Another practice
To kindle a new way of imagining the planet, it is necessary to politically re-examine the fundamental mechanisms of architecture
Il 9 settembre 2020, la regione della baia di San Francisco si è svegliata sotto un inquietante cielo arancio cupo. Come immagini di un film di fantascienza, queste virate di colore causate dal fumo degli incendi danno l’idea di un pianeta ferito e in fase di mutamento. A questa nuova Terra dell’emergenza climatica — che negli scritti dell’ambientalista Bill McKibben è chiamata Eaarth — non serve solo un esame critico che ci aiuti a misurare il nostro posto sul pianeta in quanto specie, ma cambiamenti radicali nel modo di intendere la pratica architettonica. Data la nostra attuale instabilità ambientale, politica ed economica, una ricerca tesa a reimmaginare la professione sembra alimentare iniziative nate logore, in primis pratiche troppo indulgenti, che vedono l’architettura quale elemento secondario in relazione ai problemi più immediati del pianeta, oltre a un tentativo di andare “oltre l’architettura” eludendola così completamente. Una seconda posizione accumula, invece, esercizi autoreferenziali e miopi sulle convenzioni architettoniche, utili a evitare e aggirare strategicamente il mondo reale. Un terzo approccio, a metà strada tra i precedenti, considera l’architettura una forma eroica per risolvere i problemi, ma manca il bersaglio, perché
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