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Tra inganno e verità: I Grandi Romanzi Storici Special
Tra inganno e verità: I Grandi Romanzi Storici Special
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Ebook461 pages5 hoursI misteri di Lady Emily

Tra inganno e verità: I Grandi Romanzi Storici Special

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About this ebook

Inghilterra/Francia/Grecia, 1890 - Per Emily, il matrimonio con Philip, Visconte Ashton, è stato solo un espediente per sfuggire a una madre autoritaria, e quando lui è morto poco dopo le nozze non ha sofferto più di tanto. Dopo tutto lo conosceva appena. A distanza di due anni, però, scopre che il marito in realtà era un uomo molto diverso da quello che lei immaginava: non solo era uno studioso e un collezionista d'arte antica, ma era anche profondamente innamorato di lei. Il ritratto che emerge dalle pagine del suo diario è così affascinante da spingerla a studiare le civiltà del passato nella speranza di apprendere qualcosa di più sul suo conto, e la conduce nelle silenziose sale del British Museum che lui amava tanto. E qui, tra bellissime statue di inestimabile valore, scopre un pericoloso segreto che riguarda dei reperti trafugati dalla collezione di antichità greche e romane. Decisa a vederci chiaro, l'intraprendente Lady Emily inizia a indagare, sfidando le rigide convenzioni della società vittoriana e cercando al tempo stesso di tenere a bada due affascinanti corteggiatori il cui interesse, però, sembra scaturire da ragioni oscure e ambigue, piuttosto che da sentimenti sinceri.

Un mistero appassionante, condito da un pizzico di romanticismo.
LanguageItaliano
PublisherHarperCollins Italia
Release dateApr 20, 2016
ISBN9788858947470
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    Tra inganno e verità - Tasha Alexander

    1

    Nessuno vedrebbe di buon occhio le ragioni per cui ho sposato Philip; non l'ho fatto per amore né per i suoi soldi o per il suo titolo. Eppure, mentre poso lo sguardo sulla vasta distesa del Mar Egeo, affacciata al balcone della mia villa, non ho alcun dubbio che sia stata una scelta sorprendentemente saggia.

    Reputavo alquanto improbabile che il Visconte Ashton potesse rendere felice qualcuno, almeno in base ai miei criteri di giudizio. Le ricchezze, l'aspetto gradevole e le maniere impeccabili che lo contraddistinguevano facevano sì che le donne si gettassero continuamente tra le sue braccia nella vana speranza di conquistarlo. Le povere sventurate non coglievano il tratto principale della personalità di Philip, la ragione per cui le degnava a malapena di uno sguardo: Philip era un cacciatore.

    Un cacciatore nel vero senso della parola. Era letteralmente ossessionato dalla caccia. Spendeva tutto il tempo e il denaro possibile a inseguire belve feroci. La dignitosa – sebbene non sia questo il temine che io utilizzerei per descriverla – caccia all'inglese lo divertiva, ma preferiva la grande selvaggina e trascorreva gran parte del tempo a inseguire le sue prede per le pianure africane. Restava a Londra solo per brevi periodi, di solito al culmine della stagione mondana, quando si limitava a dare la caccia alle potenziali mogli. Oserei definire sensazionale l'immagine che Philip dava di sé in società. Recitava molto bene la parte dell'avventuriero intrepido.

    Il mio primo incontro con l'audace visconte avvenne in maniera piuttosto tipica, durante una serata mondana. La conversazione languiva e io fremevo dalla voglia di tornare a casa per continuare la lettura dell'avvincente romanzo che mi aveva tenuto con gli occhi incollati alla pagina per tutta la mattina. Philip non era molto diverso dagli altri uomini e non avevo alcun interesse ad approfondire la sua conoscenza. Interesse che continuai a non nutrire finché non decisi di accettare l'inevitabile e acconsentii a sposarlo.

    Io e mia madre non apprezziamo particolarmente la compagnia reciproca. Dal giorno in cui la regina mi aveva baciata, durante la mia presentazione a corte a Buckingham Palace, mia madre continuava a ricordarmi che presto la mia bellezza sarebbe sfiorita e che avrei fatto meglio a trovarmi subito un marito. Il fatto che avessi rifiutato delle buone proposte la turbava alquanto, ma non voglio annoiare i lettori narrando i particolari di queste sciocche diatribe. Vi basti sapere che non ero particolarmente interessata al matrimonio, e non a causa di una concezione idealista dell'amore né per ribellione al ruolo di compagna sottomessa che molti uomini imponevano alle mogli. La verità è che la vita matrimoniale mi sembrava terribilmente noiosa. Le donne sposate di mia conoscenza passavano la vita a fare figli e a dare ordini alla servitù. Trascorrevano le loro giornate a preoccuparsi di dettagli banali e la cosa più eccitante che potevano aspettarsi era un qualche evento mondano a cui partecipare per incontrarsi tra loro e lamentarsi dei suddetti figli o membri della servitù. Preferivo di gran lunga la vita che conducevo in casa mia. Quantomeno, stando da sola, avevo il tempo di coltivare i miei interessi, di leggere voracemente e di viaggiare ogni volta che ne avevo l'occasione.

    Dunque sposai Philip per il suo grande spirito d'avventura? Desideravo forse viaggiare insieme a lui per l'Africa nera? Non direi. Lo sposai solo perché la sua proposta di matrimonio arrivò in un momento in cui accettare mi parve il modo più semplice di uscire da una situazione sempre più insostenibile.

    Dopo il mio debutto in società, con il passare dei mesi mia madre precipitò sempre di più nella disperazione. Il suo più grande desiderio era quello di vedermi accasata con un buon partito entro la fine della mia prima stagione, perciò si lamentava continuamente.

    Divenne pressoché impossibile parlare d'altro con lei; l'unica variazione sul tema ammessa erano le proposte di matrimonio accettate dalle figlie delle sue amiche. Cominciò a farmi notare anche le rughe e le imperfezioni più insignificanti del mio volto, disperandosi per ciò che lei riteneva fosse l'inizio della fine della mia bellezza sprecata. Tagliò il mio mantenimento, sostenendo che dovevo imparare a vivere con poco se davvero volevo restare zitella.

    La goccia che fece traboccare il vaso fu la mattina in cui entrò in camera mia con un nastro da sarta in mano per misurarmi il punto vita e dimostrarmi che stavo diventando vecchia e grassa. Non ce la facevo più.

    Quel pomeriggio stesso Philip passò a farmi visita e chiese la mia mano. La sua proposta mi colse totalmente alla sprovvista. Avevamo conversato raramente, sebbene ci incontrassimo spesso alle serate mondane. Poiché non nutrivo alcun interesse per la caccia né per il fascino superficiale di Philip, tendevo sempre a evitarlo. Non avevo riflettuto sul fatto che il cacciatore preferisce sempre le prede più difficili da catturare. Dichiarò di amarmi con tutto se stesso e disse tutte le belle parole che una donna si aspetta di sentire in una simile occasione. Per me non significavano niente. D'altra parte, vivere con lui non poteva essere peggio di dover sopportare gli sproloqui di mia madre per tutto il giorno.

    Accettai subito la sua proposta.

    Le nozze si celebrarono non appena il mio corredo da sposa fu pronto. Sei mesi dopo mi ritrovai già vedova. Conoscevo mio marito da così poco che il suo nome suonava ancora estraneo sulle mie labbra, ma quando lessi il telegramma venni pervasa da un gran senso di sollievo e di libertà, tanto che iniziai a tremare. Il maggiordomo si fece avanti, pensando che stessi per svenire. Io non svengo mai. I mancamenti sono causati solo dalla leziosaggine o dai corsetti troppo stretti, due cose dalle quali mi guardo bene.

    Non provai alcun dolore per la perdita di Philip. Lo conoscevo appena. Come gli arguti lettori avranno già intuito, il cacciatore perde interesse per la preda dopo averla catturata e la utilizza solo come un trofeo. Dopo un breve viaggio di nozze, il mio novello sposo tornò in Africa, dove passò i suoi ultimi mesi di vita a cacciare con gli amici, periodo in cui ci scambiammo delle lettere cortesi e impersonali. Poi iniziò il periodo di lutto obbligatorio. Per dodici mesi avrei dovuto indossare solo abiti di crêpe nero ed evitare gli eventi mondani. Dopo un anno avrei potuto ricominciare a indossare la seta, ma solo in tonalità grigie o, al massimo, con delle righe nere. Non sarei tornata a condurre un'esistenza normale prima di due anni.

    Philip mi lasciò una fortuna enorme e, con mia grande sorpresa, scoprii che, oltre alla nostra casa di Londra, avevo a disposizione anche la tenuta di campagna di mio marito, un posto che non avevo ancora visto. Sebbene la proprietà non mi spettasse in eredità, la famiglia di Philip insistette perché non mi cercassi una nuova casa. Dato che non avevamo figli, il diretto erede di Philip era il figlio di sua sorella. Il bambino, che si chiamava Alexander, aveva solo tre anni ed era comodamente alloggiato in casa dei suoi genitori. Per il momento quindi non aveva necessità di trasferire la residenza di famiglia altrove.

    Per più di un anno rimasi a Londra, sepolta viva in casa come tutte le brave vedove. Inaspettatamente, trovai scampo dalla mia situazione grazie a Colin Hargreaves, un amico di mio marito.

    Passavo tutti i pomeriggi nella biblioteca di Philip, una bella stanza in legno di noce. Adoravo starmene lì, circondata dai libri. Come il resto della casa, anche la biblioteca era arredata con eleganza. Aveva uno splendido soffitto a cupola e il pavimento era coperto di pregiati tappeti di Axminster. Un altro visconte, predecessore di Philip, aveva arredato quell'ambiente in modo che risultasse confortevole ed elegante allo stesso tempo, perciò lì ci si poteva rilassare in tutta tranquillità pur essendo immersi nel lusso.

    Mi trovavo proprio in biblioteca quando, in una calda giornata estiva, Mr. Hargreaves interruppe la mia lettura. Attraversò la stanza a grandi passi e chinò il capo in un cenno di saluto, prendendomi la mano e portandosela alle labbra.

    «Che strano trovarmi qui dentro senza di lui» commentò, guardandosi intorno. «Io e vostro marito abbiamo programmato tutti i nostri viaggi in questa stanza» aggiunse, poi si sedette su una grande poltrona di pelle. «Oh, sono desolato, Lady Ashton. Non dovrei parlarvi di ricordi tanto dolorosi.» Poiché non nutrivo alcun coinvolgimento sentimentale nei confronti del mio defunto marito, la compagnia del suo migliore amico mi mise profondamente a disagio.

    «Non fa niente. Gradite una tazza di tè?» chiesi, prendendo la campanella.

    «No, non vi disturbate, sono qui per una questione d'affari.»

    «In tal caso forse fareste meglio a parlare con il mio avvocato.»

    «Vengo proprio dal suo ufficio. Naturalmente voi siete a conoscenza del grande amore che vostro marito nutriva per la Grecia e per l'Egeo?» mi chiese lui, guardandomi negli occhi.

    «La Grecia?» ripetei, cercando di dissimulare il più possibile la mia totale ignoranza sugli interessi di mio marito.

    «Come di certo saprete, ogni anno Philip trascorreva dei mesi in Grecia. Mentre era malato in Africa...» Mr. Hargreaves si interruppe e mi guardò con aria incerta.

    «Andate avanti, vi prego.»

    «Era così ansioso di portarvi in Grecia e di mostrarvi la villa.»

    «La villa?» Ricordavo vagamente di aver sentito l'avvocato nominare la proprietà, tuttavia non mi aveva fornito alcun dettaglio in merito, probabilmente pensando che fossi troppo distrutta dal dolore per preoccuparmi di questioni simili.

    «Non faceva parte delle proprietà di famiglia, ma era un suo possedimento personale e Philip voleva che l'aveste voi. È un posto meraviglioso e si affaccia direttamente sull'Egeo. Sono sicuro che vi piacerà moltissimo. Credo che Philip volesse portarvi laggiù per farvi una sorpresa.» Si interruppe di nuovo, poi aggiunse: «Quando era malato, lo ripeteva di continuo: Kallista deve andare alla villa. Gli giurai che avrei organizzato il vostro viaggio laggiù».

    «Perdonatemi, ma sono confusa» risposi, scuotendo la testa. «Chi è Kallista?»

    Mr. Hargreaves sorrise. «Credevo che fosse così che Philip vi chiamasse in...» Un'altra pausa. «... in privato.»

    Inarcai le sopracciglia, stupita. «Non mi ha mai chiamato Kallista.» Omisi di specificare che, in realtà, mio marito era solito chiamarmi Lady Ashton, sebbene lo facesse sempre con un tono vagamente ironico.

    «Ma era così che vi chiamava quando parlava di voi» ribatté Mr. Hargreaves sottovoce. «Credevo fosse un nomignolo affettuoso. Perdonate la mia impertinenza, ma penso che lo preferisse a Emily.»

    «Capisco. E questa villa di cui parlavate?»

    «Si trova a Santorini, una delle isole dell'Egeo. Vi consiglio di andarci in primavera, con la bella stagione, sebbene Ashton trovasse l'inverno greco enormemente migliore di quello inglese.» Mr. Hargreaves si alzò e venne verso di me. «Vi chiedo di nuovo scusa, milady. Non oso immaginare quanto sia difficile per voi sentir parlare di lui. Fare riferimento al nomignolo che utilizzava per voi è stato imperdonabile da parte mia.»

    «Al contrario, non mi disturba affatto» risposi, ancora interdetta dalla strana abitudine di mio marito. «Per quanto mi riguarda, potete anche chiamarmi Kallista, se lo preferite a Emily.» Guardai Mr. Hargreaves negli occhi e sorrisi. Era piuttosto bello. Le onde scure e selvagge dei capelli contrastavano con l'eleganza impeccabile dei modi e dell'abbigliamento. «Ammesso che la nostra conoscenza si approfondisca al punto da utilizzare i nostri nomi di battesimo, naturalmente» aggiunsi.

    «Siete una donna di grande spirito, proprio come vi descriveva Ashton» commentò lui, rivolgendomi un sorriso. «Ora devo proprio andare. Il vostro avvocato ha tutti i documenti riguardanti la villa. Come vi ho detto, ho promesso a vostro marito di assicurarmi che vedeste la residenza. Quando sarete pronta per il viaggio, mi occuperò io di tutto.»

    Gli porsi la mano e lui la baciò. Mi sedetti alla finestra e lo guardai scendere velocemente gli scalini dell'ingresso e attraversare Berkeley Square.

    Come sempre quando incontravo un amico o un parente di Philip, mi sentivo turbata. Non potevo condividere il loro dolore. Non conoscevo quell'uomo. Eppure Colin Hargreaves sosteneva che Philip parlasse di me. Cosa mai avrà avuto da dire sul mio conto? La mia mente cominciò a lavorare senza sosta. Kallista? In Grecia? Per quanto ne sapevo, Philip aveva pochissimi interessi oltre la caccia. Del resto non avevo ragione di dubitare di Mr. Hargreaves, che aveva fatto da testimone alle mie nozze. Lui e Philip erano amici fin dai tempi della scuola e mio marito lo elogiava sempre per la sua integrità. Mentre riflettevo su ciò che era accaduto, il maggiordomo mi interruppe di nuovo. I miei genitori mi attendevano in salotto.

    «Mia cara, dovresti tenere le tende tirate alle finestre della facciata» mi rimproverò mia madre, fedele alla sua nuova missione: tentare di riprendere il controllo su di me.

    «Philip è morto da un anno e mezzo, madre. Non posso vivere all'infinito senza illuminazione naturale» sospirai.

    «Il Principe Alberto ha lasciato questo mondo da quasi trent'anni ormai, ma la nostra regina ancora rispetta la sua memoria. Non sarebbe male se seguissi il suo esempio.» Mia madre, molto probabilmente la sostenitrice più accanita della Regina Vittoria, si guardò intorno con aria critica. «So che Philip era un po' eccentrico, ma ora che non c'è più dovresti davvero sistemare questa stanza. Sembra che sia stata arredata solo per metà.»

    Philip non amava gli ammassi di cianfrusaglie in voga in quei tempi e aveva arredato la casa in base ai propri gusti semplici. Dopo le nozze, era stato molto felice di sapere che condividevo la sua opinione in merito. Accettò cortesemente di togliere le teste degli animali impagliati più grandi dalle stanze comuni e, in cambio, io acconsentii a lasciare inalterato l'arredamento della casa.

    «Prima le dici di onorare la memoria del marito e un attimo dopo le consigli di cambiare l'arredamento di casa. Andiamo, Catherine, lasciala in pace.» Mio padre, che da sempre consideravo un mio silenzioso alleato, mi rivolse un sorriso rassicurante. «Non vorrei sembrare scortese, ma non sopporto che debba portare il lutto più a lungo di quanto sia durata la sua conoscenza con Ashton.»

    Mia madre sbarrò gli occhi, scandalizzata. «Fingerò di non aver sentito. Devi pensare al suo futuro. È ancora giovane e molto ricca, e non dimenticare che è figlia di un conte. Trascorso un periodo di lutto ragionevole, riuscirà a combinare un matrimonio eccellente» disse, poi mi guardò. «Ho già sentito le madri di alcuni dei migliori partiti del momento fare il tuo nome.»

    «Non voglio perdere le mie ricchezze per mantenere i possedimenti di un'altra famiglia» risposi con un sospiro. «E poi perché dovrei risposarmi? Preferisco restare vedova.»

    Mio padre scoppiò a ridere, ma mia madre lo fulminò con lo sguardo e lui ammutolì all'istante.

    «Non dire sciocchezze. Naturalmente è troppo presto per pensare a queste cose. Hai ancora il cuore infranto» affermò mia madre, poi suonò la campanella. «Devi bere un po' di tè.»

    Buttai giù a fatica una tazza della bevanda troppo zuccherata che mi costrinse a bere ed evitai qualunque conversazione che rischiasse di prolungare la loro visita. Alla fine, salutai i miei genitori, stringendo i denti silenziosamente mentre mia madre ordinava al maggiordomo di tirare le tende di tutte le finestre della facciata. Davis, maggiordomo di grande esperienza, le rivolse un cenno di assenso, ma non fece nulla senza prima consultare la legittima padrona di casa. Io gli diedi istruzioni di lasciare aperte le tende.

    «Molto bene, signora. Posso parlarvi un momento?» mi chiese. Feci segno di sì e lui proseguì: «Devo informarvi che ieri sono stato costretto a mandare via uno dei lacchè. Una domestica, entrando in biblioteca per spolverare, lo ha sorpreso a rovistare nella scrivania del visconte».

    «Quando è successo?»

    «Ieri pomeriggio, signora. La domestica era restia a parlare. A quanto pare, l'uomo cercava qualche oggetto di valore da vendere per pagare i suoi debiti di gioco. Ho perquisito la sua stanza, ma non ho trovato niente. Forse dovreste andare a verificare che non manchi nulla.»

    «Grazie, Davis, vado subito a controllare la scrivania» dissi, pur non avendo la minima idea di cosa ci avrei trovato.

    Tornai in biblioteca e, dopo una veloce occhiata al contenuto piuttosto ordinario della scrivania, cominciai a passare in rassegna gli scaffali in cerca di libri sulla Grecia. Ne trovai in quantità: volumi di storia e di letteratura classica, sia in greco antico sia traduzioni. Fino ad allora avevo pensato che fossero testi rimasti lì dai tempi in cui Philip studiava a Eton e a Cambridge. Cominciai a sfogliarne alcuni, senza sapere cosa sperassi di trovare, e poi, stanca di andare alla cieca, presi una guida del British Museum. Il volume si aprì al punto in cui era stato infilato un biglietto ben ripiegato, scritto in una grafia che non conoscevo. Ciò che stai facendo ti metterà in grave pericolo. La pagina in cui era stato inserito il messaggio descriveva un vaso su cui era dipinto il grande eroe Achille che uccideva la Regina delle Amazzoni. Indubbiamente un grave pericolo.

    Esaminai attentamente il biglietto. Era scritto su carta spessa, come quella che utilizzano gli artisti per disegnare, ma non c'erano dettagli di sorta sul destinatario o sul mittente del messaggio. Molto strano. Sospirai, incerta sul da farsi. Dopo averlo letto ancora una volta, lo appoggiai sulla scrivania di Philip e mi sedetti, improvvisamente assalita da un'inquietante sensazione di presagio. Suonai per farmi portare del tè, sperando che quella bevanda – consumata in salvo da mia madre e dalle sue dosi smodate di zucchero – mi aiutasse a calmarmi. Mi ci volle un po' prima di riuscire a concentrarmi di nuovo sul libro dal quale era caduto il biglietto, ma alla fine mi immersi completamente nella lettura delle descrizioni delle meravigliose opere d'arte conservate nel museo.

    All'improvviso, agii d'impulso e feci chiamare la carrozza. Volevo vedere quei tesori di persona.

    Naturalmente non avevo fatto cenno alla Grecia o alla villa di mio marito durante la visita dei miei genitori e, mentre mi avvicinavo a Great Russell Street, non potei fare a meno di sorridere, chiedendomi cosa avrebbe pensato mia madre se mi fossi stabilita a Santorini per il resto dei miei giorni. Chissà per quanto tempo avrei dovuto portare il lutto laggiù? Scesa dalla carrozza, mi risistemai la gonna a righe nere, entrai nel museo e chiesi subito se qualcuno potesse accompagnarmi alla sezione dell'antica Grecia. Una vedova facoltosa impara subito che tutte le più grandi istituzioni mirano al suo denaro. Sapendo ciò, pregustavo già una visita approfondita ed esauriente.

    Mentre attendevo l'arrivo della guida – che immaginavo preparata e competente – mi guardai intorno, chiedendomi come mai non fossi andata a visitare quel museo per tanto tempo. Mio padre mi portava spesso lì quando ero piccola, ma, dal momento in cui la mia istruzione passò nelle mani di mia madre e di un esercito di governanti, non potei più coltivare altri interessi se non quelli ritenuti essenziali dalle matrone della buona società. Di conseguenza, imparai benissimo il francese e l'italiano e arrivai a un livello discreto di tedesco. Appresi a cantare e suonare il pianoforte, ma non molto bene. Nel campo delle arti visive, ero bravissima nel disegno, ma non passai mai agli acquerelli perché preferivo la matita al pennello da pittore. Occuparmi di ricamo, etichetta e gestione della casa divenne per me naturale come respirare, ma mia madre si ostinò a tenermi lontano da tutto ciò che rientrava nell'istruzione classica. Secondo lei una brava moglie non doveva pensare troppo con la sua testa. Mentre rimuginavo sulle lacune della mia educazione, un gentiluomo di mezza età dall'aspetto distinto si avvicinò e mi riportò alla realtà.

    «Lady Ashton, è un vero piacere fare la vostra conoscenza. Sono Alexander Murray, curatore della sezione di arte greca e romana. I miei colleghi mi dicono che siete interessata a vedere la nostra collezione.»

    Gli porsi la mano e mormorai una risposta educata.

    «Lasciate che vi porga le più sentite condoglianze per la prematura dipartita del vostro illustre marito» proseguì. «Veniva spesso a trovarci; i membri del personale della nostra sezione sono rimasti sconvolti nell'apprendere la notizia della sua morte. Gli siamo immensamente grati per gli innumerevoli reperti di cui ci ha fatto dono per tutta la vita. Immagino vogliate vedere questi pezzi prima di ogni altra cosa.»

    Io non sapevo davvero cosa rispondere. Ero convinta che Philip non avesse mai messo piede in un museo, ma a quel punto capii che la mia opinione su mio marito era totalmente irrilevante. A quanto pareva, lo conoscevo ancor meno di quanto avessi immaginato. Mentre Mr. Murray mi guidava per il museo, galleria dopo galleria, i miei pensieri erano equamente divisi tra mio marito e gli oggetti straordinari che vedevo sfilare sotto gli occhi. Philip aveva donato al museo diversi vasi greci, tutti pezzi meravigliosi. Uno in particolare mi colpì più degli altri: si trattava di un vaso molto grande sul quale erano raffigurate tre donne ferme di fronte a un giovane che teneva in mano una mela.

    «Questo è un cratere a calice e si chiama così perché la forma delle anse ricorda il calice di un fiore» mi spiegò Mr. Murray. «Nell'antichità questo tipo di vaso veniva utilizzato per mescolare acqua e vino. Credo che questo fosse il preferito di Lord Ashton. Fu molto difficile per lui separarsene, ma credeva che dovesse stare in un luogo in cui tutti potessero ammirarlo. È un pregevole esemplare di ceramica a figure rosse.»

    «La cura dei dettagli è davvero straordinaria» commentai, avvicinando il volto al vaso. «Si vedono perfino le ciglia sulle palpebre dell'uomo.»

    «La pittura a figure rosse è molto più realistica di quella a figure nere perché i dettagli venivano tracciati su una base non smaltata. Questo artista, in particolare, è rinomato per la grande attenzione ai particolari. Guardate il realismo con cui ha rappresentato le singole ciocche di capelli e l'ombra delle pieghe delle vesti.»

    «C'è qualcosa in queste figure che ricorda i fregi del Partenone.»

    «Acuta osservazione, Lady Ashton. Lo stile è molto simile a quello delle figure che troviamo sul Partenone. Questo ceramografo è considerato il più classico della sua epoca.»

    «Come si chiama?»

    «Purtroppo non sappiamo il suo nome, ma la sua mano inconfondibile si ritrova in centinaia di vasi.»

    «Tutti a figure rosse?»

    «No, anche a figure nere e perfino alcuni lekythoi a fondo bianco. Se volete seguirmi, vi mostrerò uno di queste lekythoi. Sono le opere che l'hanno reso più famoso.»

    Non risposi subito a Mr. Murray, ma continuai a studiare il vaso di fronte a me. «Guardate con quale grazia tiene in mano la mela. Chi rappresentano queste figure?» chiesi.

    Mr. Murray si avvicinò alla teca. «Le tre donne sono le divinità Atena, Era e Afrodite. Hanno appena partecipato a un banchetto di nozze rovinato da Eris, la dea della discordia. Furibonda per non essere stata invitata ai festeggiamenti, Eris decise di scatenare una lite e gettò una mela d'oro tra gli ospiti.»

    «E loro si scontrarono per prendere l'oro?»

    «Sì, in un certo senso. Sulla mela era incisa la frase Te kalliste, alla più bella. Ognuna delle tre dee sosteneva di essere la più bella e di meritare quindi la mela. Zeus capì che nessun giudizio avrebbe mai accontentato tutte e tre, perciò decise di tenersi lontano dalla mischia.»

    «Molto saggio» commentai, sorridendo.

    «Affidò a Paride, uno sventurato pastore, il compito di decidere chi delle tre dovesse tenere la mela» disse Mr. Murray, indicando una delle figure sul vaso.

    «E lui chi scelse?»

    «Temo che il poveretto abbia trovato Afrodite particolarmente irresistibile, specie quando la dea gli promise di dargli in moglie la donna mortale più bella di tutte nel caso avesse scelto lei.»

    «Era e Atena non ne furono entusiaste, immagino.»

    «No, affatto. Da quel giorno in poi Paride divenne un nemico giurato per loro.»

    «E la moglie di Paride?»

    «Era una bellissima ragazza di nome Elena, sfortunatamente già sposata con Menelao, il Re di Sparta. Con l'aiuto di Afrodite, Paride convinse Elena a lasciare Menelao e a seguirlo a Troia, evento che, come saprete, scatenò la celeberrima guerra di Troia.»

    Restai in silenzio per qualche istante, certa che avrei dovuto sapere di più su quella storia, e mi ripromisi di leggere qualcosa al riguardo quella sera stessa. Mr. Murray aveva detto una frase che mi aveva colpito molto e decisi di indagare a fondo sulla questione.

    «Vi spiace ripetere cosa c'era scritto sulla mela?»

    «Te kalliste. Kallista in greco significa la più bella

    E così scoprii che Philip mi trovava bella. Arrossii di colpo e lasciai che Mr. Murray proseguisse con la visita, ma devo confessare che da quel momento in poi prestai poca attenzione alle sue premurose spiegazioni.

    2 MARZO 1887

    AFRICA ORIENTALE

    Un altro giorno rovinato dalla smisurata stupidità di uno del nostro gruppo. Cacciare significa bearsi nella gloria delle bestie selvatiche, scovarle e competere con loro ad armi pari. Solo così il cacciatore onora la magnificenza della sua preda. Ciò che Fitzroy ha fatto oggi va contro il codice d'onore di un gentiluomo. Ha lasciato l'accampamento molto presto, prima di colazione, insieme a una delle nostre guide, Lusala, ed è tornato meno di un'ora dopo, sudicio e terrorizzato. Il bastardo aveva convinto Lusala a cacciare un rinoceronte con le trappole, anziché seguirlo. I due si sono nascosti e hanno atteso che un povero animale sciagurato finisse nella loro rete. Mentre Fitzroy si preparava a sparare è inciampato e l'animale si è spaventato. Poi Fitzroy ha fatto partire il colpo che non avrebbe mai dovuto sparare, facendo fuoco senza mirare attentamente, e ha ferito il rinoceronte, ma non l'ha ucciso. Convinti che l'animale stesse per caricarli, lui e Lusala sono tornati all'accampamento di corsa, da bravi codardi quali sono. Ho impiegato ore a ritrovare la povera bestia ferita e a finire il lavoro al posto del mio amico.

    Non siamo qui per lasciare dietro di noi una scia di animali feriti.

    Quando sono ritornato, ho redarguito aspramente Fitzroy. Quell'uomo non sa cosa sia la moralità nella caccia. È nell'inseguimento che il cacciatore mostra le proprie abilità. Non ho intenzione di tollerare le sue pratiche da bracconiere nella mia spedizione. Hargreaves mi ha consigliato di abbandonare tutto e andare a esplorare il Monte Kenya.

    Se la sua intenzione era fare una battuta di spirito, ci è riuscito egregiamente.

    2

    «Dunque, come avrai capito, ora sono una persona di una certa importanza» annunciai con finta autorevolezza alla mia cara amica Ivy mentre prendevamo il tè nel mio salotto ben arredato, il pomeriggio seguente. «Hanno mandato il responsabile della sezione a parlare con me. Evidentemente le voci sulla mia cospicua eredità sono giunte fino alle venerabili sale del British Museum.»

    «Secondo me ti sopravvaluti» ribatté lei con un sorriso. «Evidentemente hanno deciso di estendere la loro buona opinione di Philip alla tua umile persona. Parlando sul serio, non ti ha sconvolto scoprire la passione di Philip per la Grecia? È un tratto piuttosto curioso in un uomo come lui, suppongo.»

    «In effetti non so proprio cosa pensare» risposi, versando altro tè. «Non me ne ha mai parlato.»

    «Immagino che le vostre conversazioni durante la luna di miele vertessero su ben altri argomenti» commentò Ivy.

    «Non ricordo nessun discorso in particolare. Lui scriveva il suo diario di viaggio e immagino che ogni giorno appuntasse i nostri spostamenti. Io leggevo parecchio. Philip fu molto prodigo nel comprarmi libri.»

    «Davvero imperdonabile da parte sua morire prima che tu potessi scoprire quanto fosse affascinante.»

    «Sì, ed è stato davvero crudele a lasciarmi tutti quei soldi in eredità» ribattei ridendo. «Purtroppo non potrò godermeli finché non avrò superato questo insopportabile periodo di lutto.» Mentre quelle parole mi uscivano di bocca quasi per volontà loro, il mio viso perse colore. «Non volevo dire questo.»

    Ivy mi prese la mano. «Lo so, cara.»

    «Non ho mai pensato che le cose sarebbero finite così. Ho fatto appena in tempo a debuttare in società prima di ritrovarmi vedova.»

    «Il lutto non dura in eterno.»

    «Non sono nemmeno sicura che mi importi più di tanto, Ivy. Pensa alla mia vita: abito da sola con uno stuolo di servitori al mio servizio e ho pieno controllo sulle mie ricchezze. In teoria, potrei fare tutto quello che voglio.»

    «Tranne che comparire in società, per il momento.»

    «Certo, questo è vero, ma in fondo non mi manca granché quell'aspetto della mia vita. Naturalmente l'ho trovato spassoso per un po' e mi sono divertita a far innamorare tutti gli uomini che potevo, ma pensa come starei se non avessi sposato Philip.»

    «Vivresti ancora con tua madre che continuerebbe a misurarti il punto vita ogni giorno.»

    «Esatto. Una sorte crudele. Ora, però, dispongo di una libertà che non ho mai avuto prima. Se invece Philip fosse ancora vivo, la mia vita sarebbe tanto diversa rispetto a quando vivevo con i miei genitori?»

    «Non essendo sposata, non oso azzardare commenti sulla vita matrimoniale» ribatté Ivy, sarcastica.

    «Sì, ma presto scoprirai anche tu com'è. Due settimane ancora e verrà il momento delle tue nozze.»

    «Già» ribatté Ivy con un sospiro. «Non so cosa aspettarmi.»

    Davis entrò in salotto e annunciò altre due visitatrici.

    «Mia cara, che piacere rivedervi» disse Emma Callum, attraversando la stanza con le braccia protese verso di me. «Mi sembra impossibile che sia già passato un anno dalla scomparsa del vostro caro marito, eppure eccoci qui.»

    «Sì, proprio così» replicai, ricambiando il suo sorriso affettato e prendendole le mani. «Molto gentile da parte vostra venire a farmi

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