Domus

L’Arc de Triomphe, Wrapped, Paris, 2021

I progetti pubblici di Christo (1935-2020) e Jeanne-Claude (1935-2009), a partire dai primi anni Sessanta, sono sempre stati imprese titaniche: per le dimensioni ciclopiche, ma anche per la complessità, la quantità di persone e professionalità coinvolte, la mole di materiali, i tempi di progettazione e l’entità dei finanziamenti necessari. Le implicazioni di questo tipo di opere d’arte nello spazio pubblico sono innumerevoli: dalla riattivazione della memoria collettiva, che trova nella cancellazione stessa del monumento un modo per riaccendere l’attenzione su di esso, fino alle riflessioni sulle peculiari modalità di autoproduzione. La coppia, infatti, ha sempre autofinanziato i propri lavori attraverso la vendita dei disegni realizzati da Christo. Non c’è dubbio che gl’interventi pubblici dei due artisti abbiano molto in comune con la pratica architettonica. Come lo stesso Christo ebbe a dire, “ci sono molte similitudini con l’architettura e la pianificazione urbanistica, c’è la necessità di compilare, pensare, proporzionare e mettere insieme i pezzi”. L’idea doveva essere sviluppata e costruita nei minimi dettagli, grazie anche alla collaborazione con professionalità diverse, per diventare quello che definiremmo un piano esecutivo e prendere forma di tessuto polipropilene riciclabile blu argenteo e 3.000 m di corda rossa, è stato visibile per 16 giorni. Non era la prima volta che Christo e Jeanne-Claude intervenivano in modo così importante nel tessuto urbano parigino. Nel 1985, ricoprirono, con quasi 42.000 m di stoffa di poliammide color sabbia dorata, il Pont Neuf sulla Senna, il ponte più antico della città. Anche in questo caso, la genesi risaliva a molto tempo prima, al 1975, e la gestazione fu certamente più lunga della sua stessa vita: dopo dieci anni di lavoro, fu visibile per soli 14 giorni. Imprese come l’impacchettamento dell’Arc de Triomphe o del Pont Neuf devono confrontarsi con il contesto urbano e con le pubbliche amministrazioni per ottenere i permessi necessari, un approccio che, ancora una volta, non si discosta molto dalla prassi costruttiva dell’architettura. Ciononostante, questi interventi pubblici non modellano lo spazio cittadino in modo permanente, la loro temporalità ridotta introduce un momento di irripetibile “gioia e bellezza” (per usare le parole di Jeanne-Claude), prima che tutto torni come prima. Un momento che, a differenza dell’opera d’arte, nessuno può possedere proprio per volontà degli artisti che donavano i loro lavori direttamente alla collettività. Un altro aspetto interessante – e forse meno indagato – accomuna ulteriormente questi interventi all’architettura. Nello spazio pubblico viene meno quella dimensione di riservatezza che, di solito, è svelata solo dopo il completamento dell’opera. Per certi versi, per l’artista, lavorare nello spazio urbano è un po’ come tornare a operare en plein air, come facevano gli Impressionisti proprio per le strade di Parigi. Appropriandosi dello spazio pubblico urbano, Christo e Jeanne-Claude hanno esposto parte del proprio lavoro molto prima dell’esito finale. Questo processo, che richiede l’apertura di un vero e proprio cantiere, richiama l’interesse dei passanti quasi quanto l’opera stessa, a maggior ragione quando si parla di monumenti cittadini dal fortissimo valore simbolico oltre che d’interventi spettacolari. I lavori per l’impacchettamento dell’Arc de Triomphe (iniziati a luglio 2021) sono stati particolarmente suggestivi soprattutto nelle fasi finali. Dopo avere montato le gabbie di protezione attorno al monumento, per poterlo rivestire con il tessuto, è stato necessario fare calare dalla cima dell’arco squadre di persone imbragate che lo fissassero e accompagnassero al suolo. Allo stesso modo, alcuni filmati del 1985 mostrano come i lavori di rivestimento del Pont Neuf abbiano catalizzato l’attenzione degli astanti, che si fermavano attorno al cantiere attratti da professionisti fluttuanti nel vuoto, ma anche dai sommozzatori che dovettero ancorare il rivestimento al ponte, sotto la superficie dell’acqua. Christo e Jeanne-Claude, quindi, scegliendo d’intervenire nello spazio urbano hanno anche deciso di consentire agli osservatori di assistere alla nascita dell’opera nel suo farsi. Come suggeriscono le riflessioni di Germano Celant, gli interventi della coppia, fin dagli esordi, hanno saputo mettere insieme ed . Assistere alla produzione, quasi come fosse un atto performativo, ha probabilmente alimentato l’attesa. Inoltre, ha squarciato quel velo dietro cui si cela il processo creativo e induce erroneamente a immaginare un’anacronistica intimità romantica tra l’opera e l’artista. In questi casi, invece, lo spazio pubblico ha reso pubblico non solo il risultato finale, ma anche la sua costruzione.

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