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Lovers and Legends 11
Quel guerriero rappresenta tutto ciò che la terrorizza, eppure non avrà altra scelta che allearsi con lui.
Francia, 1298
Fidarsi di un Warstone? Impossibile! Séverine ne ha sposato uno ed è stata costretta a fuggire da lui e a nascondersi per ben sei anni, insieme ai loro figli. E ora un altro Warstone, suo cognato, li ha trovati! Balthus sembra essere diverso dal resto della famiglia ed è anche gravemente ferito, ma il cuore di Séverine è combattuto.
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Il cuore di un Warstone - Nicole Locke
1
Francia, 1297
«Confesso, Séverine, che non mi aspettavo viveste qui.»
Séverine di Warstone, nata Séverine de Marteldois, il nome con cui continuava a chiamarsi in cuor suo, era intenta ad accatastare della legna. Si alzò lentamente, augurandosi che le ombre del capanno del taglialegna nascondessero la sua reazione. Non era il fatto di essere stata chiamata con il suo vero nome a spaventarla. E nemmeno l'essere stata identificata, malgrado l'abito modesto, la cenere cosparsa sui capelli raccolti in uno chignon severo e lo sterco di pecora sulle caviglie.
No, il pericolo proveniva dalla costruzione attentamente studiata della frase. Poche parole misurate al fine di suscitare paura.
Ian di Warstone usava quel tono di voce quando stava per colpire. Il modo di esprimersi era diverso, ma il controllo era lo stesso, come la reazione di Séverine. La voce fredda dei Warstone le aveva sempre suscitato un brivido di panico lungo la spina dorsale.
In quel momento fu il terrore a fermarla, a causa di ciò che aveva fatto a lui e alla sua famiglia. A causa della punizione che le sarebbe stata inflitta, della tortura, della pubblica ammonizione. Della sicura segregazione a vita.
Perché era fuggita da Ian di Warstone, suo marito, che non avrebbe usato misericordia. Non che lei se l'aspettasse. In fondo gli aveva rubato del denaro, dei manufatti preziosi... e i suoi due figli.
Fuggire e nascondersi, ciò che aveva fatto per sei faticosi anni, sarebbe stato inutile a quel punto. Ian di Warstone, il primogenito di una delle poche famiglie temute da monarchi e imperatori, l'aveva trovata. L'avrebbe fermata prima che potesse muovere un passo.
La sua vita era perduta, non le restava che proteggere i suoi figli. I figli di Ian. Era disposta a fare tutto il necessario perché non accadesse loro niente di male. A dire il vero, era riuscita a nascondersi più a lungo di quanto si fosse aspettata. Abbastanza per evitare che i figli diventassero dei mostri come il padre. Se la fortuna l'avesse assistita, avrebbe continuato a farlo. Ora, invece, ne avrebbe affrontato le conseguenze. Se solo...
Purtroppo il rumore stridulo di uno stivale sul pavimento spazzato male diceva che la figura alle sue spalle non era un parto della fantasia. Eppure c'era qualcosa di strano.
I Warstone non erano noti per la loro impulsività. A quel punto Ian avrebbe già dovuto farla prigioniera. Inoltre, non si sarebbe mai annunciato quando c'erano due porte per uscire dal capanno, una delle quali vicina a lei.
C'era qualcosa di strano anche nel suo passo. Tutti i membri della famiglia Warstone erano molto aggraziati. Il passo esitante di Ian era preoccupante e incoraggiante al tempo stesso. Sarebbe riuscita a fuggire? Forse era ferito e i movimenti lenti gli avrebbero impedito di fermarla. Ma... c'erano i bambini. Séverine pensava di sapere dove fossero, ma non ne era sicura e non intendeva metterli in pericolo. Mai, a prescindere da ciò che le sarebbe capitato.
Perciò, con una fascina di legna tra le braccia, si voltò per affrontare un destino che non era quello che avrebbe voluto. E si ritrovò avvolta in un'oscurità più buia dei suoi pensieri.
Le ombre in effetti nascondevano l'espressione dei volti, sicuramente quella di suo marito. La luce che entrava dalla porta aperta alle sue spalle le mostrò l'uomo che era diventato dall'ultima volta che lo aveva visto.
Aveva sempre avuto le spalle ampie, ma c'era qualcosa di diverso nel suo portamento. Era più rozzo che elegante.
«Ian...»
Lui trasse un profondo respiro, come se Séverine avesse detto qualcosa di sorprendente o doloroso. Poi avanzò di un altro passo. La luce alle sue spalle si affievolì, consentendole di vedere gli zigomi familiari, gli occhi incorniciati da lunghe ciglia, la fronte. Non riusciva a distinguere i colori, a eccezione del nero corvino dei capelli mossi.
I Warstone erano tutti scuri di capelli.
Ricordava la prima volta che aveva visto quella famiglia in occasione dell'annuncio del fidanzamento di una delle sue sorelle, la maggiore. Lei non era tipo da impressionarsi facilmente, ma le piaceva osservare e ascoltare. Quel giorno molte persone avevano scherzato dicendo che c'erano quattro fratelli Warstone per quattro sorelle Marteldois. Quando lo aveva udito per caso la prima volta, aveva dovuto coprire uno sbuffo con un colpo di tosse. Dalle sue sorelle ci si era aspettati che contraessero dei matrimoni vantaggiosi, ma lei si era rifiutata. E suo padre, sempre indulgente, lo aveva accettato.
Dopotutto Séverine era molto più giovane delle altre figlie e non era la più graziosa. Era anche diversa per la sua tendenza a sbuffare, deridere le persone e lasciare trapelare ogni genere di reazione.
Inoltre, non le era mai interessato imparare a governare una casa e non amava i fronzoli. All'epoca le piaceva appartarsi con il suo lavoro di cucito o girovagare nelle abbazie per osservare di nascosto i libri. Mentre le sue sorelle consideravano le lezioni degli insignificanti eventi mondani, Séverine aveva tormentato i precettori fino a spingerli a supplicarla di smettere di fare domande.
Era fortunata. La sua famiglia, che sosteneva le arti e la musica, l'aveva incoraggiata. Un marito non avrebbe fatto per lei. La vita monastica era quella che desiderava.
Una vita che le era stata negata da Ian, in origine destinato a sua sorella Beatrice e che invece aveva chiesto la sua mano. Un uomo che non era quello davanti a lei.
Séverine strinse la fascina. «Chi...?»
«Non sono Guy» disse l'uomo in tono divertito.
No, non era Guy. Séverine sapeva che era morto un paio di anni prima per mano di alcuni uomini che lo avevano provocato. Una fine prevedibile per il secondogenito della famiglia Warstone.
Non era Ian e nemmeno Guy. Non era neanche il padre o Reynold, il terzogenito, un tipo particolare, un guerriero troppo accorto per limitare la potenza della sua spada entrando in un piccolo capanno. Restava il fratello più giovane...
«Balthus» disse Séverine.
L'uomo avanzò di un passo, uscendo dall'oscurità.
Era in effetti il più giovane dei Warstone, anche se era cambiato molto dall'ultima volta in cui lei lo aveva visto il giorno dell'annuncio del fidanzamento. Si era trattato di un unico istante, quando aveva girato la testa e lo aveva sorpreso a fissarla. Un unico momento bizzarro in cui aveva ricambiato il suo sguardo, perplessa o divertita. O forse imbarazzata o incantata come lui. Un attimo prima che una mano gelida le afferrasse il polso per portarla via dalla vita che lei aveva immaginato.
E adesso Balthus era lì.
Negli anni Séverine aveva ricordato quel momento intercorso tra loro, quando aveva sentito un'ondata di calore nel petto e si era piegata verso di lui. Quando un angolo della bocca del giovane si era incurvato all'insù e lei aveva sentito il cuore martellarle nel petto in attesa di un suo sorriso.
Strappata via troppo presto, aveva aspettato per sempre.
Era convinta di avere avuto una reazione esagerata, allora; invece anche ora, nel vederlo, il cuore aveva mancato un battito.
Era bellissimo, come tutti i fratelli Warstone. Capelli scuri, occhi grigi, zigomi scolpiti e mandibola forte, caratteristiche addolcite dalle lunghe ciglia e dagli angoli della bocca perennemente piegati all'insù, come se si stesse divertendo. Balthus ostentava la fiducia data dal denaro e dal potere, e la consapevolezza che avrebbe potuto avere tutto ciò che desiderava. Con la gentilezza o con la cattiveria.
Quel ragazzo diventato adulto apparteneva a una famiglia detestabile, eppure c'era sempre stato qualcosa di diverso in lui. Una considerazione che ancora una volta le fu sbattuta in faccia. E che la fece arrabbiare.
Erano trascorsi sei anni da quando era sparita dalla vita del fratello, molto di più dalla sua... sempre che ne avesse mai fatto parte. Eppure aveva un ricordo di Séverine impresso nel cuore.
Il suo sorriso. Era affascinante, un sorriso che illuminava gli angoli più bui dell'anima di un uomo. Lui non aveva mai visto una donna sorridere con tanta letizia come lei. Il giorno dei festeggiamenti del fidanzamento di suo fratello Ian, mentre gli invitati avevano accennato velatamente che la sorella più giovane fosse destinata a lui, non aveva mai smesso di fissarla. Quando si era girata, quando lo aveva guardato, la sua gioia gli aveva illuminato la vita.
Fino a quando Ian aveva attraversato la sala per annunciare che non era Beatrice che desiderava, bensì la sorella minore, Séverine. Così con quel ripensamento, quel cambiamento del destino, la fanciulla che lo aveva reso felice era diventata la moglie di suo fratello.
Molti anni erano passati da allora, e ora aveva ben due ricordi che avrebbero tormentato i suoi sogni, quando si fosse permesso di sognare. Quel sorriso e il modo in cui, pochi istanti prima, aveva pronunciato il suo nome.
«Avete bisogno di aiuto?» chiese, indicando la fascina con il mento.
Quando Séverine trasalì indietreggiando, alcuni stecchi caddero sul pavimento.
Balthus avanzò di un passo, poi un altro. Ma, mentre si accingeva a chinarsi per raccogliere i ramoscelli, fu allarmato dalla reazione che lei aveva avuto.
«Astuto» disse, sentendo un sospetto familiare e indesiderato serpeggiare in petto nel riconoscere quel tentativo di ingannarlo. «Lasciare che io raccolga gli stecchi mentre voi fuggite dall'altra porta.»
«Non stavo...»
«Non ricordavo che foste una bugiarda.»
A Balthus non interessava se era trasalita alle sue parole, non gli importava se stava mentendo oppure no. Non era andato lì per estorcerle la verità, bensì per la pergamena che lei aveva rubato a suo fratello. Considerando che era fuggita portando con sé i figli di Ian, lui non si poteva permettere di perdersi nei ricordi.
«Non voglio che mi ricordiate... Cosa avete fatto al braccio?» chiese Séverine.
«È...» Balthus lasciò il polso che stava stringendo e nascose le braccia sotto il mantello.
Séverine lo aveva notato, dunque, malgrado la luce fioca del capanno su cui Balthus aveva contato per nascondere la sua menomazione. Era un giorno fortunato e sfortunato al tempo stesso. L'aveva finalmente trovata, ma lei aveva visto il suo punto debole. Detestava l'idea di essere stato tentato di dirle la verità, di ammettere che il braccio gli doleva moltissimo. Una pena atroce che lo rendeva maldestro e impotente. A volte, come in quel momento, la semplice azione di camminare gli faceva vibrare penosamente il corpo, tanto da incespicare. Ma quel dolore era insignificante se paragonato al fatto inconfutabile che qualche mese prima gli era stata amputata la mano sinistra.
Da allora, ogni gesto era diventato difficoltoso. Non riusciva nemmeno a legarsi i lacci degli stivali. Non aveva una menomazione, era menomato. E la donna che aveva ossessionato ciò che restava della sua gioventù, la donna alla quale paragonava tutte le altre semplicemente per il modo in cui sorrideva, lo sapeva.
Se avesse potuto scacciare quel senso di vergogna, lo avrebbe fatto. Lei era stato il suo unico interesse, gli aveva mostrato che cos'era la felicità. Suo fratello e la sua menomazione gli assicuravano che non sarebbe mai stata sua.
Gli dispiaceva essere lì. La mano, che non c'era più, gli doleva. E questo gli faceva perdere il controllo. Era il motivo per cui Henry, un servitore, era fuori dalla porta alle spalle di Séverine. Non era un mercenario né una guardia addestrata, però era forte come una roccia e, se lei avesse tentato di fuggire, l'avrebbe fermata.
Séverine aggrottò la fronte mentre osservava ogni suo movimento. «Dove sono i miei figli?»
«Dove li avete lasciati.»
Lei gli lanciò un'occhiata, stringendo più forte la fascina. «Parlate!»
Era stato troppo facile trovarla, sarebbe stato troppo semplice lasciarsi sfuggire la verità. Balthus era andato a casa della famiglia di Séverine sperando di raccogliere indizi sul luogo dove si trovava, non lei in persona. Credeva di essersi mascherata a sufficienza? Anche se emanava un cattivo odore e si era imbrattata le trecce rosse, niente avrebbe potuto nascondere il verde dei suoi occhi o la piccola gobba sul dorso del naso.
«La vostra famiglia sa che siete qui? Sono caduti in miseria e vi hanno chiesto di fare la serva?»
Séverine serrò le labbra. «Non conoscete la mia famiglia.»
«Dato che avete sposato mio fratello, pensavo di farne parte.»
«Voi non siete la mia famiglia. Non voglio avere niente a che fare con nessuno di voi, l'ho dimostrato andandomene.»
«Sì, ma adesso sono qui e...»
«Ditemi cosa volete e facciamola finita.»
«Cosa vi aspettate, Séverine? È ovvio che volessimo trovarvi. Avete portato via i nipoti dei Warstone.»
«Non fingete che questo vi interessi. La vostra famiglia non rispetta i bambini, ignora cosa significhi essere un genitore. Voi Warstone siete assassini senza una morale; bramate il controllo, senza preoccuparvi di nulla. Perché siete qui?»
«Immagino che la risposta più logica sarebbe che sono venuto per catturare voi e i bambini e...» Quello sguardo affranto! Balthus non riuscì a finire la frase. «Dovrei essere ferito dalla vostra espressione. In questo momento i vostri figli sono al sicuro quanto voi li avete resi tali senza la protezione di mio fratello.»
«La tipica risposta criptica. Voi Warstone non riuscite a parlare in modo semplice?» lo derise Séverine. «Presumo che li abbiate già rinchiusi da qualche parte e che mi stiate provocando. Smettete di giocare e ditemi cosa volete.»
Balthus avrebbe risposto a quella domanda solo dopo avere ricevuto da lei la pergamena che aveva sottratto quando era fuggita dal marito. A quanto poteva vedere, in quel capanno c'erano solo mucchi di legna, ragni e rifiuti. A giudicare dall'abito che Séverine indossava, c'era anche la possibilità che avesse venduto la pergamena per denaro.
«Non sono qui per burlarmi di voi, sono sincero. Quanto al motivo della mia venuta, sembra una domanda curiosa, viste le circostanze. È passato molto tempo dall'ultima volta in cui abbiamo conversato amichevolmente e non sono ancora stato presentato a vostro figlio minore.»
«Non ci siamo mai seduti per chiacchierare.» Gli occhi di Séverine saettavano qua e là. «Perché dovrei desiderare che incontriate i miei figli, dopo che ho fatto di tutto per tenerli lontani da voi?»
Inspiegabilmente, Balthus voleva conoscerli. Séverine si era cosparsa della cenere sulle trecce per scurirle, ma i bambini avevano dei riflessi rossi nei capelli neri tipici dei Warstone. Era stato facile identificarli nei campi, in compagnia di due uomini del villaggio, come se nelle loro vene non scorresse sangue reale.
Quanto a lei, indossava un abito marrone di lana grezza e portava una fascina di legna.
Balthus non si era aspettato di trovarla nella dimora della sua famiglia. Non così vicina alla Provenza. E sicuramente non aveva immaginato che fingesse di essere una serva. Tutti pensavano che avesse lasciato il suo Paese, considerando che era riuscita a eludere gli sforzi per trovarla di Ian in tutti quegli anni. Invece, era inaspettatamente vicina. Era scaltra. Il che significava che anche lui doveva esserlo.
Se le avesse detto che i bambini erano incolumi, ignari della sua presenza e fuori dalla sua portata, probabilmente Séverine sarebbe fuggita dalla porta alle proprie spalle.
«Voglio parlare con voi. Sono accadute molte cose dall'ultima volta che ci siamo visti. Chiamiamola una tregua, d'accordo? Fa freddo qui. Sono certo che, malgrado l'abito che indossate e il lavoro che state facendo, la vostra famiglia non vorrebbe che congelaste. Gradirei del vino caldo, voi no?»
Séverine gli lanciò contro due stecchi e uscì dalla porta strillando.
«Séverine!» Balthus barcollò per il male al braccio, colpito da un ramoscello, e si avvicinò a una parete per non cadere. Non poteva lasciarla fuggire, avrebbe dovuto inseguirla, avrebbe dovuto...
Un grido, acuto e rapido. Ordinando al suo corpo di muoversi, Balthus corse fuori. Henry era accasciato a terra, Séverine e i bambini che aveva visto nei campi erano scomparsi.
2
Due settimane dopo
«Non voglio giocare ancora a nascondino» disse Clovis.
Séverine trattenne un moto di impazienza. Suo figlio maggiore aveva solo otto anni e quel viaggio, durato più di due settimane se si contavano i giorni in cui erano stati nascosti in un cunicolo sotto i campi, era stato particolarmente arduo.
Gli ultimi giorni le ricordavano la sua prima fuga, quando si guardava continuamente alle spalle e dormiva poco e male aspettando di vedere emergere dall'oscurità il suo furibondo marito. Era stato così per i primi due anni, mentre perfezionava il piano di restare nascosta il più a lungo possibile da Ian e dai Warstone.
Un obiettivo non facile, dato che chiunque desiderava la considerazione di quella famiglia così rispettata. I Warstone godevano della stima del re d'Inghilterra e di quello di Francia. Erano talmente ricchi da essere pesantemente tassati da entrambi i regni, eppure tutti sapevano che nascondevano del denaro. E non era un segreto che nessuno dei due monarchi avrebbe insistito per avere di più.
Cosa non era disposta a fare una famiglia per attirare la loro attenzione? Anche se nessun padre avrebbe negato la mano della propria figlia a un Warstone, Séverine avrebbe voluto che il suo lo avesse fatto.
Forse le cose sarebbero andate diversamente se Ian avesse sposato sua sorella Beatrice, tuttavia il giorno dell'annuncio del fidanzamento lui aveva dichiarato di avere scelto Séverine come sua promessa sposa. Per salvare la famiglia dall'imbarazzo e dalla rovina, lei aveva acconsentito.
Aveva pensato che la conseguenza peggiore sarebbe stato il risentimento di Beatrice, giustamente offesa, ma si era sbagliata. In pubblico i Warstone mostravano un fronte unito; non si rivolgevano mai parole brusche e il loro rapporto sembrava basato sull'amore fraterno e il rispetto. Invece, dopo essere stata ammessa nel loro mondo, Séverine aveva visto con i propri occhi l'orrore e la crudeltà di quella famiglia dietro le porte chiuse, quando loro pensavano di non essere osservati. E aveva temuto che sarebbe rimasta per sempre intrappolata nella tomba del suo matrimonio fino al giorno fatidico in cui Ian aveva portato lei e i bambini in un luogo dal nome quanto mai appropriato, Castello Dimenticato. Un posto di cui non aveva mai sentito parlare, più che un castello una torre fatiscente in riparazione, circondata da assi di legno scheggiate che un tempo erano state mura.
Non aveva potuto fare delle domande al marito, perché era partito quello stesso giorno. Per una, due settimane aveva aspettato di ricevere un messaggio o di vederlo tornare, mentre cercava una via d'uscita per il bene dei suoi figli.
Era stata costretta a farlo. Dopo anni di tentativi falliti per capire Ian, aveva concluso che fosse una persona indecifrabile. Non era quasi mai al maniero in cui vivevano e, quando accadeva, si ritirava nelle sue stanze. Quando conversava con lei, usava frasi ed espressioni bizzarre che sembravano cordiali, ma che di colpo diventavano acrimoniose. Non c'erano regole quando si trattava di Ian! Erano rare le volte in cui avevano condiviso il talamo nuziale, e spesso lui si era addormentato. Poi, nel cuore della notte, a Séverine era capitato di sentirlo borbottare e parlare bene di lei e dei bambini. Ma non le era bastato.
Ian la spaventava. Il momento di massimo terrore era stato quando lui, dopo avere preparato un carro, aveva svegliato lei e i bambini una mattina all'alba e li aveva portati via in gran fretta.
Quando li aveva lasciati al Castello Dimenticato, Séverine aveva fatto un voto: si sarebbe strappata il cuore dal petto piuttosto che lasciare che i suoi figli seguissero le orme del padre.
Ian non era tornato né aveva mandato sue notizie. A quel punto lei aveva chiesto a due servitori di aiutarla a racimolare tutto il denaro, i gioielli, le scatole smaltate, i ninnoli e i libri che sarebbero riusciti a trovare. Dopo avere ottenuto la fiducia di altri servitori, aveva lasciato quella casa nel cuore della notte. Era accaduto sei anni prima.
Nel corso degli anni aveva lasciato i manufatti rubati e i servitori in diversi villaggi. Per sicurezza aveva fatto costruire delle trappole vicino alla casa in cui dimoravano, nel caso qualcuno si fosse avvicinato troppo. Grazie ai servitori, Pepin e Clovis avevano sempre un luogo sicuro e nascosto in cui stare e non dovevano temere per il loro futuro.
In quei sei anni di spostamenti era stato facile portarsi dietro i bambini e
