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Depeche mode. La biografia
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Depeche mode. La biografia

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Scritta in collaborazione con i Depeche Mode, la biografia abbraccia tutta la carriera di una delle band più longeve della storia, che ha saputo attraversare quattro decenni di musica, dal pop al rock.
Questo libro racconta la storia di un gruppo riservato, e frequentemente malinteso, che ha venduto oltre 50 milioni di dischi in tutto il mondo, e che è stata descritta da Q Magazine come «La band elettronica più popolare che il mondo abbia mai conosciuto».
Il costante successo e l’eccessiva celebrazione che hanno caratterizzato la loro carriera hanno portato con se abuso di droghe, crolli mentali, sbornie colossali e divorzio.
Ancora, fronteggiando tutte queste avversità, i Depeche Mode sono sopravvissuti e hanno continuato a produrre musica acclamata dalla critica e gratificata dal successo commerciale.
Il libro comprende anche i percorsi solisti di Dave Gahan e Martin Gore e i dettagli sulla realizzazione di Delta Machine, il penultimo album.

 
LanguageEnglish
Release dateSep 29, 2020
ISBN9791280133243
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    Depeche mode. La biografia - Steve Malins

    Zak

    Nota dell’ editore alla seconda edizione italiana

    Di Marco Porsia

    Sono passati undici anni da quando pubblicammo per la prima volta questo libro, nell’ottobre del 2006. Questo fu il primo contratto di edizione in Italia di un’opera proveniente dal mercato anglosassone, dato che il nostro inafferrabile Paisli tratta direttamente con noi (e con nessun altro). Fu uno dei nostri primissimi progetti da grandi, pensato per colmare una lacuna che l’editoria italiana non si era ancora degnata di colmare.

    Fu Daniel C. Marcoccia, allora direttore di Rockstar, Rocksound e Groove a segnalarci il libro di Malins, e non possiamo che ringraziarlo ancora. Fui io a massacrare l’esistenza (e anche le palle, per chi ne disponeva) ai miei soci per acquistare i diritti di questo libro. I soci di una società che aveva appena aperto, che aveva appena gettato uno sguardo inesperto ed entusiasta sul mondo, tutt’altro che dorato, dell’editoria. I soci che ringrazio ancora per aver creduto in questa scelta.

    Perché in questo paese, fino ad allora nessuno aveva mai preso in considerazione l’idea di pubblicare un libro che parlasse dei Depeche Mode. E io questo non riuscivo proprio a digerirlo, giacché per me questi signori sono, semplicemente, la Musica. Non tanto la musica che mi piace ascoltare, dato che amo ascoltare musica di ogni genere, perché moltissima musica è in grado di appassionarmi, di divertirmi, persino di commuovermi. Ma loro hanno sempre fatto la musica come mi piacerebbe farla, come ho provato a farla per qualche anno; lo fanno usando un linguaggio che mi è istintivamente vicino, che entra con facilità disarmante nelle mie orecchie e poi nella mia testa.

    Ho incontrato la musica dei Depeche Mode nel 1983, in autunno. Stavo cominciando l’università, e mio padre mi aveva appena concesso di ricominciare a fare musica, cosa che mi era stata proibita per tutta la durata del quinto anno di liceo scientifico, fino a maturità ottenuta. Ero stato contattato da un gruppo che avevo conosciuto quando frequentavo l’ambiente punk genovese, tra il 1980 e il 1982, e che si era votato ad un progetto interamente elettronico. Questi pazzoidi, due aspiranti ingegneri e un futuro dentista, a cui si sarebbe aggiunto un organista di formazione classica, cercavano un cantante con la voce cupa, e io ce l’avevo eccome quella voce. Anzi era proprio quella voce scura, fin da pivello, che mi aveva un po’ precluso la strada da cantante rock. Però di quella musica fatta con le scatole non sapevo ancora praticamente nulla, e quindi al primo incontro con i miei futuri sodali fui debitamente indirizzato ad ascolti opportuni, e tra questi non potevano mancare loro, i ragazzi di Basildon. Comprai Construction Time Again, e lo ascoltai il numero sufficiente di volte per scolpirlo nel mio DNA. E lo ascolto ancora di tanto in tanto, per sicurezza.

    Dal primo momento mi fu chiaro che quella musica mi piaceva; potevo poi passare settimane, o mesi, a chiarirmi il motivo per cui mi piacesse. Ma la realtà è che pensano la musica, e sovente anche i contenuti, in un modo che mi coinvolge senza alcuno sforzo. Molti appassionati, sia ascoltatori che musicisti, hanno un preconcetto verso l’elettronica, mentre sono proprio dei gruppi come i Depeche Mode che chiariscono come l’uso di determinate tecniche non debba vincolare troppo il prodotto artistico che ne deriva.

    Ho visto per la prima volta un loro concerto nel 1986 a Pietra Ligure, in un minuscolo stadio di calcio dilettantistico, e li ho rivisti quasi tutte le volte che si sono ripresentati nel nostro paese; l’ultima, e ottava, volta il 18 luglio 2013 al Meazza a Milano, e li vedrò a Roma, qualche giorno prima che questo libro sia rilasciato sul mercato.

    Tu che hai comprato questo libro e sei come me un fan dei DM, sai bene di che parlo, e quindi non ti racconterò di come hanno fatto a diventare anche una grande band da concerto, cosa che per artisti reputati non rock è da considerarsi tutt’altro che banale. E neppure ti descriverò la loro impressionante crescita dal punto dei vista dei contenuti così come delle forme, la loro evoluzione nella capacità di assorbire nuovi modi, nuovi mondi. No, non ti dirò nulla di tutto questo.

    Ti voglio fare solo riflettere su come la loro musica sia apprezzabile anche quando la fanno altri, cosa che non capita a tutti, e che mostra davvero quanta musica ci sia dentro a quelle canzoni. Penso a Stripped riproposta dai Rammstein, penso Personal Jesus trasfigurata dal leggendario Johnny Cash, penso alla sontuosa versione di Enjoy The Silence dei Lacuna Coil. Suonano sempre perfettamente e non ti deludono mai. Sono più bravi come autori o come interpreti? E un bel chissenefrega di risposta? Sono bravi perché sono un esempio di equilibrio dinamico in continuo sviluppo, che raccoglie energia e la riversa, per rigenerarla ancora. Adesso, dopo questo passaggio più quantico che elettronico, ho deciso di darti la mia personale recensione a Spirit, l’album che è uscito il 17 marzo del 2017 e che ho già sentito criticare, anche in modo aspro.

    Con il presupposto di quanto sopra, ossia che sin dal primo ascolto quest’album non poteva non piacermi, ho trovato anche questa volta qualcosa di preziosamente tipico, qualcosa che prende l’orecchio con destrezza. In ogni caso qui di seguito, traccia per traccia, dico la mia in attesa di essere contraddetto. Però io qui non parlo da editore, e meno che meno da editore di libri sulla musica. Parlo dal profondo del fan club.

    Going Backwards è un pezzo acre, che si poggia su un blues oscuro dal gusto di Mississippi, per aprirsi; sempre comunque graffiando. La voce di Gahan, qui come in tutto il resto dell’album, ha raggiunto una maturità tale da compensare appieno i (pochi) difetti che l’età, ahimé, comporta. Il colore delle sue note si è scurito, ispessito, ma la trama vocale che ne viene fuori è decisamente molto efficace.

    Where’s The Revolution è un singolo impressionante, sia dal punto di vista del testo, che reputo uno dei più belli e sconsolati che siano stati scritti recentemente, sia dal punto di vista della musica e della prestazione vocale di DG, oltre alla consueta cura nelle parti corali. Sia questo pezzo che il precedente risentono molto dello sviluppo delle passioni americane sia di Gore che di Gahan, che da Music For The Masses in poi hanno trovato una dimensione rock che si è sempre più connaturata con il loro discorso musicale.

    The Worst Crime è una traccia piuttosto tetra, anche se assai carazzevole, in cui la già decantata voce di Dave costruisce una struttura circolare che evoca un amaro carillon, che ogni tanto si schianta. I suoni, come in tutto l’album sono grigi ma non opachi, anzi estremamente nitidi, con una calibrata ampiezza di riverbero.

    Scum cambia, almeno in parte, registro. Da un lato sembra di ritrovarsi in atmosfere simili a quelle di Exciter, ma il vero album di riferimento, l’album simmetrico a questo è Black Celebration, non a caso quello che dava il titolo all’edizione precedente di questo libro. Questo pezzo è cattivo, non duro ma cattivo, e vuole anche esserlo, e ci riesce assai bene. La finitura industrial dei suoni, e soprattutto delle voci, rende il tutto più tagliente, e funzionale al tema. Se dai dello stronzo a qualcuno non devi essere gentile.

    L’ambientazione da primi anni del XXI Secolo continua con You Move, anche i suoni che qui echeggiano mi ricordano, soprattutto per l’abbondante uso della rottura di tempo, i Lamb dei loro anni migliori, che erano proprio quelli. Qui si lavora sulla cifra ipnotica della comunicazione, e Dave qui da il suo meglio in versione stracciamutande.

    Con Cover Me continuiamo ad ascoltare un Gahan affabulatore di femmine, ma un po’ affabulatore di tutti, su delle atmosfere che affondano in suoni che fanno parte delle radici dei Depeche Mode e della musica elettronica, collocabili tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80.

    Gore si presenta a cantare con Eternal, una breve pennellata dal testo catastrofico, che sorregge l’interpretazione struggente, sin troppo, della voce su di un impianto che richiama le canzoni yiddish, con fisarmoniche e pieni di orcherstra che incorniciano il cantato.

    Poison Heart è un tuffo all’indietro nelle ballate di sapore americano, con l’evocazione di un’epoca tra gli anni ’50 e gli anni ’60, e il nostro supercrooner, come sempre, risplende in ammiccamenti, sicuro su dei percorsi che nulla lasciano al caso. Le sonorità sono davvero raffinate, e nascondono delle deliziose campionature di elettronica primordiale, che fanno venire in mente, a chi le ha conosciute, le tastiere Korg MS-10 e MS-20, e tutto quello che quel mondo comportava. L’epoca dell’analogico a vapore.

    Quando comincia a ticchettare il ritmo di So Much Love ci rendiamo conto che l’ago della macchina del tempo si è spostato ancora, più o meno all’altezza di Sounds Of Universe, forse rimbalzando persino più avanti. Tuttavia anche questo pezzo, comunque giocato, come tutto l’album, sugli accordi minori, ha una quantità di stimoli motori ed emotivi, ovvero fa ballare e cantare che è un piacere.

    Poor Man ripassa alle atmosfere blues, per offrirci suoni sulfurei, con la voce che scava ruvida dentro le macerie di una società che marginalizza, che esclude.

    No More (This is the Last Time) è ancora un’incursione nel lato intimo, sentimentale della musica del gruppo, anche se in questo caso il principio di onestà su cui si fonda il testo è ben più generalmente applicabile rispetto al solo ambito della coppia. I suoni sono docili, con aperture assai limpide, e può venire in mente il linguaggio utilizzato in Violator.

    Fail, che chiude il disco, è un pezzo che rientra come contenuti nel contesto di ispirazione sociale decisamente ricco in questo album; i suoni sono nuovamente molto datati, volutamente ed assolutamente in modo efficace. E mi ricordano tanto Construction Time Again, il mio primo disco dei DM. Torna a cantare Martin, che ha affinato le sue tecniche vocali un po’ trobadoriche, come si nota di più in Eternal, e che va a caccia nel testo di un perché difficile da trovare.

    L’impressione che ti verrà fuori da questa recensione, caro amico fan, è che i nostri abbiano fatto un greatest hits di inediti, rimescolando con la sapienza di oltre trent’anni di musica. E non ti nascondo che, come noti dai miei commenti, è stata anche la mia prima impressione. Poi mi sono chiesto: sinceramente, ma chi è che è in grado di fare altrettanto, e di farlo bene? Poi, ho trovato la chiave in un pezzo tra i meno gettonati di Black Celebration, New Dress; in uno dei versi del ritornello, che dice quando cambi un voto puoi cambiare il mondo. A quel pezzo i DM di oggi rispondono: Dov’è la rivoluzione?

    Ma adesso silenzio, incomincia lo spettacolo. Anzi, continua.

    Prefazione alla prima edizione italiana

    di Daniel C. Marcoccia*

    Una bella storia quella dei Depeche Mode. Lunga, fortunata e, diciamolo pure, sulla quale pochi avrebbero scommesso circa venticinque anni fa, all’uscita di Dreaming Of Me, primo singolo del gruppo di Basildon. A dire il vero, sarebbero stati in pochi anche a prevedere una carriera così longèva e ricca, neppure nel successivo New Life e perfino in Just Can’t Get Enough. Quest’ultima canzone rimane ancora oggi una hit incredibile, ma non lasciava presagire, in quelle sonorità techno pop, l’anima rock che sarebbe emersa molti anni dopo. La prima formazione, quella con Vince Clarke, era semplicemente una delle tante di inizio anni 80, piccoli fuochi di paglia destinati a scomparire nell’arco di un singolo di successo. E invece non è andata così. I Depeche Mode sono ancora qui, più di vent’anni dopo. Non si sono mai separati, eppure le occasioni per farlo non sono di certo mancate. Dopo la partenza di Vince Clarke e quella di Alan Wilder. Dopo il tentato suicidio di Dave Gahan e dopo l’esordio solista di quest’ultimo. Dopo gli eccessi di droga, di alcool, gli esaurimenti, dopo le pesanti tensioni che hanno caratterizzato la registrazione di Songs Of Faith & Devotion. A salvare sempre il gruppo è stata la capacità di rinnovarsi, di mutare senza mai perdere la propria personalità. La facilità con cui è riuscito a conquistarsi una credibilità da gruppo rock, un cambiamento iniziato con Black Celebration, sviluppatosi poi con Music For The Masses e magnificato da due capolavori quali Violator e il già citato Songs Of Faith & Devotion. Merito sicuramente del songwriting sempre più ricco e intenso di Martin Gore, nonché dell’attitudine da vero animale da palcoscenico di Dave Gahan che ho spesso definito il migliore frontman in attività dopo Mick Jagger e Iggy Pop. E non è forse rock’n’roll anche il dualismo - l’ennesimo nella storia di questa musica - tra Gahan e Gore? Il libro scritto da Steve Malins spiega tutto questo, racconta i Depeche Mode e i suoi protagonisti e lo fa in maniera appassionata e appassionante.

    Per quanto mi riguarda, seguo Depeche Mode dai loro primi singoli ma oggi ne apprezzo particolarmente il periodo che parte appunto da Black Celebration. E sono molti i ricordi legati a questa band, intervistata più volte negli ultimi anni. Eppure i più bei ricordi sono scollegati dalla mia professione. Il più bello risale senza dubbio alla data romana del tour di Music For The Masses. Dopo il concerto strepitoso al Palaeur, assieme a una coppia di amici francesi, residenti nella Capitale, siamo andati allo Sheraton Hotel in cerca dei nostri beniamini. Erano lì, al bar, a festeggiare con fanciulle, manager e discografici. Mancava solo Wilder, quasi a confermare la sua natura di persona schiva. Ricordo pure l’arrivo della security e l’invito di Dave Gahan a lasciarci avvicinare. Poche parole, i biglietti del concerto autografati e quella felicità che sarebbe rimasta stampata sulle nostre facce per molti giorni. L’altro ricordo, dai contorni più divertenti, risale invece al 1992 e a una vacanza in Canada dai miei zii. Alcuni dei miei cugini, per festeggiare il mio arrivo nel loro paese, pensarono bene di portarmi in uno strip club. E di quella serata non dimenticherò mai lo spogliarello di una graziosa fanciulla sulle note di Policy Of Truth. Immagini che tornano immancabilmente ogni volta che ascolto questa canzone, inclusa, guarda caso, nel mio album preferito: il sontuoso Violator.

    A questo punto non mi resta che augurarvi una buona lettura.

    *Direttore delle testate Rocksound, Rockstar e Groove.

    Introduzione

    In un certo senso noi corrompiamo impercettibilmente il mondo dichiarò ridacchiando l’autore dei testi dei Depeche Mode, Martin Gore, poco dopo l’uscita del singolo Stripped, nel 1986. Ed aggiunse maliziosamente: Se ti consideri una pop-band a tutti gli effetti, ti puoi permettere di fare cose peggiori.

    I Depeche Mode iniziarono sicuramente la loro carriera come ‘pop-band’.

    Quando il fondatore della Mute Records, Daniel Miller, li vide per la prima volta nel 1980, fu colpito dal fatto che erano dei ragazzini, ed i ragazzini all’epoca non facevano musica elettronica. Quella era roba da studenti delle scuole d’arte, ma i Depeche Mode non avevano seguito affatto quel percorso estetico. Facevano musica pop con i sintetizzatori. E funzionava incredibilmente bene.

    Per il compositore principale della band, Vince Clarke (vero nome Vince Martin), questa fu l’occasione per realizzare i propri sogni, dopo una serie di lavori inconcludenti, compresi sei mesi come magazziniere da Sainsbury ed un’esperienza come operaio in una fabbrica di yogurt.

    All’epoca Martin Gore, che era un fan del glam-rock, ed il suo amico Andy Fletcher, avevano i piedi saldamente piantati per terra, e continuavano a lavorare in banca e nelle assicurazioni. Questo trio di Basildon era composto da ragazzi tranquilli e riservati che frequentavano amici simili a loro. A questo proposito, Gore in seguito confesserà che la sua fidanzata Anne lo avrebbe accusato di essere un ‘pervertito’ se solo avesse osato posare lo sguardo su di una ragazza nuda in televisione. Anche Clarke e Fletcher avevano un passato: come Cristiani Rinati, tra gli 11 e i 18 anni, dedicavano il loro tempo a predicare nei bar.

    In forte contrasto, il quarto membro dei Depeche Mode, Dave Gahan, aveva un carattere più vivace ed irrequieto, che lo aveva già condotto di fronte al tribunale minorile per atti di vandalismo e per furto d’auto. Nelle relazioni con le donne era spesso instabile ed emotivo, al punto che il frontman dichiarerà alla rivista Q in tempi più recenti: L’unica ragazza di cui io mi sia innamorato quand’ero adolescente ha finito per scoparsi il mio migliore amico Mark. Ero a questa festa e non riuscivo più a trovare la mia ragazza. Ad un certo punto notai che tutti mi stavano fissando: tutti sapevano. Ho spalancato la porta della camera da letto, e mi sono trovato davanti il culo bianco di Mark che sobbalzava su e giù. Quello fu il mio primo scontro con la realtà, che mi portò a pensare che non fossi all’altezza. E da allora combatto questa sensazione. Ma già alla fine del 1979 si era trovato una nuova fidanzata, Jo, ed era pronto a giurare di aver chiuso con le ‘bravate’. Nel lontano 1981 sembrava che le cose dovessero andare proprio così – i Depeche Mode venivano collocati agli antipodi del rock ‘n roll, suonavano dei sintetizzatori, avevano ancora l’aria da ‘ragazzini’ e distavano anni luce dal glamour sofisticato degli emergenti Duran Duran. In effetti i Depeche Mode viaggiarono in treno per affrontare la loro prima apparizione su Top of The Pops portandosi a mano i loro sintetizzatori. E pare che il giorno seguente Andy Fletcher sia stato accolto da una standing ovation dai colleghi d’ufficio.

    Se facciamo un salto temporale in avanti di sette anni, le cose non possono essere più diverse: Vince Clarke se ne va dalla band lasciando il posto ad Alan Wilder, che avrà un ruolo fondamentale per trascinare il gruppo in avanti, sempre più lontano dalle ingenue radici elettro-disco. Nel 1988 sono già un’istituzione culturale, in grado di suonare di fronte a 70.000 fan statunitensi al Rose Bowl di Pasadena, ripresi dalle telecamere del leggendario D. A. Pennebaker, che li considera essenzialmente una macchina sforna soldi: Non capivano affatto il mondo che li circondava, commenterà il regista, ma erano stati capaci di comprendere che le riprese dietro le quinte avrebbero realizzato enormi profitti. All’epoca, i Depeche Mode si collocano a metà strada fra l’elettronica ed il rock, ed incendiano le platee attraverso brani che parlano di colpa, peccato, redenzione, e del lato oscuro delle relazioni. Tuttavia, la band se la vede brutta nel 1990, quando, dopo aver venduto sette milioni di copie di "Violator, sperimenta appieno gli orrori auto distruttivi connessi alla fama ed al rock ‘n roll. Andy Fletcher ha un esaurimento nervoso, Gore inizia a soffrire di attacchi epilettici dovuti all’abuso di alcol, e Gahan che diventa praticamente la caricatura della rock-star tossica votata all’autodistruzione: era veramente difficile pensare che fossero gli stessi ragazzini di Basildon. Il cantante abita a Los Angeles in un appartamento con le finestre oscurate, che chiama ‘il palazzo viola’, perché molti ospiti che vi avevano soggiornato erano andati vicino alla morte per overdose: Dopo un terremoto, la pioggia cominciò a filtrare all’interno, per cui c’erano grossi secchi ovunque. Tutti erano così sballati che nessuno se ne occupava. Era disgustoso…. Nel corso degli anni ho inflitto a me stesso dolore e sofferenza. Mi ero fatto fare un piercing chiamato ‘guiche’, nella parte che sta fra l’ano ed i testicoli. Sei lì carponi sul pavimento, completamente fuori di testa, culo all’aria, le palle ed il pene che ciondolano, la dignità sotto terra. Lo ha fatto questa tizia, che aveva tatuaggi su tutto il viso, e sono quasi svenuto dal dolore".

    Tuttavia, mentre queste esperienze si riversano nella loro musica, conferendole un nucleo oscuro che piace ai disadattati di tutto il mondo, anche la recente trasformazione di Gahan da derelitto all’uomo che è oggi è diventata una rinnovata fonte di ispirazione per i seguaci della band. Il cantante attribuisce alla moglie Jennifer, che è attrice ed autrice cinematografica, un ruolo fondamentale per questi nove anni di sobrietà: C’era qualcosa in Jennifer che ha acceso una luce in me; ma anche lui ha dimostrato un’enorme determinazione e forza per superare un passato costellato di sofferenze.

    Il percorso di Gahan dall’inferno alla redenzione conferma il senso di ottimismo che ha sempre pervaso sottilmente la musica dei Depeche Mode. Il pubblico li ama perché la loro musica possiede una potenza evocativa sofferta ed espressiva, che suggerisce un barlume di speranza ed una via di fuga che non solamente dalle situazioni tragiche, ma anche dal grigiore della vita quotidiana. Martin Gore avrà forse un carattere introverso, ma ha riversato le sue emozioni nella musica, diventando a pieno titolo uno dei più grandi autori viventi del mondo. Da "Black Celebration, del 1986, fino all’attuale Playing the Angel, ha composto una sequenza di canzoni ineguagliate in bellezza e qualità, e questo include brani equivalenti dei R.E.M. e degli U2". Capolavori relativamente sconosciuti come The Things You Said (di "Music For The Masses"), Clean ("Violator"), Goodnight Lovers ("Exciter"), o la bellissima melodia di Here is The House ("Black Celebration"), sono vere e proprie perle di rara bellezza. Vale anche la pena menzionare l’abilità pop di Vince Clarke nei primi successi come Just Can’t Get Enough e Any Second Now, ed anche il rinnovato impegno di Gahan con Suffer Well" e Nothing’s Impossibile, di "Playing The Angel".

    La passione dei fan per la loro musica non è limitata esclusivamente alle canzoni, ma è anche alimentata dall’uso dell’elettronica, spesso in aperta sfida nei riguardi delle mode correnti.

    Grazie all’abilità e all’esperienza di Daniel Miller ed Alan Wilder, l’utilizzo innovativo che i Depeche Mode hanno fatto dei suoni analogici si è evoluto nella tagliente tecnologia del campionamento degli anni ’80, stabilendo la regola di non utilizzare due volte lo stesso suono. Come risultato, i loro album presentano alcuni interventi bizzarri, come ad esempio la risata registrata su un aereo (nel coro di People are People), oppure Daniel Miller che urla ‘Horse!’ in un loop (Fly On The Windscreen). Dalla metà alla fine degli anni ’80, hanno mescolato sempre più blues, rock, glam, country, metal e gospel con i loro sintetizzatori, con il risultato che in 25 anni di carriera stanno ancora facendo cose che nessuno ha mai osato sperimentare. Sarebbe interessante, in effetti, mettere da parte le canzoni per concentrarsi solamente sui suoni, ed ascoltare una raccolta di brani strumentali da lato B come Oberkorn (It’s a small Town)" ed Agent Orange, che possono evidenziare l’approccio coraggioso ed intelligente della band nei confronti della tecnologia, in evidente anticipo sui tempi, ma non futuristica.

    C’è voluto del tempo, ma a partire dai tardi anni ’80 i Depeche Mode hanno iniziato ad avere una grande influenza su altri artisti. Fra questi gli Smashing Pumpkins, i Nine Inch Nails, ed i Deftones negli anni ’90, e più di recente i Faint, gli Interpol, i Killers, i White Rose Movement (che includono Photographic ed Any second Now nei loro DJ set) ed i Ladytron, che ne esaltano le qualità. Riguardo a quest’ultimo gruppo, Daniel Hunt ha dichiarato recentemente alla rivista Q: I Depeche Mode non sono solo uno dei miei gruppi preferiti, ma propongono una prospettiva completamente diversa su come si possa fare musica alternativa. Nel ventunesimo secolo, cover di brani dei Depeche Mode sono state eseguite da Tori Amos (Enjoy The Silence) ed i Placebo (I Feel You), mentre Marilyn Manson e Johnny Cash hanno inciso versioni di Personal Jesus.

    La longevità dei Depeche è dovuta al lungo sodalizio con il visual director Anton Corbijn, che ha trasformato ragazzini goffi in personaggi enigmatici ed affascinanti vestiti di nero, protagonisti di video paradossali, suggestivi e spesso divertenti, animati da automobili (si pensi, ad esempio, al viso completamente inespressivo di Gahan, seduto dentro ad una auto-bolla), donne bellissime, misteriose creature alate, nani e cavalli a dondolo cavalcati da un Andy Fletcher vestito da cowboy. Il personaggio migliore è sicuramente quello del re solitario (interpretato dal cantante) che attraversa immensi paesaggi deserti con una sedia sdraio, come nel video di Enjoy The Silence. Corbijn ha inoltre progettato molte delle loro scenografie per il palcoscenico e le copertine degli album, anche se, probabilmente, la trovata grafica più efficace della loro carriera rimane l’immagine dei megafoni nel deserto, ideata da Martyn Atkins per "Music For The Masses".

    Senza dubbio, l’aspetto più affascinante delle band di successo riguarda la dinamica che intercorre fra i vari membri. I Depeche Mode hanno adottato un sistema piuttosto singolare, che prevede la presenza di un membro della band che non ha apportato un contributo significativo a livello musicale, Andrew Fletcher. I vari membri della formazione non abitano più nemmeno nella stessa zona, dal momento che ‘Fletch’ abita a Londra, Gore risiede a Santa Barbara (dove si trasferì pochi mesi dopo che estranei irruppero nella sua casa di Harpenden; un’esperienza piuttosto drammatica, dal momento che sia lui che la sua famiglia erano presenti nell’abitazione), e Gahan si è trasferito da Los Angeles a New York. Questo è anche il movente principale del presente libro, che cerca di illustrare i rapporti professionali e personali fra Martin Gore, Dave Gahan, Andrew Fletcher, Alan Wilder, Vince Clarke, ed il loro ‘mentore’ Daniel Miller, che ha significato tantissimo per la band. Ovviamente il legame delicato e tacito che intercorre fra l’autore principale Gore, e il cantante Gahan, è alla base di molte delle canzoni migliori. Tuttavia, il ruolo non-musicale di Fletcher è altrettanto importante, poiché agisce da complemento rispetto alla personalità refrattaria ai confronti di Gore, che non sarebbe in grado di funzionare in maniera creativa in un rapporto dualistico con Gahan o sicuramente Alan Wilder, durante i suoi 13 anni con la band. Sia Alan che Daniel Miller sono stati fondamentali nel rendere comprensibili i lavori più intimistici dei Depeche Mode, ma vorrei anche ringraziare ‘Fletch’ per le serate trascorse a colmare le mie lacune, e Martin per avermi rifaxato questionari zeppi di domande. Entrambi sono stati estremamente preziosi per la verifica di alcuni dati e per le occasionali rivelazioni riservate. Il mio ringraziamento inoltre va a Ben Hillier, Knox Chandler, Dave McCracken e Ken Thomas, per l’aggiornamento fornitomi riguardo alle ultime attività della band, ed in particolare il ruolo di Ben come produttore di "Playing the Angel. Desidero inoltre citare i Killers, i Ladytron, i Faint ed i Bravery, tutti fan dei Depeche Mode, che mi hanno aiutato a preparare uno speciale per la rivista Q intitolato: Depeche Mode and the story of electro-pop", pubblicato nel Gennaio 2005.

    Sono ancora stupito che nessuno abbia mai redatto una biografia prima che io iniziassi la mia, alla fine degli anni ‘90. Ma i Depeche Mode rappresentano ancora una lacuna culturale per molti, soprattutto in Gran Bretagna.

    Nessuna delle persone con cui ho parlato durante la stesura di questo libro ha mai voluto essere citata, ma ho comunque cercato di reperire, per quanto possibile, materiale nuovo. Ciò nonostante, sono in debito nei confronti degli autori e dei giornalisti che mi hanno preceduto ed hanno intervistato la band nel corso degli anni, oltre alle varie pubblicazioni su argomenti pertinenti.

    Ma, soprattutto, il mio personale ringraziamento va agli stessi Depeche Mode, la cui musica ha rappresentato una fonte di ispirazione nel corso degli ultimi 25 anni. Sono un raro esempio di come si possa entrare nel cuore delle persone grazie alle proprie fragilità e, al tempo stesso, essere la band che entusiasma uno stadio di 70.000 persone unite da sentimenti comuni.

    Steve Malins, Londra, Novembre 2005.

    People are people, 1961-80

    Martin Gore era un bambino tranquillo, giudizioso e felice, nato in una famiglia della classe operaia a Dagenham, nell’Essex, il 23 Luglio del 1961. All’epoca, suo nonno ed il suo patrigno lavoravano entrambi nello stabilimento Ford di Dagenham, ma poi quest’ultimo lasciò il lavoro per diventare autista, e si trasferì con il sedicente ‘passivo ed indifeso’ bimbetto e le sue due sorelle, Karen e Jacqueline, a Basildon. La madre di Gore, Pamela, trovò impiego presso una casa di riposo per anziani.

    Da ragazzino ero piuttosto timido dichiara l’arrendevole e sognante autore di canzoni. Avevo pochissimi amici, e trascorrevo la maggior parte del tempo chiuso nella mia stanza a leggere libri di fiabe. Mi ci perdevo, in quelle storie che mi permettevano di vivere in mondi fantastici. Anche a scuola ero poco sicuro di me, e gli insegnanti udivano a malapena il suono della mia voce.

    Gli interessi principali di questo bambino cauto e riservato erano le lingue, per le quali aveva un talento naturale, e la musica: Più o meno all’età di dieci anni scoprii nell’armadio di mia madre i suoi vecchi singoli rock ‘n roll , roba tipo Elvis, Chuck Berry, Del Shannon. Ascoltavo di continuo quei vecchi dischi, e ad un certo punto capii che quella era l’unica cosa che mi interessava, e da quel momento è iniziato tutto.

    A 13 anni, questo neo-convertito fan del glam-rock (amava soprattutto Gary Glitter ed il bizzarro duo americano, gli Sparks) ricevette in dono una chitarra acustica, sulla quale iniziò a trascorrere la maggior parte delle sue serate a studiare accordi, dimostrando di apprendere in fretta. Frequentava ancora la scuola quando scrisse See You e A Photograph Of You, successivamente incise dai Depeche Mode. Perry Bamonte, che negli anni seguenti sarebbe diventato musicista, unendosi poi ai Cure, era compagno di scuola di Gore alla St. Nicholas di Basildon. Era piuttosto introverso dice Bamonte, molto tranquillo e bravo a scuola.

    Gore afferma di aver fatto poca vita sociale notturna fino ai 18 anni - un’etichetta sociale piuttosto piatta, che avrebbe poi recuperato in seguito. A scuola aveva una ragazza, Anne Swindell, la quale aveva precedentemente frequentato un altro compagno di scuola, un ragazzo magro coi capelli rossi, di nome Andrew Fletcher.

    Gore ammette: Probabilmente ero un bambino strano, perché mi piaceva andare a scuola e quella roba lì. Mi sentivo al sicuro a scuola e non volevo andarmene. Giocavo nella squadra di cricket, ed avevo ottimo voti in Francese e Tedesco. Però mi hanno bocciato in Matematica.

    Nel 1979, dopo aver lasciato la St. Nicholas, Gore trovò impiego presso la Clearing Bank di NatWest, in Fenchurch Street, nella City di Londra, non lontano dal luogo in cui l’ex della sua ragazza, ‘Fletch’, lavorava come impiegato, presso la Sun Life Insurance. Martin Gore dichiarò che i colleghi lo maltrattavano a causa della sua giovane età e del suo carattere schivo ed introverso. In questo periodo suonò in un duo acustico, Norman and the Worms, assieme al compagno di scuola Philip Burdett, che poi diverrà un cantante folk nel circuito dei club londinesi. A quanto si dice, i due ex-compagni di scuola si esibirono in una versione folk del tema della serie televisiva degli anni ’60, Skippy the Bush Kangaroo, inclusa nel loro repertorio.

    Tuttavia il loro orientamento musicale virò bruscamente una sera in cui Gore si presentò ad un concerto con un sintetizzatore Moog Prodigy, osservato scrupolosamente da un altro musicista locale, Vince Clarke: Martin arrivò con questo sintetizzatore, e pensai che fosse una trovata geniale. Era uno strumento che non aveva bisogno di amplificatore, lo potevi direttamente collegare alle casse.

    Clarke (nato a Woodford nel 1960) all’epoca cantava nel coro della chiesa e, tramite il gruppo locale della Boys Brigade della parrocchia, aveva conosciuto un altro ex-alunno della St. Nicholas, il già citato Andrew Fletcher. ‘Fletch’ (nato l’8 luglio del 1961) era ancora un bambino quando la famiglia – il padre ingegnere, la madre casalinga, il fratello e le due sorelle – si trasferì a Basildon. Si unì alle Boys Brigade all’età di otto anni, e dichiarò di andare a messa sette sere a settimana: Come Vince rivelerà Fletcher alcuni anni dopo, era un vero cattolico d’assalto!.

    Clarke aveva un carattere piuttosto chiuso e riservato, mentre il suo irrequieto amico amava la vita sociale e giocare a calcio, diventando, alla fine degli anni ’60, un grande fan del Chelsea, in quel periodo la squadra più popolare di Londra. Nonostante Perry Bamonte si ricordi di Fletcher come di un ragazzino piuttosto felice, il giovane cattolico commenta: Ero un pessimista cronico, non riuscivo mai a vedere il lato positivo della vita. Passavo il mio tempo a leggere libri di storia, ed ero convinto che sarei diventato un insegnante.

    Bamonte non ricorda che Fletcher fosse particolarmente interessato alla musica ai tempi della scuola: Immagino che lo fosse, ma non lo dava a vedere. Tuttavia Clarke, che aveva iniziato a suonare l’oboe alle scuole medie, scoprì il pop a 14 anni, anche se non si può dire che fosse roba estrema: Sono stati Simon e Garfunkel a portarmi ad ascoltare musica, credo. Mi avevano molto colpito e li trovavo fantastici! Perciò iniziai a suonare la chitarra acustica; assieme ad alcuni compagni mettemmo su un gruppetto gospel-folk e partecipammo ad un concorso per giovani talenti. A quell’età sei convinto di essere un gran fico, e la chitarra era uno strumento piuttosto semplice da suonare, con cui si poteva creare un bel sound...insomma, pensavamo di essere bravissimi. E quindi ti ritrovi lì seduto a far progetti su come spendere i soldi quando sarai famoso...tutto questo, partendo da un concorso locale per giovani talenti. Ovviamente facevamo schifo, ed alla fine non arrivammo da nessuna parte.

    Quando il punk fece capolino a Basildon, Clarke e Fletcher rispolverarono la loro collezione di album dei Beatles e degli Eagles, e nel 1977 costituirono una band, i No Romance in China. Il gruppo era composto da Clarke alla voce e alla chitarra, Fletcher al basso e, a detta del primo, una di quelle batterie elettroniche Selmer Auto-Rhythm che emettono beat ticchettanti e che puoi poggiare sull’organo di casa. All’inizio suonarono i loro brani preferiti, come "I Like It di Gerry and the Pacemakers, The Price of Love degli Everly Brothers e Then She Kissed Me" di Phil Spector.

    Circa un anno dopo, i loro gusti si saranno incupiti e, con una certa ironia, Clarke diventerà un grande ammiratore della band post-punk The Cure.

    Perry Bamonte fu presente alla loro prima esibizione, che si tenne in un pub di Basildon chiamato il Double Six. Suonarono tre pezzi, fra cui Three Imaginary Boys dei Cure. Subito dopo l’abbandono delle Boys Brigade da parte del diciassettenne Fletcher, un amico si ricorderà di averli visti in una rara apparizione, di fronte ad un gruppo di quattordicenni, al Woodlands Youth Club.

    Dopo un paio di anni i No Romance in China si sciolsero, e Fletcher iniziò a trascorrere le sue serate con la sua nuova ragazza, Grainne. Per un breve periodo Clarke formò un altro gruppo, i Plan, assieme al sempre entusiasta Perry Bamonte, che sarebbe entrato ed uscito da varie band per tutta la vita. Tuttavia Clarke, insoddisfatto da un ruolo comprimario, e mostrando preferenza per la leadership, decise di lasciare il gruppo.

    Ritornò da Fletcher, con cui, assieme a Martin Gore, formò i Composition of Sound. Nella loro primissima formazione, Fletcher fu praticamente costretto a suonare il basso, il che lo portò a chiedere un prestito di 90 £ presso la banca dove lavorava per potere comprarne uno, mentre gli altri due inizialmente suonarono la chitarra. Tuttavia, dal momento che Clarke componeva le nuove canzoni, lui e Gore ritornarono a suonare tastiere Moog e Yamaha. Quando mesi dopo Fletcher fu nuovamente costretto a comperarsi un sintetizzatore, i Composition divennero una band elettronica completamente equipaggiata.

    Dopo il punk ci siamo orientati verso i ‘Kraftwerk’ e gli ‘A Certain Ratio’ ricorda Daryl, il fratello minore di Perry e più giovane di tre anni rispetto a Fletch, Clarke e Gore. Ho sempre considerato il panorama futuristico–pop piuttosto ‘sporco’ e underground, come i primi ‘Human League’ dice Daryl, che iniziò ad armeggiare con gli attrezzi della band in cambio di un passaggio nel loro furgoncino, quando faceva il giro di consegne di giornali a Basildon. "Il loro singolo Being Boiled era piuttosto all’avanguardia, con un sound abbastanza duro. A me piaceva la roba della ‘Some Bizzare’ e di ‘Gary Numan’, che era musica un po’ più dark rispetto a quella che sentivi nelle classifiche".

    Nel 1979 Gary Numan si era imposto come leader ossigenato ed enigmatico dei Tubeway Army, band che si era guadagnata un primo posto in classifica con la criptica e lunare Are ‘Friends’ Electric?. Negli anni ‘70 c’erano pochissime hit di riferimento per la musica elettronica, la più famosa delle quali fu sicuramente il singolo Autobahn dei Kraftwerk, che raggiunse l’undicesimo posto nelle classifiche, nel 1975. Tuttavia Numan consacrerà il proprio ruolo di star del pop-elettronico quando il singolo seguente Cars, pubblicato come solista, raggiungerà la prima posizione nella classifica britannica. Nei tre anni che seguirono otterrà cinque album nei primi tre posti, ed arriverà addirittura a piazzarsi nella Top Ten in America. L’influenza che Numan ebbe su Clarke, Gore e Fletcher fu breve ma significativa, nella misura in cui ebbe dimostrato che un ventunenne ex-punk non professionista poteva arrivare in cima alle classifiche facendo musica elettronica.

    Il mio unico talento musicale consiste nell’arrangiare ‘rumori’, confessa il frontman dei Tubeway Army. Non ero affatto bravo a suonare la chitarra, ed il sintetizzatore era incredibilmente facile da suonare. Anche Gore la pensava allo stesso modo: Per noi il sintetizzatore era uno strumento ‘punk’, una sorta di attrezzo fai-da-te. Credo che, senza accorgercene, iniziammo a fare qualcosa di completamente diverso. Avevamo preso questi strumenti perché erano comodi e pratici. Potevi prendere un sintetizzatore, mettertelo sotto il braccio ed andare a fare il tuo concerto; non aveva bisogno di amplificatore, e quindi potevamo fare a meno di un furgoncino. Dopo un po’ iniziammo ad andare ai concerti in treno. Nei mesi successivi, i Composition cominciarono a seguire gruppi e formazioni elettro-pop più smaliziate e sofisticate, come i Soft Cell e gli Human League, che avrebbero fatto breccia nelle classifiche sulla scia del futurismo scarno dei Tubeway Army.

    Nel frattempo Gore si era unito ad un’altra band locale, i French Look. Il leader del gruppo era un certo Rob Marlow, un personaggio piuttosto noto della scena di Basildon (è uno dei migliori amici di Clarke, e anni dopo avrebbe suonato con un’etichetta di proprietà del futuro Depeche Mode). I suoi amici lo ricordano come un tipo un po’ alla Gary Numan, nel senso che voleva essere il frontman, suonare le tastiere, la chitarra e tutto il resto al medesimo tempo. Con i French Look, Gore suonò la tastiera nelle retrovie assieme un tizio di nome Paul Redman, che si era guadagnato un posto nella band perché possedeva un paio di sintetizzatori ed era abbastanza robusto da portarli in giro.

    Si conoscevano tutti, ma il ragazzo che mixava i suoni durante le prove di un concerto dei French Look alla Woodlands School si rivelò un viso meno familiare – un ex-punk estremamente magro, di nome Dave

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