Domus

Ai margini dell'ordine globale / At the borders of the global order

Le risposte dell'architettura ai disastri provocati dalla globalizzazione in ambito urbano devono passare attraverso una visione della responsabilità collettiva che apre nuove possibilità creative /
Architectural responses to globalisation-driven disasters in the urban environment must contemplate a meaningful vision of collective responsibility in order to open new creative possibilities

Quando voglio ricordare a me stesso i disastri provocati dalla globalizzazione in ambito urbano percorro i 30 isalati che separano casa mia da Hudson Yards, il mega-sviluppo immobiliare nel Westside di Manhattan inaugurato nel 2019: un'inerte accozzaglia di grattacieli per uffici e abitazioni destinati alla classe imprenditoriale globale. L'operazione, parzialmente finanziata con oltre 900 milioni di dollari di agevolazioni fiscali, è un deprimente esempio della monocultura globale, che è stata accuratamente sterilizzata di tutto ciò che questa città rappresentava un tempo: i suoi attriti sociali, la sua mescolanza di paura e di desiderio, la sua tradizione di rifugio per outsider ed emarginati di varia nature. In breve, di tutto ciò che mi ha portato qui 37 anni fa.

Hudson Yards è solo uno tra la miriade di insediamenti analoghi, presenti in tutto il mondo, esempi di una strategia economica da ultima spiaggia sia nei Paesi in via di sviluppo sia nell#39;Occidente liberista. Recentemente, guesta strategia è stata aggiornata con l'introduzione di tecnologie ’intelligenti’ che, stando ai loro sostenitori, renderanno le città più efficienti e sostenibili. Facciamo un esempio: non molto tempo fa, a Toronto, Sidewalk Labs, sussidiaria di Alphabet, la società madre di Google, ha proposto un quartiere di quasi 5 ha sul lungolago con una griglia di sensori che che gli imprenditori immobiliari avrebbero poi utilizzato per perfezionare continuamente la loro visione improntata al marketing (il progetto è stato bocciato in seguito alle proteste degli attivisti locali). In Arabia Saudita, gli operai stanno sgombrando il terreno per la prima fase di un progetto di un insediamento ipertecnologico di 170 km a zero emissioni di carbonio nei Golfo Persico, che prevede case multimilionarie servite da eserciti di robot. Come riportato da , la città, frutto di un'idea del prlncipe ereditario saudita Mohammed bin Salman, dal costo previsto di 510 miliardi di euro, sorgerà su un reimoto sito desertico e sarà monitorata da telecamere a circuito chiuso dotate di tecnologie di riconoscimento facciale molto avanzate, che la renderanno teoricamente immune dai pericoli che affliggono le città tradizionali.

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