Con brio: Prima lezione di musica classica
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Book preview
Con brio - Filippo Simonelli
Tessere
la preziosa trama dei saperi di base
Una collana agile e leggera che vuole esplorare, con il passo affabile e disinvolto del ripasso creativo
, le multiformi possibilità di racconto del sapere, riannodando narrativamente i fili di conoscenze fondative presenti in tutti noi per illuminarne il senso e riscoprirne appieno la ricchezza.
Treccani Libri | Tessere • 7
con brio
prima lezione di musica classica
filippo simonelli
saverio simonelli
Logo TreccaniCopyright © 2025 Istituto
della Enciclopedia Italiana
fondata da Giovanni Treccani S.p.A.
ISBN 978-88-12-01218-3
Tutti i diritti sono riservati
Progetto grafico e copertina: Stefano Vittori
Prima edizione marzo 2025
Anno 2025/2026/2027
Edizione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
INDICE
INTRODUZIONE
1. Voce
2. Crescendo
3. Forma
4. Tonalità
5. Intervallo
6. Improvviso
7. Fuga
POSTFAZIONE di Daniele Spini
INTRODUZIONE
Platone, come sappiamo, era uno che aveva le sue idee, e le aveva anche sulla musica e sull’impatto che avrebbe potuto avere nella sua Repubblica, che doveva, per l’appunto, essere ideale; e soprattutto, come ricorda il critico musicale Evan Eisenberg, il grande filosofo era convinto che fosse proprio la musica a «determinare la qualità o se non altro il tenore o il tono della nostra vita quotidiana»¹.
Se facciamo un salto in avanti di diversi secoli e ci spostiamo anche più a occidente sull’atlante geografico, incontriamo un simpatico e irriverente folletto americano, anch’egli a suo modo filosofico, come Frank Zappa: chitarrista, compositore, ideatore in prima persona delle copertine dei suoi dischi, un artista a tutto tondo e con un sacco di idee. Bene, se provate a digitare il suo nome sui motori di ricerca potreste trovare una frase in cui più o meno Zappa definisce il compositore come qualcuno che impone la propria volontà su inconsapevoli molecole d’aria, il che è un modo come un altro per sottolineare la componente materiale della meno materiale delle arti, quella che per i romantici dischiude le porte dell’infinito.
Ma tra Platone, Novalis e Zappa, per dire, ce n’è di spazio. Spazio in cui ciascuno di noi si rende conto di come quella vibrazione di onde, fisicamente misurabili, attivi tutta una serie di risposte psichiche, emotive, simboliche e culturali che trasformano l’impulso in una serie di concatenazioni. La musica, non ce ne vogliano i teorici della sua assolutezza, genera comunque pulsioni, affetti, desideri, sensazioni e soprattutto memoria, quindi rientra nel gran calderone delle storie, dei racconti.
Sì, la musica è racconto. E quindi non è vero che di musica non serve parlare, che certe sensazioni sono incomunicabili per verba, che c’è un ambito prelogico dove quelle sensazioni non si possono codificare. Non è così. O meglio, non è solo così. Perché chiunque ami una musica non riesce a tenere in sé stesso quella pulsione, quel desiderio, quella sensazione, ma sentirà il bisogno di condividerla.
Fin dalle sue origini la musica si sviluppa come esperienza comunitaria. Accompagna tutti i riti di passaggio, incoraggia e consola, dispiega la propria magia sull’esistenza, dalla nascita alla morte. Oggi ascoltiamo il Requiem di Mozart per meditare o semplicemente deliziarci, ma davanti a noi c’è un’orchestra, non il morto. In ogni epoca e a ogni latitudine ciò che mette in moto la musica è qualcosa di tangibile. Gli etnologi ci ricordano che alcuni guerrieri ricavavano strumenti a fiato dalle ossa di un nemico ucciso per acquisirne il valore, eseguirlo materialmente, farlo risuonare.
Se andiamo ai primordi della nostra cultura, l’epica omerica nasce con l’accompagnamento della cetra, la lirica è monodica se affidata a una sola voce oppure corale, quindi comunque cantata, e anche la quantità vocalica (le brevi e le lunghe che ci hanno fatto faticare da ginnasiali) dipende dall’intonazione di chi canta.
Ci sono dunque tante parole nella nostra musica e tanta musica nelle nostre parole. In particolare, ci sono parole che si arricchiscono di significato proprio perché la musica ne ha ampliato lo spettro semantico. E quante idee musicali sono state spiegate, dibattute, divenute oggetto di romanzo come nel fluviale e concettoso Doctor Faustus di Thomas Mann?
In queste pagine viaggeremo quindi nella storia della musica a partire proprio da parole che magari pronunciamo distrattamente ma che aprono scenari di senso e illuminano la creatività di compositori che hanno formato la sensibilità di ogni epoca, deliziandola. Di più, attraverso alcune parole riempiremo saltellando, senza preoccuparci troppo di andare a tempo nei tempi, qualche secolo di espressione musicale, proprio perché le musiche che abbiamo scelto, che certo significano molto di per sé stesse, raccontano anche le idee, e quindi le parole, che quei compositori avevano in mente e che in un certo senso sono diventate parte di quelle musiche.
Abbiamo scelto sette parole, a partire da voce
, che è alla radice della spiegazione di ogni seduzione; poi forma
, che più che mai in musica è contenuto; intervallo
, che non è solo sospensione ma distanza significativa tra le note; tonalità
, che può essere di un colore ma che è il fondamento di tutta un’esperienza storica musicale, ed è alla base di quasi tutto ciò che ascoltiamo ancora oggi nella musica di consumo; e ancora, i termini più squisitamente musicali: fuga
, crescendo
e improvviso
.
Per ogni parola vedremo quindi come i compositori hanno concepito e costruito brani memorabili, e attraverso le parole li ricorderemo per tramandarli, per tenerli vivi, per costruire laicamente i nostri riti personali.
1. E. Eisenberg, L’Angelo con il fonografo, Instar Libri, Torino 1997, p. 229 (ed. orig. The Recording Angel, 1987).
1
Voce
Suono emesso dall’uomo grazie alla vibrazione delle corde vocali la cui conformazione ne determina le caratteristiche, come per esempio altezza e timbro.
La gioia della voce
Amici, non questi toni,
piuttosto intoniamone di più piacevoli.
Con queste parole del basso, nel quarto movimento della Nona, Beethoven fece compiere solennemente alla voce umana l’ingresso nel tempio della sua sinfonia, fino a quel momento riservato alle voci
degli strumenti, intermediari privilegiati tra la creatività dell’autore e le aspettative dell’ascoltatore.
Ma allora a Beethoven quei suoni non bastavano più? In realtà le motivazioni di quella scelta sono molto più articolate e complesse. Anzitutto, lo scrisse lui stesso nei suoi quaderni di conversazione, la voce umana è superiore a qualsiasi strumento¹. Certo, è un’affermazione che appare paradossale per un compositore che proprio attraverso il suono puro è riuscito a dire
così tanto e ha fatto spesso dell’orchestra uno strumento eloquente, un vero veicolo di idee.
In quegli anni Beethoven stava componendo la Missa solemnis e spesso, accanto alla partitura, appuntava brevi annotazioni, parole, frasi, così come faceva mentre lavorava, negli stessi mesi, alla Nona. Parole e musica andavano dunque cercandosi, desideravano combaciare nella sua mente creativa. È come se, privato del gusto di ascoltarla, la voce la sublimasse facendola sposare alla musica. L’ennesima sua sfida al destino per la quale chiamò in aiuto la fede religiosa e la sapienza laica. Perché se introducendo la messa scrisse «dal cuore affinché arrivi ai cuori», sul piano più umano e terrestre c’era quella poesia di Schiller, il suo amato Schiller, intitolata Inno alla gioia, un componimento laico sulla fratellanza universale ma che non dimenticava, kantianamente, di alludere a un Dio sconosciuto, comunque padre anche se al di sopra della volta celeste.
Per molti giovani del tempo, infiammati dagli ideali della Rivoluzione francese, l’ode schilleriana era anche una sorta di canto di battaglia che poteva essere
