Il principe in incognito
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Il tempo sta per scadere per il principe Raoul de Poitier: gli è stato concesso un mese di svago prima di sposarsi e salire al trono. Celando la sua vera identità, il principe va in Italia, dove incontra l'attraente Mika Gordon. La donna ha un passato difficile e fatica a concedere la propria fiducia, ma Raoul riesce a conquistarla. La loro avventura sembra destinata a durare il tempo di una perfetta vacanza romantica, almeno finché Mika non fa un'inaspettata scoperta che cambierà il loro futuro.
Alison Roberts
Tra le autrici amate e lette dal pubblico italiano.
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Il principe in incognito - Alison Roberts
1
Allora era così la libertà.
Raoul de Poitier prese un respiro profondo e si fermò per gettare la prima vera occhiata al panorama mozzafiato che si godeva dalla scogliera a picco sul mare.
Aveva fatto quasi duecento gradini per ammirarlo.
Aveva il mondo ai suoi piedi.
Be', comunque una buona parte della costa di Amalfi, sul Mediterraneo. Un po' più in giù vide la macchia azzurra della piscina sul tetto dell'hotel Tramonto d'oro, dove aveva soggiornato la notte prima. Lì accanto c'erano la cupola e il campanile dell'antica chiesa con le tegole di terracotta e le case bianche della cittadina costiera di Praiano.
Oltre il paese, le acque azzurro zaffiro del Mediterraneo si estendevano fino all'orizzonte, brillando alla luce del sole al tramonto.
Da qualche parte laggiù c'era la sua casa... il principato europeo delle Iles Dauphins.
Prese un altro profondo respiro, adesso più simile a un sospiro, e sentì una fitta di... melanconia di casa? Senso di colpa, forse?
Suo nonno era malato. Il suo cuore stava cedendo ed era tempo per Raoul di governare il suo Paese, di assumersi le sue responsabilità e succedergli al trono.
Sua nonna doveva essere in ansia, non solo per il marito ma anche per quel nipote ora in viaggio, che aveva cresciuto come suo figlio dopo la tragica morte dei suoi genitori.
Non capisco, Raoul. Una vacanza... sì, va bene. È venuto il momento che ti prepari a ciò che ti aspetta. Al tuo matrimonio... Ma viaggiare da solo? In incognito? Tu non sei così...
Forse è quello che devo scoprire, nonnina. E questa è l'ultima possibilità che ho per farlo.
No, la fitta che sentiva non era senso di colpa.
Quella vacanza gli serviva per prepararsi a ciò che avrebbe dovuto affrontare, per mettere da parte le sue passioni e i suoi desideri, per proteggere e nutrire un'intera nazione.
Aveva trentadue anni, ma non li aveva vissuti davvero. Vista la sua posizione, il dovere era sempre venuto prima del piacere e aveva sempre dovuto comportarsi come ci si aspettava da un principe ereditario. Ma, nonostante questo, era riuscito a fare il lavoro dei suoi sogni: pilota di elisoccorso nel suo Paese. E a frequentare parecchie donne.
Tutto ciò, però, stava per cambiare. I suoi obblighi di regnante avrebbero lasciato ben poco spazio alle sue passioni, dovendo dedicare gran parte della giornata a governare.
Aveva sempre saputo che sarebbe successo, solo non sapeva se era pronto ad accettarlo.
E doveva scoprirlo.
Mettersi alla prova, da solo...
Per questo era andato in un posto dove nessuno lo conosceva.
Quella fitta era forse nostalgia di casa? Si sentiva stranamente e insolitamente solo? No. Sapeva bene cos'era la nostalgia. L'aveva provata anni prima, quando era stato mandato nelle migliori scuole d'Europa.
No, nonostante l'amore per la sua famiglia e per la sua terra, lui amava viaggiare.
Era sollievo, ecco cos'era. Questa volta aveva vinto. Si era concesso quella tregua per smettere di pensare alla grandissima responsabilità che governare una nazione comportava, oltre alla sconfortante prospettiva di un matrimonio organizzato quando era solo un bambino. Un'unione che avrebbe unito e rafforzato due principati simili.
Raoul girò le spalle al panorama. Le Iles Dauphins non si vedevano da lì e per un po' avrebbe provato a non pensarci.
Era libero. Con sé aveva solamente il suo zaino e poteva scegliere in che posto andare, quanto tempo impiegare per raggiungerlo e per quanto fermarsi.
Nessuno sapeva dov'era ed era certo che nessuno lo avrebbe riconosciuto. I suoi capelli crescevano in fretta e aveva evitato intenzionalmente di tagliarli, così come la barba. Con un paio di occhiali da sole poteva passare per un turista europeo qualunque. Italiano, francese... persino spagnolo.
Sentì gli angoli della bocca sollevarsi. Se avesse avuto la custodia di una chitarra anziché lo zaino, avrebbe anche potuto essere un hippie negli anni Sessanta.
Per la prima volta in tutta la sua vita era completamente solo. Niente famiglia, amici e, cosa più importante, nessuna guardia del corpo o paparazzo. Era libero e... semplicemente se stesso.
Ora aveva solo bisogno di scoprire chi era, perché aveva l'impressione che ci fossero dei lati della sua personalità rimasti inespressi.
Persino i suoi primi ricordi implicavano una performance di qualche tipo. C'era sempre stato qualcuno che pretendeva che si comportasse in un certo modo, che fosse degno della famiglia reale a cui apparteneva.
Quale bambino poteva partecipare al funerale dei genitori, ma senza piangere finché non fosse stato da solo nel suo letto? Quale bambino aveva degli amichetti selezionati da altri? Quale bambino era consapevole del sacrificio che facevano i suoi nonni per crescerlo, visto che erano già stati genitori una volta e non avrebbero più dovuto esserlo?
Non glielo avevano mai fatto pesare, ovviamente, ma Raoul sapeva di avere con loro un debito immenso.
Non si era mai ubriacato tanto da fare qualcosa di inappropriato, né aveva mai scandalizzato l'opinione pubblica uscendo con donne impresentabili. All'università e durante l'addestramento militare aveva ottenuto dei brillanti risultati e, finché non era partito per quel viaggio, era stato un abile pilota di elicottero per un'azienda che prestava servizio sia di elisoccorso sia di trasporto militare.
A volte si sentiva come se la sua vita fosse stata immortalata da fotografie scattate unicamente a beneficio del pubblico.
La vita perfetta di un principe felice.
E l'album successivo avrebbe documentato la sua sfarzosa cerimonia di incoronazione, il suo matrimonio e la nascita degli eredi della famiglia de Poitier.
Sapeva quanto era fortunato e amava la sua vita, ma ultimamente la curiosità per ciò che non conosceva lo aveva assillato con sempre maggior frequenza.
Sarebbe stata quella la sua vera indole se non fosse nato principe?
Sembrava una domanda impossibile e ora aveva quattro settimane per provare a darsi una risposta.
L'unico piano che aveva era lanciarsi in una sfida che potesse metterlo alla prova e fargli capire chi era davvero.
Si era portato dietro solo uno zaino con l'essenziale: un cellulare, una carta di identità falsa, pochi soldi e un cambio d'abiti. Quell'arrampicata su per la montagna lungo la strada che portava da Praiano a Positano era solo il primo passo del suo viaggio solitario.
Forse, però, non era poi così solitario...
Gettò un'occhiata al sentiero davanti a sé, corrugando la fronte.
Sentiva delle voci. No, una voce.
Debole.
Femminile.
«Aiuto... per favore... aiutatemi...»
Le vertigini l'avevano colta all'improvviso.
Totalmente inaspettate e debilitanti.
Tamika Gordon si era appiattita contro la parete di una scogliera e non osava aprire gli occhi. Se lo faceva, sarebbe tornata ad assalirla la nausea, il mondo avrebbe ripreso a girare e niente le avrebbe impedito di cadere sugli scogli di sotto.
Il panico che l'aveva spinta a chiamare aiuto era terrificante quasi quanto il baratro sotto di lei.
Mika non andava mai nel panico, le dicevano sempre che era dura come una roccia e ne andava orgogliosa. Era un punto di onore che aveva guadagnato sul campo.
Certo che era una dura. Chiunque lo sarebbe stato dopo un'infanzia trascorsa passando da una famiglia adottiva all'altra, per poi finire a vivere per strada quando era solo un'adolescente. Nei suoi ventinove anni aveva sempre lottato per tutto ed era certa di poter affrontare qualunque cosa le fosse capitata.
Le vertigini però... quelle non era riuscita a controllarle. Aveva provato a fare uno sforzo di volontà, ma i sintomi erano più fisici che mentali e si erano aggravati al punto che ora non poteva fare nient'altro che stare lì immobile contro la parete di roccia.
Era umiliante! Appena fosse uscita da quella situazione, si sarebbe arrabbiata moltissimo.
Sempre che ne uscisse...
Non aveva incontrato nessun altro su quella strada. Colpa sua. Aveva scelto di partire più tardi rispetto alla gran parte degli escursionisti perché sapeva che a quell'ora c'era una luce migliore per fare foto. E, forse, si era attardata troppo nel monastero più in giù proprio per gli scatti e scrivere sul suo bloc notes nuovo.
Tra quanto sarebbe scesa la notte?
«Aiuto...» Provò a urlare anche in inglese, questa volta. «Qualcuno può sentirmi?»
Le tremò la voce e le lacrime le punsero gli occhi. Si sentiva disperata come non le accadeva da anni, quando era troppo giovane e non si sapeva difendere da sola. Era uno dei momenti peggiori della sua vita da adulta.
«Sto arrivando... aspetta!»
Non era sola. Aveva una speranza, adesso. Una luce nel buio della sua disperazione. Aveva udito una voce maschile. Sembrava senza fiato, infatti sentì dei passi correre sul selciato.
I passi rallentarono e poi si fermarono.
«Cos'è successo?» le domandò una voce profonda, con un accento che non riuscì a identificare. «Sei ferita?»
Mika scosse la testa tenendo ancora gli occhi chiusi e premendosi contro la roccia. Il fatto di non essere più sola le diede un'emozione così travolgente che per qualche istante non riuscì quasi a parlare.
«Ho... ho le v... vertigini» balbettò alla fine, odiandosi per quanto patetica suonasse la sua voce. «Non... non riesco a muovermi...»
«Sei al sicuro» le disse l'uomo. «Ti porto al sicuro.»
Buon Dio... nessuno le aveva mai detto una cosa del genere! Quella sensazione di impotenza la fece sentire di nuovo una bambina e le venne spontaneo immaginare quanto sarebbe stata diversa la sua vita se qualcuno le avesse detto quelle parole da piccola, scacciando la paura e la desolazione che provava. Come sarebbe stata diversa la sua vita se qualcuno l'avesse protetta, amata...
Cominciò a singhiozzare. Era davvero umiliante. Aveva imparato molto presto che era sempre meglio non mostrarsi deboli, in nessuna circostanza.
«Va tutto bene» la consolò l'uomo. «Starai bene. Da quanto sei bloccata qui?»
«N... non lo so.» Le sembrava da sempre.
«Hai sete? Ho dell'acqua...»
Sentì un suono strascicato e poi una zip che si apriva. Lei aveva sete, ma accettare la sua bottiglia d'acqua avrebbe significato aprire gli occhi. E se poi il mondo ricominciava a girare?
«Va bene. Non ho bisogno di bere.»
Seguì un momento di silenzio. «Come ti chiami?»
«Mika.»
«Piacere di conoscerti, Mika.»
Questa volta il respiro le uscì più simile a una risata che a un singhiozzo. Il suo salvatore aveva davvero delle buone maniere. Sembrava quasi che si fossero conosciuti a un cocktail party.
«Io sono Ra... ehm... Rafe.»
Gli aveva parlato solo per un minuto o due, Mika non sapeva neppure che faccia avesse, ma quell'esitazione gli sembrò fuori luogo. Non voleva che sapesse il suo vero nome? Era forse un assassino? Uno stupratore? Era caduta dalla padella nella brace?
Potevano anche essere passati cinque anni, ma la paura era sempre lì, appena sotto la superficie. Se lui non avesse scelto quel preciso momento per comparire, avrebbe potuto affrontarla. La paura non era come le vertigini. Poteva pensare razionalmente e tenerla a bada.
Poi, però, lui le toccò il braccio e l'istinto di ritrarsi fu troppo forte per reprimerlo.
Mika si staccò di scatto dalla parete di roccia e lo urtò. Voleva scappare lungo il sentiero scosceso, ma le tremavano ancora le gambe e inciampò. Cercò di aggrapparsi di nuovo alla roccia, ma non ci riuscì. Mise il piede su qualcosa e scivolò a terra. Attorno a lei rotolarono delle rocce.
Il suo salvatore imprecò violentemente. Poi tacque.
Piano piano Mika sollevò la testa, cercando di capire cos'era appena successo.
«Stai bene?»
«Sì, mi dispiace. Sono scivolata.»
«Mmh...»
Avvertì il suo sguardo. «Ti ho... mmh... colpito?»
«No, hai colpito il mio zaino. È finito giù per la scogliera.»
Mika aprì leggermente gli occhi. «Cosa? Oh, no... mi dispiace così tanto...»
«Meglio lo zaino che te.»
Sembrava strano, ma Rafe stava sorridendo, un sorriso che gli sollevò gli angoli della bocca. Aveva gli occhi neri, così come i capelli e la barba che gli scuriva la mascella. Era alto, anche se era piegato su di
