Ritratto di dama: I Grandi Romanzi Storici
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Dietro l'apparenza di donna pratica e giudiziosa, Lady Mary Farren nasconde un animo assetato di avventure, che da anni attende di essere soddisfatto. L'occasione propizia arriva con la tanto attesa partenza per il Grand Tour in compagnia della governante e della sorella. Appena giunta in Francia, infatti, la giovane acquista da un vecchio antiquario un misterioso dipinto quattrocentesco, suscitando l'interesse dell'enigmatico John Fitzgerald. Da quel momento in poi, una serie di pericolosi incidenti la induce a sospettare che qualcuno voglia ucciderla per impadronirsi del quadro. Ma chi può essere? Forse proprio l'affascinante John, che la segue ovunque come se fosse la sua ombra? E che cosa lega l'opera in suo possesso al ritratto di dama che ha visto in una galleria d'arte di Parigi?
Miranda Jarrett
Laureata in storia dell'arte, ha saputo conciliare l'interesse per la storia con la passione per la scrittura. I suoi romanzi hanno vinto infatti numerosi premi letterari.
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Ritratto di dama - Miranda Jarrett
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Adventurous Bride
Harlequin Historical
© 2006 Miranda Jarrett
Traduzione di Anna Polo
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2008 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3050-647-3
Frontespizio. «Ritratto di dama» di Jarrett Miranda1
Aston Hall, Kent, giugno 1784
Lady Mary Farren prese posto tra le coppie nel salone da ballo del padre. La serata era calda e le alte porte finestre aperte facevano entrare la brezza dal giardino. Alla luce di centinaia di candele, gli accaldati gentiluomini che la circondavano facevano del loro meglio per mostrarsi galanti e le signore cercavano di apparire belle e spigliate. Tutti erano convinti di rappresentare il fior fiore della società locale.
Quello era l’unico ambiente che Mary avesse conosciuto nei suoi diciotto anni di vita – l’unico che le avessero permesso di conoscere, come figlia maggiore del Duca di Aston. Entro tre giorni, però, tutto sarebbe cambiato e lei non vedeva l’ora che quel momento arrivasse.
Mentre l’orchestra suonava le ultime note della danza e il suo cavaliere le rivolgeva un inchino, Mary passava in rassegna eccitata gli ultimi preparativi del viaggio: gli abiti erano stati riposti nei nuovi bauli e i vari passaggi prenotati, le lettere di presentazione erano pronte, le cartine e le guide...
«Lady Mary, per favore...» Miss Wood, da tempo sua governante e tra poco compagna di viaggio, le stava davanti e si torceva le mani grassocce. «Ho bisogno di parlarvi un momento da sola.»
Mary annuì e si avviò verso l’archivolto di una delle alte porte finestre, dove la loro conversazione si sarebbe persa nel chiacchiericcio e nella musica intorno a loro. A ventotto anni Miss Wood era ancora giovane, ma si comportava sempre con una discrezione e una proprietà caratteristiche di una persona più anziana; solo una vera emergenza l’avrebbe spinta nel salone da ballo, dove era fuori posto come una timida colomba in mezzo a vistosi pappagalli. Da quando, quattro anni prima, la duchessa si era ammalata ed era morta, Mary aveva assunto molti dei compiti materni: non c’era da meravigliarsi dunque che la governante si rivolgesse a lei per risolvere un problema.
Colta da un timore improvviso, Mary pregò che non si trattasse di qualcosa in grado di rimandare la partenza. Che il Signore le perdonasse il suo egoismo, ma dopo aver tanto atteso quell’occasione, non avrebbe sopportato che un contrattempo le impedisse di conoscere per la prima volta la vita al di fuori di Aston Hall!
«Cosa c’è, Miss Wood?» chiese a bassa voce mentre possibili disastri le passavano per la mente: un incidente tra la servitù, qualche problema con un invitato, una brutta notizia giunta da lontano. Tutto era possibile. «Cos’è successo?»
«Si tratta di vostra sorella, milady» rispose la governante. «Sua Grazia il duca ha chiesto di lei e io non riesco a trovarla da nessuna parte.»
«Diana è sparita?» chiese Mary allarmata. Non che temesse un incidente: la sorella minore era sempre la causa dei problemi, mai la vittima. Bella e spensierata, trovava irresistibili gli uomini e loro la ricambiavano di cuore.
Le due sorelle erano l’opposto l’una dell’altra: Mary responsabile e attenta, Diana sventata e avventurosa. Quante volte Mary aveva dovuto placare le ire paterne, dopo che Diana era stata colta a girovagare per la campagna con un giovane spasimante. Per fortuna riusciva sempre a fermarsi a un passo dallo scandalo che le avrebbe rovinato la reputazione e impedito un matrimonio rispettabile.
«Avete guardato dappertutto, Miss Wood?» domandò Mary, pregando che per una volta la governante si sbagliasse. «Sono sicura di averla vista ballare non più di mezz’ora fa.»
Il viso rotondo di Miss Wood si illuminò. «Vi ricordate chi era il suo cavaliere?» si informò speranzosa. «Forse si trova con lui e...»
«Stava ballando con il Dottor Canning, per fare un favore a nostro padre» sospirò Mary. Il medico aveva almeno settant’anni, portava occhiali spessi ed era piuttosto rimbambito. «Non credo proprio che Diana si apparterebbe con lui nel tempietto romano in giardino.»
«Ho già controllato là, milady.» Miss Wood lanciò uno sguardo nervoso al di sopra della sua spalla, verso il padre di Mary, che era circondato da diversi invitati. Nonostante l’atmosfera allegra che regnava nel salone, era evidente che il duca non era affatto contento: aveva convocato Diana al suo cospetto e si aspettava obbedienza immediata. Lei però non era ancora comparsa e lui si guardava intorno accigliato, con le braccia conserte sull’elegante camicia di seta.
«Ho controllato anche nella camera da letto, nell’aula di studio, in biblioteca, in salotto e nella dispensa» continuò Miss Wood agitata.
«Non mi parlate della dispensa!» proruppe Mary esasperata. Qualsiasi cosa fosse successa in quel locale l’estate prima tra Diana e un giovane precettore appena giunto da Oxford Mary non voleva saperla, davvero non voleva. «Forse Diana aveva semplicemente una necessità naturale...» azzardò.
Miss Wood scosse la testa. «La cameriera in servizio là non l’ha vista per tutta la sera e...»
«Le scuderie.» All’improvviso Mary ricordò sgomenta la sorella che sorrideva al nuovo stalliere, un giovane prestante e abbronzato, mentre quella mattina l’aiutava a montare in sella alla sua giumenta. Quando lui aveva ricambiato il suo sorriso con un calore eccessivo, Mary aveva pensato che l’avesse fatto perché era appena stato assunto e non aveva capito quale fosse la sua posizione, ma ora non riusciva più a credere a quell’interpretazione benevola e innocente.
Che cos’avrebbe detto il padre se l’avesse saputo? Mary preferì non pensarci.
«Le scuderie, milady? Pensate che...?»
«Non ne sono sicura, ma vale la pena di controllare. Io vado a cercare Diana, mentre voi potete dire a mio padre che...»
«Mi dispiace, milady, ma non posso permettervi di recarvi da sola alle scuderie a quest’ora di notte» si oppose la governante con fermezza.
«Ma se posso trovare Diana prima di...»
«Il vostro posto è qui al ballo, milady» insisté Miss Wood. «Restate con gli invitati e io mi occuperò di trovare Lady Diana.»
«È mia sorella. Tocca a me cercarla.»
«Ma Sua Grazia...»
«Dite a mio padre che Diana arriverà subito. Non preoccupatevi, lui non si renderà neanche conto che ho lasciato il salone.» Ciò detto, Mary sgusciò fuori dalla porta finestra prima che la governante protestasse ancora.
Discese di corsa i gradini della terrazza e imboccò un sentiero lastricato, sollevando le gonne per non inciampare. Lontano dal calore delle candele la serata era più fresca e Mary fece un respiro profondo, preparandosi al compito che l’aspettava: non c’era modo di sapere dove, come e perfino se sarebbe riuscita a trovare Diana.
A essere sincera sperava proprio di non trovarla nelle scuderie. Infatti era stato deciso che mentre lei e Miss Wood erano in viaggio sul continente, Diana e il duca si sarebbero trasferiti a Londra per la presentazione in società. Con la sua bellezza e un pizzico di fortuna, la sorella avrebbe certo attratto un buon partito, un gentiluomo fornito di nobili natali e una considerevole fortuna. Era ciò che Diana sosteneva di desiderare di più nella vita e Mary non riusciva a capire come potesse mettere a repentaglio una tale occasione civettando con uno stalliere.
Giunta davanti alle scuderie, si tenne nell’ombra, attenta a non farsi notare. Quella sera il cortile era pieno delle carrozze degli ospiti; cocchieri e valletti chiacchieravano e ridevano tra loro e con le cameriere che erano riuscite ad allontanarsi dalla festa. Non c’era segno però di Diana o del nuovo stalliere e Mary temette che si fossero rifugiati in un luogo più appartato.
Accidenti a lei che l’aveva messa un’altra volta in quell’odiosa posizione! Senza dubbio era convinta che farsi trovare con un servitore non costituisse un’infrazione così grave al decoro, né un venir meno alla ripetuta promessa di cambiare. Mary detestava l’idea di fare il cane da guardia almeno quanto quella di dover affrontare di nuovo l’ira paterna.
Non che Mary non le volesse bene. Anzi, amava Diana con tutto l’affetto e la devozione che due sorelle rimaste orfane di madre possono provare l’una per l’altra. Ma vivere sempre nell’ombra di quella fanciulla bella e irresponsabile, pronta a sostenerla se cadeva e a proteggerla se sbagliava era diventato un compito estenuante. Mary desiderava più di ogni altra cosa essere conosciuta e apprezzata per se stessa, non come la sorella di Lady Diana o la figlia del duca, e sperava che sul continente, lontano da Aston Hall, ci sarebbe riuscita.
Svoltò di corsa l’angolo delle scuderie ed entrò da una porticina laterale. A parte lo scalpitio e i nitriti sommessi dei cavalli, il grande locale sembrava buio e vuoto.
«Diana?» la chiamò piano. «Diana, sei qui?»
Non ci fu nessuna risposta, né Mary in fondo si aspettava che la sorella balzasse fuori dal fienile, come succedeva quando erano bambine e giocavano lassù. Questa volta era diverso, molto diverso.
Si raschiò la gola e alzò la voce. «Diana, nostro padre vuole vederti subito. Se sei... se ti stai nascondendo qui, devi tornare subito alla festa. Mi hai sentito?»
Ancora nessuna risposta, ma questa volta Mary colse un rumore che non poteva provenire da un cavallo e un risolino soffocato in uno dei recinti più lontani. D’impulso afferrò una lanterna appesa vicino alla porta e marciò decisa in quella direzione.
«Parlo sul serio, Diana» annunciò irritata, la luce che guizzava sulle pareti di legno. «Vieni fuori subito, o ti stanerò come fanno i segugi di nostro padre con le volpi.»
Giunta in fondo alle scuderie, aprì la porta dell’ultimo recinto, sollevò la lanterna come un faro... e sussultò sconvolta.
Era difficile distinguere il corpo, le braccia e le gambe di sua sorella da quelli dello stalliere, tanto erano strettamente avvinti. Il vestito giallo di Diana era sollevato sulle sue gambe snelle e la mano abbronzata del giovane era appoggiata su una coscia con gesto possessivo al di sopra della giarrettiera di pizzo rosa. Lei gli aveva aperto la camicia e gli carezzava la schiena muscolosa; in quella posizione, con i capelli biondi sciolti sulle spalle e le guance arrossate, in quel momento non sembrava certo la figlia di un pari d’Inghilterra.
«Mary!» strillò Diana, stringendosi allo stalliere e scivolando dietro di lui per nascondersi. «Che cosa ci fai qui, stavi forse spiando Will e me?»
«Non vi sto spiando» replicò Mary, a sua volta rossa di imbarazzo. «Nostro padre ti vuole vedere subito e sai bene che devi obbedirgli. Non capisci che sto cercando di salvarti da te stessa?»
Lo stalliere le lanciò un’occhiata sfrontata, tenne un braccio intorno alla vita di Diana e le fece cenno con l’altra mano. «Meglio godere che risparmiare, dico io» proclamò. «Vieni anche tu, dolcezza: ce n’è abbastanza per tutte e due le sorelle.»
Senza darle il tempo di reagire, l’afferrò per una mano e l’attirò a sé, mentre la lanterna ondeggiava come impazzita.
«Smettila, Will!» gridò Diana. «Mary, non... Oh Dio mio... Padre!»
Con il cuore che le batteva all’impazzata Mary si girò lentamente e scorse il duca, più furioso che mai, Miss Wood e Robinson, il capo stalliere.
Fece una goffa, breve riverenza e dentro di sé maledisse la governante; perché non le aveva lasciato gestire la faccenda da sola, invece di coinvolgere il duca?
«Padre, ti prego» cominciò Diana. «Non è come sembra...»
«No, infatti» la sostenne Mary.
Lo stalliere si liberò di Diana e si portò le nocche alla fronte. «È vero, Vostra Grazia. Non è come...»
«Stai zitto, idiota!» tuonò il duca. «Non voglio sentire scuse. So quello che vedo.»
«Non date la colpa a Mary, padre, vi prego.» Diana sistemò le gonne e tentò di ravviarsi i capelli. «Stava solo cercando di...»
«Ho detto niente scuse» ripeté il duca in tono inflessibile.
«Non stiamo cercando delle scuse, padre» tentò ancora Mary. «Io volevo solo... cioè noi...»
«Basta così» la interruppe il duca. «Rendetevi presentabili e venite subito in biblioteca.»
Girò sui tacchi e se ne andò, la schiena rigida per l’ira, seguito a ruota da Miss Wood. Il capo stalliere prese il giovane Will per una spalla e lo trascinò fuori dal recinto senza troppe cerimonie.
Mary guardò la sorella e Diana chinò il capo. Ormai era troppo tardi per le spiegazioni, i rimorsi e le richieste di perdono.
Potevano solo obbedire.
Un’ora dopo Mary sedeva su una panca nel corridoio fuori della biblioteca; Diana era entrata per prima e sebbene non riuscisse a distinguere le parole attraverso la porta chiusa, poteva capire che l’ira del duca non si era attenuata e che le lacrime e le proteste della sorella non erano servite a molto.
Mary chinò la testa, chiuse gli occhi e si tappò le orecchie per escludere almeno per un po’ la sua litigiosa famiglia. Immaginava già cosa sarebbe successo tra poco: avrebbe dovuto fare da paciere, calmando l’ira del padre e strappando inutili promesse di cambiamento a Diana. Se tutto fosse andato bene, avrebbe stabilito una fragile tregua, in modo da mantenersi a galla nelle acque tempestose di Aston Hall.
Da dietro la porta le giunse il fracasso di un oggetto di porcellana che si infrangeva. Mary incurvò le spalle come una tartaruga che si rifugia nel suo guscio. Ancora tre giorni e sarebbe partita per la Francia, finalmente libera da quei continui scontri.
Ancora tre giorni...
La porta si spalancò. «È una crudeltà, Mary, verso di te e verso di me!» proruppe Diana. Poi si lasciò cadere accanto a lei sulla panca e le prese le mani nelle sue. «Oh, Mary, mi dispiace tanto!»
«Cosa vuoi dire? Perché si è arrabbiato tanto?» la incalzò Mary in tono pressante, consapevole che tra poco sarebbe toccato a lei entrare in biblioteca. «Cosa posso dirgli per calmarlo?»
Ma Diana si limitò a scuotere la testa, il viso arrossato e rigato di lacrime. «Oh, Mary, potrai mai perdonarmi? Volevo solo divertirmi un po’ e ora guarda cosa è successo! Nostro padre vuole farci soffrire entrambe e...»
«Mary, vieni» la chiamò il duca dalla biblioteca. «So che sei là fuori; tu sei sempre stata la figlia obbediente.»
«Non preoccuparti, Diana, sistemerò tutto.» Mary sorrise rassicurante, lisciò le pieghe dell’abito ed entrò a testa alta.
Il duca era seduto in una grande poltrona di pelle dietro lo scrittoio. Per quanto vedovo, era ancora giovane e vigoroso e non mancava mai di attrarre l’attenzione femminile dovunque andasse. A differenza della maggior parte dei gentiluomini della sua generazione, aveva scelto di seguire la nuova moda, mostrando al posto della parrucca i corti capelli scuri, spruzzati qua e là di grigio.
Avvicinandosi Mary notò subito la vena che gli pulsava sulla fronte, segno che la collera non era affatto sbollita, anzi sembrava irradiarsi da lui insieme a una profonda delusione.
«Tua sorella mi ha coperto di vergogna un’altra volta, Mary» ringhiò. «Questa volta non puoi proprio difenderla.»
«No, certo» concordò lei, alla ricerca del modo migliore per ammansirlo. «Non vi chiedo di perdonarla, ma di avere pietà.»
«Pietà» sbuffò il duca disgustato. «Mi deludi: mi aspettavo una richiesta all’altezza della tua intelligenza.»
«La pietà non richiede una particolare intelligenza, padre» replicò Mary.
Gli invitati se ne erano andati e il duca si era tolto la giacca, aveva rimboccato le maniche della camicia fino ai gomiti e ora tamburellava irritato con le dita sul bracciolo della poltrona. «Perché la difendi?» sbottò. «Si è comportata come una donnaccia con quel farabutto, come se il mio buon nome e il suo non contassero niente.»
«Non voleva farvi arrabbiare, padre, ne sono sicura. Ha agito in modo irresponsabile, è vero...»
«Non ho tutto il diritto di arrabbiarmi, quando permette a uno stalliere di alzarle le gonne?» esplose il duca battendo una gran manata sul bracciolo.
«Sì, certo, padre» rispose Mary, docile. Sapeva per esperienza che spesso quella era la risposta più sicura e a volte l’unica accettabile.
«Allora perché tua sorella continua a coprirmi di vergogna in questo modo?» Incapace di restare seduto, il duca si alzò di scatto e diede le spalle a Mary per guardare fuori della finestra. «È ora che si sposi; sono troppo vecchio per tenerla a bada. Ha bisogno di un marito giovane che le insegni l’obbedienza, domi il suo spirito e le riempia la pancia. Ecco quello che le serve: un buon marito e una nidiata di bambini. Quale maniera migliore di trasformare una puledra selvaggia in una giumenta?»
«Sì, padre» concordò ancora Mary. «Se solo Diana potesse trovare un gentiluomo da amare con tutto il cuore...»
«Non tirar fuori queste sciocchezze!» scattò il padre. «Amore! L’ultima cosa di cui tua sorella ha bisogno è di inseguire questa fola.»
«Va bene, padre» mormorò Mary con tono remissivo. Ricordava bene l’amore che i genitori avevano provato l’uno per l’altra, ma da quando era rimasto vedovo, il duca parlava di quel sentimento in tono sprezzante e amaro e non mostrava alcuna tenerezza per il ricordo della moglie. Pareva quasi che avesse preso la sua lunga malattia e la sua morte come un affronto personale. «Ma se riuscisse a trovare un buon partito a Londra, un gentiluomo di vostro gradimento...»
«Non andremo a Londra» tagliò corto il duca, le mani strette dietro la schiena. «Come potrei presentarla a Sua Maestà dopo un comportamento così scandaloso?»
«Ma nessuno degli invitati si è accorto di niente!» protestò Mary. «L’unico che potrebbe parlare è il giovane stalliere e sono sicura che Robinson lo convincerà a...»
«Quel furfante avrà i prossimi tre anni per pentirsi» la interruppe il padre. «Ho ordinato a Robinson di consegnarlo alle squadre addette all’arruolamento forzato, così fornirà i suoi servizi alla Marina di Sua Maestà invece che a mia figlia.»
«Tre anni in mare!» esclamò Mary, inorridita da quella severa punizione. «Oh, padre, non vorrete mandare via anche Diana?»
«Se seguissi il mio istinto, la chiuderei in un convento sperduto, ma tu mi hai chiesto di avere pietà, Mary...»
«Allora la perdonerete?» chiese lei speranzosa. «La porterete con voi a Londra per presentarla a corte?»
«Posso mostrarmi pietoso, ma non sciocco.» Il padre finalmente si voltò. «Verrà all’estero con te e Miss Wood.»
2
Calais, Francia
La campanella d’ottone tintinnò all’ingresso di Lord John Fitzgerald nel negozietto dell’antiquario Dumont. John si fermò un attimo per abituarsi alla penombra che vi regnava; era già stato là diverse volte e sapeva cosa aspettarsi. Dumont era francese fino al midollo, ma l’insegna appesa al di fuori era scritta in inglese, visto che la maggior parte della clientela parlava quella lingua.
Da quando era stato firmato l’ultimo trattato di pace tra Francia e Inghilterra, i viaggi nel continente erano tornati di moda e frotte di viaggiatori inglesi entravano nel negozio di Dumont con gli occhi sgranati, pronti a bersi qualsiasi frottola lui raccontasse sugli oggetti di dubbio gusto esposti in vetrina e sugli scaffali e a pagare qualunque somma lui chiedesse per aggiudicarseli.
John però era diverso: aveva un vero talento per riconoscere i falsi e non esitava a usarlo. In un negozio che prosperava sull’inganno, il suo occhio attento e la sua esperienza non erano molto graditi. Dumont sapeva di avere davanti un gentiluomo inglese troppo competente per credere che una semplice patina di polvere fosse garanzia di antichità.
«Oh, bonjour, milord» lo salutò senza troppo entusiasmo. «Siete tornato a perseguitarmi?»
«Buona giornata anche a voi, Dumont» lo ricambiò John, frugando con lo sguardo la bottega stipata di cianfrusaglie in cerca di qualche oggetto di valore. Ogni volta che passava per Calais, si fermava dall’antiquario. «Sono venuto perché ho sentito dire che avete ricevuto alcune opere interessanti da Firenze.»
«Siete come un bandito di strada, milord, pronto a derubare un pover’uomo.» Dumont si alzò con un certo sforzo dalla sedia dietro il bancone. «Perché non mi lasciate in pace?»
«Perché ogni tanto nel cumulo di spazzatura che tenete qui dentro si trova un tesoro» rispose John, impermeabile ai borbottii lamentosi dell’anziano francese. Dopo aver trascorso un anno lontano da Londra, era in procinto di ritornarci nel giro di una settimana e aveva bisogno di un regalo per la Duchessa di Cumberland, un’amica fedele con cui aveva intrecciato una breve relazione l’inverno prima a Roma. Si erano lasciati senza rancore e John era convinto che un pensierino per la nuova casa della duchessa in Grosvenor Square sarebbe stato gradito, tanto più che lei gli aveva promesso il suo appoggio quando fosse tornato in città. Dopo il terribile scandalo scoppiato l’anno prima a Brighton, John aveva bisogno di alleati potenti; inoltre gli piaceva lasciare una buona impressione di sé alle sue amanti, un riguardo di cui non si era mai pentito.
«Cumulo di spazzatura? Siete davvero crudele, milord» protestò Dumont offeso. Si fece avanti trascinando i piedi, le mani intrecciate sul grembiule di pelle come un vecchio scoiattolo. «Ma in effetti ho diversi bei pezzi» ammise. «La disgrazia di un collezionista può fare la fortuna di un accorto compratore, come sempre accade.»
«Spero che non si tratti di una mia conoscenza» commentò John fingendo disinteresse. Quadri e altri oggetti d’arte erano spesso i primi a essere venduti, quando un gentiluomo si trovava in difficoltà finanziarie. A seconda delle circostanze, lui poteva trarne vantaggio, magari rivendendo l’oggetto prezioso a Londra con un profitto per sé.
Non si faceva scrupoli al riguardo; i figli cadetti non potevano permetterseli, soprattutto se erano come lui il sesto figlio di un nobile irlandese impoverito. Certo, poteva contare su una minuscola rendita lasciatagli da uno zio
