«Un circolo sociale?» Cassia scosse la testa. «A papà non è mai importato niente della mondanità. Perché mai avrebbe dovuto immischiarsi con un circolo?»
Mr. Grosse tossicchiò, imbarazzato. «Non c’è molto di mondano in un circolo privato di Londra, Miss Cassia. È la definizione elegante che viene data a questo genere di locali. L’altra, più adatta a un luogo del genere... vi prego di perdonarmi... è casa da gioco.»
«Nostro padre era proprietario di una casa da gioco?»
«Sì.» Mr. Grosse si affrettò a riportare lo sguardo sui documenti. «Mentre la maggioranza degli uomini si sarebbe sbarazzata rapidamente di un lascito di così dubbio gusto, vostro padre lo vide come un dono del cielo, un modo per raddrizzare dei torti. Permise al circolo di proseguire l’attività, donandone tutti i profitti alle vedove e agli orfani, in particolare a coloro che avevano dovuto soffrire proprio a causa del gioco.»
Cassia si premette le dita contro le labbra. Per quanto suo padre fosse stato di larghe vedute riguardo a certi aspetti della vita, non aveva mai visto di buon occhio né le scommesse né il gioco d’azzardo. Eppure adesso venivano a sapere che a Londra era stato proprietario di un’intera casa che ospitava proprio quel genere di attività. Come mai l’aveva tenuto nascosto alle figlie per tanto tempo?
«Papà possedeva una casa da gioco privata a Londra, Mr. Grosse?» Le sopracciglia inarcate di Amariah le conferivano un’espressione incredula del tutto inconsueta per lei. «A Londra? Nostro padre?»
«Temo di sì, Miss Amariah.» L’avvocato scosse il capo. «So che siete traumatizzate da questa notizia, dopo quello che...»
«Dove si trova questo circolo? In un quartiere rispettabile?» si informò Bethany. «Se è così, immagino che papà si sia visto nelle vesti di un moderno Robin Hood... che toglieva ai ricchi per aiutare i meno fortunati. Non riesco a immaginare niente di diverso.»
Mr. Grosse abbassò gli occhi, giocherellando con i fogli. «Il circolo è ubicato in St. James Street, un indirizzo assolutamente rispettabile per un... un’attività come questa. Si chiama Whitaker’s, anche se non ho idea di chi fosse Mr. Whitaker. Ah, ecco qui... un’ incisione che illustra l’esterno dell’edificio.»
Spinse sulla scrivania un foglio e Amariah lo prese, tenendolo in modo che potessero vederlo anche le sue sorelle.
«Ha una bella facciata, vero?» azzardò Cassia, non sapendo che altro commento fare. Abituata com’era al piccolo vicariato annidato tra le verdi colline del Sussex, quella casa di città le sembrava accogliente come un blocco di ghiaccio, stretta com’era tra gli edifici adiacenti. Sulla facciata di pietra si aprivano tre piani di alte finestre squadrate, senza imposte, che rendevano l’insieme ancora più severo. Un gentiluomo solitario con un antiquato tricorno sulla testa puntava il bastone da passeggio verso l’ingresso: quattro scalini e una porta decisamente essenziale.
«È una bella casa» convenne con lei Mr. Grosse. «Da quanto ho potuto capire, un tempo Whitaker’s era uno dei ritrovi più frequentati dai gentiluomini della migliore società e annoverava tra i suoi soci perfino dei Pari del regno e degli ufficiali della Corona.»
Amariah alzò gli occhi dall’incisione. «Non lo è più?»
Mr. Grosse si strinse nelle spalle, incerto. «Non è più quello che era una volta, no. Logicamente vostro padre non ci andava mai, e con il passare del tempo e delle mode il circolo ha perso la sua popolarità. Ma la proprietà in sé e per sé è sana e non dovrebbe essere difficile trovare un acquirente, a un prezzo che allevierebbe di molto le vostre attuali preoccupazioni finanziarie.»
«Voi sapete quali fossero esattamente le volontà di nostro padre al riguardo, avvocato?» volle sapere Cassia, senza distogliere lo sguardo dalla tetra casa di pietra riprodotta dall’incisione. «Voleva che vendessimo questa... sua proprietà, o che continuassimo la sua opera di carità?»
«Esatto, Mr. Grosse, dovete dircelo.» Adesso Bethany era anche lei sul bordo della sedia, e Cassia si chiese se la sorella stesse pensando alla stessa cosa. «Rimettere in equilibrio i piatti della bilancia della nostra società moderna era uno degli argomenti preferiti dei sermoni di papà. Se gli era stato concesso un mezzo tanto valido per mettere in pari quei piatti, non credo che fosse suo desiderio che noi lo abbandonassimo.»
«Sì, sì» confermò Amariah. «E se il quartiere è rispettabile come dite, potremmo stabilirci lì anche noi ed essere autosufficienti. Di sicuro papà avrebbe voluto questo per noi. Oh, sì, Mr. Grosse, dobbiamo esaminare la cosa da tutti i punti di vista.»
«Non posso dire di essere d’accordo.» Aggrondato, l’avvocato scosse la testa spargendo nell’aria la cipria della sua parrucca grigia. «È già alquanto insolito che un vicario di campagna abbia... degli interessi in una casa da gioco, Miss Amariah, ma che tre virtuose giovani donne seguano le sue orme, che decidano di vivere nello stesso edificio che ospita un covo di disperazione e di depravazione... Ah, no! Non è cosa da farsi, e io vi sconsiglio vivamente di invischiarvi in una storia del genere.»
«È forse contro la legge, Mr. Grosse?» indagò Cassia. L’edificio di città raffigurato nell’incisione non corrispondeva proprio alla sua idea di casa, ma lei e le sue sorelle avrebbero potuto renderla vivibile. «Alle donne non è permesso essere proprietarie di una casa da gioco?»
«Non ci sono motivi legali, questo no, ma agli occhi della società una situazione come quella che avete in mente sarebbe, come dire, assai irregolare, assai...»
«C’è dell’altro che non ci avete detto, Mr. Grosse?» Amariah sfiorò con la punta delle dita l’incisione, come se toccandola potesse renderla più reale. «La casa viene forse usata per altre attività più disdicevoli?»
Il viso dell’avvocato si fece paonazzo. «Buon Dio, no, Miss Amariah! È solo una casa da gioco... E questo è già abbastanza disdicevole per delle signorine di buona famiglia come voi!»
«Il mondo può essere disdicevole, Mr. Grosse, anche per delle gentildonne.» Amariah si alzò in piedi e scosse le gonne nere, subito imitata da Cassia e da Bethany. «Volete scusarci per qualche minuto, Mr. Grosse?»
Borbottando tra sé, l’anziano avvocato non ebbe altra scelta che uscire dalla biblioteca, e chiudendosi la porta alle spalle alzò gli occhi al cielo.
«Molto bene.» Amariah si rimise a sedere, accompagnata dal fruscio del cotone pesante del suo abito. «Non so se papà ci abbia lasciato un regalo o un grattacapo.»
«Un regalo... un grande regalo!» Cassia andava avanti e indietro sul tappeto, incapace di trattenere l’entusiasmo. «La sua eredità non solo ci consentirà di guadagnarci da vivere, ma anche di proseguire la sua opera. Inoltre... Pensate! Vivere a Londra, la più grande città del mondo!»
«Ciò a cui penso, Cassia, è tutto quello che dovremo imparare.» Amariah alzò una mano, levando un dito per ogni carenza che elencava. «Siamo state poche volte a Londra e non sappiamo niente della città e dei suoi usi. Là non abbiamo amici, nessuno a cui poterci rivolgere per un consiglio o un suggerimento. Non sappiamo neppure come trovare un macellaio onesto o una sarta. E, soprattutto, non abbiamo la più pallida idea di come funzioni una casa da gioco.»
«Impareremo.» Bethany sorrise, eccitata. «Non siamo stupide.»
Interrotta, Amariah le scoccò un’occhiataccia. «Ma potremmo dimostrarci delle grandissime stupide, Bethany. Non conosciamo le persone che hanno gestito finora il circolo, e non sappiamo se la fiducia che papà aveva in loro fosse ben riposta. Lo stesso Mr. Grosse ha detto che il circolo non frutta più gli stessi profitti di un tempo.»
Cassia fece un gesto nell’aria come per spazzare via le obiezioni della sorella. «Vuol dire che ci procureremo del personale più adatto.»
«E dove andremo a cercarlo?» Amariah alzò entrambe le mani. «Non conosciamo neppure le regole dei giochi che dovrebbero mantenere noi e le opere di carità patrocinate dal nostro amato padre.»
«Possiamo imparare» si ostinò Cassia. «Pensa a tutto quello che ci ha insegnato papà. Latino, greco, geografia, matematica e tutte le altre materie che è opinione comune che le donne non possano apprendere. Pensavamo che scherzasse quando ci diceva che quelle conoscenze sarebbero state la nostra dote, ma forse non scherzava affatto.»
Amariah riportò lo sguardo sull’illustrazione che teneva in mano e aggrottò la fronte. «Questo sarebbe molto diverso dal tradurre l’Iliade per papà.»
«In un certo senso sì, in un altro no» obiettò Cassia. «Pensa alla tua abilità a far di conto. Sono sicura che in un baleno riusciresti a imparare le regole dei giochi e a tenere la contabilità del circolo.»
Bethany annuì, battendo la punta delle dita sul bracciolo della sedia con aria eccitata. «Da quello che ho letto nei giornali di Londra, gran parte del successo di un circolo sta nel fornire ai gentiluomini un posto lussuoso e confortevole per i loro... passatempi. Per giocare, possono andare ovunque, ma state certe che tornerebbero da noi se il cibo e le bevande fossero di gran lunga migliori che negli altri locali.»
Cassia batté le mani. «Cosa che, con te in cucina, sarebbe garantita. Nessuno dei presuntuosi cuochi francesi di Elverston Hall può reggere il paragone con te, lo sai bene.»
Amariah sospirò. Non esattamente rassegnata, non ancora, ma quasi. «E tu in quale ruolo ti vedresti bene, Cassia?»
La minore delle sorelle alzò il mento e sorrise. Non era inutile come aveva temuto fino a non più di mezz’ora prima. Aveva dovuto soltanto trovare il proprio ruolo.
«Io farò del circolo un luogo che detta la moda» dichiarò. «Lo trasformerò in un locale tanto originale che coloro che non saranno ammessi saranno disposti a dare un occhio della testa per poterci entrare. Una volta che lo avremo sistemato come diciamo noi, non sarà più un luogo di disperazione.»
«Oh, Cassia» gemette Amariah. «Chi meglio delle tre figlie di un vicario di Woodbury conosce la moda di Londra?»
«Delle tre belle figlie» puntualizzò Cassia. All’unisono le tre sorelle guardarono verso lo specchio rotondo appeso sopra il camino dall’altra parte della stanza. Perfino vestite a lutto, con gli occhi rossi a furia di piangere e i capelli color rame raccolti in un nodo severo, formavano un terzetto straordinario: Amariah, la maggiore e la più alta delle sorelle, aveva il portamento di una duchessa; Bethany, la seconda, aveva un viso dolcissimo; infine Cassia, la piccola mattacchiona di papà, aveva le guance rosee e grandi, luminosi occhi azzurri.
«Non possiamo fingere di non essere belle» proseguì Cassia, «si vede bene che lo siamo, o perlomeno siamo graziose, avendo ereditato i capelli di papà e il bel viso della mamma. Lo dicono tutti. Non pensate che riusciremmo a suscitare la curiosità degli annoiati damerini di Londra?»
«Amoreggiare con i figli del signorotto locale nella sala delle feste di Halvertown non è la stessa cosa che affrontare i cattivi soggetti di Londra» obiettò Amariah. «Saremmo terribilmente disorientate, Cassia, e certo questa sarebbe un’ulteriore difficoltà.»
«Vorrà dire che più saremo irreprensibili» rispose Cassia, allargando le gonne in una riverenza degna di una presentazione a corte, «più sembreremo misteriose e irraggiungibili, visto che saremo le uniche donne virtuose in un mondo corrotto. E poi potremmo anche cambiare nome al circolo, per renderlo più nostro. Che cosa ne dite di Penny House?»
«Penny House!» esclamò Bethany, deliziata. «Oh, Cassia, lo adoro!»
Amariah rimise sulla scrivania l’incisione riproducente la casa da gioco e si premette le mani sulle guance.
«Non posso credere che stiamo parlando in questo modo con papà appena sepolto» disse piano. «Londra, una casa da gioco con il nostro nome, amoreggiare con dei gentiluomini dalle dubbie intenzioni... Oh, che cosa direbbe papà di tutto questo?»
«Lui... ci direbbe che siamo il suo branco di ochette» le rispose Cassia con la voce incrinata da un’ondata di commozione. «E poi ci direbbe di fare quello che riteniamo giusto, come avrebbe fatto lui stesso. Come ha sempre fatto quando era vivo.»
Bethany andò a mettersi tra le due sorelle, prendendole per mano. Insieme fissarono con aria solenne l’incisione raffigurante Whitaker’s, sulla scrivania del defunto vicario.
«A Londra saremo insieme» disse ancora Cassia. «Non dovremo separarci. A papà sarebbe piaciuto saperci insieme.»
Bethany annuì. «Se poi scoprissimo che Londra non fa per noi, potremo sempre vendere, come ha suggerito Mr. Grosse.»
«Ma Londra fa per noi» dichiarò in fretta Cassia. «Se non sarà così, faremo in modo di adattarla ai nostri gusti.»
«Naturalmente, Cassia. È molto semplice. Tutta Londra si inchinerà alle sorelle Penny.» Amariah sospirò. «Sapete, non ho mai avuto molta voglia di occuparmi di quelle orribili ragazze Whiteside.»
Bethany alzò lo sguardo, gli occhi scintillanti e l’espressione trionfante. «E io credo che Lady Elverston dovrà sopravvivere senza sentirmi suonare il pianoforte tutte le sere.»
Cassia ansimò. Non riusciva ancora a credere che le sue sorelle avessero accettato. «Volete dire che andremo a Londra? Che raccoglieremo l’eredità di papà e faremo nostro il suo obiettivo?»
Finalmente Amariah sorrise, annuendo. «Sembra che, per qualche misterioso motivo, sia quello che papà desiderava per noi.»
«A Londra!» esultò Cassia, levando al cielo le loro mani intrecciate. «A Londra, e a Penny House!»
2
Londra, quattro mesi dopo
Richard Blackley accostò il viso al quadro, esaminandone la superficie alla ricerca delle screpolature dovute all’età. Non gli importava un fico secco che fosse stato dipinto duecento anni o due settimane prima, né sarebbe stato in grado di riconoscere la differenza, ma l’epoca avrebbe senza dubbio influito sul prezzo di base. Riportò lo sguardo sulla dicitura nel catalogo dell’esposizione. L’Indovina, Italia, XVI secolo.
Sorrise. La vecchia dalla faccia astuta non era un’indovina bensì una ruffiana, non c’era il minimo dubbio, e stava per arraffare l’ultima moneta in possesso del povero diavolo in secondo piano, occupato ad ammirare a bocca aperta la giovane prostituta dal turbante scarlatto affacciata alla finestra. Proprio quest’ultima era la figura che gli piaceva di più, la giovane con gli occhi scuri dall’espressione languida e i candidi seni nudi. Sapeva già dove avrebbe appeso il dipinto, nel suo spogliatoio a Greenwood, dove si sarebbe divertito a guardarlo mentre si faceva rasare.
Fece una crocetta sul catalogo, accanto al numero che contrassegnava il dipinto. Di solito non dava molta importanza all’arte, ma quel pezzo non voleva lasciarselo scappare. Che gusto c’era a essere ricchi se poi non si concedeva neppure un quadro che aveva il potere di farlo sorridere?
«Chiedo scusa, signore.» Una giovane donna si era fatta strada tra la folla occupata a esaminare i lotti che stavano per essere messi all’asta, ed era riuscita a insinuarsi tra Richard e il quadro... il suo quadro. «Non volevo urtarvi.»
«Perdonata» le sorrise lui, sollevando il cappello. Era facile sorridere a quella creatura graziosa con gli allegri occhi azzurri e i capelli di un rosso dorato che il cappellino nero da lutto sottolineava invece di nasconderli. Richard si chiese oziosamente per chi portasse il lutto. Il marito, un genitore, un figlio? «Anche se, ad essere sincero, non mi ero neppure accorto che mi aveste urtato.»
«È proprio quello che ho fatto, signore» replicò la giovane, «per cui avevo il dovere di scusarmi. Sarebbe stato scortese da parte mia non farlo.»
Era un’affermazione che non richiedeva alcuna replica, ma visto che la sua interlocutrice era tanto graziosa, Richard voleva dirle ancora qualcosa. Non che fosse sfacciata, quello no. I suoi modi erano molto diversi da quelli delle mezze sgualdrine che cercavano di attirare la sua attenzione. In effetti, se voleva essere onesto con se stesso, Richard doveva riconoscere che la giovane sconosciuta non sembrava per niente interessata a lui. La sua attenzione era totalmente concentrata sul quadro e lui notò con un certo sgomento che tracciava un cerchietto intorno allo stesso numero di lotto del catalogo.
«Farete un’offerta per questo dipinto?» le chiese. «Vi piace davvero tanto?»
«Questa è la ragione per cui si viene di solito alla casa d’aste Christie’s, non è vero? Per cercare di aggiudicarsi un pezzo che piace.» La giovane sottolineò le sue parole ripassando la matita sul cerchietto intorno al numero del dipinto. «La scorsa settimana ho venduto tre orribili dipinti di contadini con delle mucche, e adesso intendo premiarmi comprando questo.»
«Per voi?» domandò Richard, sorpreso. Non gli sembrava proprio il genere di soggetto che una giovane donna, e questa che gli stava davanti non poteva avere più di vent’anni, avrebbe scelto per sé.
«L’ho scelto io, ma sono sicura che piacerà altrettanto alle mie sorelle.» Si accostò al quadro per esaminarne la superficie come aveva fatto poco prima lo stesso Richard. «Non credo che sia antico come dice il catalogo. Probabilmente è una copia e neppure italiana, ma la figura dell’indovina è molto ben eseguita, mi sembra.»
«Devono avere sbagliato anche il titolo, nel catalogo» osservò Richard. «Se quella vecchia megera è un’indovina, io sono...»
Si interruppe, rendendosi conto dell’errore che stava per commettere, quel genere di scorrettezza che un vero gentiluomo inglese non avrebbe mai fatto rivolgendosi a una giovane di buona famiglia.
«Che cos’altro potrebbe essere?» Gli occhi della giovane erano azzurri come il mare dei Caraibi, e altrettanto pronti a inghiottirlo. «Il soldato sorridente le ha appena consegnato il denaro e lei adesso gli sta leggendo il palmo della mano, mentre l’altra donna sta a guardare. Probabilmente l’indovina gli sta dicendo che il suo futuro sta per avere una svolta positiva, vista l’espressione allegra del soldato. La buona sorte dopo quella cattiva. È la ragione per cui desidero comprare proprio questo dipinto.»
La giovane si allontanò per andare a esaminare il quadro successivo e Richard la seguì, non volendo ancora separarsi da lei.
«Sembra quasi che parliate per esperienza» disse, deciso a lasciarle pensare quello che voleva della vecchia ruffiana del quadro. «Intendo dire, a proposito della buona e della cattiva fortuna.»
«Non c’è persona al mondo che non abbia sperimentato l’una e l’altra.» Lei gli lanciò un’occhiata di sottecchi, senza neppure girare la testa. «A meno che, signore, voi non siate tra coloro che non credono nella fortuna.»
«Se per fortuna intendete stare seduto accanto a un ruscello senza fare niente, aspettando che la mia sorte cambi, no, non sono quel genere di persona» rispose Richard. «Credo invece nel cogliere le opportunità che ci offre il destino e farle nostre.»
La giovane inarcò un sopracciglio e scoppiò a ridere, un suono allegro e spumeggiante che subito Richard desiderò risentire al più presto.
«Queste sì che sono parole coraggiose» disse lei. «Degne di Bonaparte in persona.»
«Non sono chiacchiere vuote» insistette Richard, «né intendevo schierarmi dalla parte dei francesi. La mia vita è esattamente così.»
«Non volevo accusarvi di parlare a vanvera. Ho detto che le vostre sono parole coraggiose, il che è assai diverso.» La giovane passò a un altro quadro e ancora una volta Richard la seguì. A Barbados non esistevano donne intelligenti come quella, o perlomeno non negli ambienti che aveva frequentato lui. «Immagino che vi piacciano le scommesse.»
Era saltata inaspettatamente di palo in frasca e lui si accigliò, confuso.
«Sono diventata brava a individuare i gentiluomini che amano il gioco, sapete?» dichiarò lei in tono inspiegabilmente trionfante, come se saper individuare i giocatori d’azzardo fosse un talento molto richiesto tra le giovani donne, al pari del canto e del ricamo. «E se voi siete audace come dite, dovete essere il genere di gentiluomo che ama rischiare.»
Richard scosse la testa e gli dispiacque vedere l’espressione delusa di lei. «Non sono un maniaco dei dadi né delle carte, e neppure ho il minimo desiderio di farmi svuotare le tasche a causa di qualche cavallo molto sopravvalutato.»
«Sul serio?» La giovane sembrava inspiegabilmente sconfortata. «Non state fingendo?»
«Quando ero giovane mi piaceva giocare» confessò lui nel tentativo di consolarla. «Ma sono anni che non mi lascio più attirare dai tavoli da gioco. Adesso trovo più piacevole giocare quando la posta è ben più alta di una manciata di monete.»
«Ah.» Il tono di lei era gelido, le guance arrossate. «Molto garbato da parte vostra.»
All’ultimo istante Richard si rimangiò un’imprecazione. Si era reso conto troppo tardi che lei lo aveva frainteso di nuovo. Lui si era riferito agli investimenti ad alto rischio e alle altre imprese commerciali che, se non fallivano, accordavano profitti altissimi, mentre la giovane aveva pensato che la posta fossero lei e la sua graziosa personcina... La sua virtù, come amavano definirla le signore inglesi.
«Oh, accidenti, non intendevo dire quello» disse Richard prendendola per il braccio per costringerla a guardarlo. Voleva farle capire che non aveva inteso dire niente di male. «Ascoltatemi, ora. Non sono mai dovuto ricorrere a una scommessa per assicurarmi la compagnia di una donna, e non ho alcuna intenzione di cominciare adesso, ve lo assicuro.»
«È quello che dite voi» fu la brusca risposta di lei, che fissava le dita strette sul suo braccio come se la scottassero. «Non riesco a immaginare come una donna possa accettare di sua volontà la vostra compagnia, né per amore né per denaro.»
Richard fece un sospiro impaziente, chiedendosi come mai, all’improvviso, la giovane avesse assunto un atteggiamento tanto rigido e intransigente. «Non è quello che io...»
«No, signore?» chiese lei, con l’ala del cappellino che fremeva per l’indignazione. «Sarò anche nata e cresciuta in campagna, ma non sono del tutto all’oscuro della perversione che circola in questa città!»
Intorno a loro la gente cominciava a fissarli con curiosità, e Richard abbassò la voce per non farsi sentire. «Ascoltatemi, tesoro, e smettetela di parlare di cose che non conoscete neppure. Non riconoscereste la perversione neppure se vi inciampaste lungo la strada.»
«Non sono il vostro tesoro e vi prego di astenervi dal pensare che lo sia.» La giovane liberò il braccio con uno strattone. «Adesso lasciatemi andare, signore, prima che vi dimostri esattamente quello che capisco della vostra perversione, e chiami una delle guardie presenti all’asta per farvi buttare fuori. Buona giornata.»
Con un furioso fruscio di gonne fendette la folla, allontanandosi il più in fretta possibile da lui.
Richard ne fu contento. Se mai aveva bisogno di sentirsi ricordare che le gentildonne di Londra erano difficili da trattare, quella ragazzina dai capelli rossi ne era stata una dimostrazione vivente. Sulle prime aveva pensato che fosse diversa e che parlasse con franchezza, poi, senza preavviso, era diventata arrogante e linguacciuta come tutte le altre londinesi. Trovarne una che non lo fosse si stava rivelando un’impresa disperata.
Ma lui era disposto a prendersi tutto il tempo necessario. L’aveva deciso prima ancora che la sua nave doppiasse Needham Point e lui si lasciasse dietro l’isola di Barbados per sempre. Era ricco sfondato, si era fatto fare un guardaroba degno di un aristocratico, si era procurato carrozza e cavalli ed era proprietario di una grandiosa residenza in campagna. Per completare la sua trasformazione adesso aveva bisogno di una moglie aristocratica. Solo così avrebbe dimostrato al mondo che Dick Blackley, figlio di un povero minatore di Lancaster, era diventato Richard Blackley, gentiluomo.
Guardò per l’ultima volta nella direzione in cui era scomparsa la giovane donna in lutto. Gli dispiaceva che non si fosse rivelata la sua compagnia ideale. Sulle prime si era sentito attratto dal suo aspetto e dal suo temperamento vivace, ma poi la sconosciuta si era trasformata inspiegabilmente in una strega acida e moralista.
Che fosse dannato se le avrebbe permesso di sottrargli il suo quadro!
Il banditore era salito sul suo podio e stava provando il martelletto battendoselo sul palmo della mano, mentre il suo assistente suonava la campanella, segnalando così l’inizio dell’asta. La maggior parte dei presenti si affrettò a prendere posto sulle lunghe panche di legno, diversi altri continuarono invece a esaminare i dipinti appesi lungo le pareti. Un valletto portò il primo quadro, un paesaggio tetro, e lo sistemò con cura su un alto cavalletto in modo che tutti avessero modo di vederlo.
Richard non si mise a sedere. Preferiva restare in piedi per poter tenere d’occhio la sua vecchia ruffiana. Incrociate le braccia sul petto, inclinò il cappello su un occhio e si appoggiò alla parete preparandosi a una lunga attesa. Diede un’occhiata al pubblico seduto sulle panche, ma non c’era segno della giovane donna in lutto dai capelli rossi. Forse era riuscito a farla allontanare, o magari non era mai stata realmente interessata al quadro.
Lentamente il sole iniziò la sua parabola discendente nel cielo mentre il banditore passava da un lotto all’altro, sancendo con un colpo di martelletto la conclusione di ogni transazione, e il valletto si dava da fare a spostare i dipinti. Finalmente fu L’Indovina a prendere posto sul cavalletto e Richard si scostò dalla parete raddrizzandosi il cappello.
«Il prossimo lotto è un dipinto italiano a olio del sedicesimo secolo conosciuto come L’Indovina» annunciò il banditore. «Si parte da una base di cinque sterline per questa bellissima tela di un vecchio maestro il cui nome si è perduto nel tempo, mentre il prodotto del suo genio è qui, dove noi possiamo ammirarlo. Si parte da cinque sterline. Chi offre cinque sterline?»
Richard alzò la mano quel tanto che bastava per farsi notare dal banditore. Vedeva già il dipinto appeso nel suo spogliatoio a Greenwood.
«Cinque sterline per il gentiluomo alto in piedi. Un’inezia per un’opera di questa qualità, di questa sensibilità, di questa...»
«Sette sterline!»
«Sette sterline per la signora in lutto!» esclamò il banditore. «Una vera intenditrice, signori. Approfittate della sua conoscenza dell’arte e...»
«Nove sterline.» Richard l’aveva finalmente individuata, seduta all’estremità di una panca. Da dove si trovava vedeva soltanto l’ala del cappellino nero, nascosta com’era da un gentiluomo grasso in giacca grigia.
«Nove per il gentiluomo alto. Qualcuno offre...»
«Quindici!» La giovane donna balzò in piedi, il programma dell’asta arrotolato strettamente nella mano guantata di nero.
Un fremito di eccitazione attraversò la sala. Nessuno si era aspettato una gara del genere per quel particolare dipinto, certo non tra un gentiluomo e una giovane donna.
«Quindici per la dama che sa riconoscere un vecchio maestro. Quindici...»
«Venti.»
La donna si girò per lanciare un’occhiataccia a Richard. Quando questi le fece un cenno con la testa, sorridendo, lei guardò di nuovo in avanti, rifiutandosi di rispondere al saluto.
«Venticinque» disse con voce che risuonò alta e chiara nella sala d’aste. Non aveva timore di dare spettacolo, e Richard apprezzò la sua audacia. Disgraziatamente la giovane sconosciuta avrebbe scoperto ben presto che le tasche di lui erano più profonde di quanto potesse immaginare.
«Venticinque per la signora!» esultò il banditore con un fervore quasi delirante. «Venticinque per...»
«Cinquanta» rilanciò Richard, facendo trasalire il pubblico.
«Cinquantacinque!» esclamò la giovane donna, sottolineando l’offerta con un gesto deciso della testa.
Richard sorrise. Aveva del carattere, doveva riconoscerlo.
«Cinquantacinque per la giovane dama!» Il banditore, rosso per l’eccitazione, lanciò un’occhiata speranzosa a Richard da sopra gli occhiali. Nella sala c’era un silenzio quasi assoluto, come se i presenti trattenessero il fiato tutti insieme. «Cinquantacinque per questo capolavoro, cinquantacinque...»
«Cento sterline» offrì Richard. «Tonde.»
La folla esplose in fischi, imprecazioni, applausi. Quasi un’ovazione. Il banditore guardò la giovane vestita di nero.
«Cento sterline per L’Indovina» tuonò, il tono giubilante per l’importanza dell’offerta. «Cento sterline per il gentiluomo alto in piedi, cento sterline per questa magnifica opera del genio italiano. Ho sentito dire centocinque? Qualcuno offre centocinque?»
Ma questa volta la giovane scosse il capo e si lasciò cadere sulla panca, di nuovo nascosta dal gentiluomo grasso.
Deluso, il banditore procedette a concludere la vendita. «Cento... e uno, cento... e due.» Il martelletto colpì il piano del podio. «Aggiudicato al gentiluomo alto per cento sterline.»
Il pubblico applaudì ancora, ma la gara era terminata insieme all’interesse. Furono in pochi a girarsi quando Richard raggiunse l’impiegato della casa d’aste per il pagamento e per prendere accordi per la consegna del dipinto. Adesso il quadro era appoggiato contro la parete in fondo alla sala e la vecchia ruffiana sembrava ridere di lui... Aveva ragione, visto che alla fine gli era costata una cifra assai superiore al suo valore reale.
«È così che cogliete le opportunità per volgerle a vostro vantaggio, signore?» La giovane dai capelli rossi era accanto a lui, le guance imporporate e gli occhi azzurri che mandavano lampi. «Vi avevo detto che volevo questo dipinto, signore, e voi me l’avete portato via per puro e semplice dispetto. Vi siete gettato su questo quadro come un... come un pirata!»
«Niente affatto!» protestò lui. «Ho fatto le mie offerte correttamente e adesso devo pagare un sacco di soldi per questo privilegio. Mostratemi un pirata disposto a farlo.»
Con gli occhi stretti, la giovane brandì il programma arrotolato come se fosse un pugnale. «Non siete migliore di un pirata, signore. Un predone, incorreggibile e sleale, senza un minimo di decenza e di onore!»
«Se aveste fatto voi l’offerta più alta, questo avrebbe fatto di voi un pirata?» volle sapere lui. «Io ho passato molti anni in luoghi dove la pirateria viene presa sul serio. Se ve lo foste aggiudicato voi, il dipinto sarebbe stato un onesto bottino, appeso alla parete insieme alla vostra bandiera con il teschio e le ossa incrociate?»
La giovane trasalì e, vedendola boccheggiare come un pesce alla ricerca delle parole per rispondergli, Richard scoppiò quasi... quasi... a ridere. Invece, contro ogni logica, provò un moto di compassione.
«Se promettete di deporre le armi, ragazza» le disse, «sono disposto a fare la pace davanti a una tazza di cioccolata.»
«Dovrei venire con voi?» Diversi ricciolini rosso oro sfuggiti da sotto il cappellino le fremevano intorno al viso, facendo eco alla sua rabbia. «Sedermi con voi? Bere con voi? Dopo quello che mi avete fatto?»
«Queste erano le mie intenzioni, sì» replicò lui, sentendo esaurirsi rapidamente la sua riserva di pazienza, «ma voi mi rendete maledettamente difficile mantenermi gradevole e cortese come vorrei.»
«Questo succede perché io non intendo essere gradevole con voi, signore.» La giovane lanciò un’ultima occhiata al quadro. «Bere una cioccolata con voi... Puh! Non accetterei neanche se di colpo diventaste galante e mi regalaste il dipinto.»
«Ma io non sono un damerino galante, non più di quanto voi siate una donna gradevole» ribatté lui, irritato. «Il quadro è mio, acquistato regolarmente, e tale resterà.»
«Non avevo bisogno di un’indovina per sapere che avreste detto esattamente questo.» La giovane si allacciò i nastri del cappellino sotto il mento, con gesti rapidi e nervosi, la seta nera che le si conficcava quasi nella candida gola. «Potete cercare di volgere la fortuna a vostro vantaggio, ma un giorno, caro pirata, scoprirete che questa fortuna vi si ritorcerà contro.»
Aggrondato, lui la osservò avviarsi verso la porta principale. «Questa vuole essere una maledizione?» le gridò dietro. «O mi state soltanto predicendo il futuro?»
La giovane fece una pausa, quel tanto che bastava per guardarlo da sopra la spalla, l’espressione talmente intensa che lui fu sul punto di indietreggiare. «Spetta a voi deciderlo, immagino.»
Scomparve oltre la porta e, lentamente, Richard tornò verso il dipinto. Era improbabile che, in una città come Londra, potesse rivedere quella testa rossa. Ma lui era là da meno di una settimana, ed era già a questo punto.
Una fortuna. O una maledizione.
«Buon pomeriggio, Pratt.» Cassia sorrise all’uomo anziano che le aveva aperto la porta di Penny House. «Spero che le mie sorelle non vi abbiano reso la vita troppo difficile, oggi.»
«È stato un inferno, Miss Cassia» si lamentò l’uomo, abbassando lo sguardo dolente sul grembiule di cuoio macchiato di liquido per lucidare l’argenteria, di polvere di falegnameria e di altra sporcizia non meglio identificata, ma di sicuro appartenente alla casa. «Corro di qua e di là come una cameriera irlandese, mi fanno fare quelle scale infernali migliaia di volte, come se niente fosse. Non è per questo che ho accettato di restare, Miss Cassia. Proprio no.»
«Lo so, Pratt, lo so» rispose lei. «Ma stasera sarà tutto pronto e noi potremo finalmente dedicarci a far funzionare Penny House invece di ripulirla.»
Gli diede un colpetto sulla manica con un sorriso. Avevano bisogno che Pratt fosse felice e soddisfatto. Pratt era il direttore del circolo, uno dei pochi membri del personale di Whitaker’s che avevano conservato. Essendo stato un tempo valletto del Duca di Conover, la sua conoscenza illimitata dei personaggi dell’aristocrazia inglese si era già dimostrata impagabile per le tre sorelle. Era stato lui a stabilire chi avrebbe dovuto essere invitato a far parte del comitato direttivo del circolo e chi avrebbe dovuto ricevere l’elegante cartoncino con l’invito all’inaugurazione di Penny House. Era sempre stato lui a decidere che venti ghinee, non uno scellino di meno, dovessero essere l’esorbitante quota annuale richiesta ai soci, se avessero voluto fare del circolo un locale esclusivo.
«Spero che abbiate ragione, Miss Cassia.» Con un sospiro più simile a un gemito l’uomo si asciugò la fronte fino al bordo della parrucca con un fazzoletto di lino. «Vostra sorella sarà anche nata figlia di un predicatore, ma è capace di comandare come se fosse vissuta tutta la vita in un palazzo.»
«Pratt, dove siete?» chiamò puntualmente Amariah dalle scale, strappandogli un nuovo gemito. «C’è bisogno di voi nella dispensa per spostare un tavolo e... Ah, Cassia, finalmente sei tornata!»
«Buongiorno, Amariah» rispose lei, desiderando di potersi unire a Pratt. «A sentirti, sembra quasi che abbia fatto un viaggio fino in Cina e ritorno.»
«Be’, sei stata fuori per ore e sono successe talmente tante cose mentre tu non c’eri...» La maggiore delle sorelle si sporse dalla ringhiera come per cercare qualcosa nel vestibolo. «Dov’è il dipinto che eri andata ad acquistare? Lo consegneranno più tardi?»
«Niente dipinto.» Mentre si scioglieva i nastri del cappellino, Cassia si guardava intorno nella sala da pranzo rimodernata. «Non l’ho comprato. Vedo che gli imbianchini hanno finalmente smontato l’impalcatura, per cui immagino che il soffitto sia finito.»
«Ma tu ci avevi detto che quel quadro con l’indovina sarebbe stato perfetto per il nostro locale!» Amariah scese di corsa la scala per raggiungere la sorella, facendo svolazzare il grembiule bianco. «Hai lasciato uno spazio vuoto sulla parete proprio per quel quadro... un buco vuoto, enorme, e l’inaugurazione è tra poche ore.»
«Vuol dire che troveremo qualcos’altro da mettere al suo posto.» Cassia spinse le alte doppie porte, ansiosa di evitare ulteriori domande riguardo all’asta. Era colpa sua se aveva puntato tanto su quel dipinto che aveva attirato il suo sguardo fin da quando lo aveva individuato alla mostra che precedeva l’asta. Aveva anche sperato di acquistarlo per una cifra contenuta. E sarebbe andata così, se quell’uomo orribile non gliel’avesse portato via. «So benissimo che l’inaugurazione avrà luogo stasera. Come potrei dimenticarlo?»
«Se avevi deciso di non comprarlo, saresti dovuta stare a casa a lavorare con noi.» Amariah l’aveva seguita. «L’arredamento e gli interni di Penny House sono una tua responsabilità, Cassia, esattamente come Bethany è responsabile della cucina e io...»
«Di accogliere i nostri ospiti, di occuparti del personale addetto ai tavoli da gioco e di tenere i conti.» Cassia sospirò, esausta. Erano tutte e tre allo stremo delle forze, a furia di lavorare tanto e di riposare poco perché tutto fosse pronto per l’inaugurazione. Probabilmente era quello il motivo per cui se l’era presa tanto con l’uomo che aveva acquistato il quadro sul quale lei aveva messo gli occhi. Se non fosse stata così stanca, non gli avrebbe prestato la minima attenzione. «Mi dispiace di essermi attardata, Amariah, ma non potevo... Oh, che meraviglia queste sedie!»
Adesso che tutti i teli sistemati sui mobili per proteggerli dagli schizzi di vernice erano stati finalmente tolti e gli imbianchini avevano portato via le loro attrezzature, Cassia esplorò la stanza, sfiorando i piani dei tavoli e le sedie.
I vecchi tavoli erano robusti per cui li avevano conservati, mentre le sedie erano in così cattivo stato che avevano dovuto sostituirle per non rischiare che qualche gentiluomo corpulento finisse a gambe levate sul tappeto.
La stessa Cassia aveva visitato numerosi rigattieri sul lungofiume per trovare delle sedie usate, poi si era insediata nel cortile sul retro dell’edificio per sfregarle e tirarle a lucido, eliminando la vecchia sporcizia. Naturalmente erano tutte spaiate, ma l’occhio esperto di Cassia per le proporzioni aveva saputo accostare armoniosamente i diversi stili rendendole, se non sorelle, quantomeno cugine, e l’effetto d’insieme era leggero, vivace e invitante.
Del resto era quello lo stile che aveva adottato per rimettere a nuovo Penny House, dalle salette private per i giochi di carte alle stanze che le sorelle si erano riservate all’ultimo piano. Ne era risultato un insieme originale: dalle tinte vivaci delle pareti, agli arredi un po’ consunti, alle più recenti illustrazioni satiriche dedicate alla politica appese accanto a un’antica incisione proveniente dalle Indie Orientali. Eppure Cassia era riuscita nel suo modo personalissimo a creare un’atmosfera più esotica e alla moda di quelle che i più rinomati, ed esosi, architetti londinesi stavano realizzando per i loro clienti.
L’Indovina doveva essere una delle sue poche concessioni, un’opera costosa, almeno per le loro finanze, che proprio per questo meritava un posto d’onore. Cassia alzò lo sguardo verso la parete sopra il camino che aveva riservato al quadro, borbottando tra sé.
«Non mi hai ancora detto perché non hai comprato il dipinto, Cassia. Lo desideravi così tanto.» Amariah la stava osservando, le braccia incrociate sulla pettorina del grembiule. «Avevi il denaro ricavato dalla vendita di quei vecchi quadri che sono andati all’asta la scorsa settimana, e stamattina eri sicura che saresti riuscita a portare a casa il dipinto per una cifra contenuta.»
Cassia agitò una mano come per liquidare l’argomento. «È vero. In teoria me lo sarei dovuto aggiudicare per poco. Purtroppo però da Christie’s c’era un uomo orribile, egoista e villano che l’ha spuntata contro di me. E con la tecnica di un pirata!»
Amariah l’ascoltava, imperturbabile. «Intendi dire che ha fatto un’offerta più alta della tua?»
«Intendo dire che ha fatto salire il prezzo al punto che non ho potuto più rilanciare.» Cassia camminava avanti e indietro davanti al caminetto, incapace di restare ferma. «Prima dell’asta, lui ha visto che volevo comperare quel dipinto, e per farmi un dispetto mi ha lasciato fare le mie offerte come se avessi davvero una possibilità di aggiudicarmelo.»
Posò la mano, con le dita allargate, sulla mensola del caminetto. «Mi ha lasciato fare, Amariah, si è preso gioco della mia buonafede e alla fine mi ha schiacciato come un verme.»
Batté con forza il palmo della mano sul legno dipinto, come per mostrare esattamente quello che l’uomo aveva fatto alle sue speranze.
Ma sua sorella non batté ciglio. «Quanto ha offerto?»
Cassia lasciò scivolare la mano dalla mensola, per non far capire ad Amariah quanto le dolessero le dita dopo quel piccolo gesto enfatico e sconsiderato. «La base d’asta era di cinque sterline, una somma accettabile. Ma l’ultima offerta di quell’uomo è stata di cento sterline, cosa per niente accettabile.»
«Evidentemente doveva essere un pirata molto ricco, oppure molto indulgente» commentò Amariah. «Spero che tu lo abbia invitato all’inaugurazione.»
Cassia trasalì. «Niente affatto!»
«Per quale motivo?» Amariah prese una sedia e si mise a sedere. «È abbastanza gentiluomo da frequentare Christie’s, è ricco e impulsivo. Sembra il socio ideale di Penny House.»
«Ma io pensavo che invitassimo soltanto i gentiluomini raccomandati dal comitato!» protestò Cassia. «Gentiluomini autentici, di ottima famiglia ed educazione, non dei presuntuosi, irascibili e...»
«Era anche bello?»
«Bello?» Cassia si interruppe, colta alla sprovvista dalla domanda di Amariah. Era bello. Non poteva fingere di non essersene accorta nel momento stesso in cui lo aveva urtato. Aveva dei lineamenti spigolosi ma regolari, l’espressione degli occhi grigi denotava un’intelligenza acuta ed era così alto che lei aveva dovuto piegare all’indietro la testa per guardarlo in faccia. I capelli scuri le erano parsi troppo folti e ribelli per stare a posto, tanto che, mentre parlavano, lui se li era spesso scostati dalla fronte con impazienza. Lo sconosciuto aveva la carnagione abbronzata dal sole, come se fosse un marinaio o un ricco fattore, e le sue mani e l’ampiezza delle spalle sembravano appartenere più a un uomo che si guadagnava da vivere lavorando che a un gentiluomo. Un uomo che senza dubbio si faceva notare in mezzo alla folla di Christie’s.
Anche se, naturalmente, niente di tutto questo aveva più la minima importanza per Cassia. «Era abbastanza piacente, a modo suo» ammise con una piccola scrollata di spalle. «In un modo comune.»
«Ah.» Amariah si appoggiò allo schienale della sedia, scrutando attentamente la sorella. «Era anche giovane?»
«Più vecchio di noi» rispose Cassia. «Sulla trentina, forse.»
«Giovane per un gentiluomo.» Con un sospiro Amariah si lisciò il grembiule sul ginocchio. «E così quell’uomo era giovane, bello, ricco e impulsivo. Per quello che ne sappiamo, potrebbe avere già ricevuto uno dei nostri inviti. Eppure, siccome tu pensi che ti abbia fatto un torto, sei stata sgarbata con lui.»
«Non ho detto questo!»
«Non c’era bisogno che lo dicessi.» Amariah si premette il palmo della mano sulla fronte e sospirò. «È quello che stai dicendo anche adesso, chiaro come il sole. Ti sei sempre comportata così con i gentiluomini.»
«Solo quando per primi si comportano male con me!» protestò Cassia. «Ti ricordi quello che diceva papà su come non dovevamo lasciarci prevaricare dagli uomini né permettere che approfittassero di noi?»
«C’è un mare di differenza tra approfittarsi di qualcuno e comportarsi come una bambina viziata e petulante» replicò Amariah. «Londra non è la sala delle feste di Halvertown e qui tu non puoi trattare un gentiluomo come facevi a casa. Ci sarà sempre un’altra ragazza più graziosa o più divertente di te, e i gentiluomini londinesi non saranno molto indulgenti nei tuoi confronti se li tratterai male.»
«Non stavo cercando di essere divertente» protestò Cassia. Non era quello che era successo con il gentiluomo che aveva comprato il quadro, per cui l’episodio non meritava un giudizio del genere da parte di sua sorella. «Cercavo soltanto di comprare un dipinto.»
«Eppure immagino fin troppo bene quello che deve avere pensato il gentiluomo in questione.» Amariah si protese per prendere la mano di Cassia. «So che sei ancora la nostra bambina, Cassia, e che hai lavorato duro quanto me e Bethany in questi ultimi mesi... forse perfino di più. E so che quando ti metti in testa una cosa sei molto determinata.»
Cassia scosse la testa, nonostante pensasse ancora al gentiluomo bruno. Se lei non fosse stata tanto... acida con lui, forse a quel punto lei e Amariah sarebbero state in quella stessa stanza, occupate ad appendere L’Indovina sopra il caminetto invece di guardare desolate l’ampia distesa di parete vuota. «Ma io non...»
«Ssh, ascolta me» la interruppe Amariah stringendole dolcemente la mano. «Siamo venute a Londra per onorare la memoria di nostro padre trasformando Penny House nel successo di questa stagione, e oltre, e continuare a finanziare così le sue opere di carità. Questo deve venire prima di tutto il resto. Non possiamo pensare di avere ricevuto dei torti o che qualche gentiluomo non ci abbia tributato le attenzioni che avremmo desiderato. Se stasera tu perdessi la pazienza, comincerebbe a circolare la voce che le donne di Penny House sono scostanti e bizzose e sarebbe tutto perduto.»
«Non le donne. Io.» Cassia sospirò, sentendo l’agitazione scivolare via. «Saresti dovuta venire con me da Christie’s oggi, Amariah. Per te è facile. Sei sempre così calma.»
«È solo che riesco a nascondere il nervosismo. Nient’altro.» Sua sorella sorrise. «Stasera ricomincerai da zero. Prima di parlare e di agire, rifletti. Poi rifletti ancora e vedrai che andrà tutto bene.»
«Ci proverò, Amariah» promise Cassia, convinta. «Per amore di tutte noi, e anche di papà, ci proverò.»
Ricominciare da zero, pensò Cassia. Era ciò di cui avevano bisogno, oltre che il motivo che le aveva condotte a Londra. In ogni caso, probabilmente lei non avrebbe rivisto mai più il gentiluomo bruno, il pirata, come amava definirlo. E forse quell’uomo era stato per lei un avvertimento, perché ricordasse tutto quello che non avrebbe dovuto fare.
Riflettendo sugli avvenimenti della giornata, Cassia giurò a se stessa che avrebbe fatto di tutto per scordare il senso di sublime soddisfazione che aveva provato aggiudicandosi l’ultima parola.
3
Richard era allungato in una comoda poltrona, le gambe distese davanti a sé, in mano un bicchiere del chiaretto che aveva bevuto a cena. Nonostante il lusso che lo circondava, si sentiva fastidiosamente irritato. In realtà non aveva motivo di lamentarsi: le stanze che aveva riservato al Clarendon erano le più lussuose che l’albergo potesse offrire, il fuoco nel caminetto bruciava con vivacità, portando la temperatura della stanza a rivaleggiare con quella di un pomeriggio caraibico, e la cena che si era fatto mandare in camera su un vassoio era stata preparata da uno dei cuochi migliori della città. Aveva trascorso la giornata facendo esattamente quello che aveva desiderato, e la prova era lì, davanti a lui, sistemata malamente su due sedie appoggiate alla parete come un visitatore poco gradito.
Ma le stanze costose erano sovraffollate e pesanti come quelle di un bordello di lusso, il fuoco produceva un calore tale da costringerlo a spalancare le finestre se non voleva soffocare, e i piatti da portata erano sparsi qua e là, apparentemente devastati da un esercito di vandali, anche se le vivande non erano quasi state toccate. Neppure il chiaretto gli era d’aiuto, cosa che, vista l’ulteriore ghinea che gli era costato come complemento della cena, sarebbe invece stato logico aspettarsi.
Vuotò il bicchiere e vi versò dell’altro vino, fissando il quadro. Da un gentiluomo ci si aspettava che collezionasse quel genere di roba lì e che fosse orgoglioso tanto del fatto di essersela procurata quanto di possederla, e che riempisse intere gallerie con le tele che aveva riportato a casa dal Continente.
Eppure, più guardava L’Indovina, più pensava invece alla donna alla quale l’aveva portato via, all’asta. Maledizione, perché non era stato galante? Avrebbe dovuto permetterle di fare lei l’ultima offerta, oppure farle un bel regalo alla fine dell’asta per farsi perdonare. In ogni caso, avrebbe dovuto approfittare di quella situazione per esercitarsi ad agire da vero gentiluomo. Come diavolo pensava di prepararsi per quando avesse finalmente conosciuto la giovane titolata che avrebbe preso in moglie?
E poi quella giovane gli piaceva. Aveva un temperamento ardente come il colore dei suoi capelli, tutta fuoco e fiamme, completamente diversa dalle donne indolenti e languide che aveva conosciuto nei Caraibi. Forse, se fosse stata come loro, lui non avrebbe fatto la figura dello stupido.
Sentì la porta della camera da letto che si apriva, poi il gorgoglio del vino versato nel bicchiere che aveva in mano.
«Basta così, Neuf» disse al suo cameriere che reggeva la bottiglia del chiaretto. «Sono di umore già abbastanza nero senza che vi aggiunga dell’altro vino.»
«Come volete, signore.» Neuf fece un passo indietro, reggendo la bottiglia tra le braccia come se fosse stata un neonato. Faceva in modo di tenere la schiena rivolta al fuoco, quanto più vicino possibile senza rischiare di bruciarsi l’orlo della giacca con le fiamme. A giudicare dall’espressione soddisfatta del suo domestico, Richard comprese che si godeva quel calore che gli ricordava la loro vecchia casa di Barbados. «Avete finito di cenare, signore? Posso portare via il vassoio?»
«Finito? Più o meno.» Richard si girò sulla sedia, osservando Neuf che raccoglieva i piatti sparsi per la stanza. «Dimmi, Neuf, quali distrazioni mi suggerisci questa sera, a parte restare seduto qui a bere fino a stordirmi?»
«Il teatro, signore? L’opera, o i giardini di delizie lungo il fiume?» Il domestico si strinse nelle spalle, con aria di scontrosa rassegnazione. Negli ultimi otto anni aveva condiviso con Richard momenti buoni e altri decisamente cattivi, e si era guadagnato la piccola libertà di scrollare ogni tanto le spalle. «Londra offre molto a un gentiluomo come voi.»
«Ho detto che voglio distrarmi, non assistere a qualche spettacolo soporifero.» Le dita di Richard tamburellavano sul bracciolo della sedia. «Sai che non ho abbastanza pazienza per il teatro e neanche per ascoltare i gorgheggi di qualche soprano.»
Neuf ripiegò in quattro, con la massima precisione, il tovagliolo del suo padrone prima di rispondere: «Allora un ballo, signore? Un posto dove incontrare delle giovani di buona famiglia?».
«Non ancora, non ancora.» Richard si alzò e, attraversata la stanza, si avvicinò alla finestra per guardare giù in strada. Niente balli o feste grandiose per il momento, non per un forestiero come lui. Aveva con sé delle lettere di presentazione del governatore reale di Barbados indirizzate a tre nobili famiglie inglesi, ma era deciso a tirarle fuori solo al momento giusto. «Devo aspettare che siano finiti i lavori a Greenwood Hall, così da poter avere una residenza imponente da offrire a una dama. Che senso ha mettere la trappola se l’esca non è pronta?»
Si girò a guardare indietro da sopra la spalla. Il dipinto. Era andato all’asta a cercare dei quadri antichi che aggiungessero un tocco di lusso raffinato alla sua casa di campagna, e ne era uscito con quella tela... tutt’altro che il capolavoro con il quale impressionare favorevolmente un potenziale futuro suocero.
La deliziosa ragazza in lutto avrebbe apprezzato altrettanto il dipinto se si fosse resa conto di quale fosse in realtà il soggetto? Oppure aveva desiderato tanto il quadro solo perché lo voleva anche lui, facendo le sue offerte per dispetto invece che per autentico interesse?
«Ecco qui, signore. Credo che questo colpirà la vostra fantasia.» Neuf gli tendeva il giornale, ripiegato per mostrare un articolo con la stessa precisione che il cameriere aveva usato con il tovagliolo. «Un nuovo circolo per gentiluomini. Cena e gioco.»
Richard fissò il giornale con la fronte corrugata, senza prenderlo. «Non ho più voglia di sfidare la sorte, Neuf. Sai bene che ho chiuso con le carte e con le puntate pesanti.»
«Ma qui si tratta di qualcosa di diverso» obiettò il cameriere. «Si chiama Penny House e il giornale dice che le proprietarie sono tre belle sorelle, figlie di un vicario del Sussex che ha lasciato loro in eredità la casa da gioco, e che tutte le vincite del banco sono utilizzate per opere di carità.»
«Giocate d’azzardo con i metodisti e vi guadagnerete il regno dei cieli!» motteggiò Richard. Che assurdità! «Recitate un salmo e gettate i dadi!»
«Almeno le tre sorelle sono una curiosità, signore...»
«Oh, andiamo, Neuf» sbuffò Richard. «Hai mai sentito di una donna che riunisce in sé bellezza e bontà d’animo?»
«Hanno il patrocinio del Duca di Carlisle» ribatté Neuf, consultando un’altra volta l’articolo. «Certo l’eroe delle campagne di Spagna non darebbe il suo appoggio a cuor leggero.»
«Prima di essere un eroe è comunque un uomo» obiettò Richard, «ed è probabile che le sorelle per prime abbiano dato qualcosa a lui, invece dell’opposto. Scommetterei una ghinea che quelle tre sono state prelevate da qualche bordello di lusso e messe nella casa da gioco. Dammi retta, non sono le figlie di un curato di campagna più di quanto lo siamo noi due.»
«Come dite voi, signore.» Il cameriere sospirò, rassegnato, e girò il giornale per poterlo leggere. «Qui dice anche che i soci saranno selezionatissimi. Già questa sera, per l’inaugurazione, nessun gentiluomo che non sia già socio di White’s, Brook’s o Boodles sarà ammesso a meno che non abbia ricevuto l’invito direttamente dal comitato direttivo del circolo.»
«Un invito a farsi svuotare le tasche? Da’ qui, Neuf.» Richard strappò il giornale dalle mani del cameriere. «Mi sembra che si stiano spingendo maledettamente troppo in là, perfino per Londra.»
Neuf intrecciò la mani, ormai vuote, sullo stomaco piatto. «È vero, signore. Non me lo sono inventato, né me lo inventerei.»
«Chi mai si inventerebbe una stupidaggine del genere?» Accigliato, Richard scorse rapidamente l’articolo. Più leggeva, più gli sembrava che fosse una sfida lanciata a lui personalmente, invece di un semplice pettegolezzo mondano. Nessuno dei raffinati damerini che avevano ricevuto il prezioso cartoncino di invito avrebbe potuto conoscere il suo passato, né indovinare che stava giocando a carte con il figlio di un minatore. «Dicono che questa selezione sia necessaria per garantire l’atmosfera raffinata ed esclusiva del circolo. Che cosa c’è di ricercato nel bere fino a essere talmente istupiditi da giocarsi anche l’ultimo scellino?»
Neuf si strinse nelle spalle. «Questa è Londra, signore, e queste sono le sue usanze.»
«Gliele mostro io le usanze di Londra!» Richard gettò il giornale sul tavolo e si sfilò la camicia dalla testa, pronto a vestirsi per la serata. Mettere piede nel nuovo circolo non voleva necessariamente dire che avrebbe dovuto giocare pesante. Poteva non giocare affatto. «Mi piacerebbe vedere le tre allegre sorelle che cercano di tenermi fuori dalla loro preziosa casa da gioco perché non sono in possesso del loro dannato cartoncino.»
Neuf prese al volo la camicia che Richard aveva lanciato verso una sedia. «Vuol dire che andrete a Penny House, signore?»
«Sì, Neuf. È proprio quello che ho intenzione di fare.» Richard sorrise, non più irrequieto. Fino a quel momento la vita londinese gli era sembrata piatta e fin troppo rispettabile. Finalmente quella serata prometteva di essere eccitante. Alla casa d’aste aveva fatto un passo falso a causa
