Domus

Autobiografie ambientali

Environmental autobiographies

By choosing to work with perishable materials that lack any character of immortality, Fischer and Schwitters reveal the passing of time and remind us that both nature and art are involved in a continual process of construction and deconstruction

Nell’immaginario comune, l’opera d’arte è un’entità al di fuori o, addirittura, al di sopra del tempo. Si tratta di qualcosa che sopravvive al proprio autore, continua a parlare ai posteri e a cui attribuiamo un’aura di eternità. Sappiamo, però, che il tempo scorre anche per le opere.

Al di là delle modificazioni subite dai manufatti del passato che hanno attraversato la storia per arrivare fino a noi, vi sono nella contemporaneità lavori in cui il cambiamento che si costruisce nel tempo fa integralmente parte della vita dell’opera stessa e, in alcuni casi, è concepito dall’autore come un elemento fondante. Alcuni, infatti, sono in continua trasformazione, consapevolmente innescata dagli artisti stessi.

Tra queste, le sculture di cera di Urs Fischer (Zurigo, 1973) sono certamente uno degli esempi più interessanti e suggestivi. La vita di questi lavori, dal loro concepimento fino alla loro fisionomia finale, è parte dell’opera stessa. L’artista, infatti, realizza rappresentazioni a tutto tondo munite di stoppini, esattamente come candele gigantesche che, una volta esposte, vengono accese, attivando il processo di scioglimento della materia, che prosegue senza sosta per tutta la durata dell’esposizione. In questo modo, le sculture finiscono per perdere le proprie connotazioni figurative, lasciando dietro di sé degli oggetti informi. Sebbene l’opera d’arte sembri autodistruggersi, è più . Ciò che viene meno, infatti, è l’apparenza iniziale della rappresentazione, mentre ciò che resta, come spiega molto bene Cristina Baldacci in uno studio sull’opera, sono le rovine, “un ammasso informe di cera colata” , modellata dalle fiamme. Alla 54. Biennale di Arte di Venezia, nel 2011, Urs Fischer espone Untitled, una riproduzione in cera e a grandezza naturale del Ratto delle sabine di Giambologna (monumento manierista situato in piazza della Signoria a Firenze), accanto alle rappresentazioni (sempre in cera) della propria sedia di lavoro (una sorta di autoritratto) e del ritratto scultoreo dell’amico artista Rudolf Stingel (interpretato come un alter ego). Attraverso queste sculture, che ancora Baldacci definisce performative, l’artista “ci mostra concretamente il passare del tempo (il tempo della vita, del lavoro, della mostra stessa), ci ricorda in che misura sia la natura (il corpo) sia l’arte (la statua) sono coinvolte nel processo di costruzione e decostruzione” . Quest’opera, che può essere riproposta all’infinito poiché riprodotta con metodi seriali, è attualmente riesposta al pubblico e si consumerà fino a dicembre 2021 davanti agli occhi dei visitatori del nuovo spazio parigino della Bourse de Commerce (sede della Collezione Pinault, inaugurato nel maggio di quest’anno).

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