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La vertigine del lieve crepuscolo
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Ebook74 pages54 minutes

La vertigine del lieve crepuscolo

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About this ebook

Dall’antro delle mie romantiche nostalgie, rinvengo un passato torbido nel quale, tumefatto in ansie terrificanti, vissi adombrato nella licantropia di me stesso...

Dopo le notti marmoreamente, atrocemente cupe e colme di ferina cupidigia de La prigionia della tua levità, si protrae la continuazione ideale stessa dell’incubo sognante narratovi qui e altrove.

Incarnatosi nella materializzazione di un’altra evanescente, fugace visione impalpabile della misterica beltà d’una letale, mortale o solamente eterna ed eterea, eburnea, superba perfezione simboleggiata da una vertiginosa, concupiscente ed esoterica femme fatale demoniaca e lussuriosa. Lei, l’enigmatica, irresistibile donna d’ogni più inconscia, virile e meandrica fantasia che, riapparsa nel violento e feroce attimo di un’infinitesimale potenza ipnotica, stregherà un investigatore privato sino a condurlo nel baratro d’ogni sua insospettata, macabra e funerea perdizione. Un viaggio spettrale e introspettivo alle origini cimiteriali della nostra umanità primordialmente defunta. Da tempo immemorabile, giammai nata o forse solamente in gloria risorta in tutta la sua magniloquente magnificenza rinascente come la suprema bellezza d’ogni notte nostra più fatuamente angelica e dunque torbida, peccaminosamente macchiata dall’indelebile ombra del diavolo più mellifluo e torvo. L’infernale notte più ambigua e fulgida, dominata da un’invisibile, intoccabile regina abbacinante con la tonante forza del suo stellato firmamento chiaroscurale e poi improvvisamente lucente.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMar 26, 2020
ISBN9788831665988
La vertigine del lieve crepuscolo

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    La vertigine del lieve crepuscolo - Stefano Falotico

    Indice

    I

    II

    III

    IV

    V

    VI

    VII

    VIII

    IX

    X

    XI

    XII

    XIII

    La vertigine del lieve crepuscolo

    di

    Stefano Falotico

    Copyright © 2020 Stefano Falotico

    Immagine di copertina © Kiki De Montparnasse (Ilaria)

    Foto by Zazie

    Impaginazione copertina Manuela Paric’

    Incenerito nel tempo mio che risorse dopo imponderabili notti lugubri nelle quali tu, donna fatale della mia eterna perdizione, denudatati del tuo candore e spogliata della tua sin a ieri immacolatezza non ancora sconsacrata, violata nella tua eterea verginità e deprivata della tua suadente innocenza or appannatasi, scalfita e infranta, sprofondata nella libagione della disumana carnalità del tuo corpo smembrato, tu, così bestialmente assetata e assatanata, m’apparisti in sogno tramutatosi in incubo e così rimembro quel virulento istante mortifero e letale in cui la tua soave, abbacinante anima mortificasti per prostrarti alla demoniaca adorazione dell’ingordigia più brada e repellente.

    Oh, mia dea solitaria della tua levità immensamente candida, creatura notturna sigillata, per tempo immemorabile, nell’imperscrutabilità d’una pura lietezza marmorea e infinita, apparentemente intoccabile che adesso invece, screpolatasi nel lindore tuo imperituramente svanito e scevro, per sempre di tua magnetica, stupefacente forza ammaliante e prodigiosamente seducente, diromperà lucente.

    Tu, cintati nella poderosa brace ardente dell’animalesca peccaminosità straziante le armoniose viscere del tuo essere la beltà più fresca, radiosa e fulgente, in quel fuggente attimo sfigurante la tua beltà immensamente stordente, scivolasti nel buio più annerente ogni residua tua luminosità incandescente.

    Ma forse io vissi solamente, in questi giorni duri e nelle mie febbricitanti notti malinconiche, tetre e solitarie, l’incubo più orrido e cupo in cui m’apparisti oscenamente deturpata d’ogni tuo più profumato e stupendo candore scintillante.

    Gemetti, straziato e da tale tremendo incubo ferocemente lussurioso strozzato, forse soltanto inutilmente d’ira gridando e falsamente immaginando la vacua agonia tremenda d’una disillusa tua spirituale lindezza incontaminata che invece ancora, incorrotta e nivea come l’aurora più cristallina, nell’eternità della tua invincibile venustà senza fine, respirerà battente e ardimentosamente sin al termine dell’ultima notte di tutti i tempi ancora umanamente scintillanti. Eri gioiosa, avida di vita, sebbene solo d’emozionalità poco trasparenti agli occhi altrui, intimamente e con pudica, fantastica timidezza, troppo sensibilmente la vivesti e l’esistenza stessa tu interiorizzasti nella tua maliarda, dolcissima evanescenza. Per cui, eclissandoti dal mondo e nascondendoti, lontana dagli sguardi degli uomini di te ingordi e lupeschi, fremendo d’ansietà violenta, nel tuo giaciglio e nel tuo segreto giardino dal mondo t’oscurasti, aggraziandoti di roboanti sogni impossibili e custodendo gelosamente ogni tua carnale e suadente sensualità rigogliosa nell’antro soffocante del tuo stesso dorato eremo incantato, o mia divina regina di te stessa gelosa. Oggetto dei desideri più viscidi e insanamente golosi. O mia amata irraggiungibile, io lambii con la fantasia mai avveratasi le tue labbra per attimi imprendibili ma soltanto fuggenti, ruggenti di mie focose fantasie possenti e virilmente portentose ma prima tu sparisti e poi ti squartasti nella notte delle concupiscenze più riprovevoli e smaniose d’uomini mostruosi che ti lordarono nell’immacolatezza così magnifica e vellutatamente pura come la mansueta tua tenerissima tenuità di donna castigatasi in un’imperterrita adolescenza così tanto delicata quanto pura ma volubile, nervosa, lunatica e bizzosa.

    Adorai e venerai il tuo essere così schiva, involontaria schiava di tal aberrante mondo pericoloso e ignominioso. E, nel cuore strangolato, piansi in silenzio. Lodandoti in eterno col mio romanticismo tenero.

    1. Ti risvegliasti, ancora pudica, nel tormento di un incubo mansuetamente candido e nell’avido bagliore dei lupi e anche del mio licantropo

    Lupi agguerritamente selvatici scorticarono la tua anima e la disossarono, spolpandoti viva e deglutendo, a sorsi carnali, ogni grammo della tua nudità a loro in sacrificio offerta e a essi, in segno di sottomissione tua irredimibile al dio delle perdizioni più tristi, prostrata. Tu, divina donna dalla suprema, irraggiungibile beltà a tutti donata, ti sacrificasti, genuflettendoti alla follia umana, offrendoti nuda anche nell’anima al godimento loro della tua purezza e della tua gioviale candidezza infranta, oh sì, spogliatati a turpe ludibrio d’un pasto inverecondo così animalesco, smodato e lurido.

    Ma, nonostante il pasto cannibalesco, ancora vergine tu in sogno m’apparisti in abiti trasparenti. E trasparve, dal nero dell’incubo imperituro in cui, gemendo deturpata, sprofondasti e dal quale, nella nerissima, spettrale cupezza dell’innocenza tua frantumata, rifulgesti nel male altrui da te assaggiato, la da me divinizzata tua bellezza roboante della tua donna ancora intattamente, stupendamente intoccabile poiché, in cuor profondissimo tuo, in modo tonante detonasti madida di candore inviolato così come divinamente fosti concepita e nascesti, fulgida, incarnata aurora dell’estasi che simboleggi con la forza erotica più alta, prelibata e

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