Realtà aumentata
Augmented reality
Physics and metaphysics of distancing
Ciò che il periodo sospeso del lockdown della scorsa primavera e quello ancora più vago e ambiguo delle fasi successive stanno dimostrando è come le pandemie siano fenomeni “che vanno contro l’urbanizzazione, contro la democrazia, contro la socialità e contro la globalizzazione. Spingono gli esseri umani a reprimere i loro istinti, per sopravvivere e per proteggere le loro comunità”, come hanno sottolineato Justin Paul Ware, Jorge Lobos ed Eleonora Carrano in una lettera aperta del gruppo del master Emergency & Resilience, di IUAV e UniSS.
Da qualunque parte si osservi la situazione, la questione è chiara: architettura e pandemia non possono dialogare. L’architettura serve per fare incontrare le persone, le misure adottate per contenere il virus per non farle incontrare. Partendo da questi presupposti, non è possibile parlare veramente di architettura post-Covid-19. Non c’è una risposta che l’architettura possa dare alla domanda sollevata da un problema che si colloca esattamente agli antipodi dei suoi fini più generali. È senz’altro vero,
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