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il buon auspicio
Stracci e ossa
Dura mater
Ebook series21 titles

Scafiblu

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About this series

Quante donne può essere una donna?
Quanti nomi può avere? 
E quante vite?

Eva ha dodici anni quando la sorella minore Sara muore annegata. In seguito, i genitori di Eva cancellano ogni traccia della sua esistenza – non ne pronunceranno mai più nemmeno il nome – e per reazione Eva passa dal mutismo al rifiuto di mangiare. Adolescente, grazie a un progetto scolastico, parte inaspettatamente per Car­­diff, da cui tornerà a casa solo quindici anni dopo, trentenne, con il preciso scopo di raccogliere informazioni sulla sorella e ricostruirne così l’esistenza. 
In questi quindici anni, Eva ha dimenticato se stessa, diventando Nicky a Cardiff, Blu a Parigi, Viola a Berlino, Dora a Palermo, Lili a Bologna, Nives a Barcellona… 
In ogni città in cui approda è una donna diversa, ma si porta dietro ogni volta l’intero condominio di personaggi che la abitano mentre tenta di fuggire la sua Idra. A Berlino incontrerà Lupo, figlio di una comunità di hippie. Anche Lupo è un fuggitivo: ha lasciato la sua comunità, i genitori e anche ogni forma di esistenza ordinaria ed è diventato un circense. Lupo introdurrà Eva nella “famiglia” di cui è fatto il suo circo, tracciando per Eva un nuovo percorso in fondo al quale potrà forse scoprire il suo vero nome, il nome segreto.


Olga Gambari si occupa di arte come curatrice indipendente, critica e giornalista. Collabora con «la Repubblica» e «Il Giornale dell’Arte». È stata direttrice artistica di The Others Art Fair, del festival internazionale di arte indipendente Nesxt e direttrice responsabile del progetto editoriale artesera.it. Nel 2021 ha diretto Paratissima. Insegna Storia dell’arte contemporanea e Fenomenologia delle arti contemporanee allo Ied - Istituto Europeo di Design. Ha curato mostre e progetti artistici multidisciplinari.
Il nome segreto è il suo esordio nella nar­rativa.
LanguageItaliano
Release dateApr 7, 2023
il buon auspicio
Stracci e ossa
Dura mater

Titles in the series (21)

  • Dura mater

    1

    Dura mater
    Dura mater

    Mariella è nel letto numero 5 della terapia intensiva. Una cicatrice demarca il confine tra un limbo di visioni e la realtà che le sfugge. È in coma farmacologico: crede di aver tentato il suicidio per amore, ma l’hanno operata al cervello per una malattia rara che non sapeva di avere.  Mariella dubita di sé, non riesce a ricostruire gli eventi; ma sarà quella della scienza, alla fine, la sola verità della consapevolezza ritrovata.  Una cicatrice separa anche i due luoghi di Mariella: Roma, un fondale di carta, e l’Abruzzo, la sua terra antropologica, dove sopravvive la memoria della zia Elda e dove talvolta la natura, offesa, porta morte e desolazione.  Una cicatrice segna infine le due lingue di dura mater: l’affilato gergo medico e improvvisi tratti lirici con radici antiche. Alla fine, la strada da percorrere è una sola: quella del capetiempe dei contadini abruzzesi, il ripartire sempre da capo insieme al volgere delle stagioni, superando il dolore delle sciagure, sia quelle individuali che collettive delle frane e dei terremoti.

  • il buon auspicio

    1

    il buon auspicio
    il buon auspicio

    Chi è la Lorenza che scrive un diario in cui annota le vicende martoriate e a volte, loro malgrado, irresistibili dei pazienti di un ospedale psichiatrico di cui è “ consulente filosofico ”? È l’autrice stessa? È un caso di omonimia? Un alter ego, un Doppelgänger, ovvero un sosia, un viandante ubiquo?  Perché Lorenza è al contempo anche Lorenzo, un’emanazione che si fa corporea e le impedisce di amare altri uomini, di respirare grazie alle vitali energie sentimentali e sessuali. La tiene in scacco, le si nega e al contempo l’avvolge in spire paralizzanti. È un corpo a corpo feroce quello tra Lorenza e Lorenzo, che si rarefa sempre di più, raschiando lentamente i loro corpi, lasciando infine come un precipitato inutilizzabile nel mondo reale la scoria del pensiero puro, mentre intorno a loro si avvicendano personaggi e comparse, uomini e donne fatti di ombra e seduzione, aspettative e richieste. Vanno e vengono come deflagrazioni psichiche, eppure sono loro che mandano avanti il mondo di Lorenza/Lorenzo. Loro e i pazienti in cura e la figura di un Padre, con la P maiuscola dei simboli.   Ma il diario è anche un deposito di memoria, di annotazioni casuali, di ragionamenti e teorie di vario genere, di coiti con la scrittura e la letteratura; questo diario è, sopra ogni altro aspetto, un prezioso scrigno linguistico.   Il personaggio Lorenza definisce tale fiume in piena, il suo diario, come « feticismodocumentaristico della protagonista » e per di più senza alcuna intenzione letteraria. In realtà siamo di fronte a un’abilissima co­struzione linguistica e strutturale; una struttura-trappola come il nastro di Möbius, dove il lettore perderà l’orientamento trov­andosi, da una pagina all’altra, dagli scantinati oscuri delle pulsioni più proibite ai cieli aperti di un’intuizione che non è soltanto filosofica ma cosmica. Luca Ragagnin  

  • Stracci e ossa

    1

    Stracci e ossa
    Stracci e ossa

    Il protagonista del romanzo è un cinquantenne che torna a Udine, sua città natale, insieme alla compagna e al loro cane, poco dopo aver perso l’impiego nel mondo editoriale, per nulla dorato. La sua famiglia era arrivata nel Nord-Est al seguito del padre militare, di stanza in una delle caserme poste a ridosso della “cortina di ferro” durante la Guerra Fredda, una Fortezza Bastiani che ormai non ha più Tartari o altri barbari da aspettare. Inseguendo i suoi ricordi – memorabili quelli delle scorribande di quartiere comuni allo storico gruppo di amici ritrovati – torna al caseggiato dove abitava da ragazzo, ormai disabitato. Mentre la relazione con la compagna si logora, inizia a entrare di nascosto nella palazzina finendo per rinchiudersi nell’appartamento che molti anni prima era stato della sua famiglia. Il sinistro palazzo, infestato di presenze e rumori immaginati o temuti, funziona come una straordinaria macchina della memoria che stravolge percezioni e volontà e altera il corso del tempo, compreso quello della narrazione, mentre anche il mondo esterno sembra in balia di un evento che investe subdolamente la vita di tutti. Stracci e ossa è un fiume in piena di parole che travolgono il lettore con la loro forza viva e sincera, e un romanzo che racconta l’impossibilità di ogni ritorno, insieme al bisogno vitale di ricordare, per trovare qualcosa di quel che siamo anche se non abbiamo più radici.

  • L'animale nella fossa

    1

    L'animale nella fossa
    L'animale nella fossa

    Un potente viaggio in una dimensione poetica nuova e ricercata Prefazione di Tommaso Ottonieri Avvicinarsi alla poetica di G.G.G. è un’e­sperienza immersiva, un avanzare insieme nel bosco, luogo misterico per eccellenza. Nelle parole del prefatore Tommaso Ottonieri: «Il bosco psicomagico di Gaia Ginevra s’accatasta di altarini fonici, ultrasuoni tellurici che solo in uscita si condensano in immagine verbale, grammatizzando lo spezzarsi di linee (di cui si genera) a esprimere l’ustoria traccia della materia fiabesca di cui s’erano impressi per rapprendersi in sillabare di sciamano. […] E il paesaggio, il bosco, a schegge, esploso, secco, a sé non basta. Vocante, ovunque, il filo vibrato dalla lingua ne corre il senso oscuro». Con la sua ricerca linguistica, G.G.G. tenta un’architettura effimera fatta di margini, parti, pluralità; una decolonizzazione del linguaggio; un’opera di traduzione/tradimento dell’esperienza. Soprattutto, afferma un “materialismo vitalistico” in cui tutti i corpi (tramite mescolanze, innesti, esercizi di memoria e profezia) e tutti gli oggetti sono vivi e in relazione, nel solco dell’“interdipendenza simpoietica” della filosofa Donna Haraway. La parte finale del libro – una sorta di diario impossibile, esploso, un cut-up forsennato di appunti e corrispondenze da leggere alla rovescia – lascia emergere la dimensione del corpo postorganico, della materia sottile, del ricordo e del sogno, e si costruisce attraverso il meccanismo della memoria, come fenomeno contrario alla museificazione.

  • Il cimitero delle macchine

    1

    Il cimitero delle macchine
    Il cimitero delle macchine

    Giocando con le regole del patto tra narratore, personaggio e lettore, La Chiusa prende un’esistenza fittizia e anodina, per quanto emblematica, un personaggio da romanzo – Ulisse Or­sini – e ci invita a osservarlo da vicino: un soggetto improduttivo, in esubero, ossessionato dalla propria sensazione di illegittimità; uno che ha perso il lavoro e si rintana in casa, riducendosi a sgattaiolare sul pianerottolo per non incontrare i rispettabili condomini. Lo colloca in una metropoli nei primi anni Duemila, riconoscibile eppure fantastica, un cantiere interminato, coerente solo nella propria vocazione di «città della moda e degli eventi»; e lo segue nella sua tragicomica odissea urbana, attraverso paradossali ambulatori e ospedali simili a penitenziari, per vie ridotte a scarni residui dello sfruttamento economico, finché giunge – in mutande e con una valigia piena di biancheria – in una discarica dell’hinterland. Qui, nel cimitero delle macchine, tra i reietti accampati in mezzo a rottami e carcasse d’auto, Ulisse conosce Lazzaro Lanza, un imbianchino con aspirazioni messianiche, che lo trascina nelle azioni del suo movimento rivoluzionario (e nei suoi lavori di tinteggiatura). Il sardonico avvicendarsi di sipari architettato dall’autore rivela tutta l’assurdità del mondo contemporaneo e registra l’inesausto stato di tensione tra l’insostenibilità del reale e la fuga nell’immaginazione. Una tensione che ingabbia Ulisse e gli altri personaggi del romanzo, facendone le nostre grottesche controfigure. Sergio La Chiusa ha pubblicato nel 2020 il romanzo i Pellicani. Cronaca di un’emancipazione (Miraggi), finalista al Premio Italo Calvino (Menzione Treccani), al Premio Bergamo, al Premio Giuseppe Berto e al Premio Megamark. Nel 2023 ha pubblicato il racconto lungo Madre nel cassetto (Industria & Letteratura). In poesia ha pubblicato nel 2005 la plaquette I sepolti e l’e-book Il superfluo.

  • Donne “cattive”: CInquant'anni di vita italiana

    1

    Donne “cattive”: CInquant'anni di vita italiana
    Donne “cattive”: CInquant'anni di vita italiana

    « L’Italia che esce dalla guerra, l’Italia che entra nel nuo­vo millennio. Cambiano i costumi, il modo di produrre e di pensare, l’immaginario, le regole della convivenza. Con amori, sangue, vendette, illusioni, utopie, crudeltà, coraggio, inventiva: un romanzo che attraversa mezzo secolo. Da una parte ci sono le istituzioni con i loro ritardi e lentezze, la misoginia dei politici, il moralismo dei giudici, la scuola repressiva, la Chiesa ancorata alla tradizione, la scomunica di ogni ribellione, i faticosi e appassionanti itinerari del rinnovamento, le resistenze del potere al nuovo. Dall’altra parte ci sono i personaggi che – magari in maniere sgradevoli o addirittura criminali, per improvvise esplosioni, a segmenti – trasgrediscono la norma e precorrono i tempi, contribuiscono a far crollare tabù e convenzioni, portano alla luce quanto sta maturando nelle pieghe della società […] Figure femminili. Sono loro – le donne che rifiutano un destino predeterminato e scelgono di buttare all’aria tradizione, gerarchie, persino il rispetto della legalità – le protagoniste delle tante Italie che […] si scontrano, si ignorano, convivono. […] Non eroine intemerate. Non vittime. Non controfigure  […]. Donne scomode. Le madri delle ragazze del nuovo millennio. »

  • La-notte-dei-botti

    La-notte-dei-botti
    La-notte-dei-botti

    «Su La Notte dei Botti posso dire semplicemente che fu per me l’occasione per mettere su carta quanto temevo stesse accadendo o stava per accadere in Italia. Di qui il genere, in bilico tra fantascienza, fantapolitica e catastrofico…» Un romanzo profetico sulla notte della repubblica, scritto più di trent’anni fa (1994-97), che resta profetico anche mentre vediamo quelle previsioni avverarsi. Cercando di capire che cosa sia accaduto nella “Notte dei botti”, un’umanità slabbrata e paradossale è costretta dalle autorità – è un golpe? c’è notizia di resistenti, c’è euforia – nello spazio chiuso di un autogrill che diventa un girone infernale postmoderno. L’unico a fuggire  è il «protagonista strano, Scriba, che andava in autostrada con la bicicletta, armato solo dei suoi sensori e della sua inutile preveggenza. Per me l’allegoria della letteratura in quel passaggio così difficile per il nostro Paese…». La scrittura visionaria di un grande autore, tra Ballard e Gadda, che mescola l’alto e il basso, gioca col tempo e con lo spazio, moltiplica i punti di vista e cantilena le sue ripetizioni creando un’atmosfera chiusa e ossessiva.

  • malapace

    20

    malapace
    malapace

    Autunno 1944. In un campo di prigionia alleato della Francia appena liberata, è detenuto François, accusato di collaborazionismo. Quando al campo arriva Antoine, vecchio vicino di casa al tempo dell’infanzia e ora fascista convinto, François rammemora il percorso che l’ha condotto all’internamento, attraverso un dialogo intessuto di reticenze e accuse, di antagonismo e intimità carsica. Come un demone Antoine costringe Fran­çois a rievocare la sua infanzia di bambino cattolico, che si fa sospendere a scuola perché rifiuta la retorica della Grande Guerra che gli ha ucciso il padre. A rievocare, durante quella vacanza obbligata, l’incontro con Martine, figlia di un maestro elementare socialista che pare avere molte risposte. A rievocare, diventato un giovane comunista, la morbosa amicizia con Jean-Pierre, compagno di militanza e poi amante di Martine. A rievocare, infine, la scelta più sofferta: collaborare con il regime fascista di Vichy nel tentativo di fermare la guerra e l’eccidio di milioni di persone. Una scelta sanguinosa, portata avanti contro i compagni comunisti e persino contro Jean-Pierre e Martine, che accomuna il suo destino a quello di torturatori e miliziani come Antoine. A emergere con più urgenza sono però il bisogno di François di essere amato e l’unica certezza che François mantiene salda, in mezzo a tanti rivolgimenti privati: che la pace debba essere difesa a qualsiasi costo. Anche quello di fare un patto col diavolo, da cui è impossibile tornare indietro.

  • Gli amanti perduti nel transfinito

    1

    Gli amanti perduti nel transfinito
    Gli amanti perduti nel transfinito

    Maria e Giuseppe cercano un po’ d’intimità (soprattutto Giuseppe, in realtà, poiché Maria è un’influencer molto impegnata in difesa del concetto di verginità) e finiscono nell’albergo più grande della città, anzi dell’universo: l’Hotel Hilbert. Tra le infinite stanze dell’albergo ce ne sarà almeno una per loro, no?  Le cose, però, non sono così facili e il sornione concierge, laureato in matematica, sfrutta tutte le opportunità che gli vengono offerte dalla logica dell’infinito, che vale nell’Hotel Hilbert, e che appaiono erroneamente paradossali a chi vive nel finito, per irretire i due ragazzi e tentare di sedurre Maria. Nell’hotel, per esempio, alloggiano infinite copie di chiunque, e dunque infinite Marie, che per di più a loro volta vivono tutte le loro possibili vite, tutti i possibili amori e poliamori, e perseguono tutte le possibili missioni e tutti i loro contrari. Così, tra passioni, tradimenti, delusioni e successi, si snocciolano le avventure di Maria, Giu­seppe e del concierge, verso un finale imprevedibile. Be’, si dirà, fuori c’è un mondo finito, dove le cose accadono una volta sola e ciascuno di noi non è che un irripetibile sé stesso (o così ci sembra), dove le storie (anche quelle d’amore) sembrano uniche. Forse, però, le cose non sono esattamente così, perché, come si vedrà, la logica del finito dipende strettamente da quella dell’infinito.

  • Uno di noi

    Uno di noi
    Uno di noi

    Quattro amici di vecchia data, alla fine di una partita di calcetto, decidono di dare fuoco a una baraccopoli. Lo fanno così, senza una ragiona precisa, spinti dall’euforia del momento. Purtroppo, il loro gesto si trasformerà in tragedia. Il drammatico evento lascia su tutti i personaggi coinvolti tracce indelebili, Uno di noi ne è il resoconto, senza escludere nessuno, né le vittime, né i carnefici. È un libro duro, fatto di rabbia, di odio, di frustrazione. Parla di padri minuscoli, delle loro colpe, del loro inutile pentimento. Parla del ventre molle del Paese, della sua inesorabile deriva forcaiola. Parla dell’impossibilità del perdono. E poi c’è la scrittura, che divora ogni cosa, trasformandola in letteratura. UN ROMANZO SCRITTO IN FORMA DI TRAGEDIA GRECA

  • Di sangue e di ferro

    Di sangue e di ferro
    Di sangue e di ferro

    Una storia che accende la luce sulle mille menzogne che formano la nostra identità, su tutto quello che abbiamo bisogno di raccontarci e di farci raccontare per proteggerci dalla forza travolgente della realtà. Nel 1972 esplode una bomba a Peteano, vicino a Gorizia, uccidendo tre carabinieri. Gli inquirenti sospettano alcuni militanti di Lotta Continua. Due di loro, un ragazzo e una ragazza che frequentano la facoltà di sociologia a Trento, finiscono con l’automobile nel lago di Levico, cercando di sfuggire all’arresto. Il figlio di tre anni rimane orfano. Alcuni mesi dopo vengono arrestati sei balordi goriziani che non c’entrano nulla con l’attentato. Poi vengono scarcerati. Per dieci anni le indagini brancolano nel buio, depistate dagli inquirenti che le conducono. Che ruolo hanno avuto i genitori del piccolo? E i nonni che si sono presi cura di lui? Sono stati vittime o sono stati colpevoli? Il velo comincia a sollevarsi nel 1986, quando Vincenzo Vinciguerra racconta al giudice Felice Casson i retroscena dell’attentato e le trame più oscure della destra eversiva degli anni settanta. Ma purtroppo non basta. Il mistero della morte dei due ragazzi non riesce a squarciarsi. Un romanzo sulle oscurità della Storia e sull’impossibilità di ricucire il presente con il passato, anche per quanto riguarda le vicende personali.

  • il nome segreto

    il nome segreto
    il nome segreto

    Quante donne può essere una donna? Quanti nomi può avere?  E quante vite? Eva ha dodici anni quando la sorella minore Sara muore annegata. In seguito, i genitori di Eva cancellano ogni traccia della sua esistenza – non ne pronunceranno mai più nemmeno il nome – e per reazione Eva passa dal mutismo al rifiuto di mangiare. Adolescente, grazie a un progetto scolastico, parte inaspettatamente per Car­­diff, da cui tornerà a casa solo quindici anni dopo, trentenne, con il preciso scopo di raccogliere informazioni sulla sorella e ricostruirne così l’esistenza.  In questi quindici anni, Eva ha dimenticato se stessa, diventando Nicky a Cardiff, Blu a Parigi, Viola a Berlino, Dora a Palermo, Lili a Bologna, Nives a Barcellona…  In ogni città in cui approda è una donna diversa, ma si porta dietro ogni volta l’intero condominio di personaggi che la abitano mentre tenta di fuggire la sua Idra. A Berlino incontrerà Lupo, figlio di una comunità di hippie. Anche Lupo è un fuggitivo: ha lasciato la sua comunità, i genitori e anche ogni forma di esistenza ordinaria ed è diventato un circense. Lupo introdurrà Eva nella “famiglia” di cui è fatto il suo circo, tracciando per Eva un nuovo percorso in fondo al quale potrà forse scoprire il suo vero nome, il nome segreto. Olga Gambari si occupa di arte come curatrice indipendente, critica e giornalista. Collabora con «la Repubblica» e «Il Giornale dell’Arte». È stata direttrice artistica di The Others Art Fair, del festival internazionale di arte indipendente Nesxt e direttrice responsabile del progetto editoriale artesera.it. Nel 2021 ha diretto Paratissima. Insegna Storia dell’arte contemporanea e Fenomenologia delle arti contemporanee allo Ied - Istituto Europeo di Design. Ha curato mostre e progetti artistici multidisciplinari. Il nome segreto è il suo esordio nella nar­rativa.

  • Quando i padri camminavano nel vuoto

    Quando i padri camminavano nel vuoto
    Quando i padri camminavano nel vuoto

    Libro che ha già conquistato circa una ventina di gruppi di lettura! Seganalato dal Premio Calvino Gli occhi taglienti di un bambino raccontano lo smarrimento della generazione che ha fatto la guerra, I padri che camminavano nel vuoto, e la progressiva presa di distanza dei figli da questi padri. Due piste si intrecciano, quella delle avventure tragicomiche del padre (latinista di provincia, donchisciotte scofitto ma pieno di dignità) e quella della storia d’amore per la bellissima Giuditta. Un amore che nasce da bambini, che si perde e si rinnova più volte. Si sente sempre raccontare il dopoguerra secondo cliché consolidati e convenzionali: lo sguardo rivolto verso il futuro, la leggerezza, l’entusiasmo, la certezza nei valori ritrovati. Ma era davvero così? Questo romanzo racconta un’altra storia.

  • Il gioco della verità

    Il gioco della verità
    Il gioco della verità

    “Il gioco della Verità” è un libro prezioso, perché ci permette di vedere con i nostri occhi, per così dire in presa diretta, lo spirito del ‘68. Come se avessimo trovato un rullino di fotografie scattate allora e lo sviluppassimo oggi, possiamo leggere questo romanzo scritto a quattro mani, giorno per giorno, quell’inverno tra 1968 e 1969, da due brillanti ventenni di solide letture e modelli (da Joyce a Kerouac, per fare due nomi). Rimasto sepolto per 50 anni, questo testo ora ci mostra qualcosa di inedito, attraverso i loro occhi. Un’esperienza rara, dato che tutto quello che è stato scritto sul 68 è stato scritto ex post, com’è ovvio. È così forse possiamo scoprire davvero  e semplicemente come in quei tempi i giovani hanno cambiato il mondo, nella ferma volontà di cambiarlo, ma prima che tutto venisse assorbito e schiacciato dall’ideologia e dalla politica, che pure non manca. Ragazzi e ragazze per la prima volta liberi, di muoversi, di amare, di sperimentare, di consoscere la vita e se stessi, di operare delle scelte proprie. Decisi a prendersi tutto, o almeno a godersela il giusto. Il cinquantesimo anniversario del ‘68 ha stimolato reazioni di segno diverso, dalle banali rievocazioni – o commemorazioni – dei bei tempi che furono, delle lotte e ideologie perdute, fino al mero marketing per nostalgici ex ragazzi non cresciuti neppure alle soglie degli –anta. Il tutto immerso in un brodo unto di retorica che ci riconsegna l’immagine di quell’anno con addosso un peso di responsabilità e storia che lo allontana da noi molto più della sua reale distanza, come se si trattasse di un passato molto più remoto. Leggete questo libro prezioso!

  • Colloqui con il Pesce Sapiente

    Colloqui con il Pesce Sapiente
    Colloqui con il Pesce Sapiente

    IL LIBRO FOLGORANTE DI UN ARTISTA IMPORTANTE Decine di piccoli, fulminanti “prose”, che rivelano con spirito entomologico la natura recondita e più vera, spesso beffarda, di cose e fatti che pensiamo di conoscere bene solo perché li frequentiamo da sempre. Uno spirito flaubertiano sembra aver visitato l’autore di questi Colloqui con il Pesce Sapiente. Usando l’ironia come uno spillo e la pagina come una teca, vengono esposti, con metodo entomologico, cose e fatti che pensiamo di conoscere bene solo perché li frequentiamo da sempre. Così esibite, però, le cose e i fatti rivelano altre nature, recondite e inaudite ma perfettamente plausibili, che beffarde ci fanno sentire un po’ sciocchi con la loro nuova (in realtà vecchia) evidenza. Paolo Brunati ci parla (anzi, “ si ” parla) degli Insetti, degli Ornitorinchi, della Creazione, dei Mariti, del Bambino (che fu, che è), del Mare, della Nonna, dei Poeti, della Colpa, dei Morti, della Parola… delle piccole e accecanti Rivelazioni quotidiane in grado di risvegliare il nostro stupore fanciullesco, quello stupore che è il primo stadio filosofico della coscienza. E una volta risvegliati, non sapremo più prendere sonno.

  • Pontescuro

    Pontescuro
    Pontescuro

    Il romanzo si svolge nel 1922, nella bassa padana, e segue una linea narrativa semplice: l’uccisione della bellissima e scandalosa figlia del signorotto locale. Colpevole è il fattore, mosso da invidia sessuale e sociale (quindi, si tratta a tutti gli effetti di un femminicidio ante litteram), ma dell’assassinio viene incolpato lo “scemo del villaggio”. Ragagnin dà voce alla nebbia, al fiume, al ponte, al cadavere della ragazza, a una ghiandaia, a una blatta; oltre al narratore, sono quindi i testimoni innocenti o le vittime a prendere la parola, a rispecchiare il male che alligna intorno a loro e contro di loro. C’era una volta, nella bassa padana, un pontescuro costruito con pietre, sangue e nebbia, in mezzo al vuoto dei campi. Intorno al ponte, sulle due rive che annoda, sono sorti poi un castello, dove abitano da sempre i padroni, e un villaggio, Pontescuro, dove abita da sempre la malora. Ovunque intorno, la nebbia, antica e onnisciente. Nel 1922, anno di marce e violenza, la bellissima Dafne Casadio, la figlia del padrone, viene trovata morta con un nastro rosso intorno al collo. La nebbia, il fiume, la ghiandaia, la blatta sanno chi è stato a stringere quel nastro rosso fino al buio; ma di tutte le anime che vivono a Pontescuro, sarà l’unica innocente a essere accusata del delitto. Pontescuro è il male dove abita l’uomo. Pontescuro è una storia sul male che abita l’uomo. Senza tempo, come la nebbia, senza ragione, come l’assassinio, senza salvezza, forse, se non per chi il male non ha mai abitato.

  • La realtà pura

    La realtà pura
    La realtà pura

    La realtà pura è un romanzo-metafora dell’Impedimento, esistenziale e metafisico, che ci impedisce di essere ciò che vorremmo essere e ottenere ciò che desideriamo. Quali sono le forze che si oppongono ai nostri disegni? Chi ci impedisce di realizzare i nostri sogni? Il romanzo tenta di spiegarlo, o meglio tenta di dipanare i fili del destino che non riusciamo a sciogliere, fili che – nella finzione romanzesca – sono retti da una fantomatica Organizzazione criminale. Un uomo di cui non si conosce la provenienza sorveglia e pedina il protagonista, Carlo Gozzini, un economista innamorato di una giovane donna, Blandine, avvocatessa ricoverata in manicomio, la quale non ricambia (se non nella mente dello stesso Gozzini) l’amore dell’uomo. L’economista, l’io narrante, tenta di difendersi dalla morsa dell’Organizzazione, che non gli consente il pieno controllo della propria vita e, naturalmente, di raggiungere l’amata. Gozzini vive così una duplice ossessione di matrice paranoide: la “prigionia” e la passione per Blandine, due situazioni che potrebbero essere le facce della stessa medaglia. Il romanzo si conclude con il disvelamento della verità: in forma non di discesa, bensì di ascesa all’inferno.

  • L'uomo che rovinava i sabati

    L'uomo che rovinava i sabati
    L'uomo che rovinava i sabati

    Nell’enclave della Val Crodino, dove spendere soldi per ritinteggiare casa conta meno di un concerto di David Crosby, il tempo si è fermato, e per chi prova a mettere il naso fuori la vita non è facile. Jack Ebasta è un poeta tardo-beat in eterna lotta con esametri ed etilometri che al termine dei reading ama rimorchiare dame in rosso. Ha deciso di non scrivere più, ma non sa ancora che la Nonino gli farà cambiare idea. Malcolm Chiarugi prova a fare il cantautore ma per sopravvivere gli toccano i gabinetti chimici. Ha una dozzina di amanti, «il Parco», cui ha dedicato il suo ultimo album, un brano per ognuna, e aspetta di vedere come reagiranno la sera della presentazione. Il Palma è un raffinato liutaio che ha un rapporto morboso con le proprie chitarre. Sta faticosamente uscendo da una relazione sentimentale quando scopre l’esistenza dell’unica persona che gli potrà rimettere in piedi la vita, un misterioso etnologo esperto di funghi allucinogeni che vive in cima a una montagna. Quando si mette in viaggio, Jack e Malcolm decidono di accompagnarlo, un po’ per amicizia, un po’ per scrollarsi di dosso i tormenti privati. Il loro viaggio si rivela un cuore di tenebra formato ridotto, e quando una notte tempestosa giungono nei pressi di una baita, immaginando di trovarvi un Marlon Brando in stato allucinatorio, un brivido corre lungo le loro schiene.

  • I Pellicani

    I Pellicani
    I Pellicani

    Il giovane Pellicani è un chiacchierone. Si presenta una sera – una sera tardi – nella casa del padre, casa dalla quale si era allontanato – dopo aver sottratto certi risparmi da un certo cassetto – vent’anni prima. L’immobile, un condominio di sei, sette piani, è disastrato. Ma la scritta «Pellicani» sul campanello dell’ultimo piano c’è ancora; e la porta è appena accostata. Il giovane Pellicani – un completo grigio un po’ sdrucito, una valigetta ventiquattrore portata solo per darsi un tono – vuole fermarsi una notte e via, andare altrove: ha degli affari in Cina, sostiene. Il padre avrà dimenticato i fatti di vent’anni prima, lo accoglierà volentieri. Tuttavia nell’appartamento il giovane Pellicani trova solo un vecchio. Somigliante un po’, questo è vero, soprattutto nel naso, a Pellicani padre. Ma un vecchio, insomma! Va bene che sono passati vent’anni… Parla, parla, il giovane Pellicani, raccontando tutto ciò che fa, tutto ciò che vede, l’appartamento, la biancheria stesa in una stanza, la donna che tutti i giorni viene a cucinare il minestrone al vecchio; parla, parla, il giovane Pellicani, e noi lettori siamo presi in questa sua infernale chiacchiera, nel suo ostinato non credere a ciò che vede, nel suo ipotizzare, reinventare, spiegare, trasfigurare la banale realtà che gli si presenta davanti: finché ci arrendiamo, smettiamo di farci domande, non ci interessa più se il vecchio nella casa sia o non sia Pellicani padre, se l’uomo nello specchio sia il vero Pellicani giovane o un impostore: ci interessa solo abbandonarci al fervore di questa inesauribile chiacchiera. Rare volte la lettura di un romanzo dà tanto piacere per la scrittura in sé; e rare volte tanta ricchezza narrativa viene con tanta disinvoltura stipata in un solo romanzo, in un solo appartamento, quasi in una sola stanza. Giulio Mozzi

  • Il bambino intermittente

    Il bambino intermittente
    Il bambino intermittente

    Il piccolo Berg vive in una città del Nord con la madre professoressa. Ha molti nomi inventati e da un certo punto in avanti anche una sorella – vera o immaginaria? Ha un padre con un maggiolino giallo a pois rosa che gli insegna i nomi degli alberi e dei funghi. Ha dei nonni di città che gli insegnano l’uso filosofico degli agnolotti e la contemplazione del Meccano. Ha dei nonni di mare che lo accompagnano nella crescita, da una cucina con finestra sul mare e da uno sga- buzzino magico. Berg cresce rimodellando la realtà, in un travaso continuo di immaginazione, e in tal modo attra- versa l’infanzia, l’adolescenza e l’età adulta. Da bambino, conosce man mano il pericolo me- tafisico degli oggetti, l’inesorabilità dei pensieri altrui, gli anni di piombo; da ragazzo – stupito e incredulo – l’amore e il risveglio di un’intera città industriale; da adulto la forza e l’abbandono, l’affollamento muto e una solitudine che continua a sfrigolare con le sue decine di voci interiori.

  • Più di là che di qua

    Più di là che di qua
    Più di là che di qua

    Un viaggio in bicicletta nell’Aldilà. Un monaco buddhista di tradizione tibetana, ex ciclista, per mezzo di una tecnica rituale trimillenaria s’intrufola nello stato post-mortem e ci vaga per un po’, riuscendo a rintracciare le biografie di famosi personaggi della storia mondiale. Che cosa è successo nell’Aldilà ai brandelli d’anima di Garibaldi o Bach per esempio, Socrate e Savonarola, Hitler e Cleo­patra, Presley e Moravia, Leopardi e Totò? Di curriculum mortis si potrebbe parlare, o ancora meglio della descrizione dello stadio intermedio dopo la morte che in quella tradizione precede sempre una rinascita. Un intermezzo chiamato Bardo che dura 49 dei nostri giorni, ma che in quella dimensione ha tempi diversi e dilatati a dismisura, in cui le anime restano in qualche modo impigliate nei fatti e nelle circostanze della vita passata. E 49 sono le storie, più la cronaca di una corsa ciclistica davvero ultraterrena, in cui l’autore, con la sua solita prosodia vicina al recitato, getta al contempo uno sguardo divertito e dissacrante, ma pure delicato e impertinente sulle nostre vite “di qua”.

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