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La voliera dei pappagalli
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La voliera dei pappagalli

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Le vite agiate e rispettabili di Umberto De Berberis, dei suoi collaboratori e delle loro famiglie vengono sconvolte da una bufera giudiziaria che produce un effetto domino nelle loro esistenze tranquille. Segreti inconfessabili e intrecci inaspettati emergono in quello che sembra apparentemente il normale scenario della media borghesia romana. Storie di amori, solitudini, entusiasmi e tradimenti.

Un romanzo corale, in cui le vicende dei protagonisti si intrecciano per mostrare sullo sfondo la tela dei più grandi sentimenti e dei più pressanti interrogativi dell’esistenza umana.
LanguageEnglish
PublisherYoucanprint
Release dateMar 28, 2014
ISBN9788891137890
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    La voliera dei pappagalli - Anna Maria Balzano

    sera)

    Prefazione

    Dentro la scrittura di Anna Maria Balzano

    di Riccardo Rossiello

    C’è una vecchia canzone che mi ha affascinato sin da ragazzino: L’uomo in frak di Domenico Modugno.

    Quando prestavo servizio di leva presso lo Stato Maggiore dell’Aeronautica, dovevo entrare in ufficio giusto all’alba. Mi capitava spesso, quindi, di attraversare a piedi una Roma ancora immersa nel sonno.

    Fischiettavo quel motivo per dare una colonna sonora degna dello spettacolo a cui assistevo ogni mattina: mentre gli edicolanti tiravano dentro i pacchi di giornali e si preparavano alla loro lunga giornata, mentre i lampioni delle strade si spegnevano, mentre la gente iniziava ad incanalarsi nelle gallerie della metropolitana per andare al lavoro, mentre venivano alzate le saracinesche dei negozi, mentre il profumo del pane fresco iniziava a mescolarsi con quello – ahimè! – dei gas di scarico delle auto.

    Un’atmosfera tanto vicina a quella cantata da Domenico Modugno che più di una volta mi ritrovavo, inconsapevole, a scrutare il Tevere alla ricerca di… un cilindro, un fiore e un frac trasportati dalla corrente.

    L’incipit di questo nuovo libro di Anna Maria Balzano ha fatto riemergere questo mio ricordo. Un’immagine romantica, quasi decadente, che qui però ha un’altra funzione: è il classico avvio fatto per prenderti e non mollarti più fino all’ultima pagina.

    Chi è quell’uomo? Chi tra i protagonisti della storia? Umberto? Marco? Giorgio? Gustavo? Antonio? Cosa gli è successo? È stata una disgrazia? Un omicidio? Un suicidio? Ovviamente lo scopriremo solo all’ultima pagina.

    Recensendo Il viaggio di Emilia, il primo libro di Anna Maria Balzano che ho letto , commentavo: la scrittura è contenuta, priva di sbavature, mai ridondante. Anzi, a volte, vista la brevità dei capitoli, si ha l’impressione che l’autrice si sia imposta di non sviare troppo dalla storia principale e attenersi ai fatti.

    Un’impressione che dopo aver finito La voliera dei pappagalli non solo confermo, ma preciso ulteriormente.

    Nel costruire la storia, nel delineare i personaggi, nel chiarire le loro relazioni, Anna Maria usa una precisione quasi chirurgica. Mi viene da paragonarla a quel pittore navigato che nel dipingere il paesaggio principale lo tratteggia con mano sicura al centro della scena, già convinto di quelli che saranno gli equilibri e gli spazi dell’opera finita, e che solo in un secondo momento passa ad arricchire il suo affresco delineando luoghi, ambienti, ruoli secondari e caratteri.

    Una scelta che mi sento pienamente di condividere perché, vista la relativa brevità della trama e il buon numero di attori che la popolano, trovo sia la soluzione più giusta per evitare che il lettore esca disorientato dall’iniziale spostarsi delle inquadrature: dal presente al passato (più o meno recente) , dal popolare quartiere Tuscolano al borghese Parioli, dal quartiere Prati ai Colli Albani.

    Rispondere alle regole della sintesi e della brevità, però – giusto chiarirlo – non significa che la storia raccontata sia per questo motivo scarna. La voliera dei pappagalli racconta anche disparità sociali, amori e tradimenti, generazioni. Storie di vita.

    Il mio consiglio è di farvi trasportare dal racconto e di non uscirne per tutto il tempo della lettura. È questo il modo più giusto perché un libro non perda nulla della sua efficacia. Qui poi, parliamo di un centinaio di pagine. Non correte il rischio di essere dati per dispersi. Mettetevi comodi e…..buona lettura!

    Riccardo Rossiello, classe 1963, è giornalista professionista. Ha collaborato, tra gli altri, ai settimanali femminili Cosmopolitan e Anna; ha scritto di cinema e televisione (si è diplomato presso il Centro Sperimentale di Cinematografia nel biennio accademico 1985-1987) per numerose riviste specializzate, come Videotecnica e Satellite; di multimedialità e videogames su un altissimo numero di testate di informatica (come Chip e Pc Magazine) e non (come Millionaire e Autosprint); è stato condirettore di Mobile World e autore di monografie dedicate ai videogiochi; si è occupato di high tech per il settimanale L’Espresso e L’Espresso On Line. Ha fatto l’inviato da numerosi festival nazionali ed internazionali di cinema – Cannes, Venezia, Taormina, Mystfest di Cattolica, Nuovo Cinema di Pesaro e Gran Premi di Formula 1. Ha fondato su Facebook, nell’ottobre 2011, L’Isola della lettura : un profilo-progetto dedicato alla lettura e alla scrittura.

    I

    Roma 7 novembre 2005

    Il corpo di un uomo galleggiava lungo la riva del Tevere: il volto immerso nell’acqua, le braccia allungate oltre il capo e le gambe divaricate. Brandelli di vestiti che lo coprivano solo parzialmente, seguivano il movimento leggero delle onde, con un ritmo lento e funereo. Così lo trovò l’uomo addetto alle pulizie del Club Canottieri che si affacciava su quel tratto di fiume. Così lo raccolsero, inerte rifiuto restituito dalle acque, così venne trasportato, anonimo ingombro, all’obitorio, con l’unico scopo di dargli un nome e registrarne la morte, una in più, tra le tante.

    II

    Roma, quartiere Tuscolano –

    fine giugno 2005

    Maria appoggiò la fronte al vetro della finestra della cucina e guardò giù: dal settimo piano il cortile rotondo del grande stabile in cui abitava, sembrava molto più piccolo. A quell’ora non c’era movimento. Erano le due del pomeriggio di una domenica di fine giugno e faceva particolarmente caldo. Un’estate afosa, quella, più degli anni passati.

    Devo pulire questi vetri. – pensò osservando il leggero strato di polvere che li ricopriva. Quindi si voltò verso l’interno della cucina e si guardò intorno: le pareti erano grigie ormai, del candore di una volta non rimaneva che il ricordo.

    Persino il bianco dei piccoli pensili di formica aveva perso la lucentezza originale. Il listello che ricopriva il bordo degli sportelli si era spezzato in più punti e lasciava intravedere il desolante multistrato. Il piccolo tavolo era della stessa formica dei pensili: un piano sottile su quattro gambe di ferro nero scorticato. Le sedie coordinate apparivano di una dimensione eccessivamente ridotta.

    Maria si avvicinò al lavello di porcellana ingrigito dal residuo del calcare, con una sola piccola vasca, nel cui centro una crepa si apriva a ventaglio, come una ferita.

    Le sembrò che ciò che era intorno a lei fosse la mera proiezione di ciò che era dentro di lei.

    Sentì i passi di suo marito Gustavo: si girò e lo vide fermo sulla soglia. Non si era neanche vestito, quella mattina. Lo faceva spesso la domenica: rimaneva con i pantaloni a righe del pigiama, fermati da una fettuccia il cui nodo ricadeva sul ventre appesantito dagli anni, e con una canottiera bianca piuttosto lisa, la barba incolta e i pochi capelli un po’ arruffati sui lati del capo. Almeno un giorno alla settimana voleva prendersela con calma, lasciare che il tempo scorresse senza che lui dovesse corrergli dietro.

    Maria scostò rumorosamente una sedia e fece cenno al marito di sedersi.

    «Preparo il caffè. »

    Gustavo rispose con un mugugno incomprensibile, accolse l’invito e si sedette. Lei prese la piccola caffettiera moka, ricoperta di macchie scure, residuo di caffè bruciacchiato colato giù attraverso la guarnizione consumata, che lasciava ormai filtrare solo la metà dell’acqua. Con gesti lenti, la riempì e la mise sul fornello. Sapeva che ne sarebbe risultata una brodaglia dal lontano gusto di caffè troppo concentrato.

    Appena pronto, riempì due tazzine dal bordo sbreccato, ne porse una al marito, tenne l’altra per sé. Sedette anche lei. Allungò le braccia all’indietro e passò le mani sui glutei, non era la prima volta che realizzava quanto debordassero dal piccolo sedile.

    Una volta non era così. – pensò. Anche il suo corpo si era molto appesantito negli anni, ma Maria sembrava essersi rassegnata al cambiamento.

    Gustavo bevve in un sorso il caffè, quindi con uno sbadiglio rumoroso, si alzò, si avvicinò alla moglie e la baciò sulla fronte. Quanto bastò a Maria per essere investita dal suo alito pesante: fece finta di nulla e accarezzò il viso del marito. Sentì la barba ispida sotto il palmo della mano. No, decisamente non erano più quelli di una volta, eppure nessuno dei due avrebbe potuto fare a meno dell’altro.

    III

    Roma, quartiere Parioli –

    il giorno dopo. Ore 16

    Dalla parte opposta della città, nel quartiere Parioli, al terzo e ultimo piano di una palazzina circondata da un alto muro di recinzione, lungo il quale si alzavano conifere ad alto fusto, alternate a ippocastani dai fiori

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