Società dello spreco, architettura dello spreco
Throwaway society, throwaway architecture
La nostra è una società dei consumi. L’affermazione è tutto meno che inedita: in La teoria della classe agiata (1899) il sociologo americano Thorstein Veblen individuò nella società consumi che andavano oltre la soddisfazione dei bisogni reali e miravano a ottenere prestigio sociale. Questo “consumo ostentativo” divenne presto un tratto dominante delle classi benestanti. Nel periodo dello sviluppo del Dopoguerra si diffuse dagli Stati Uniti all’Europa e negli anni Sessanta e Settanta si estese a tutti i Paesi industrializzati. Da allora il consumismo è un fenomeno onnipresente che affligge potenzialmente il mondo intero.
Così onnipresente, in realtà, che ha anche preso d’assalto l’architettura e la città. Ciò è particolarmente inquietante, perché l’architettura e la città non sono (o non dovrebbero essere) beni di consumo e in realtà non sono subito caduti nel vortice del consumismo. Con poche eccezioni: il Manifesto dell’architettura futurista (1914) introdusse l’idea che ogni generazione dovesse costruirsi la propria città. Martin Wagner, responsabile dell’urbanistica di Berlino negli anni Venti del Novecento, concepì piazze metropolitane come Alexanderplatz con un’architettura commerciale pensata per durare solo un paio di decenni. E l’architetto britannico Peter
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