I segreti della principessa: I Grandi Romanzi Storici
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Tornata a Costantinopoli dopo dieci anni di assenza, in un primo momento la Principessa Theodora ricorre a menzogne e sotterfugi per evitare il Duca Nikolaos, l'uomo a cui l'imperatore l'ha promessa in moglie. E anche quando si rassegna a sposarlo a causa della minaccia che incombe su di lei e sulla bambina che ha avuto in segreto, decide comunque di celargli le oscure preoccupazioni che l'assillano. Tanta reticenza insospettisce Nikolaos, al punto che la sua diffidenza nei confronti dell'incantevole moglie cresce di pari passo con la passione. Cosa gli nasconde Theodora? Possibile che il suo segreto sia così terribile da non poterlo rivelare nemmeno all'uomo che dice di amare?
Carol Townend
La passione per il Medioevo ha portato l'autrice a studiare storia all'università di Londra e poi a prediligere quel periodo per l'ambientazione dei suoi romanzi d'amore. Vive con il marito e la figlia vicino a Kew Gardens.
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Book preview
I segreti della principessa - Carol Townend
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Betrothed to the Barbarian
Harlequin Mills & Boon Historical Romance
© 2012 Carol Townend
Traduzione di Federica Isola Pellegrini
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5899-062-9
Frontespizio. «I segreti della principessa» di Townend Carol1
«Costantinopoli» mormorò la Principessa Theodora Doukaina, fissando l’oscurità dal parapetto della galea. «Siamo finalmente a casa.» Stringendosi al petto la bimba di pochi mesi, la sistemò in modo da consentirle di scorgere per la prima volta la città situata nel cuore dell’impero. Intenta a succhiare un angolo della coperta che l’avvolgeva, Martina stava fissando il bagliore di una lanterna appesa all’albero maestro. Quando lei la spostò e le tolse di bocca la stoffa, la bambina continuò a seguire con lo sguardo l’ondeggiante lanterna. Theodora emise un sospiro.
«Con il vostro permesso, mia signora.» Avvicinandosi, Sophia le insinuò un braccio sotto il mantello e l’allacciò alla vita. Il calore del corpo della sua dama di compagnia le procurò un notevole conforto. Non era ancora Pasqua e un vento gelido soffiava sul Mar di Marmara. «Forse dovrei portare la bambina sottocoperta.»
«No, il mare è calmo e vorrei che vedesse la città.»
Sopra di loro, il cielo notturno era tempestato di stelle. Il chiarore della luna piena si riversava sul ponte, mettendo in risalto le sagome dei marinai che si apprestavano ad ammainare la vela. Su Costantinopoli, tuttavia, non c’erano stelle, come se un banco di nuvole si librasse sulla città.
La voce del timoniere risuonò al di sopra dello scricchiolio delle fiancate di legno della nave. «Capitano Brand!»
«Vogliate scusarmi, signore.»
Passando loro davanti, il capitano si diresse verso la poppa. Theodora se ne accorse a stento, intenta com’era a fissare avidamente al di là dell’acqua, la gola serrata da un groppo. Erano a casa. A casa.
Paura, speranza e senso di colpa le affollavano la mente.
A settentrione, diverse luci brillavano a intervalli regolari lungo uno scuro, nebuloso profilo. Dovevano essere le mura del Palazzo, ma era difficile distinguerle quella notte. Le sagome delle cupole sprigionavano una luminescenza innaturale. Theodora le osservò perplessa. C’era qualcosa che non andava, qualcosa che mancava. Corrugò la fronte. Come mai non riusciva a orientarsi? Conosceva la città come il dorso della propria mano. Si trovavano di fronte al Palazzo? Avrebbe dovuto saperlo, ma, per quanto aguzzasse la vista, era incapace di scorgere il Boukoleon. L’ingresso del porto imperiale avrebbe dovuto essere illuminato dai bracieri posti sulla sommità delle torri, a destra della cupola di Hagia Sophia...
Un colpo di vento le strappò una ciocca di capelli da sotto il cappuccio del mantello. Un brivido la percorse. Si percepiva qualche altra cosa nell’aria, oltre al sentore di salsedine, qualcosa che la raggelò assai più del vento.
«Riuscite a sentire questo strano odore, Sophia?»
Al pari di Theodora, Sophia aveva portato lo sguardo verso la terraferma, verso il palazzo imperiale. Rafforzando la stretta attorno a lei, aspirò una profonda boccata d’aria e sgranò gli occhi. «Fumo! Sento l’odore del fumo!»
«La città è in fiamme. Guardate quella cupola: la doratura non ha mai sprigionato un simile bagliore neppure al levar del sole. Alcuni settori sono stati incendiati.» In quel medesimo istante, la cupola scomparve alla vista. Una cappa di fumo stava ammantando Costantinopoli.
«Mia signora...» Sophia lanciò un’occhiata preoccupata alla poppa. «Forse ci converrebbe scendere sottocoperta.»
Dietro di loro, un marinaio imprecò. Il capitano Brand abbaiò un ordine. Seguì un turbine di attività e la galea invertì la rotta. Fu allora che Theodora udì le grida, fievoli richiami portati dal vento.
«Le udite anche voi, Sophia?»
Sophia le tirò il braccio. «Vi prego, mia signora, dobbiamo scendere.»
L’espressione cupa, il capitano Brand tornò a dirigersi verso di loro mentre Theodora apriva la bocca per protestare. «Ritengo che dovreste ritirarvi, signore.»
«Che cosa sta succedendo, capitano?» domandò Sophia.
L’ufficiale variago incaricato di scortarle scosse il capo. «Non ne ho idea, ma il faro del Palazzo è spento. Non intendo arrischiarmi a entrare nel porto imperiale, questa notte.»
Theodora riportò lo sguardo sul profilo della città. Il faro... Ma certo, era per quello che non era in grado di orientarsi! Per anni e anni, il faro si era innalzato come una sentinella accanto al Palazzo. Veniva acceso ogni giorno al tramonto e perché fosse stato spento prima dell’alba doveva essere accaduto qualcosa di una gravità estrema. Il vento mutò direzione, spingendo via il fumo, e le mura teodosiane che proteggevano il Boukoleon da un eventuale attacco proveniente dal mare riapparvero alla vista. Le fiamme si rifletterono sulle cupole dorate, simili a fiori purpurei. Poi il fumo si spostò, occultando le mura, le cupole e i fiori purpurei.
Tremando, Theodora si strinse al petto Martina. «La città è in fiamme.»
«Non possiamo averne la certezza, signora. Probabilmente non c’è alcun pericolo, ma non possiamo entrare nel porto imperiale questa notte.»
Il vento investì la galea e un rullo di tamburi giunse fino a loro.
Theodora fissò il capitano. «Tamburi di guerra, capitano?»
Lui serrò le labbra in una linea dura. «Sembra altamente improbabile. Comunque, mi è stato ordinato di proteggere voi signore. Mi scuso per il ritardo, ma non dormirete nel Boukoleon ancora per un certo tempo.»
Theodora scambiò un’occhiata con Sophia. Avrebbe voluto ridere, avrebbe voluto piangere. Ovviamente, nel ruolo di semplice dama di corte che stava interpretando, non fece nessuna delle due cose, limitandosi a scendere sottocoperta come le era stato ordinato. Non aveva senso destare all’ultimo momento i sospetti del capitano sulla sua vera identità.
«Avete deciso che cosa ne farete della piccola, mia signora?»
«Mmh?» Theodora alzò lo sguardo dalla bimba addormentata sul suo grembo. Lei e Sophia sedevano su una panca nella stanza per gli ospiti dell’Abbazia di San Michele fiocamente illuminata, a poche miglia di distanza da Costantinopoli. Stavano attendendo notizie su ciò che era accaduto in città, le attendevano da due settimane. Due settimane. La Pasqua era arrivata e passata.
All’esterno stava piovendo, l’aria era satura di umidità. Le scarpette foderate di lana la proteggevano a stento dal gelo che filtrava dal pavimento di pietra. Rafforzando la stretta attorno alla bambina, avviluppò entrambe nel velo e nello scialle.
Ringraziava il cielo dell’imprevisto tempo supplementare che le era stato concesso per stare con Martina. Ogni istante che trascorreva con lei era infinitamente prezioso. Era penosamente consapevole che Sophia, sua amica e dama di compagnia, era convinta che molto presto sarebbe stata costretta a separarsi dalla figlia. Per sempre. Il protocollo, il cerimoniale di corte, lo avrebbe richiesto. Era un suo vecchio nemico, il protocollo. Si era già battuta una volta contro di esso, lo avrebbe fatto di nuovo. Ignorava come, ma in qualche modo avrebbe conquistato il diritto di tenere con sé la bambina.
Scoccandole un’occhiata comprensiva, Sophia tentò ancora una volta. «Che cosa ne farete di lei quando arriveremo al Boukoleon?»
La principessa e Sophia erano sole, le altre dame di corte alloggiavano in una stanza per gli ospiti più spaziosa. Theodora era certa di essere riuscita a procurare loro un minimo di riservatezza senza insospettire il capitano Brand. Era convinta, o quasi, che il capitano ignorasse che lei era la Principessa Theodora Doukaina. Un dubbio insidioso, però, continuava a roderla. Il capitano Brand aveva fiutato il loro inganno?
La stanza dell’abbazia che occupavano era tutt’altro che principesca, non molto più grande della cella di un monaco, oltre che arredata in modo spartano. Poiché il capitano aveva dichiarato che nessuna delle signore avrebbe potuto lasciare il monastero finché non avesse ricevuto la conferma che potevano raggiungere il Palazzo senza pericolo, quella minuscola stanza era diventata la loro prigione.
Theodora soffocò un sospiro. Il viaggio di ritorno a Costantinopoli era stato irto di difficoltà, tanto più che nessuno dei soldati che le accompagnavano doveva sapere che non era una dama di corte come le altre. Solo lei e le sue dame erano a conoscenza della verità.
Il giorno della resa dei conti era alle porte. Era la Principessa Theodora Doukaina ed era ora che rientrasse in possesso del suo rango. Il problema era che non lo desiderava affatto. Grazie ai lunghi anni di allenamento, esternamente appariva tranquilla. Internamente, invece, aveva l’impressione che il suo cuore fosse fatto di vetro, un vetro che si era spezzato in migliaia di frammenti. Per quanto amasse Costantinopoli, paventava la prospettiva di farvi ritorno. Se avessero scoperto che aveva una figlia, lo scandalo avrebbe scosso l’intera città.
Il capitano Brand aveva garantito loro che l’Abbazia di San Michele sarebbe stata il posto ideale per attendere notizie. Non avrebbero potuto lasciarla finché lui non avesse avuto la certezza che fossero al sicuro.
Al sicuro. Era stato difficile non ridergli in faccia. Se solo avesse immaginato... Lei nascondeva tanti di quei segreti che non si sarebbe mai più sentita al sicuro.
Il viaggio da Dyrrachion, sulla frontiera occidentale dell’impero, era stato una tortura. Era stata ossessionata dal pensiero che ogni giorno che passava l’avvicinava di un giorno al momento in cui avrebbe potuto perdere sua figlia. Da una parte, aveva desiderato che il viaggio durasse per sempre. Dall’altra, non era stato facile fingere di non essere che una qualsiasi dama di corte, tanto più che le altre sapevano che era la Principessa Theodora e avevano l’abitudine di esaudire ogni suo desiderio. La tensione causata da quella finzione la stava logorando.
«Come mai il faro del Palazzo era spento?» domandò, e non per la prima volta. «È inaudito. Inconcepibile.»
«Non lo so. Forse il vento...» Sophia lasciò la frase in sospeso.
«Il vento... no.» Theodora cullò la figlia, la panca scricchiolò. Ricordò le fiamme che aveva visto e l’odore acre del fumo. Le grida. Non era stato il vento a spegnere il faro quella notte, Sophia lo sapeva quanto lei. Perché il faro si fosse spento e non fosse stato racceso, doveva essere successo qualcosa di spaventoso, di rivoluzionario, nello stesso Palazzo.
«Che cosa può essere accaduto?» Possibile che ci fosse stato un colpo di stato? Una qualche sommossa? Perfino a Dyrrachion avevano udito le voci di malcontento. L’imperatore, che si ostinava a definirsi suo zio, non era il più popolare degli uomini.
Sophia scrollò le spalle. «Non ne ho idea, mia signora.»
«Ovviamente, ci vorrà del tempo per consentire a un messaggero di andare e tornare dal Palazzo.»
«Tempo? Sta impiegando un’eternità. Non capisco. San Michele non viene usato come ostello dalla corte a causa della sua vicinanza a Costantinopoli?»
Sophia aveva ragione. L’abbazia, annidata su un promontorio affacciato sul Golfo di Lasthenes, in cui la loro galea era attualmente all’ancora, non era molto lontana dalla città. «Se è accaduto qualcosa nel Grande Palazzo, non tarderemo ad apprenderlo.»
Theodora posò la mano sulla testolina della figlia, accarezzando distrattamente con il pollice i sottili capelli che la coprivano.
Era terrificante l’amore che provava per quel minuscolo fagottino. Terrificante e meraviglioso. Quando si era accorta di essere incinta, non aveva immaginato di essere capace di provare dei sentimenti così intensi. Martina le apparteneva, non avrebbe permesso che gliela portassero via. La morte poteva aver reciso il vincolo che l’aveva unita al Principe Petar, ma niente avrebbe spezzato quello che la legava a sua figlia.
«Torneremo presto al Palazzo, mia signora» le assicurò Sophia. Poi, sebbene fossero sole, abbassò la voce. «Se desiderate mantenere il vostro segreto, dovete decidere che cosa ne farete di lei. Non potete più rinviare la decisione.»
Un fiotto di lacrime salì agli occhi di Theodora, il cuore le si strinse. Era vero. Aveva delle decisioni difficili da prendere. Sophia non nutriva alcun dubbio su come avrebbe dovuto comportarsi. Il protocollo esigeva che lei rinunciasse a Martina, che fingesse che lei e Petar non avessero creato quell’incantevole, misterioso, piccolo essere umano.
Non poteva farlo.
Tuttavia, c’erano altri motivi per cui avrebbe dovuto rinunciare alla figlia, motivi noti a lei sola, motivi assai più importanti del protocollo.
Sarebbe stato preferibile per Martina se avesse rinunciato a lei.
Si trattava di un motivo estremamente valido, ma, per quanto lo fosse, non poteva abbandonarla. Doveva esistere un sistema che le consentisse di tenere Martina con sé senza perderla. Raddrizzando le spalle, fissò la sua dama di compagnia. «Non posso rinunciare a lei.»
«Dovete farlo, mia signora! Pensate a quali conseguenze andreste incontro se vi scoprissero.»
«Non ho pensato ad altro da quando abbiamo lasciato Dyrrachion. Non rinuncerò a lei.»
Il sospiro di Sophia risuonò nel silenzio. All’esterno, Theodora udì il salmodiare dei monaci, il grido di un gabbiano che stava sorvolando la baia, il ticchettio della pioggia sulla pietre del chiostro. Trascorsero diversi minuti.
«È mia figlia, Sophia!»
«Capisco, ma che cosa farete? Confesserete di avere dato alla luce una bambina fuori dal vincolo del matrimonio? Voi, una principessa imperiale?»
«Non posso.»
«No. Suppongo che potreste continuare a fuggire. Gli esploratori che il capitano Brand ha mandato in città devono già aver appreso se Anna e Katerina sono giunte sane e salve a destinazione. Potreste lasciare che Katerina porti avanti la finzione ancora per un certo tempo.»
La finzione. Lei sospirò. Era la Principessa Theodora Doukaina, ma, dato che aveva avuto una figlia di cui poche persone conoscevano l’esistenza, si era temporaneamente calata nella parte di semplice dama di compagnia. Già sbigottite a causa della sua gravidanza, le altre erano rimaste ancora più scandalizzate da quella simulazione. Sapevano così poco! Si sarebbe travestita da pecoraia, se ciò le avesse consentito di tenere la figlia con sé.
Inclinando la testa da un lato, Sophia la osservò con aria assorta. «Per quanto tempo Anna e Katerina riusciranno a ingannare la corte?»
«Se state cercando di farmi rimordere la coscienza per avere chiesto a Katerina di prendere temporaneamente il mio posto, vi assicuro che ci state riuscendo.» Theodora le coprì la mano con la propria, provando la necessità di quel contatto. Benché le fosse stato insegnato a compiere il proprio dovere, tale dovere non le era mai sembrato uno spietato tiranno come quel giorno. «Ho detestato chiedere loro di soddisfare la mia richiesta, ma desideravo stare un po’ più a lungo con Martina, e questo non è cambiato. Né mai cambierà.»
«Avete intenzione di nascondervi, in tal caso?»
Il panico l’attanagliò. Si alzò e la bimba si mosse, sbattendo le ciglia sulle guance arrossate dal sonno. «Un’idea che mi tenta, lo ammetto, ma sarebbe egoistico da parte mia pensare soltanto a me stessa e a Martina. Devo pensare anche a Katerina: non è giusto pretendere che continui a fingere all’infinito. Prima o poi si tradirà. Per il suo bene, devo assumere di nuovo l’identità della Principessa Theodora. Devo tornare al Palazzo.»
«Sono certa che sarebbe la cosa migliore.» Sophia si sporse in avanti. «Che cosa intendete fare? Se confesserete che la bambina è vostra, può darsi che il Duca Niko...»
Lei la interruppe con un imperioso cenno del capo. «Non dovrei essere costretta a ricordarvi che sarebbe rischioso per Martina.»
«E allora?»
Theodora fissò accigliata la porta chiusa. C’erano troppe domande senza risposta per consentirle di mostrarsi risoluta come avrebbe gradito. «Gli uomini della nostra scorta hanno dimostrato una qualche curiosità nei confronti di Martina?»
«Be’, sì, mia signora.»
«Che cosa vi hanno chiesto? Avete risposto che era vostra?»
«Mia?» Sophia inarcò le sopracciglia. «Sono nubile, quindi non ho dichiarato niente del genere. Ho risposto che la madre di Martina era morta di parto e che una delle nostre serve stava fungendo da sua nutrice.»
«Sua madre è morta di parto? Be’, in un certo senso è vero che non sono più la donna che ero.»
Arrossendo, l’amica si affrettò a rassicurarla. «Non intendevo offendervi, mia signora, lo giuro, ma non potevo dichiarare che la bambina era mia. Se fosse giunto all’orecchio di mia madre... il solo pensiero che io possa aver dato alla luce una figlia illegittima la ucciderebbe.»
«E probabilmente l’intero impero vi metterebbe al bando. Non temete, Sophia, conosco fin troppo bene la corte... le regole, il cerimoniale, il protocollo. Capisco.»
«Se me lo ordinate, fingerò che sia mai. È solo che mia madre...»
«Sareste disposta ad assumervi la colpa delle mie trasgressioni? Siete molto leale.» Theodora scosse la testa. «Apprezzo la vostra generosità, ma non sarà necessario. Se qualcuno deve portare il peso del disonore causato dalla nascita di mia figlia, lo porterò io.» Fissò con aria pensierosa la parete imbiancata a calce. «Comunque, mi auguro che riusciremo a evitare lo scandalo. Lasciatemi riflettere. Prendete Martina, vi spiace?»
Dopo aver depositato la piccola nelle braccia di Sophia, si diresse verso la lama di luce che filtrava dalla stretta finestra, una feritoia, in realtà. Una lieve brezza le sfiorò le guance. I muri di pietra dell’edificio di fronte erano offuscati dalla pioggia, l’apertura era troppo stretta per consentirle di scorgere altro. A un tratto, si voltò.
«Sophia, trovo ingegnosa la storia che avete inventato, ossia che la madre di Martina è morta di parto. Vi aggiungeremo qualche particolare e, in tal modo, saremo in grado di convincere tutti che sono esattamente quella che dovrei essere... una rispettosa, obbediente principessa che torna a casa da uno stato vassallo per conoscere il suo fidanzato. Quando mi calerò di nuovo nelle vesti della Principessa Theodora, dovrò accertarmi di apparire perfetta. Pura. Il Duca Nikolaos non deve minimamente sospettare che non sono la vergine che gli è stata promessa.»
Sophia abbassò lo sguardo sulla piccola che aveva in grembo. «E Martina? Che cosa ne farete di lei?»
«Martina sarà la figlia di una schiava che è morta nel darla alla luce. La Principessa Theodora si è assunta il compito di provvedere a lei. In tal modo, nessuno troverà insolita la sua presenza tra il seguito di una principessa nubile.»
«D’accordo, mia signora» ribatté lentamente Sophia. «Se ritenete che funzionerà.»
«Potreste sembrare un po’ più convinta. Funzionerà, deve funzionare. Martina è la mia vita, non posso rinunciare a lei.» Theodora impresse un tono più vivace alla propria voce. «Dirò di averla adottata. Sono accadute cose ben più strane nel Grande Palazzo, ve lo garantisco.»
«E se il Duca di Larissa sollevasse delle obiezioni? Una principessa rispettosa, una principessa perfetta, deve obbedire al suo promesso sposo.»
Lei si morse il labbro. Era quasi riuscita a cancellarsi dalla mente il Duca Nikolaos di Larissa. Non aveva mai posato gli occhi sull’uomo che l’imperatore le aveva ordinato di sposare. «Se la fortuna mi assiste, non lo incontrerò tanto presto.»
Sophia assentì. «Ho sentito dire che è stato richiamato a Larissa.»
«Sì, sua madre è gravemente malata.»
«Grazie al cielo.»
«Sophia!»
«Perdonatemi, mia signora, non è quello che intendevo. Non dovete pensare che desideri che la madre del duca sia gravemente malata, ma mi è venuto in mente che la sua assenza dalla corte deve costituire un sollievo per Anna e Katerina.»
Theodora annuì: erano i suoi stessi pensieri. Le era anche venuto in mente che, con un po’ di fortuna, il duca sarebbe potuto restare a Larissa per diverso tempo e che il loro incontro sarebbe stato rinviato. Una tregua di qualunque genere sarebbe stata oltremodo gradita.
Sophia riportò lo sguardo su Martina. «Mi auguro che vi permetterà di tenerla.»
«Me ne accerterò personalmente» ribatté Theodora in tono fiducioso, sebbene stesse tentando di convincere se stessa quanto Sophia. In realtà, non aveva la più pallida di come il fidanzato avrebbe reagito alla notizia che la Principessa Theodora Doukaina aveva una bimba di pochi mesi tra le dame del suo seguito. Il Duca Nikolaos era un famoso generale dell’Armata Imperiale, un uomo senza dubbio più abituato a comandare che a lasciarsi persuadere. Paventava il momento del loro incontro. Desiderava disperatamente di poter evitare quel matrimonio.
Sophia la osservò preoccupata. «Lo sposerete, despoina? Ne sarete in grado dopo Župan Petar?»
Le lacrime le offuscarono la vista. Theodora si affrettò a distogliere lo sguardo, vagamente consapevole che Sophia stava agitando la mano nella sua direzione.
«Theo... mia signora, mi dispiace. Vi ho addolorata, nominandolo.»
Lei ricacciò il groppo che le serrava la gola. «Il Principe Petar non è mai lontano dalla mia mente.»
«Naturalmente. Siete pronta a sposare il Duca Nikolaos?»
Sbattendo rapidamente le palpebre, Theodora rialzò la testa. Una ciocca di capelli castani sfuggì alle forcine e le ricadde sul seno. In fretta e furia, lei l’appuntò di nuovo. «Sono pronta quanto non lo sarò mai.» La sua voce non era che un soffio. «Nessuno può sostituire Petar, ma, malgrado le mie manchevolezze, sono sempre una principessa della Casa Imperiale. Se l’imperatore mi ordinerà di sposare il Duca Nikolaos di Larissa, gli obbedirò.»
Annuendo, Sophia rimboccò lo scialle attorno a Martina. «Ovviamente. Sono lieta che abbiamo escogitato un sistema che vi consentirà di tenere con voi questa piccolina.»
Lei le rivolse un sorriso annacquato. «Devo ringraziare voi per aver inventato questa storia. Ci limiteremo a ricamarci sopra.»
«Certo, mia signora. Mi rallegro di esservi stata di aiuto, ma...»
«Ma?»
«Voglio che siate felice. Riuscirete a essere felice con il Duca Nikolaos?»
«Mi sforzerò di esserlo. Io sono la Principessa Theodora ed è mio dovere provvedere alla felicità di mio marito. La mia dipenderà dalla sua.»
Sophia aprì la bocca per replicare e la richiuse allorché dei passi frettolosi risuonarono all’esterno.
«Tacete. Deve essere il capitano Brand.» Theodora si coprì i capelli semplicemente acconciati con lo scialle, sistemandolo in modo da celare la maggior parte del viso. «Siamo arrivate fin qui senza che lui si sia accorto che sono la Principessa Theodora... non dobbiamo cadere all’ultimo ostacolo.» Quando ebbe la certezza che il capitano non avrebbe visto che due occhi castani, fece segno a Sophia di farlo entrare. Non volendo richiamare l’attenzione su di sé, avrebbe cercato di parlare il meno possibile.
«Avanti» gridò Sophia.
Il chiavistello scattò e il capitano Brand apparve sulla soglia. Theodora gli rivolse un cenno distratto. Al pari di molti uomini delle guardie variaghe, le guardie personali
