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La perla dell'Alhambra: I Grandi Romanzi Storici
La perla dell'Alhambra: I Grandi Romanzi Storici
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Ebook335 pages4 hoursLe principesse dell'Alhambra

La perla dell'Alhambra: I Grandi Romanzi Storici

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Le principesse dell'Alhambra 2
Spagna, 1396
Inigo Sánchez, Conte di Siviglia, è da dieci anni fidanzato con una nobildonna spagnola per motivi dinastici. Nel matrimonio, comunque, non cerca l'amore, ma un'unione amichevole, priva di passione e vantaggiosa per entrambe le parti. Tuttavia quando suo malgrado si trova a salvare una principessa rinchiusa dal padre in una torre e a condurla con sé, questi propositi vengono messi a dura prova, poiché Alba ammalia i suoi sensi e conquista il suo cuore. Determinato a non rinunciare agli ideali di fedeltà e integrità che da sempre lo guidano, Inigo fa di tutto per reprimere l'attrazione... almeno sino a quando lei non lo sorprende pregandolo di aiutarla a realizzare il suo più grande sogno: concepire un figlio che poi crescerà da sola.
LanguageItaliano
PublisherHarperCollins Italia
Release dateApr 20, 2020
ISBN9788830513099
La perla dell'Alhambra: I Grandi Romanzi Storici
Author

Carol Townend

La passione per il Medioevo ha portato l'autrice a studiare storia all'università di Londra e poi a prediligere quel periodo per l'ambientazione dei suoi romanzi d'amore. Vive con il marito e la figlia vicino a Kew Gardens.

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    La perla dell'Alhambra - Carol Townend

    1

    1396, Palazzo dell'Alhambra, Emirato di Granada

    La Principessa Alba giaceva al buio, un suono sconosciuto l'aveva strappata ai suoi sogni. Si rigirò inquieta, incapace di capire cosa l'avesse svegliata. Poteva sentire solo il cinguettio degli uccelli. Li immaginava volare sopra i prati e le terrazze e svolazzare dentro e fuori i cespugli della rigogliosa vegetazione oltre le mura del palazzo. Li immaginava felici. E liberi!

    La flebile luce di una lanterna posta in una nicchia gettava un tenue chiarore sulle forme addormentate delle sorelle di Alba, la Principessa Leonor e la Principessa Constanza. I loro capelli neri erano legati per la notte, così come i suoi, e le loro lunghe ciglia erano ventagli scuri adagiati sulle loro guance. La Principessa Alba e le sue sorelle erano gemelle, tre gemelle identiche.

    Alba sbadigliò e guardando le sue sorelle fu assalita da uno strano pensiero. Era come se stesse osservando un'altra versione di se stessa, che non si era ancora svegliata. Infastidita, allontanò quel pensiero. I lineamenti delle sorelle rispecchiavano i suoi, ma i loro caratteri – oh, quanto erano diversi!

    Le persiane della camera da letto erano chiuse. Era molto presto e nulla era visibile attraverso il legno intagliato a forma di stella. Le principesse non si trovavano da molto tempo nel palazzo preferito dal loro padre – solo da pochi giorni – ma già Alba sapeva che durante il giorno i raggi del sole che filtravano attraverso le persiane gettavano stelle luminose sul pavimento di piastrelle.

    Eccolo di nuovo, quel suono misterioso. Alba si mise a sedere. Cosa poteva essere? Il verso di un falco? No, non era un falco. Era sicuramente... un bambino.

    Trattenne il respiro. Poteva essere davvero un bambino? Di chi? Non poteva essere figlio di suo padre il sultano, che Dio lo avesse in gloria. Il sultano aveva concepito solo tre figlie: Alba e le sorelle. Il desiderio irrealizzato del Sultano Tariq di avere altri figli – più precisamente, un figlio maschio – era ben noto.

    Alba corse alla finestra. Inginocchiandosi su un cuscino, perché la finestra era bassa e il pavimento duro, avvicinò l'orecchio alle persiane con la speranza di udire meglio. Aveva trascorso la maggior parte della sua vita reclusa nel castello di Salobreña e non aveva mai tenuto un bambino tra le braccia. Si sentì trafiggere da un dolore, violento e intenso. Se c'era un bambino nel palazzo, doveva vederlo. Prenderlo in braccio.

    Non volendo svegliare le sorelle, Alba afferrò una vestaglia e un velo e si coprì. Prese la lanterna, affinché illuminasse il suo cammino, sgattaiolò silenziosamente giù per le scale e lasciò la torre.

    Le stelle sbiadivano, il cielo stava assumendo un color grigio perlaceo e l'aria era piacevolmente fresca.

    Davanti a lei si dipartivano numerosi sentieri, alla fine dei quali si potevano distinguere le sagome scure di alcuni edifici. C'era grande abbondanza di muri e di torri. Alba non aveva ancora imparato la disposizione delle varie costruzioni, ma in quel momento non aveva importanza. Quel debole pianto sarebbe stato la sua guida. C'era un bambino nel palazzo!

    Attraversando il giardino, Alba passò davanti a una fontana zampillante. Entrò in un frutteto e fu salutata dall'inebriante profumo delle arance. Costeggiò le mura, in cima alle quali si distingueva la torre illuminata delle guardie. Suo padre il sultano aveva tanti guardiani al suo servizio.

    Consapevole della necessità di essere discreta, Alba si coprì il volto con il velo. Il Sultano Tariq insisteva affinché le principesse portassero il velo anche quando si trovavano all'interno dei confini del palazzo. Qualsiasi uomo avesse visto il loro viso sarebbe stato severamente punito. Alba non sapeva quale forma avrebbe preso la punizione, ma le bastava sapere che suo padre governava con il pugno di ferro. Non sarebbe più riuscita a convivere con se stessa se una guardia fosse stata punita per causa sua.

    Grazie a Dio, non vide guardie.

    I numerosi edifici erano nascosti dietro folti cespugli di mirto e il pianto del bambino proveniva da quello più vicino. Il chiarore dell'alba rivelò una fila di finestre a forma di ferro di cavallo e una grande porta decorata in ferro battuto. La porta si aprì senza far rumore e Alba entrò in un'anticamera in ombra. Il pianto indignato riecheggiava tra le stanze dal pavimento di marmo.

    Emozionata, Alba corse verso un arco coperto da una tenda.

    Dal momento che suo padre aveva solo tre figlie, quell'edificio doveva sicuramente far parte dell'harem del Principe Ghalib. Il Principe Ghalib era lo zio di Alba. Era molto più giovane del sultano e dire che la sua vita era difficile era un dato di fatto.

    Il Principe Ghalib era il successore designato di suo padre, un erede al trono rinchiuso in una gabbia dorata. Come Alba e le sue sorelle, allo zio era negata la libertà. Alba comprendeva il motivo. Le insurrezioni erano state frequenti nella lunga e sanguinosa storia della dinastia Nasride. I fratelli si erano uccisi tra loro per guadagnare il potere. Senza dubbio, il Sultano Tariq temeva che il Principe Ghalib potesse organizzare un colpo di stato per detronizzarlo.

    Deciso a sfuggire a tale destino, il Sultano Tariq aveva tenuto recluso suo fratello per anni nel castello di Salobreña, dove avevano vissuto anche le tre principesse.

    Durante quegli anni, Alba aveva assistito all'umore instabile dello zio, che passava dalla felicità alla collera. Il Principe Ghalib aveva molte facce, dietro alle quali covava una cupa e amara frustrazione. Alba simpatizzava per lui perché aveva sentito lei stessa il sultano fare a suo fratello promesse su promesse, mai mantenute.

    «Ti cederò il castello, caro fratello, non temere» gli aveva assicurato il sultano. Oppure: «Ti metterò a capo dell'esercito».

    Suo padre non aveva mantenuto alcuna promessa. Mentre il sultano viveva la propria vita, il Principe Ghalib non sarebbe mai stato libero, perché rappresentava una minaccia troppo grande. Non gli era d'aiuto il fatto che, a differenza del sultano, il Principe Ghalib aveva generato molti figli.

    Il principe era stato trasferito dal castello di Salobreña al palazzo dell'Alhambra nello stesso giorno in cui vi si erano insediate le sue nipoti e, come alle principesse, anche a lui erano stati garantiti tutti i lussi. Eccetto la libertà.

    Alba raggiunse l'arco nascosto dalla tenda quando il bambino smise di piangere per riprendere fiato. Una donna lo cullava dolcemente e i suoi amorevoli mormorii riportarono Alba indietro nel tempo, al periodo in cui lei stessa era poco più che una neonata. Un dolore acuto la trafisse, come una lancia nel cuore. Mamma! Sua madre, la regina, le parlava con quello stesso tono di voce. La voce dell'amore, il suono più bello della creazione, che lei non udiva più da molti anni.

    Gli anelli della tenda tintinnarono quando Alba la scostò. Se quel bambino era figlio del Principe Ghalib, allora era suo cugino.

    La donna, della stessa età di Alba, era adagiata su un'ottomana insieme al bimbo. Guardò Alba e le rivolse un sorriso esitante. «Mia figlia vi ha svegliata? Vi chiedo perdono.»

    Mia cugina... Il viso della bimba era paonazzo per la stizza, mentre agitava i pugnetti. Quando Alba si avvicinò, la bimba la vide e smise all'improvviso di piangere.

    Alba si sentì stringere il cuore. «Che bambina adorabile...» Si abbassò il velo. La regola di portare il velo, imposta dal Sultano Tariq alle sue figlie, non si applicava quando le principesse si trovavano nei loro alloggi privati, perché nessun uomo poteva mettervi piede. Lo stesso doveva valere nell'harem di suo zio. Nessuna guardia o servo avrebbe mai osato entrare.

    La donna sull'ottomana studiò il viso di Alba. «Non vi ho mai vista prima.»

    «È così.»

    La donna si mise a sedere, stringendosi la bimba al petto. «Posso chiedervi chi siete?»

    Alba sorrise e dal momento che usava il suo nome spagnolo solo quando era in compagnia delle sue sorelle o della sua duenna, fornì il suo nome moresco. «Sono la Principessa Zoraida.»

    La concubina di suo zio sussultò come se si fosse bruciata e si affrettò a fare un inchino. «Principessa Zoraida!» La bambina si agitò tra le sue braccia.

    «Vi prego, non è necessario» disse Alba.

    «Oh, lo è, invece.» L'espressione della concubina era preoccupata mentre squadrava Alba da capo a piedi. «Voi siete la principessa di mezzo, giusto?»

    «Sì.»

    Stava spuntando l'alba e la luce iniziava a rischiarare la stanza. La giovane madre guardò oltre le spalle di Alba, verso la porta ad arco, corrugando la fronte. «Dove sono le altre principesse?»

    «Dormono. Non dovete preoccuparvi.»

    La ragazza si morse le labbra. «Signora, dubito che il sultano – possa lui vivere in eterno – approverebbe la vostra visita all'harem del Principe Ghalib.»

    Alba sostenne il suo sguardo. «Non gli dirò di essere venuta qui.»

    La concubina di suo zio emise un sospiro tremolante. «Grazie.»

    La bambina aveva smesso di piangere e ora i suoi occhi erano fissi sulla lanterna di Alba. Lei la posò lentamente sul davanzale della finestra e tese le braccia.

    «Posso prenderla?»

    La ragazza esitò e poi sorrise. «Naturalmente. Tenete. Di solito, Yamina è molto buona, non so cos'abbia questa mattina» aggiunse, mettendole tra le braccia quel fagottino caldo.

    Alba si sentì assalire da un'emozione dolorosa che non riusciva a definire. Tenere sua cugina tra le braccia le dava un senso di appartenenza. Si sentiva completa.

    «Yamina è un bellissimo nome.»

    Il corpicino caldo di Yamina le scaldava il cuore. Sembrava riempire ogni parte di lei, riscaldarla come non l'aveva mai fatto il sole in piena estate. Non aveva mai provato quel desiderio struggente... quella gioia. Yamina era un vero tesoro. Il dolore inconfessato di Alba si trasformò in un desiderio lancinante. Un bambino. Ecco cosa mancava alla sua vita: un bambino. Da mesi Alba si sentiva irrequieta e a disagio e ora aveva capito perché. Privata dell'amore di sua madre, desiderava qualcuno da amare. Desiderava un figlio.

    Alba cullò Yamina con gli occhi pieni di lacrime. Le accarezzò il viso, meravigliandosi della morbidezza della sua pelle. La bambina la fissava fiduciosa. Era così tenera... Alba ricacciò indietro le lacrime di commozione. «Mia cugina...» mormorò.

    La concubina la fissava con i suoi occhi neri. «La sua vita sarà molto diversa dalla vostra. Voi siete una principessa. Mia figlia si riterrà benedetta se potrà restare a palazzo. È una vera fortuna che sia una femmina.»

    «Oh!»

    «Chi può dire quale potrebbe essere il destino di un figlio maschio del Principe Ghalib? Dal momento che ho avuto una femmina, spero solo che le sarà permesso di restare. Forse, quando sarà grande, diverrà la vostra dama di compagnia.»

    Alba la fissò incredula. Quella bambina era sua cugina e il suo destino era di diventare una dama di compagnia? D'altro canto, sapeva che la vita era imprevedibile e se fosse successo qualcosa al Principe Ghalib? Yamina sarebbe potuta diventare una serva ed essere maltrattata. Alba non aveva mai visto picchiare una serva, ma sapeva che succedeva frequentemente e che suo padre il sultano era un padrone severo. E in quanto al suo temperamento, era nero come il peccato. Alba aveva avuto modo di assistere alle sue esplosioni d'ira...

    Quando lei e le sue sorelle erano state trasferite dal castello di Salobreña alla nuova torre, costruita appositamente per ospitarle, al palazzo dell'Alhambra, il loro padre aveva quasi ucciso tre prigionieri che avevano incrociato lungo la strada. Cavalieri spagnoli che erano stati imprigionati per chiedere un riscatto. I cavalieri non conoscevano l'arabo e ignorando i costumi locali non sapevano che non era loro permesso guardare le principesse.

    Il Sultano Tariq, talmente inviperito per l'insolenza dei cavalieri, era stato sul punto di giustiziarli lì sulla strada. Se Alba e le sue sorelle non avessero implorato clemenza, i nobiluomini spagnoli sarebbero sicuramente morti.

    Il sultano era imprevedibile e inflessibile. Ma forse nemmeno lui avrebbe permesso che venisse maltrattata sua nipote. Qualunque cosa fosse accaduta al Principe Ghalib, Alba si augurava che suo padre non avrebbe costretto Yamina a diventare una serva.

    «Vostra figlia potrà scegliere come vivere la sua vita?»

    «No, sarà il Principe Ghalib – che possa prosperare a lungo – a decidere.»

    Alba fissò la concubina. «Allora la sua vita non differisce molto dalla mia. Anch'io devo obbedire a mio padre.»

    Quando la concubina di suo zio le restituì uno sguardo improvvisamente privo di espressione, Alba provò una profonda vergogna. Era vero che le tre principesse vivevano obbedendo ai dettami del loro padre, ma la loro madre era stata la regina, mentre le donne che vivevano lì erano semplicemente le concubine del Principe Ghalib. La vita di quelle donne, anche di coloro che generavano un figlio, era infinitamente più precaria di quella di una principessa.

    «Gli uomini possono essere spietati.» Alba scosse la testa. «Pensano solo al loro piacere. Oltre che alla guerra e alla conquista, naturalmente.»

    La concubina gettò un'occhiata nervosa oltre le sue spalle. «Non dovete parlare in questo modo. Il principe Ghalib, che sia benedetto, è un uomo generoso» disse, accarezzando il bracciale d'argento che portava al polso. «Mi fa molti doni e mi permette di vestire mia figlia con i tessuti più pregiati.»

    Alba non rispose. Anche il sultano riempiva di doni le sue figlie. Da molto tempo sospettava che per suo padre i doni fossero solo un mezzo per esprimere la sua influenza. Incenso e mirra dall'oriente, sete da Bisanzio, argento dall'Arabia – tutto questo lui portava in dono alle sue figlie. Nemmeno per un momento, Alba aveva pensato che quei doni fossero l'espressione del suo amore, il Sultano Tariq non conosceva nemmeno il significato di quella parola. No, Alba stava iniziando a sospettare che lui usasse quei doni solo per assicurarsi l'obbedienza delle sue figlie. Voleva tenersele buone. Voleva che loro capissero quant'era potente.

    Alba si chiese se sarebbe ancora stata al palazzo quando Yamina fosse stata adulta. Un pensiero molto sgradevole sotto tanti punti di vista. Il sultano sembrava non avere alcuna fretta di combinare i matrimoni delle sue figlie. Alba ne aveva abbastanza di quella vita, degli intrighi senza fine, di muoversi sempre in punta di piedi per non scatenare l'ira di suo padre. Se lui non aveva intenzione di farla sposare, avrebbe dovuto trovare un modo per fuggire.

    Serrando le labbra, si strinse al petto la cuginetta. Una gambina era sfuggita alle fasce e lei l'accarezzò delicatamente, con il cuore stretto in una morsa.

    «Vostra figlia è molto bella» disse. «Siete stata benedetta da Dio.»

    «Grazie.»

    Iniziarono a udire delle voci. Una risata femminile. L'harem del Principe Ghalib stava prendendo vita.

    «Devo andare.»

    «Sì, credo sarebbe meglio.»

    Alba le restituì Yamina e il volto della giovane madre si addolcì in un'espressione colma d'amore. Fu allora che Alba giunse a una conclusione. Gli uomini non potevano capire l'amore, loro non ne avevano bisogno. Per Alba era diverso, lei aveva bisogno dell'amore, così come aveva bisogno dell'aria per respirare. Le era essenziale. Era l'amore ciò che mancava alla sua vita. Glielo aveva dimostrato quella piccola creatura. Se lei avesse avuto un figlio...

    Le sue giornate erano vuote perché non aveva nessuno da amare e di cui prendersi cura. Aveva le sue sorelle, ma ora temeva che nella vita non avrebbe potuto provare amore per nessun altro. Ormai era una donna adulta e l'affetto tra sorelle non le bastava più.

    Tenuto conto del numero di concubine che viveva in quell'harem, il legame che s'instaurava tra un uomo e una donna doveva essere davvero molto debole.

    Quante donne vivevano nell'harem di suo padre? Aveva sentito dire che anche lui aveva un harem e spesso si era chiesta se lo aveva avuto anche al tempo di sua madre. Per quanto tempo il sultano aveva pianto la morte della moglie? Un mese? Una settimana? Un giorno?

    Oltre la porta ad arco proveniva un sommesso mormorio. Alba udì l'acqua scrosciare. Uno sbadiglio. Era strano pensare che lei avesse visto il vero amore lì nell'harem del Principe Ghalib. Il legame tra madre e figlio era sicuramente più forte e resistente dell'acciaio.

    Consapevole del fatto che sarebbe potuto entrare qualcuno, Alba si coprì il viso con il velo. Esitò. Prima di andare, doveva chiedere a quella ragazza un'ultima cosa. «L'harem di mio padre è qui vicino?»

    La giovane donna inarcò le sopracciglia. «Sì, è il primo edificio, proseguendo lungo il sentiero.»

    Alba strinse le mani a pugno. «Esisteva anche quando era viva mia madre?»

    La concubina batté le palpebre. «Sono stata portata qui dopo la morte della regina, ma credo di sì. Generazioni di sultani hanno avuto un harem.»

    «E così, è vero...» mormorò Alba.

    «Che cosa?»

    «Non importa. Grazie per avermi permesso di tenere in braccio Yamina. Addio.»

    «Addio. Che Dio vi benedica.»

    «Che benedica anche voi.»

    Si udì il tintinnio degli anelli delle tende, un fruscio di sete sul pavimento di marmo. Presto le donne e i bambini dell'harem si sarebbero alzati. Se avessero visto Alba, le avrebbero fatto mille domande. Aveva indugiato troppo a lungo. Dopo aver rivolto alla giovane madre un sorriso di commiato, lasciò la stanza.

    In fretta ripercorse il sentiero attraverso l'agrumeto. Il cielo si era tinto di rosa e la torre che il Sultano Tariq aveva fatto costruire per le tre principesse si ergeva di fronte a lei. Era un edificio imponente e isolato dal resto del palazzo. Volutamente isolato, si rese conto Alba. Il sultano non voleva che le sue figlie risiedessero vicino all'harem.

    Da là sotto, la torre delle principesse, per quanto illuminata dai raggi del sole nascente, appariva sinistra come una prigione. Alba si sentì percorrere da un brivido.

    E se il sultano avesse deciso di tenere rinchiuse le sue figlie fino a quando fossero state avvizzite e con i capelli grigi? Era molto possessivo nei loro confronti e Alba non si sarebbe stupita se fosse stato quello il suo intento. Bastava vedere quello che era successo alla loro madre. La regina era nata nel vicino Regno di Castiglia e aveva avuto la sfortuna di essere catturata dalle truppe del sultano. Si diceva che non appena il sultano aveva posato gli occhi su di lei, l'aveva voluta per sé.

    Non era stato vero amore. Per il Sultano Tariq l'amore era possesso. Aveva fatto della prigioniera spagnola la sua regina e lei non aveva mai più fatto ritorno in Spagna.

    Le era stata offerta la possibilità di rifiutarlo? Alba ne dubitava.

    Aveva sentito la mancanza della sua terra? Probabilmente sì.

    Era questo il motivo per cui sua madre era morta quando lei e le sue sorelle erano ancora tanto piccole? La colpa era della volontà di ferro di suo padre?

    Per un attimo Alba pensò che forse lo stava giudicando con troppa severità. Avrebbe tanto voluto sapere quali progetti avesse il sultano per le sue figlie. Avevano ormai raggiunto l'età da marito, ma lui non aveva mai menzionato il matrimonio. Se non si fosse mai sposata, non avrebbe mai avuto un figlio.

    Sfortunatamente, anche se il sultano avesse avuto in progetto il matrimonio per lei, Alba dubitava che le avrebbe trovato un buon marito. Gli uomini erano freddi e, per quel che aveva potuto vedere lei, senza cuore. Suo padre sicuramente lo era, ma per correttezza doveva prendere in considerazione la possibilità che altri uomini potessero essere diversi.

    Un'alternativa era il concubinato. Quella ragazza, nell'harem le aveva detto che il Principe Ghalib era buono con lei, ma Alba non pensava che il sultano avrebbe permesso alle proprie figlie di diventare concubine. Era troppo orgoglioso.

    Alba aveva fatto il possibile per sapere cosa esisteva nel mondo al di fuori del palazzo e ciò che aveva scoperto, l'aveva resa molto diffidente. Gli uomini erano bellicosi. I confini di suo padre non erano mai sicuri, c'era sempre un nuovo conflitto di cui preoccuparsi. Gli uomini erano interessati al potere, al denaro, al possesso e alla terra ed era quella la ragione per cui le grandi alleanze matrimoniali venivano stipulate tenendo conto solo dei vantaggi politici. Se gli uomini a volte pensavano all'amore, questo doveva avere un valore molto basso nella scala delle loro priorità.

    Alba quasi inciampò nelle lastre di pietra quando, all'improvviso, le balenò un'idea in testa. Non aveva bisogno di sposarsi per avere un figlio. Se fosse riuscita ad allontanarsi da suo padre, avrebbe sicuramente trovato un uomo disposto a darle un figlio.

    Perché legarsi a un uomo? Era certa che da sola sarebbe stata felice. Possedeva scrigni traboccanti di gioielli. Disponeva dei mezzi per crescere un figlio senza avere un marito. Suo figlio avrebbe imparato cosa significava avere l'amore di una madre e sarebbe stato libero. Non avrebbe avuto bisogno d'altro.

    Alzò gli occhi verso la cima della torre, dove ancora dormivano le sue sorelle. Quella torre era una gabbia dorata e lei non voleva sprecare la sua vita in una gabbia. Se suo figlio doveva godere della completa libertà, doveva nascere molto lontano dal Sultano Tariq. Alba doveva andarsene a tutti i costi.

    Le gemelle sarebbero fuggite insieme a lei? Il suo cuore accelerò i battiti mentre ci pensava. Sarebbe stato meraviglioso! Loro tre avrebbero vissuto insieme e si sarebbero supportate a vicenda come avevano sempre fatto. Lei avrebbe avuto un figlio e le sue sorelle lo avrebbero amato quasi quanto lei.

    Ma dove? Dove sarebbero potute andare?

    Il Regno di Castiglia – la patria della loro madre – era un luogo valido quanto un altro. In Spagna avrebbe cercato l'uomo adatto. Un uomo bello, che le avrebbe dato un bel bambino e poi l'avrebbe lasciata in pace. Un uomo d'onore che non avrebbe cercato di sottometterla. Un uomo che...

    In quel momento le sovvenne un ricordo. Rivide gli occhi grigi di uno dei cavalieri spagnoli che suo padre aveva quasi ucciso sulla strada per Granada. Alba lo aveva visto solo qualche volta e sempre

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