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LONDON

C’era curiosità e attesa sulle passerelle londinesi per queste prime sfilate dopo il voto che ha portato la Gran Bretagna fuori dall’Unione Europea. Era legittimo chiedersi che influenza avrebbe avuto la Brexit sulla moda, non considerando solo il mercato ma anche le idee messe sul piatto dalle Maison dopo un tale scossone. È noto che a Londra la maggioranza della popolazione era a favore del “remain” così come lo sarà stata la quasi totalità dei designer, ben consapevoli che di cui la capitale inglese è sempre stata regina. In questo quadro, alcuni stilisti hanno scelto di rifugiarsi in un benché rivisitato. Come ha fatto J.W.Anderson che si è lasciato ispirare da Enrico VIII, in un certo senso antesignano della Brexit, a cui si deve la fondazione della Chiesa Anglicana come alternativa indipendente da quella di Roma. Di quel periodo lo stilista ha preso elementi come le e i , stravolgendoli con le sembianze di salsicciotti oppure gli abiti dalle e un cenno di sul petto o ancora le giacche e le camicie che nella lavorazione delle maniche, nelle e nel citano gli indumenti del monarca. Ma Anderson non è il solo che guarda all’immaginario di quel periodo fatto di nelle camicie e nei capospalla, di che scorrono sui colli e sulle scollature arrivando alle gambe, e di abbondanza di . La camicia chiusa col e le giacche che sembrano di Burberry sono immerse nell’Orlando di Virginia Woolf che contamina anche il . In questo clima ci si discosta poco dalla , non si registrano signifi cativi elementi di rottura e, tra le tante citazioni, si preferisce andare molto , forse trascurando un po’ il , nato proprio a Londra 40 anni fa, che tuttavia fa timidamente capolino qua e là, come nel di Versus o negli di Christopher Kane. Si tende a nascondere il corpo e a , sono praticamente bandite le trasparenze e la donna si riscopre un po’ più pudica, anche lembi di tessuto come a garantire che l’abito non si sfi li all’improvviso. Anche in Julien Macdonald, che veste una donna più sexy, il gioco della non è urlato: le sue creazioni rivelano e, anche attraverso l’uso di , risultano addolcite dalla scelta di rendere tutto più nei colori, come se fosse un bagliore nella notte. C’è poca trasgressione in generale e l’irriverenza è più concettuale. Come nel caso di Gareth Pugh che usa la passerella come un palcoscenico su cui sfi lano fi gure ieratiche vestite di nero e oppure avvolte in un impalpabile viola o incastonate in abiti dalle , mettendo in scena la sua visione di decadenza dell’Impero (in questo caso Romano). Guardando a queste collezioni, sembra quasi che di fronte alla minaccia dell’ignoto di ciò che sarà si scelga di rispondere con la bellezza dei . I capi si riempiono di e di , di , stampati o ricamati oppure stilizzati o riprodotti fedelmente. Anche le linee sembrano rigorose e lo sono in certe o nel , nel e nel , che fanno parte della tradizione come il principe di Galles, mentre hanno più ritmo le di Mary Katrantzou che attinge al passato del suo Paese d’origine, riempiendo gli abiti, dalla silhouette piuttosto aderente al corpo, di , di e di . Non si registrano particolari colpi di testa in questo clima che sembra prediligere un abbigliamento ma non per questo meno chic. La donna della Brexit indossa il , non disdegna un , si protegge dalle piogge inglesi con il , preferisce la gonna ai pantaloni ma sembra essersi disamorata della minigonna a dispetto di Mary Quant. Ora che il “leave” ha avuto la meglio si mette comoda e aspetta di capire cosa le riserverà il futuro. E, nell’attesa, indossa un paio di Crocs tempestate di gioielli, una piccola follia che potrebbe diventare una rivoluzione.

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