The Miró Labyrinth at Fondation Maeght
Fondation Maeght a Saint-Paul de Vence. Estate. Abbandono il fracasso dei motori a scoppio. M’inoltro sulla stretta strada in pendio. Sento affiorare nelle viscere segnali discreti del sentimento del sacro. Insomma, non esageriamo. Anche di gioia. Scale, nidi d’amore, passeggiate appartate per gli innamorati sotto l’azzurro del cielo. Sento lo stesso brivido sensuale.
Ogni anno, per circa quattro decenni, i festival del jazz della Costa Azzurra (Antibes Juan-les-Pins e Nizza) mi hanno portato a raggiungere Saint-Paul de Vence. Un piacevole dovere molto emozionante.
Quei festival li ho vissuti, con tutti i loro momenti incandescenti:
Ray Charles, Charles Mingus… Il 26 luglio 1965, ad Antibes Juan-les-Pins, John Coltrane suona A Love Supreme. A 20 anni, è un colpo che non si dimentica; poi, la lenta trasformazione in una festa del consumismo più o meno frivola. Ci sono anche momenti magici (non bisogna essere ingiusti),
Sonny Rollins, Keith Jarrett, Miles Davis... 1974, prima Grande Parade del jazz a Nizza, nata per opera di George Wein e Simone Ginibre: sfilano (quasi) tutti i jazzisti viventi, o per lo meno attivi, tranne gli attivisti dichiarati (chiamatelo free jazz o great black music, a vostro piacere).
La Fondation Maeght offriva il contrario di questo mondo irrequieto, destinato a diventare inutile. Senza contare che quattro anni prima, in anticipo di un millennio, vi si erano svolte le favolose “Nuits de la Fondation”, santo cielo! Albert Ayler, Sun Ra, Cecil Taylor, Terry Riley, La Monte Young, tutti profeti di un futuro che non ha saputo essere alla loro altezza. Estate, ci si mette all’ombra, le cicale si danno con appassionata follia a quel che meglio sanno fare – cantare a ritmo continuo – senza per altro che si sappia se cantano. Né perché. Come ci si dedichino è un punto già meglio analizzato, grazie all’entomologo Jean-Henri Fabre. Siamo entrati in un mondo parallelo.
Qui comincia il mondo dei fantasmi, con il sodalizio tra arte, natura, architettura, forme, opere e complicità che arriva a un tale punto di precisione, di successo, di perfezione che potrebbe essere benissimo l’ipotesi magica del più reale dei mondi.
Mentre “dei mortali la moltitudine vile / sotto la sferza del Piacere, boia senza pietà / coglie rimorsi nella festa servile” (Charles Baudelaire) e si affolla Du côté de la côte (come nel cortometraggio di Agnès Varda), la Fondation Maeght è qualcosa di più di un’oasi di pace.
La perfezione della natura evocata dalle arti: l’alleanza dell’istinto, dell’amicizia, dell’amore, di un’architettura provvidenziale e di artisti quanto mai diversi gli uni dagli altri… A casa di Aimé Maeght stanno fianco a fianco e si rispettano. Complicità segreta. Sinergia di un luogo e di pratiche d’arte senza precedenti, oltre che senza eredi. Insopportabile sinfonia delle cicale e lieve brezza tra gli alberi che un dio nascosto ha soffiato a guance gonfie, deliberatamente. Nel 1953, Aimé e Marguerite Maeght vedono morire di leucemia il figlio Bernard. Dolore insuperabile.
Georges Braque li raggiunge e li convince a combattere la disperazione più profonda con la creazione di un luogo senza paragoni: “Dato che desiderate tanto fare qualcosa che vada oltre il commercio delle arti – che a quanto pare disprezzate, e vi capisco – fate qualcosa qui, qualcosa che non abbia scopi speculativi, che permetta a noi artisti di esporre scultura e pittura nelle migliori condizioni di luce e di spazio possibili. Fatelo, e vi aiuterò”.
Si uniranno a lui gli artisti della Galerie