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STATI UNITI D'EUROPA: AUSPICIO, INCUBO, UTOPIA? VEREINIGTE STAATEN VON EUROPA: WUNSCHBILD, ALPTRAUM, UTOPIE?
STATI UNITI D'EUROPA: AUSPICIO, INCUBO, UTOPIA? VEREINIGTE STAATEN VON EUROPA: WUNSCHBILD, ALPTRAUM, UTOPIE?
STATI UNITI D'EUROPA: AUSPICIO, INCUBO, UTOPIA? VEREINIGTE STAATEN VON EUROPA: WUNSCHBILD, ALPTRAUM, UTOPIE?
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STATI UNITI D'EUROPA: AUSPICIO, INCUBO, UTOPIA? VEREINIGTE STAATEN VON EUROPA: WUNSCHBILD, ALPTRAUM, UTOPIE?

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About this ebook

Das neue Buch Vereinigte Staaten von Europa: Hoffnung, Alptraum, Utopie" ist im Villa Vigoni Editore | Verlag erschienen. Der Sammelband wird herausgegeben von Christiane Liermann Traniello (Generalsekretärin, Villa Vigoni), Matteo Scotto (Wissenschaftlicher Referent, Villa Vigoni) und Julian Stefenelli (Justiziar, Villa Vigoni).Seit Winston Churchills berühmter Züricher Rede im Jahr 1946 hat die Idee der Vereinigten Staaten von Europa den politischen Diskurs nie wirklich verlassen. Jedoch ist man sich hierzu nie ganz einig: mal ist es ein Modell, von dem man sich distanzieren sollte oder will, manchmal scheint es eine Vision, die man anstrebt, und andere sehen diese Vision lediglich in Ermangelung von Alternativen. Der Sammelband beschäftigt sich genau mit diesen Visionen in drei Kapiteln: "Überlegungen zu den gegenwärtigen Staaten", "Europäische Einheit" und "Überlegungen zueiner gemeinsamen politischen Vision des heutigen Europas"
LanguageEnglish
Release dateNov 30, 2020
ISBN9783969530283
STATI UNITI D'EUROPA: AUSPICIO, INCUBO, UTOPIA? VEREINIGTE STAATEN VON EUROPA: WUNSCHBILD, ALPTRAUM, UTOPIE?

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    STATI UNITI D'EUROPA - Christiane Liermann

    Bibliografische Information der Deutschen Nationalbibliothek:

    Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation in der Deutschen Nationalbibliografie; detallierte bibliographisce Daten sind im Internet über http://dnb.d-nb.de abrufbar.

    © Villa Vigoni Editore | Verlag, Loveno di Menaggio 2020

    Tutti i diritti riservati. – Alle Rechte vorbehalten.

    www.villavigoni.eu

    Assistenza editoriale – Redaktionsarbeit: Aglaia Pimazzoni, Manuele Veggi

    Traduzioni - Übersetzung: Daniel Schwahn

    Impaginazione – Satz: Studio Logos

    Stampa – Druck: Grafiche Boffi, Giussano (MB)

    Printed in Italy.

    ISBN (ITA): 978-88-944986-1-5

    ISBN (DE): 978-3-96698-685-4

    Indice/Inhalt

    Prefazione/Vorwort

    Giuliano Amato

    Vorwort/Prefazione

    Christiane Liermann Traniello

    Introduzione/Einleitung

    Diventare sé stessi per essere europei/Selbstwerdung ist der Weg zu einem europäischen Bewusstsein

    Matteo Scotto

    I

    Gli Stati europei: riflessioni su Stati e nazioni nell’Europa di oggi/Die Europäischen Staaten: Überlegungen zu den gegenwärtigen Europäischen Staaten und Nationen

    Lo Stato nell’Unione Europea tra Sovranità e Controllo Una storia di successo, nonostante tutto (1951-2020)

    Beatrice Benocci

    Europe – staying safe together: The need for a common security framework beyond terrorism

    Désirée Biehl

    Quali Stati e quali Nazioni nell’Unione Europea del XXI secolo

    Piero S. Graglia

    Idee d’Europa – Lo spazio europeo e l’ordine globale.

    Giuseppe Grieco

    Trilemma o Dilemma? Governo e Democrazia nell’Unione Europea

    Antonio Padoa-Schioppa

    Nationalism Against Europeanisation: The Challenge of Far-Right Populism for European Democracy.A Comparison of Italy and Germany.

    Ubaldo Villani-Lubelli

    The long Path of Ordoliberalism: Ascent and Decline of a German Ideology

    Olimpia Malatesta

    II

    L’Unità europea: riflessione su come intendiamo rimanere uniti oggi in Europa/Europäische Einheit: Wie wollen wir heute in Europa geeint bleiben?

    What Union Do We Want For A United Europe?

    Michael Gehler

    Interest or solidarity – How to start to (re-)build European unity?

    Eleanor Spaventa

    From the European Union to the United States of Europe:Is It Time to Abolish the Purely Internal Rule?

    Amedeo Arena

    Democrazia e Spazio Politico Europeo alla prova del XXI Secolo

    Bruno Marasà

    La policrisi europea: le ragioni, le conseguenze e le possibili prospettive per l’Unione europea

    Luca Argenta

    Why Supranationality? The Cosmopolitan-Democratic Narrative of European Integration

    Manuel Müller

    United In Limitations: Advancing Integration Short Of Visionary Change

    Daniel Schade

    Karlsruhe e la Corte di giustizia europea: un dialogo forse aspro, ma mai interrotto. A proposito della sentenza PSPP del Bundesverfassungsgericht del 5 maggio 2020.

    Fernando D’Aniello

    III

    La visione europea: riflessioni su quale visione politica condivisa può offrire oggi l’Europa/Europäische Vision: Überlegungen zu einer gemeinsamen politischen Vision des heutigen Europas

    Quale Politica Estera per l’Unione Europea 2019-2024? Crisi e Strategie di Revisione dell’Allargamento

    Maria Giulia Amadio Viceré

    Politicisation As An Opportunity For Leadership: The Juncker Commission

    Robert Stüwe

    Campioni nazionali e protezione della ‘fortezza europea’: vecchie ideologie e nuove sfide per la politica antitrust europea

    Riccardo Haupt

    Strengthening European Democracy: What Measures Should the European Union Take in the Coming Years?

    Sophie Pornschlegel

    Zeitgemäße Institutionen: die Reformen der EU-Verträge seit 2005

    Leonardo Veneziani

    IV

    Appendice/Anhang

    Idee per una nuova Europa: proposte delle nuove generazioni /Ideen für ein neues Europa: Vorschläge der neuen Generationen

    K. Montarsi, D. Salvemini, L. Veneziani (a cura di/Hrsg.)

    V

    Postfazione/Nachwort

    Enrico Mylius e William Penn: cittadini europei ante litteram/Heinrich Mylius und William Penn: europäische Bürger ante litteram

    Giovanni Meda Riquier

    Prefazione

    È ben possibile che il passare dei decenni abbia privato la magica evocazione degli Stati Uniti d’Europa di buona parte del suo significato originario, che prefigurava per noi il medesimo destino delle ex colonie americane, la creazione di uno stato federale come gli Stati Uniti d’America.

    Da un lato, il già lungo percorso attraverso il quale si è snodato il nostro processo di integrazione ci ha consentito - è vero - di irrobustire i tratti della nostra identità europea e di costruire istituzioni sovranazionali dotate di poteri effettivi su tutta l’Unione; ma ha anche messo in evidenza la forza radicata e nodosa delle nostre identità nazionali (incomparabilmente superiore a quella delle ex colonie) e conseguentemente la non rimossa fermezza degli Stati nel difendere per sé ruoli non compatibili con l’integrale trasferimento di tutte le prerogative sovrane a quelle istituzioni.

    Dall’altro lato, l’espansione degli universi di riferimento di tante attività umane ha portato ad assetti di regolazione e di governo sempre più complessi, con la collocazione delle relative funzioni a livelli diversi, rendendo sempre più praticate e diffuse le forme, appunto, di multilevel governance. Assetti plurali, per ciò stesso lontani dal monismo di cui era stata espressione la formazione degli Stati federali, intesa proprio come trasferimento alla nuova entità di tutte le funzioni nelle quali si esprimeva in precedenza la sovranità degli Stati; cosicché era la stessa sovranità a passare dagli uni all’altra.

    Significa questo che quell’espressione – Stati Uniti d’Europa – è ormai desueta, che dobbiamo abbandonarla rinunciando alle aspirazioni che l’europeismo vi ha collocato in tutti questi decenni? Niente affatto, se ed in quanto continuiamo a pensare che non solo l’unione economica e monetaria, ma anche l’unione politica fra di noi è un obiettivo meritevole ed anzi necessario, la realizzazione del quale non esige affatto l’approdo a una costituzione come quella americana, o tedesca, o australiana. E - si noti - questo lo sapevano benissimo gli stessi padri federalisti, a partire da Aliero Spinelli, che lo scrisse esplicitamente. Ciò che gli stava a cuore era un assetto nel quale gli Stati venissero privati dei poteri trasversali – politica militare, politica estera, politica economica e monetaria - di cui si erano avvalsi per farsi la guerra tra loro. Qui doveva subentrare l’Europa, mentre per il resto gli Stati – così Spinelli - avrebbero potuto continuare ad operare come loro aggradava.

    Ebbene, quella che negli ultimi decenni non abbiamo mai smesso di perseguire, vale a dire l’Unione politica, è esattamente questo. E se si tratta di un obiettivo ancora largamente di fronte a noi, è innegabile che, per taluni versi, la politicità della nostra Unione già si è realizzata attraverso l’elezione diretta del Parlamento, i valori comuni, a partire dalla democrazia e dalla rule of law su cui l’Unione stessa è fondata, i diritti riconosciuti ai cittadini europei. Certo, si tratta indiscutibilmente di una incompiuta e questa incompiutezza fa sì che nei momenti non infrequenti di difficoltà – specie in quelli più recenti segnati da una recrudescenza dei nazionalismi - si arrivi a mettere in dubbio il futuro stesso dell’Unione. Ma l’Unione ha sempre smentito queste malauguranti profezie ed anzi è stato proprio in tali momenti che la necessità della sua azione l’ha portata a dotarsi degli strumenti per agire. Era accaduto durante la crisi economico-finanziaria del 2008-2012 ed è accaduto con la crisi del Covid, che per la prima volta nella nostra storia ha portato alla decisione dell’indebitamento comune, ad opera della Commissione, per fronteggiare debiti straordinari comuni.

    È un cammino che potrà proseguire? Gli scritti che seguono ne esaminano le piste principali (sulla scia delle indicazioni di Spinelli) e prefigurano, nell’insieme, una prospettiva positiva. La necessità di più integrazione in taluni ambiti, non solo quello economico e fiscale, ma l’immigrazione, la difesa, la stessa politica estera – per non parlare dell’ambiente sempre più prioritario - è, nonostante i sovranismi, avvertita diffusamente dagli stessi cittadini. E più integrazione in questi ambiti è indiscutibilmente più Unione politica, è più scelte politiche che affideremo al livello di governo europeo, evitando la compresenza di scelte conflittuali, e meno efficaci davanti al mondo esterno, dei nostri Stati nazionali.

    Non so come chiameremo tutto questo via via che verrà accadendo. Sarà sempre Unione Europea, un’unione con un accresciuto nerbo di unità politica. Ma se arriverà ad averlo, un nerbo siffatto, molto, moltissimo sarà debitrice di coloro che hanno tenuto in vita il sogno degli Stati Uniti d’Europa.

    Giuliano Amato

    Vorwort

    Es ist durchaus möglich, dass sich im Laufe der Jahrzehnte die „magische Wirkung verloren hat, die die Formel von den „Vereinigten Staaten von Europa anfangs besaß. Anfangs bedeutete sie, dass wir denselben Weg gehen würden wie die ehemaligen Kolonien in Amerika: hin zur Schaffung eines föderalen Staates wie in den USA.

    Nun stimmt es schon, dass uns der lange Weg, den der europäische Integrationsprozess de facto gegangen ist, auch gestattet hat, bestimmte Komponenten der europäischen Identität stärker zu machen und supranationale Institutionen zu schaffen, die echte Macht über die gesamte Union ausüben; zugleich aber hat er gezeigt, wie stark und vertrackt unsere nationalen Identitäten sind (welche ungleich stärker als diejenigen der ehemaligen Kolonien in den USA sind). Der Prozess hat deutlich gemacht, dass die Staaten absolut gewillt sind, eigene Positionen zu verteidigen, die sich nicht mit der vollständigen Übertragung sämtlicher souveräner Rechte an die europäischen Institutionen vertragen.

    Zugleich haben sich die Bereiche vervielfältigt, mit denen eine Vielzahl menschlicher Aktivitäten miteinander verflochten sind. Dadurch wurden die Regulierungen und Aufsichtsfunktionen immer komplexer. Die entsprechenden Funktionen gehören zu unterschiedlichen Entscheidungsebenen. „Multilevel Governance ist dafür die heutzutage favorisierte und praktizierte Formel. Wir haben es mit pluralen Strukturen zu tun, die kaum mehr etwas mit dem Streben nach Vereinheitlichung zu tun haben, wie sie in der Schaffung des „Staatenbundes zum Ausdruck kam. Damals ging es darum, dem neuen politischen Gebilde sämtliche Funktionen zu übertragen, die zuvor die Souveränität der einzelnen Staaten ausgemacht hatten. Es war also die Souveränität selbst, die von einer Instanz zur nächsten „wanderte".

    Bedeutet das, dass der Begriff „Vereinigte Staaten von Europa überholt ist? Dass wir ihn aufgeben und auf die Erwartungen und Ansprüche verzichten sollten, die die europäischen Befürworter damit jahrzehntelang verbunden haben? Auf gar keinen Fall, wenn und insofern wir weiterhin der Ansicht sind, dass nicht nur die Wirtschafts - und Währungsunion, sondern auch die politische Union ein erstrebenswertes, ja, notwendiges Ziel ist. Wobei dessen Verwirklichung ja durchaus nicht voraussetzt, dass man zu einer Verfassung nach amerikanischem oder deutschem oder australischem Muster gelangt. Es sei daran erinnert, dass die Föderalisten unter den Gründervätern Europas dies sehr wohl erkannt haben; man denke an Altiero Spinelli, der das explizit formuliert hat. Für ihn war zentral, dass den Staaten deren vernetzte, „transversale Gewalten weggenommen würden: Militär, Aussenpolitik, Wirtschafts - und Geldpolitik, aufgrund deren sie gegeneinander Kriege geführt hatten. An diese Stelle musste Europa treten. Was den „Rest" betraf, sollten die Staaten, so Spinelli, weiter nach Gutdünken verfahren.

    Was wir in den vergangenen Jahrzehnten zu konstruieren versucht haben, was genau dies: die politische Union. Zu großen Teilen gilt es, dieses Ziel noch zu erreichen; aber es ist auch richtig, dass die „Politisierung der Union in mancherlei Hinsicht bereits Wirklichkeit geworden ist: durch die direkten Wahlen zum Parlament, die gemeinsamen Werte, von der Demokratie zur „Rule of Law, auf denen die Union basiert; sowie die Rechte, die den europäischen Bürgern zuerkannt werden. Gewiss, das ist zweifellos noch unvollständig, und es ist diese Unvollständigkeit, die dazu führt, dass in den nicht gerade seltenen schwierigen Zeiten - besonders in der jüngsten Zeit, in der sich die Nationalismen wieder massiv zu Wort melden - die Zukunft der Union als solche in Frage gestellt wird. Aber die Gemeinschaft hat solche unheilvollen Prophezeihungen noch immer Lügen gestraft; im Gegenteil haben in solchen Momenten Dringlichkeit und Notwendigkeit ihres Eingriffs dazu geführt, dass sie sich neue Instrumente zugelegt hat, um agieren zu können. So war es in der Wirtschafts - und Finanzkrise 2008-2012, und so war es erneut in der Covid-Krise, die zum ersten Mal in unserer Geschichte zur Entscheidung zugunsten einer gemeinsamen Schuldenaufnahme durch die Kommission geführt hat, um ausserordentliche alle betreffende Schulden zu schultern.

    Ist das eine mögliche Entwicklung, die man so weiterführen kann? Die Beiträge dieses Sammelbandes untersuchen (gewissermaßen auf Spinellis Spuren) dazu die Hauptwege und gelangen, alles in allem, zu einer positiven Perspektive. Es besteht die Notwendigkeit zur einer verstärkten Integration in einer Reihe von Politikfeldern, auch jenseits von Ökonomie und Geldpolitik: Immigration, Verteidigung, gewiss auch Außenpolitik, von Umweltpolitik, die immer dringender wird, ganz zu schweigen. Allen Souveränitätsideologien zum Trotz wird diese Notwendigkeit von den Bürgern wahrgenommen. Mehr Integration in diesen Bereichen bedeutet fraglos auch mehr politische Union, mehr politische Entscheidungen, die wir der Ebene einer „europäischen Regierung" übertragen, wobei wir versuchen müssen zu vermeiden, dass es zu konflikthaften (und gegenüber den außereuropäischen Ländern ineffizienten) Entscheidungen auf der nationalstaatlichen Ebene kommt.

    Ich weiß nicht, welchen Namen wir dem Ganzen geben sollen, das da schrittweise entsteht. Immer wird es die „Europäische Union sein, eine Union, in der das gemeinschaftlich-politische Rückgrat stärker wird. Wenn das so kommt, wenn es diese starke politische Einheit geben wird, dann verdankt sie denjenigen, die an dem Traum von den „Vereinigten Staaten von Europa festgehalten haben, wirklich sehr viel.

    Giuliano Amato

    Vorwort

    In den Zeiten der globalen Pandemie haben die Europäer gelernt, so glaube ich, die Planungsgewißheit, die (nicht weniger als die Kontingenzerfahrung) ein wichtiger Teil ihres kulturellen Erbes ist, zu relativieren und bescheidener zu werden. Das neue (wiedergewonnene?), quasi metaphysische Bewusstsein, dass buchstäblich von einem Tag auf den anderen Alles anders kommen kann, als wir es gewohnt waren, lässt uns die Vorläufigkeit politischer Diagnosen stärker als zuvor spüren. Im Sinne dieser neuen Behutsamkeit, des Herantastens an politische Befindlichkeiten, die sehr fluide und mehr denn je stimmungsabhängig zu sein scheinen, läuft jeder Versuch einer Standortbestimmung Gefahr, schon morgen überholt zu sein. Aber gerade Europa bedarf der Standortbestimmung, der Selbstvergewisserung, immer aufs Neue, im permanenten Austausch unter den Europäern. Es mag schrecklich eurozentrisch klingen, aber mir scheint, dass wenige politische Gebilde im globalen Maßstab so sehr um ihre „Identität" ringen wie Europa.

    Lässt sich die Union der Europäer als „Vereinigte Staaten" bezeichnen? Stellen die USA, an die man bei dieser Bezeichnung, seit sie in der Welt ist, selbstverständlich denkt und denken soll, das Modell dar, welches die Europäer zur Imitation einlädt oder eher abschreckt?

    Das vorliegende Buch beschreibt viele verschiedene Facetten des europäischen Einigungsprozesses und enthält zahlreiche Deutungen dieses Wegs, so dass es vermessen wäre, hier ein Resümee der Beiträge zu versuchen. Ein gemeinsamer Nenner lässt sich gleichwohl ausmachen: Das Schlagwort von den „Vereinigten Staaten von Europa" ist der Versuch, die Europäische Union irgendwie mit Hilfe halbwegs vertrauter Modelle zu definieren, sei es ablehnend, sei es zustimmend.

    Aber hier offenbaren sich auch gleich die Hauptprobleme: Welche politischen und kulturellen Vorstellungen verbindet man eigentlich mit den Vereinigten Staaten von Amerika, wenn man sie zum Vorbildmodell für Europa oder zur Abschreckung nimmt? Wenn, wie zuletzt, immer wieder der Hamilton-Moment angerufen wird, so liegt der Akzent offenbar auf Fragen des Bundeshaushalts einer imaginierten Föderationszentrale im Verhältnis zur mehr oder weniger großen Fiskalautonomie der einzelnen Bundesstaaten.

    In der Pandemieerschütterung lag der Akzent aber woanders: auf der „Solidarität, welche die in einer Union verbundenen Mitglieder einander schuldeten. Weiter gefragt: Taugen die USA als Modell für Europa, wenn von der „Identität des europäischen Gemeinwesens (Voraussetzung von Solidarität), von gemeinsamen Traditionen, vom gemeinsamen Rechtsverständnis die Rede ist?

    Ich glaube nicht.

    Jedenfalls so lange nicht, wie es keine öffentliche europäische Diskussion darüber gibt, was überhaupt mit solchen hochpolitischen, leicht instrumentalisierbaren Leitbegriffen wie „Solidarität, „Identität oder „Souveränität oder eben „United States gemeint ist. Natürlich lässt sich dabei kein Konsens produzieren; aber vielleicht lässt sich die Sensibilität dafür fördern, dass Diversität der Ansichten hierzu eine europäische Stärke ist und keine Unterminierung Europas. Auch wenn es heute angesichts mächtiger Angleichungspolitiken manchmal anders erscheinen mag: Aber der europäischen Tradition sind Homogenitätsdoktrinen eigentlich eher fremd. Daher sollten die Europäer, glaube ich, auch weniger Phobien gegen ein Europa der zwei (oder mehr) Geschwindigkeiten hegen - wobei das natürlich eine politisch ungeschickte Ausdrucksweise ist (denn wer will schon freiwillig zu einer langsamen Gruppe gehören?). Mir wäre es sympathischer, auf ein Europa der „bewussten Diversität" hinzuwirken.

    Die Beiträge des vorliegenden Bandes, so scheint mir, stützen meine Skepsis hinsichtlich der Implikationen des Programms „Vereinigte Staaten von Europa. Die Europäer sind als Union etwas Neues, „sui generis, etwas Mutiges, so wie es die USA 1776 waren, als sie ganz bewusst alle alteuropäischen Vorbilder abgeschüttelt und sich der Last der politischen Traditionen entledigt haben. Historisch-genetisch argumentiert: die USA sind eine Gegen-Gründung. Das ist ihr spirit. Ihre Ideologie entlehnten sie der griechisch-römischen Antike, aber sie wollten keine koloniale Fortschreibung Europas sein. Gegen wen oder was wollte sich eigentlich die EU gründen?

    Wenn überhaupt, dann sollte meines Erachtens die Analogie bezüglich des Gründungsstolzes betont werden: Wir schaffen für uns etwas zuvor nie Dagewesenes. Von daher halte ich auch die (viel zu schnell und oberflächlich ad acta gelegte) Ablehnung der „europäischen Verfassung" durch die Referenden in Frankreich und den Niederlanden 2005 für ein wichtiges, aber unterschätztes Signal, dass die europäischen Souveräne etwas anderes wollen als das schon Bekannte.

    Es gibt auf Youtube großartige Lehrvideos von jungen „Dozenten zum Für und Wider einer Vorstellung von Europa in der Gestalt von „Vereinigten Staaten. Sie zeigen, dass die Formel der „Vereinigten Staaten von Europa zu stark „vorbelastet und traditionsbehaftet ist, um die innovative, absolut einmalige Qualität der EU zum Ausdruck zu bringen, und sie zeigen auch, wie ich finde vorbildlich, dass es bei allen kulturellen, aber eben auch bei den politischen Integrationsentscheidungen immer um den Abgleich von Anschauungen, Narrativen, von gegenseitigem „Story-telling" gehen muss.

    Ein markantes Beispiel der letzten Zeit war das italienische „Story-telling" zu der Bemerkung der Präsidentin der Europäischen Zentralbank Christine Lagarde im März 2020, es sei nicht Aufgabe der EZB, der Zinsdifferenz zwischen Bundesanleihen und italienischen Staatsanleihen entgegenzuwirken. Während sich ihre Feststellung für deutsche Ohren als völlig neutrale Aufgabenbeschreibung anhörte, wurde ihre Bemerkung von den italienischen Medien als böser Angriff auf Italien präsentiert.¹ Die Medien in den verschiedenen europäischen Staaten schienen über komplett unterschiedliche Sachverhalte zu berichten, so groß war die Distanz.

    Einer der prominentesten italienischen Kommentatoren zu europäischen Fragen (Sergio Fabbrini, in der Wirtschaftstageszeitung Il Sole24Ore) hat daran erinnert, dass ein ur-europäisches Problem der Spagat zwischen Eliten-Diskurs und „volkstümlichen (bitte um Pardon für den antiquierten Ausdruck!) Europa-Erzählungen ist, zwischen denjenigen, die die europäischen Mechanismen konstruieren und verstehen (das ist die „politische Deutungskultur, nach Karl Rohe), und denjenigen, für die die politische Partizipation in einem überschaubaren, konkreten Raum entsteht, dessen Sprache man spricht („Soziokultur). Die USA haben eine gemeinsame Sprache, die Europäer nicht. Aber Parlament heißt „parlare: Der Souverän benötigt das Medium der Sprache zur politischen Willensbildung. Vielleicht eignet sich eher die Confoederatio Helvetica als Modell für die Europäer?

    Im vorliegenden Band nennt Manuel Müller drei klassische Narrative zur Legitimation - nicht Europas wohlgemerkt, welches keine Legitimation benötigt!, sondern der Europäischen Union: das „Friedensnarrativ; das „Wohlstandsnarrativ und das „Selbstbehauptungsnarrativ. Vielleicht kommen sich die Europäer ein Stückchen näher, wenn sie Wege und Instrumente erfinden, einander ihre nationalen (und regionalen und lokalen) Geschichten besser zu erzählen; wenn sie sich Mühe geben, den Partnern die Traditionen und das „Rationale ihrer eigenen Einstellungen und Werturteile zu vermitteln, damit man sich darüber tatsächlich auf Augenhöhe austauschen kann.

    Christiane Liermann Traniello

    < Eine Ausnahme in: https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/03/20/christine-lagarde-ha-torto-o-ragione-sullo-spread/5742306/

    Prefazione

    Al tempo della pandemia globale gli europei hanno imparato, così mi sembra, a relativizzare la certezza della progettualità che (non meno della sensibilità per le contingenze) è una parte importante della loro eredità culturale, e a diventare più modesti. La nuova (ritrovata?) consapevolezza, quasi metafisica, che letteralmente da un giorno all’altro tutto può svolgersi in modo diverso da quello a cui eravamo abituati ci fa sentire più fortemente la precarietà di ogni diagnosi politica. Nel senso di questa nuova cautela, di questo prudente approccio alle sintomatologie politiche che sono molto fluide e sembrano dipendere più fortemente che mai dagli stati d’animo, ogni tentativo di definire una precisa posizione attuale rischia di essere superato già all’indomani. Ma proprio l’Europa ha bisogno di una definizione della sua posizione, di un’autoidentificazione, sempre di nuovo, in uno scambio permanente tra gli europei. Potrà sembrare terribilmente eurocentrico, ma a me pare che poche entità politiche a scala globale si sforzino così come l’Europa di attingere ad una propria identità.

    Si può chiamare Stati uniti l’Unione degli europei? Rappresentano gli USA (ai quali evidentemente si pensa e si è invitati anche a pensare da quando esiste la formola degli Stati uniti d’Europa) il modello che sollecita gli europei all’imitazione o viceversa al rifiuto?

    Il presente volume descrive molti e svariati aspetti del processo europeo di integrazione e comprende numerose interpretazioni di questo cammino tanto che sarebbe presuntuoso tentare qui un riassunto dei contributi che lo compongono. Un comun denominatore si può tuttavia identificare: la formula degli Stati uniti d’Europa rappresenta il tentativo di definire l’Unione europea con l’aiuto di un modello in qualche modo familiare, sia nell’approvazione, sia nel rifiuto.

    Ma qui vengono a galla subito alcuni problemi principali: quali sono le idee politiche e culturali che si collegano agli Stati Uniti d’America quando li si pongono come modello per l’Europa o come deterrente? Se, come è successo di recente, ci si richiama ripetutamente al momento Hamilton, allora l’accento cade in misura preminente su questioni di bilancio federale di un’istituzione centrale ancora immaginata/immaginaria della federazione in rapporto con l’autonomia fiscale più o meno estesa dei singoli stati membri.

    Durante la grande scossa provocata dalla pandemia, invece l’accento venne ad investire un altro campo: la solidarietà che i soci legati in un’unione si devono reciprocamente. Si potrebbe poi avanzare un’altra domanda ancora: gli USA possono prestarsi come modello per l’Europa quando si pensa all’identità della collettività europea (condizione di solidarietà), a tradizioni comuni e ad un’idea condivisa di diritto?

    Non lo credo.

    Almeno non fin quando non nasca una discussione pubblica europea su cosa si intende con termini chiave dodati di così alta tensione politica e facilmente strumentalizzabili come sono appunto solidarietà, identità, sovranità, oppure Stati Uniti. Certamente non sarà possibile arrivare ad un unanime consenso in questa materia. Ma forse si potrebbe promuovere la presa d’atto tra gli europei che la diversità delle opinioni in merito rappresenti un loro lato forte, non una minaccia o un elemento di disfattismo.

    Anche se al giorno d’oggi, viste le potenti politiche tendenti ad una sempre maggiore uguaglianza tra i cittadini, può apparire un’affermazione fuori posto: ma in fondo le dottrine che mirano all’omogeneità sono piuttosto estranee alla tradizione europea, motivo per cui, secondo me, gli europei dovrebbero essere meno spaventati dal concetto di un’Europa dalle due (o più) velocità - tenendo tuttavia presente che questo modo di dire è infelice (chi di sua spontanea volontà sceglierebbe di appartenere al gruppo più lento?). Un’Europa della diversità consapevole, ecco un obiettivo più simpatico, più facilmente digeribile.

    I contributi del presente volume, mi pare, sostengono il mio scetticismo riguardo le implicazioni del programma per gli Stati uniti d’Europa. Come unione gli europei rappresentano qualcosa di nuovo, sui generis, qualcosa anche di coraggioso come lo erano gli Stati uniti d’America nel 1776 quando convintamente si staccarono dai modelli della vecchia Europa, liberandosi dal peso delle sue tradizioni politiche. Per addurre degli argomenti storico-genetici: nel caso degli USA si trattò di una creazione contro qualcosa, ecco il loro spirito fondativo. Trovarono le fondamenta della propria ideologia indirettamente nell’antichità greco-romana (e direttamente nella cultura politica settecentesca), ma rifiutarono di essere la continuazione coloniale dell’Europa. Ma l’Unione europea, contro chi o contro cosa si volle creare?

    Se un’analogia c’è, a mio avviso riguarda piuttosto il (giustificato) orgoglio per la nuova invenzione: stiamo creando per noi qualcosa mai visto prima. Su questo sfondo considero anche un segnale importante, ma sottovalutato (e messo da parte troppo rapidamente e superficialmente) il rifiuto di una costituzione europea tramite i plebisciti del 2005 in Francia e nei Paesi Bassi - un segnale della volontà del sovrano europeo di creare qualcos’altro rispetto al già conosciuto.

    Sul canale Youtube si trovano dei video didattici impressionanti, con dei giovani docenti che discutono i pregi e i difetti di un’idea dell’Europa nella forma di Stati uniti. Dimostrano che la formula degli Stati uniti d’Europa porta comunque con sè un carico ingombrante, una tradizione troppo pesante per poter esprimere in pieno la qualità innovativa, singolare dell’Unione europea; e fanno anche capire (a mio avviso, in modo convincente) che in fin dei conti, quando si affrontano le decisioni culturali e anche politiche verso l’integrazione, si tratta pur sempre di un confronto di visioni, di narrazioni e di un reciproco story-telling.

    Un esempio clamoroso degli ultimi tempi è stato lo story-telling italiano in merito ad un’osservazione della presidente della Banca Centrale Europa, Christine Lagarde, del marzo 2020, quando sostenne non essere compito della BCE di impegnarsi attivamente per correggere lo spread tra Bund federali e Bot italiani. Mentre per un orecchio tedesco tale affermazione della presidente appariva come una descrizione ovvia e neutrale delle funzioni della Banca Centrale, i media e il mondo politico italiani nella grande maggioranza considerarono la stessa frase come un vile attacco all’Italia, o come minimo una imperdonabile gaffe.¹ I media nei vari stati europei ne parlarono come se si trattasse di episodi totalmente diversi: la distanza tra le percezioni ed interpretazioni fu abissale.

    Uno dei più noti commentatori italiani sulle vicende europee è Sergio Fabbrini (sul Sole24Ore). Fabbrini ricorda un problema classico dell’Europa: lo scarto tra un discorso delle élites e le narrazioni popolari intorno all’Europa, cioè tra coloro che costruiscono e comprendono i meccanismi europei (per usare un’espressione del politologo tedesco Karl Rohe, si tratta della cultura politica delle interpretazioni) e coloro per cui la partecipazione politica nasce in uno spazio concreto, identificabile, e con un linguaggio comune (secondo Rohe è la cultura sociale). Gli USA hanno una lingua comune, gli europei no. Ma parlamento significa parlare: il sovrano ha bisogno del mezzo della lingua per formare ed esprimere la sua volontà politica. Forse sarebbe piuttosto la Confoederatio Helvetica a fare da modello per l’Europa?

    Nel presente volume Manuel Müller elenca tre narrazioni classiche di legittimazione - nota bene: non dell’Europa, che non ne ha bisogno, ma dell’Unione europea: la narrazione della pace; la narrazione del benessere e quella dell’affermazione come un importante protagonista globale.

    Forse gli europei riusciranno ad avvicinarsi un po’ di più gli uni agli altri se inventano vie e strumenti per raccontarsi meglio reciprocamente le proprie storie (nazionali, ma anche regionali e locali), se si impegnano di comunicare ai partner le tradizioni e il razionale dei propri costumi, atteggiamenti e giudizi, in modo da poter interloquire guardandosi negli occhi da pari.

    Christiane Liermann Traniello

    < Un’eccezione in: https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/03/20/christine-lagarde-ha-torto-o-ragione-sullo-spread/5742306/

    Introduzione

    Diventare sé stessi per essere europei

    Matteo Scotto

    «Lo duca e io per quel cammino ascoso

    intrammo a ritornar nel chiaro mondo;

    e sanza cura aver d’alcun riposo,

    salimmo sù, el primo e io secondo,

    tanto ch’i’ vidi de le cose belle

    che porta ’l ciel, per un pertugio tondo.

    E quindi uscimmo a riveder le stelle.»

    Dante Alighieri, Divina Commedia, Inf., XXXIV, 134-140

    Il titolo Stati Uniti d’Europa: auspicio, incubo, utopia? potrebbe trarre a prima vista in inganno, immaginando di trovarsi di fronte al tentativo – l’ennesimo – di comprendere in che modo l’Europa debba ispirarsi al modello di federazione nordamericana. Chi spera di soddisfare con il presente volume tale curiosità, sarà deluso, poiché le ricerche che qui si presentano non hanno come scopo quello di contribuire alla ricca letteratura di politologia comparata tra Unione europea e Stati Uniti d’America.¹ L’intento di questo libro non è difatti quello di guardare altrove, agli altri, nonostante l’alterità sia spesso stata per gli europei specchio della propria identità. Vi sono tuttavia momenti in un percorso formativo e educativo, e ciò vale tanto per gli individui quanto per le società, in cui occorre fermarsi e guardarsi anzitutto dentro, per avviare un non più derogabile processo di individuazione, così come l’avrebbe definito Carl Gustav Jung: «Il concetto di individuazione ha nella nostra psicologia una parte tutt’altro che trascurabile. L’individuazione è in generale il processo di formazione e di caratterizzazione dei singoli individui, e in particolare lo sviluppo dell’individuo psicologico come essere distinto dalla generalità, dalla psicologia collettiva. L’individuazione è quindi un processo di differenziazione che ha per meta lo sviluppo della personalità individuale».²

    Al centro dell’analisi, volta a fare chiarezza a partire dall’uomo interiore, per dirla con Sant’Agostino, sono l’Europa e gli europei, al contempo soggetto e oggetto dell’indagine. Va sottolineato come l’individuazione non abbia la finalità della marginalizzazione o dell’isolamento, bensì consista in una assidua ricerca di una via individuale di autocomprensione entro l’insieme di norme collettive e di differenziazione rispetto a una collettività. Una ricerca di sé e su di sé lunga, tortuosa, non priva di rischi e dagli esiti incerti, diventata tuttavia imprescindibile per la sopravvivenza stessa della civiltà europea. Il ‘900 è stato per l’Europa un secolo buio, che ha visto il continente agire sullo scenario globale o come protagonista al negativo, in quanto culla di un estenuante periodo di guerre mondiali, o assente, ammaestrata per via diplomatica, militare e economica dalle potenze vincitrici, e in particolare, sul fronte occidentale, dagli Stati Uniti d’America e dalle organizzazioni internazionali da essi governate. Uno scudo protettivo sotto il quale gli europei si sono volontariamente o inconsciamente nascosti per decenni, all’ombra di un mondo che nel frattempo mutava radicalmente i suoi equilibri: cadeva il muro di Berlino, la globalizzazione entrava di prepotenza nelle nostre società, vecchie potenze mondiali tramontavano e di nuove ne nascevano. Adagiati in una zona di confort, ingenui come l’infante di fronte al volere del padre, l’Europa si è svegliata di soprassalto in età semi-adulta, non compiutamente svezzata e priva degli strumenti primari per sopravvivere con le proprie forze in un contesto globale diverso e caotico. Tornando all’individuazione junghiana: se l’Europa è l’individuo che deve interrogarsi sulla propria natura per rinnovare la propria personalità, il mondo è la collettività, nella quale collocarsi, riconoscersi e dalla quale differenziarsi. Su tali premesse è richiesta una riflessione agli studiosi coinvolti – a cui esprimiamo la nostra più sincera gratitudine – proprio sul concetto di Stati Uniti d’Europa e sulla necessità, a nostro avviso, di porlo definitivamente in discussione.

    Nella condizione di infantilismo in cui si è trovata l’Europa a partire della fine della Seconda guerra mondiale, un gruppo limitato di paesi europei, d’intesa con gli Stati Uniti d’America, ha intrapreso la strada verso un’integrazione politico-democratica sovranazionale. Per l’Unione europea – novità assoluta nel panorama dei sistemi politici e delle organizzazioni internazionali – la proiezione verso una forma di Stati Uniti d’Europa sono stati l’unica autentica visione politica con cui confrontarsi. D’altra parte, un bambino cresciuto isolato sotto l’unico scudo di protezione paterno come può maturare altri modelli di riferimento? Tanto più quando egli non ha ben chiaro il suo avvenire, bensì con a mente l’esclusiva convinzione di che cosa non diventare: uno Stato totalitario e di regime comunista sulla falsariga di quello sovietico. Gli Stati Uniti d’Europa diventano dunque per gli europei rappresentazione collettiva di una meta irraggiungibile, qualcosa che in fondo non potranno mai essere, poiché un figlio non può corrispondere al ritratto identico del proprio padre. Occorre dunque un atto di coscienza, autonomo rispetto ai nostri progenitori, che guardi al cuore dell’Europa anziché al di fuori,

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