Avrebbe potuto vivere infinite vite Giordano Bruno Guerri. Pochi, però, sono riusciti a consumarne quante lui. Figlio del popolo, nato per caso a lesa, il paese dei genitori nei boschi senesi dove gli Etruschi si fermarono secoli, e di cui anche chi scrive potrebbe dire, Guerri cresce a Ospiate di Bollate doppiando la maggiore età nel 1968 milanese, che interpreta da beatnik “ringhioso e ribelle, ma non politicizzato”. Affinando, così quella che diventerà la sua cifra intellettuale. La pratica libertaria e liberale, ma soprattutto libertina, opposta a quella dei compagni katanga che avvisavano il moggiordomo di non aspettarli per cena, presi com'erano a servire il popolo prima del weekend a Sankt Moritz.
Poco più che più ragazzo, Guerri esordisce con un piccolo gioiello: la tesi dedicata a Giuseppe Bottai, il più intelligente, elegante e coraggioso dei gerarchi che inaugura la corrente revisionista.
A differenza, però, di Renzo De Felice, Francesco viene tradotto in 17 lingue e Guerri diventa una personalità stimata da Manuel Puig, Gabriel García Márquez, Inge Feltrinelli e Aldo Busi, mentre Fidel Castro lo invita a colazione a L'Avana.