Two architectural works in Naples, showing the signs of neglect on their surfaces, bear witness to outstanding technical mastery in designing with concrete. Still today, both buildings convey the visionary power and hand of the “builder of utopias” who designed them
La città di Napoli è un atlante di architetture di ogni epoca che si sovrappongono alle precedenti senza cancellare il palinsesto dei segni leggibili. Ne deriva un linguaggio stratificato che ne costituisce l’unicità. Le opere del Novecento si confrontano necessariamente con la storia, cercando nessi e stacchi. Nel secondo Dopoguerra, sono stati realizzati interventi pregevoli di edilizia residenziale economica con i quali la città partenopea fa il suo ingresso nel dibattito italiano su come rinnovare l’architettura. Luigi Cosenza, che per anni era stata una voce isolata, si ritrova a guidare un gruppo di giovani progettisti alla ricerca di una cifra identitaria storicista e meridionale e, contemporaneamente, di appartenenza ai temi europei. Giri nella città e sfogli il capitolo che inizia nel 1956 e prosegue fino agli anni Sessanta: il rione D’Azeglio a Barra e il rione Cesare Battisti a Poggioreale per l’Istituto Autonomo Case Popolari (IACP) sono tra i progetti più significativi. Gli interventi europei di questa tipologia a cui i napoletani si riagganciano si inserivano nel quadro di una pianificazione generale mentre a Napoli, segnata da un’assenza tutta meridionale di programmazione, le aree venivano reperite più o meno dove fossero disponibili e tutto il carico della qualità ricadeva sulle spalle dei progettisti. La città è scuola di formazione per i nuovi protagonisti degli anni successivi fino alla fine del secolo, già consapevoli della necessità di ricercare un linguaggio personale e contemporaneamente aderente alla tradizione europea, vale a dire ai paradigmi dei maestri. È la generazione di Giulio De Luca,