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Sì Chef
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Ebook204 pages2 hours

Sì Chef

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About this ebook

Resistere al fascino di uno chef è difficile. Perfino per una severa critica gastronomica, che di mestiere dovrebbe scrivere giudizi e stroncature…
Milano. Erica Rinaldi è una critica gastronomica temutissima, fra le fondatrici della Guida Maccheroni e dotata di una penna decisamente tagliente. Eppure basterà lo sguardo di un cuoco, Cristian, per farla sciogliere: uno chef di successo, abile, bello e premuroso. Insomma, gli ingredienti per l'amore perfetto sembrano esserci tutti. O no?
LanguageItaliano
PublisherSAGA Egmont
Release dateJun 27, 2025
ISBN9788727204048

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    Sì Chef - Maddi Magrì

    Sì Chef

    Immagine di copertina: MidJourney

    Copyright ©2022, 2024 Maddi Magrì and SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788727204048 

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    INDICE

    CAPITOLO 1.

    CAPITOLO 2.

    CAPITOLO 3.

    CAPITOLO 4.

    CAPITOLO 5.

    CAPITOLO 6.

    CAPITOLO 7.

    CAPITOLO 8.

    CAPITOLO 9.

    CAPITOLO 10.

    CAPITOLO 11.

    CAPITOLO 12.

    CAPITOLO 13.

    CAPITOLO 1.

    Farina, uova e zucchero non fanno per me; lettere, parole e frasi, questo è il mio pane. Amo scrivere e muovendo i primi passi da cronista di un piccolo quotidiano locale, sono diventata un’affermata critica gastronomica. Sarà perché amo mangiare.

    E sono scaltra. Ho iniziato seguendo la moda milanese che offriva, per noi giornalisti, fenomenali buffet, ma dopo che, tanti anni fa, consegnai al redattore capo un mio pezzo, dove sostanzialmente descrivevo più gli impiattamenti che i tessuti, mi chiese di andare al vernissage di un bistrot di un paese limitrofo.

    Accettai e da allora, il resto è storia. Ho cavalcato l’onda della nuova moda: il food.

    Dunque, eccomi qua. Sono stata invitata per una cena alla Puntarella, ristorante situato appena dopo Palazzolo sull’Oglio, un’ora di auto che ho preferito fare da sola, per avere poi l’autonomia di rientrare a Milano quando più mi pare.

    Il locale si trova al piano terra di una villa liberty riadattata ad albergo di lusso. Si coniugano cibo e ricerca di evasione e serenità. Queste ultime assecondate da una spa che purtroppo non ho il tempo di provare, ma che, dalle foto risulta essere all’avanguardia e con atmosfere rilassanti.

    L’entrata del ristorante però è un po’ anonima. Porticina che dà su un guardaroba, diviso dal salone principale da una tenda rosa salmone e spessa, agganciata a lato da un fermaglio dorato. Per i miei gusti, pacchiano. La sala ha lo stesso stile. Le telerie dello stesso colore di quella in anticamera, tavoli rotondi con tovaglie pomposamente lasciate cadere fino al pavimento e lampadari che rimandano alla Francia del periodo rococò. In breve, l’arredo è indigesto.

    Buonasera signorina! Sono Cosimo Lo Porto.

    È lo chef e si presenta personalmente. Sa che tra due giorni troverà la mia recensione pubblicata non solo nella Guida Maccheroni, che ho contribuito a far nascere collaborando con un critico più veterano di me, anche se meno social, ma anche su tutta la rete digitale che gestisco personalmente, coadiuvata da un paio di collaboratori.

    Uno dei quali è dietro di me, in questo momento.

    Piacere. Erica Rinaldi. Lui è Lorenzo Cabucci.

    Abbiamo riservato il tavolo laggiù. Troverà ad attenderla il proprietario, la moglie e il signor Luisi, altro critico, che penso lei conosca.

    Certo che lo conosco, il Gianni Luisi. Un cagacazzi di prima categoria. Uno di quelli che crede che, per scrivere, serva un foglio di carta di quelli importanti e tanta esperienza. L’opinione che lui ha di me è la stessa che ho io di lui. In pratica si tratta di un reciproco e rispettoso odio. Devo confessare che ho collezionato tutti i suoi libri ed è pur vero che qualche insegnamento l’ho preso da lui. Tuttavia adesso è lui che legge i miei pezzi e mi teme, perché ha portato alla ribalta il Puntarella e sa che lo posso stroncare. E infatti questa sera sarà accanto a me, solo come supervisore, per assicurarsi che io riceva tutte le attenzioni del caso, cercando di garantire al proprietario una recensione soddisfacente.

    Ovviamente, non sono il tipo che si lascia intimidire.

    Buonasera Luisi, tutto bene?

    Erica, sempre in forma, vedo.

    Presentami ai tuoi.

    Ah, sì, dice alzandosi e accenna all’uomo che ha alla sua destra: Il signor Becchetti e sua moglie…

    Ci scambiamo i saluti, la donna mi sussurra il nome. Arianna.

    Mi siedo e osservo la composizione al centro della tavola. Solito fiorellino che penzola. Sorrido e presento Lorenzo, che siede vicino ad Arianna e da bravo giornalista inizia una blanda conversazione sul tempo. È il mio uomo all’Avana. Ha il compito di carpire qualche dettaglio in più, permettendosi qualche confidenza che a me è preclusa per via del ruolo. Insomma, poliziotto buono, poliziotto cattivo.

    Il menù è di pesce. Cosimo Lo Porto è stato riconosciuto come uno dei cuochi emergenti, l’anno scorso. Trent’anni circa, paffuto, simpatico. Ha cominciato a lavorare in un relais e chateaux della sua regione, la Puglia, e alla fine, è atterrato vicino a Brescia, portando la sua cultura culinaria. Finora non ho avuto l’occasione di assaggiare uno dei suoi piatti. Vediamo come sono.

    Lenticchie con vongole, afferma allegro il cameriere, servendoci.

    Sposto appena il coltello a destra e guardo verso Lorenzo. Ormai mi conosce e attacca subito con la domanda che gli ho impartito di fare in queste occasioni: Sono stati utilizzati ingredienti freschi?

    Oh, certo, è il maitre, che all’ombra dell’addetto, risponde prontamente, Abbiamo delle consegne giornaliere dal mercato del pesce di Milano, perciò può stare tranquilla.

    Sto tranquilla, ma si possono abbinare le vongole, tra l’altro già sgusciate, con le lenticchie?

    Ho gli sguardi dei commensali addosso e anche se non ho fatto la domanda ad alta voce, sono consapevoli che sono già partiti con il piede sbagliato.

    Assaggio.

    Alzo un sopracciglio. E Luisi, agitato, spiega il piatto. Qui lo chef ha voluto fare un omaggio alla sua terra, unendo le lenticchie di Altamura e le vongole pugliesi…

    Lo fisso mentre prendo un’altra cucchiaiata. Sbobba. Semi fredda. Non ci siamo, ma non commento.

    Dopo l’amuse-bouche si passa al primo. Troccoli alle vongole con broccoli e pomodorini tipo datterino. Le vongole sono senza guscio. Di nuovo. Questa volta alzo tutte e due le sopracciglia. Lorenzo si muove sulla sedia, prende il cellulare e lo appoggia al suo fianco. Il proprietario domanda: Qualcosa non va?

    Quando vado in un ristorante, dico non distogliendo lo sguardo dal suo, e mi offrono un piatto di pesce, vorrei almeno avere la possibilità di recuperare il ricordo del mare. La coquille mi permette di essere trasportata verso uno scoglio. E il piattino a parte, dove gettare i gusci, mi darebbe l’opportunità di sentirmi pescatore, se non altro per pochi minuti, e consentirebbe anche al mio palato il tempo necessario per apprezzare queste vongole che spero siano gustose.

    Lorenzo ha registrato quanto ho detto. In pratica, parte della mia recensione, che provvederà ad adattare.

    Gelo.

    Assaggio.

    Appoggio la forchetta. La pasta è scotta.

    Sospiro e gli altri proseguono a mangiare, non aggiungendo altro. Il cameriere nel portare via i piatti, si lascia scappare il classico tutto bene e io lo fulmino all’istante.

    Il secondo è un trancio di salmone e melanzane in agrodolce, passabile, anche se non cotto alla perfezione e infine il sorbetto al limone. Che fantasia. Non lo inizio neppure.

    Vi ringrazio signori, dico rivolta principalmente a Arianna, Devo andare perché domattina ho un aereo che parte molto presto. Vi lascio Lorenzo.

    Sorriso di circostanza e vengo accompagnata da Luisi, che si affretta a dire: Che ne dici se magari riorganizziamo tra un paio di settimane, quando ti è più comodo? Oggi lo chef stava poco bene. Colpa mia, non ho disdetto. Ho forzato la mano.

    Mi fermo mentre mi passano il cappotto. Allaccio la cintura alla vita, borsa al braccio e mani infilate nelle grandi tasche.

    Con fare deciso, rispondo: Gianni. La mia è un’agenda che non permette interruzioni e tu lo sai bene. Se il cuoco stava male, e non mi è sembrato particolarmente abbattuto, non sarebbe stato qui. Facciamo in questo modo, faccio un cenno a Lorenzo che si alza e accorre.

    Erica, dimmi.

    Ho concordato con Gianni che presentano nuovamente i troccoli, non scotti, vongole come comanda anche il rigido Manuale Luisi, occhiata di sbieco al grande critico che ho di fronte e che, sotto, sotto, mi dà ragione. Se queste due peculiarità ci sono, modificheremo il giudizio, che comunque non è di eccellenza. Tuttavia cercherò di essere clemente.

    Mi giro sui tacchi ed esco anche se riesco a sentire Gianni che mi indirizza un ‘grazie Erica’ implorante.

    Mi portano l’auto proprio davanti e mi sistemo per il viaggio, impostando il navigatore, perché non ho idea di come si arrivi all’imbocco dell’A4; l’andata l’ho fatta seguendo l’auto di Lorenzo. Mi ha pure diligentemente fornito le istruzioni di questa auto, presa a noleggio: un paio di messaggi con passaggi spiegati chiaramente per accendere satellitare e musica.

    Bravo Lorenzino, dico chiudendo Whatsapp e buttando il cellulare nella borsa, sul sedile a fianco.

    Sono ancora scocciata per aver perso una serata, quando avrei potuto stare a casa a prepararmi per domattina. In realtà l’aereo parte a mezzogiorno e ho tutto pronto, ma l’idea di un bagno caldo e le mie candele alla vaniglia mi ossessionano dalle sette di questa sera, quando ho lasciato la Factory. È il nome che ho dato alla mia azienda e che ho costruito con tanta fatica. La porto con orgoglio sulle mie spalle e non intendo passare a nessuno lo scettro del potere. I momenti di svago che mi concedo sono molto pochi e se c’è una cosa che non tollero è proprio quando qualcuno me li toglie. Quindi l'obiettivo è tornare a casa e rilassarmi.

    Avvio la navigatrice che biascica le sue indicazioni sovrapponendosi ad Umbrella di Rihanna che ho pompato a palla e sto cantando come un’ossessa.

    La pioggerellina di ottobre contribuisce ad appannare il parabrezza e clicco i vari pulsanti per cercare di vedere meglio le stradine buie e intricate. Non funziona un cazzo, anzi, più pigio meno i comandi sembrano rispondere. Sbaglio o anche l'acceleratore non accelera?

    La macchina, un’elettrica, fa dei rumori strani. Svolto a destra e imbocco una via che pare essere principale rispetto a quelle che ho fatto finora. C’è una spia che lampeggia insieme a quella di tutti i santi che in questo momento sto chiamando. La musica si spegne, faccio in tempo ad accostare malamente e la macchina è ferma.

    Cazzo!

    Frugo in borsa e prendo il cellulare.

    Mentalmente penso se per caso è venerdì 17. Non sono superstiziosa, ma una cena di merda, l’auto in panne e pure il cellulare scarico, mi fanno credere che sia in preda al malocchio lanciato da qualcuno.

    Cazzo! Cazzo! Cazzo! Batto ripetutamente la mano sul volante e inavvertitamente suono il clacson. Ma vaffa…

    Mi guardo intorno e mi rendo conto che non ho seguito le indicazioni con attenzione e perciò non so neppure dove mi ha portato la navigatrice dalla voce suadente, probabilmente di origini straniere, perché si deve essere persa anche lei in questa serata di tardo autunno, fredda, uggiosa e maledetta.

    Penso che sia un buon incipit per un libro e mentalmente lo appunto.

    Dalla parte opposta della strada ci sono, in sequenza, varie case basse, probabilmente negozi, e a circa duecento metri da dove mi trovo, c’è n’è una con le luci accese. Passa un’auto che sfreccia a cento all’ora. Bene. Se non vengo investita mentre attraverso e se non trovo un maniaco in agguato, forse ho una speranza di sopravvivere.

    Esco dall’auto. Il telecomando non chiude, perché mi sa che è partita completamente la centralina o qualsiasi caspita di congegno ingegneristico teutonico che ha deciso di non funzionare.

    Mi aggiusto i capelli lunghi e morbidi sulle spalle, illuminati dai colpi di sole appena fatti questa mattina, che però non rischiarano la strada: per quello, è sufficiente la pioggia che comincia a scendere battente.

    Come un automa cerco di accendere la torcia del cellulare.

    Stordita…

    Ho il cuore in gola e cammino in fretta, ma male, con i tacchi che incespicano e mi fanno traballare. Speriamo che nessuno mi scambi per…

    Non finisco la frase. Sono davanti alla porta. Guardo l’insegna appena visibile. Norcineria… L’interno non dà l’idea di una macelleria, ma di un ristorante.

    Un uomo si palesa davanti a me.

    Alto. Toque nero, t-shirt nera, grembiule nero, occhi neri, ciuffo ribelle nero. Si avvicina alla porta e mima indicando il cartello.

    Lo so che è chiuso, inavvertitamente roteo gli occhi e agito il cellulare che tengo nella mano dove ho la borsa, che ho al braccio, per avere l’altro libero di picchiare eventuali malintenzionati. Ho il cellulare scarico, aggiungo alzando la voce.

    Sfodera un mezzo sorriso sornione, scrolla la testa e mi fa cenno con il dito di attendere.

    Attendo, attendo…

    Torna e spalanca la porta.

    Salve, immagino che le serva aiuto, signorina.

    Intelligente, il ragazzo. Ed educato.

    Esito ad entrare, ma l’uomo mi esorta. Ho appena lavato per terra, cerchi di fare attenzione.

    Voce accattivante, morbida, a tratti roca. Ho già dato un’occhiata ai bicipiti. Tutto a posto.

    Mi dica, cosa posso fare?

    Sì, mi dovete scusare, stavo tornando a Milano, ma ho l’auto in panne. Un paio di centinaia di metri più giù. E come detta la migliore legge di Murphy, ho il cellulare scarico.

    Risolino incontrollato, in effetti sto per crollare. Butto l’occhio verso la stanza che si apre di fronte, separata da un passaggio ad arco.

    Ah, però! esclama, E oggi non è neppure venerdì diciassette! Prego si sieda pure. Rovescia uno

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