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Galleria Nazionale dell'Umbria

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Inaugurate lo scorso primo luglio, il nuovo allestimento del museo interpreta la tradizione con approccio e linguaggio inediti
Alessandro Benetti

La configurazione delle sale della Galleria Nazionale dell'Umbria (GNU) di Perugia è rimasta sostanzialmente invariata per circa 15 anni da quando, nel 2006, si è conclusa la riorganizzazione che ha interessato il secondo e il terzo piano. Il riallestimento completo, progettato da Daria Ripa di Meana e Bruno Salvatici e inaugurato lo scorso primo luglio, si relaziona a questo stato di fatto senza farne tabula rasa. Piuttosto, ne conserva gli elementi più validi, ne corregge i principali difetti con interventi anche consistenti e ne rafforza la coerenza d'insieme. Nel panorama affollato dei musei italiani, la GNU può vantare almeno un primato, peraltro valido alla scala mondiale: nessuna collezione comprende un numero così elevato di opere di Pietro di Cristoforo Vannucci, più noto come il Perugino. A questo insieme ragguardevole e all'imponente corpus di dipinti prevalentemente di soggetto sacro, databili in gran parte tra il XIII e il XVIII secolo, la galleria aggiunge oggi anche un breve ma significativo approfondimento su due dei principali artisti umbri del XX secolo, Alberto Burri e Gerardo Dottori. Il museo dichiara di volersi rinnovare senza rotture e I'allestimento di Ripa di Meana e Salvatici si allinea a questo approccio:

“Tradizione e innovazione sono i due poli all'interno dei quali s'inserisce il nuovo percorso espositivo”, dichiarano gli autori.

La trasformazione del Palazzo dei Priori, sede della GNU dal 1878, si mostra già nei suoi spazi di rappresentanza e di accoglienza al pubblico.

L'atrio è valorizzato da un progetto d'illuminazione che ne enfatizza l'ampiezza e ne sottolinea gli elementi di più chiara ascendenza medievale – le volte, i costoloni, le finestre a ogiva – mentre il bookshop è esteso e arricchito. In parallelo, il programma della GNU si arricchisce di nuove funzioni che trovano spazio in aree in precedenza non accessibili. La creazione di un laboratorio di restauro conferma la volontà del museo di farsi polo di riferimento per la conservazione dell'arte antica; un'aula didattica attrezzata si propone come spazio d'incontro e di divulgazione; infine, una biblioteca di storia dell'arte di circa 30.000 volumi s'insedia nella sala del Grifo e del Leone. Nella prima sala il bancone dell'accoglienza s'ispira, nelle forme e nel colore, al logo della GNU e, nel concept, al “design for all”. Progettato dall'architetto Maria Elena Lascaro e realizzato da Ciam, ha altezze differenziate e una sezione rastremata e priva di spigoli per garantire accessibilità, percettibilità e inclusività.

La riprogettazione delle 39 sale trae ispirazione innanzitutto da due considerazioni di carattere prettamente museografico. Da un lato, come spiegano Ripa di Meana e Salvatici, “la proliferazione delle opere si presenta come uno dei maggiori limiti dell'ordinamento attuale” perché sovraccarica il visitatore di stimoli e compromette la leggibilità degli ambienti monumentali in cui sono collocate. Per questo, il nuovo allestimento ne riduce il numero, ma ambisce a configurare spazi e dispositivi flessibili, in grado di accogliere focus temporanei da affiancare all'esposizione permanente.

Al contempo, si sceglie di privilegiare un ordinamento rigorosamente cronologico, per esempio rifiutando la suddivisione tra le varie arti applicate, che impedisce d'individuare i legami tra le diverse esperienze artistiche dello stesso periodo storico. Eccezione alla regola, tutti i lavori del Perugino, prima distribuiti in sette sale, sono ora raggruppati in due soli ambienti, dove si combinano in una narrazione ininterrotta, che permetta di cogliere la coerenza e l'evoluzione tra le diverse fasi della sua produzione. A partire da questi assunti, l'allestimento di Ripa di Meana e di Salvatici affronta i grandi temi propri di questa tipologia di progetto. Il rapporto tra uniformità e varietà, particolarmente rilevante nel caso delle collezioni allestita dai BBPR al Castello Sforzesco di Milano (1956). Nella rarefazione delle sale risuonano gli echi di quelle esperienze. Il linguaggio resta sommesso: le superfici sono monomateriche – le pareti d'intonaco bianco, i pavimenti di cotto –, i passaggi tra le sale sono varchi talvolta ritagliati nella muratura e senza contorno, talvolta commentati dalle antiche cornici di pietra; i sistemi di fissaggio delle opere sono pressoché invisibili e i volumi che ne supportano alcune sono solidi astratti e monocromatici. Un attento processo di sottrazione di tramezzi, partizioni e altri elementi d'arredo incongrui fa risaltare tanto i dipinti quanto l'architettura del Palazzo dei Priori. In particolare, torna apprezzabile nella sua unitarietà il loggiato a tre arcate affacciato su corso Vannucci, parte della risistemazione del piano nobile progettata a metà del XVI secolo dall'architetto perugino Galeazzo Alessi.

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