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The Mad Morelands 4
Inghilterra, XIX secolo
Megan Mulcahey, giovane e agguerrita reporter americana, è convinta che a uccidere suo fratello Dennis durante una spedizione archeologica in Amazzonia sia stato il misterioso Theo Moreland, Marchese di Raine. Per provarlo, si fa assumere come istitutrice dei fratelli minori del gentiluomo, i gemelli Con e Alex, guadagnandosi in tal modo l'accesso alla casa che le permetterà di condurre in tutta calma le sue indagini. Ma invece dell'uomo altezzoso e pieno di sé che è convinta di incontrare, Theo si rivela una persona raffinata, elegante, gentile e dalla sensualità dirompente. Possibile che sia stato davvero lui a perpetrare quel terribile crimine, e solo per impadronirsi del prezioso tesoro degli Inca? Combattuta tra attrazione e senso del dovere, la bella Megan si ritrova così a un bivio che potrebbe mutare il corso della sua vita: può fidarsi dell'affascinante marchese o rischia di mettere inutilmente in gioco il proprio cuore?
Candace Camp
Candace Camp, texana, laureata in giurisprudenza, ha pubblicato oltre quaranta romanzi sia storici che contemporanei. Trame avvincenti, intrighi di famiglia e protagoniste coraggiose e indipendenti sono gli ingredienti base del suo successo.
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Il segreto degli Inca (eLit) - Candace Camp
PROLOGO
New York, 1879
Un grido squarciò la notte.
Nel suo letto, Megan Mulcahey si drizzò, subito sveglia, il cuore in gola. Le ci volle qualche istante per rendersi conto di cosa l’avesse destata. Poi udì di nuovo la voce della sorella.
«No! No!»
Balzò fuori dalle coperte in un secondo e si precipitò alla porta. La loro casa non era grande – un piccolo edificio di mattoni rossi con tre camere da letto al piano superiore – e dunque non ci mise molto a raggiungere la stanza di Deirdre e a spalancarne l’uscio.
Deirdre era seduta in mezzo al letto, gli occhi sgranati e fissi in un’espressione di orrore. Teneva le braccia distese davanti a sé verso qualcosa che solo lei poteva vedere e le lacrime le scivolavano lungo le guance, bagnandole.
«Deirdre!» Megan attraversò la camera e si sedette sul letto della sorella, afferrandola saldamente per le spalle. «Che cosa succede? Svegliati, Deirdre!»
Le diede uno strattone e qualcosa nel volto della fanciulla cambiò. Il terribile pallore svanì per lasciare il posto a una nascente consapevolezza.
«Megan!» La giovane scoppiò in singhiozzi e gettò le braccia intorno al collo della sorella maggiore. «Oh, Megan. È stato orrendo. Orrendo!»
«Che i santi ci proteggano!» La voce del padre riecheggiò dalla soglia. «Per tutti i beati del paradiso, si può sapere che cosa succede qui?»
«Deirdre ha fatto un brutto sogno, niente di più» replicò Megan, mantenendo la voce calma e serena mentre accarezzava i capelli della sorella. «Non è così, Dee? Si è trattato solo di un incubo, vero?»
«No.» La giovane deglutì e si staccò da lei. Poi si deterse le lacrime dal viso e lo sguardo le corse da Megan al padre. I suoi occhi erano ancora sgranati e velati da un’ombra. «Megan. Papà. Ho visto Dennis.»
«Hai sognato Dennis?» chiese Megan.
«Non è stato un sogno. Era qui. Ha parlato con me.»
Un brivido serpeggiò lungo la schiena della sorella maggiore. «Ma, Dee, non è possibile. Dennis è morto da dieci anni.»
«Era lui» insistette l’altra. «L’ho visto, chiaro come il giorno. E mi ha parlato.»
Sollecito, il padre attraversò la stanza e si mise in ginocchio davanti alla figlia, scrutandole il volto. «Ne sei certa? Si trattava davvero di Dennis?»
«Sì. Oh, sì. Era identico al giorno in cui salpò.»
Stupita, Megan la fissò. In famiglia Deirdre aveva la reputazione di possedere il dono delle visioni. Aveva spesso premonizioni che si avveravano puntualmente, tanto da non poter non essere prese in considerazione da lei che aveva imparato ad apprezzare questa sua peculiarità. Tuttavia, le predizioni spesso non erano altro che la sensazione che un parente o un amico avesse dei problemi oppure che avrebbe fatto loro visita in giornata. Il lato più razionale di Megan credeva che la sorella possedesse una certa sensibilità che la rendeva capace di raccogliere piccoli indizi riguardanti persone e situazioni ignorate dalla maggior parte della gente. Era un talento ammirevole, su questo non vi erano dubbi, ma Megan si chiedeva se questa abilità potesse essere davvero considerata il dono soprannaturale che tutti dicevano.
L’aspetto di Deirdre, inoltre, contribuiva non poco a precisare meglio la percezione che si aveva di lei. Piccola e fragile di costituzione, con grandi occhi azzurri, la pelle pallida e i capelli biondi tendenti al rosso, possedeva l’indubbia qualità di stimolare nelle persone, inclusa Megan, un istinto di protezione che rendeva più facile credere che la fanciulla fosse in sintonia con un mondo trascendente.
Mai prima di adesso, però, Deirdre aveva affermato di vedere i morti. Megan non sapeva cosa pensare. Da un lato, la sua mente pratica aveva difficoltà ad accettare che lo spirito vagante del fratello si fosse messo in contatto con la sorella. Le sembrava più probabile che la giovane avesse avuto un incubo, scambiato poi dalla sua mente confusa per reale. Dall’altro lato, vi era dentro di lei un angolino in cui l’irrazionalità la induceva a chiedersi se non ci fosse, in fondo, qualcosa di vero. In sostanza, il fatto era che Megan, come il padre, voleva che tutto ciò fosse reale. Sperava, infatti, che l’amato fratello fosse ancora vivo e non perso per sempre.
«Che cosa ha detto?» chiese Frank Mulcahey. «Perché è venuto da te?»
Gli occhi di Deirdre si riempirono di lacrime. «Oh, papà! È stato terribile! Dennis aveva paura ed era disperato. Aiutami
ha detto e ha teso le mani verso di me. Per favore, aiutami
.»
Mulcahey inspirò rumorosamente e si segnò. «Gesù, Giuseppe e Maria! Che intendeva?»
«Niente» s’intromise Megan. «Stava solo sognando. Era un incubo, Deirdre. Deve essere stato così.»
«No che non lo era» insistette l’altra fissando la sorella con i suoi occhi enormi. «Dennis era qui proprio come te adesso. Era in piedi, in questo punto, e mi guardava con espressione addolorata e disperata. Non posso essermi sbagliata.»
«Ma tesoro...»
La sorella minore le scoccò un’occhiata piena di rimprovero e di pietà. «Non credi che sappia distinguere un incubo da una visione? Ne ho avuti abbastanza degli uni e delle altre.»
«Certo» rispose il padre, voltandosi poi verso Megan. «Solo perché certe cose non si possono vedere o sentire, non significa che non esistano. Personalmente, ti potrei raccontare storie che ti farebbero drizzare i capelli in testa.»
«Sì, e lo hai fatto in diverse occasioni» replicò la figlia maggiore, addolcendo lo sguardo duro di fronte al sorriso del padre.
Frank era basso, magro, pieno di energia e di amore per la vita. Era arrivato a New York dalla natia Irlanda all’età di quindici anni ed era sempre pronto a raccontare a chiunque volesse prestargli orecchio di come in America fosse riuscito a realizzare i propri sogni. Aveva messo su un florido commercio di frutta e verdura, sposato una meravigliosa bellezza bionda locale e cresciuto una famiglia di bambini sani e felici. Solo chi lo conosceva bene sapeva degli ostacoli che aveva dovuto superare: gli anni di lavoro e di fatica per aprire il negozio, la morte dell’adorata moglie poco dopo la nascita di Deirdre, le difficoltà affrontate per crescere da solo sei figli e, infine, la scomparsa del figlio maggiore, dieci anni prima. Qualsiasi altro uomo si sarebbe spezzato sotto i colpi del destino, ma Frank Mulcahey li aveva assorbiti, lo spirito ferito ma mai domo.
Nei colori rassomigliava alla figlia Megan: i capelli corti avevano le stesse tonalità di castano rossiccio, anche se adesso erano striati di grigio, e se li avesse lasciati crescere anche le sue ciocche si sarebbero arricciate con altrettanto spirito ribelle. La linea di lentiggini che adornava il naso di Megan era stata un’eredità del padre e anche gli occhi avevano la medesima tonalità mogano che in profondità assumeva una calda quanto sfuggente sfumatura di rosso. Erano simili anche nel modo di muoversi e nella determinazione e, come Deirdre più di una volta aveva fatto notare, nella loro infinita cocciutaggine che li portava a scontrarsi in molte occasioni.
«È chiaro allora che non ascolti i miei racconti con la dovuta attenzione» ribatté il padre. «Altrimenti avresti una mentalità più aperta.»
Megan sapeva che non lo avrebbe mai convinto dell’impossibilità che il fratello avesse fatto ritorno dalla tomba, così provò ad attaccare da un altro versante. «E perché mai Dennis sarebbe dovuto tornare proprio adesso? In che modo potremmo essergli d’aiuto?»
«Ma è lampante» fu la risposta dell’uomo. «Ci sta chiedendo di vendicare la sua morte.»
«Dopo dieci anni?»
«Sicuro. Non credi che abbia già aspettato abbastanza?» replicò Frank, mentre per l’agitazione la parlata assumeva sempre di più il natio accento irlandese. «È colpa mia. Sarei dovuto partire e prendermi cura personalmente di quel lurido lord inglese non appena ho saputo cos’era successo al mio Dennis. Non mi meraviglio che ci venga a chiamare adesso. L’infamia è che sia costretto a farlo, perché io, come padre, non ho compiuto il mio dovere.»
«No, papà.» Megan gli appoggiò una mano sul braccio per consolarlo. «Non hai fatto nulla di sbagliato. Non saresti potuto andare in Inghilterra quando Dennis morì. Avevi dei figli da crescere. Deirdre aveva appena dieci anni e i ragazzi erano poco più grandi. Sei stato costretto a restare per lavorare e badare a noi.»
Frank sospirò e annuì. «Lo so. Adesso però non vi è più niente che mi trattenga. Siete tutti cresciuti. Persino il negozio può andare avanti senza di me, visto che tuo fratello Sean mi aiuta a gestirlo. Non c’è nulla che possa impedirmi di partire per l’Inghilterra e occuparmi della faccenda. Non l’ho fatto per anni. Sono stato trascurato, è questa la verità. Non mi meraviglio affatto che Dennis sia venuto per farmi una ramanzina.»
«Sono sicura, papà, che non è questo il motivo del ritorno di Dennis» si affrettò a dire Megan, gettando un’occhiata alla sorella per chiederle aiuto. L’ultima cosa che voleva era che il padre partisse per l’Inghilterra e facesse Dio solo sapeva cosa per placare la sete di vendetta del figlio defunto. Sarebbe potuto finire in galera – o peggio – se avesse lasciato libero sfogo al suo temperamento nei confronti del lord inglese che gli aveva ucciso il figlio. «Non è vero, Deirdre?»
«Non ne sono certa» rispose la sorella con grande disappunto dell’altra, corrugando la fronte. «Dennis non ha detto nulla della sua morte. Però era terribilmente disperato. Era chiaro che avesse bisogno del nostro aiuto.»
«Sicuro che è così.» Frank annuì. «Vuole che io vendichi il suo assassinio.»
«Come?» protestò Megan, allarmata. «Non puoi certo partire e farti giustizia da solo.»
Il genitore la guardò. «Non sto dicendo di voler uccidere quel bastardo di un mentitore... non che non mi piacerebbe, s’intende. Non voglio sporcarmi la coscienza con il sangue di un uomo. Una cosa però intendo farla: assicurarlo alla legge.»
«Dopo tutto questo tempo? Ma papà...»
«Stai forse suggerendo di restare a guardare senza muovere un dito?» tuonò Frank, inarcando incredulo le sopracciglia. «Dovrei lasciare che quell’uomo se la cavi impunemente? Non avrei mai creduto che proprio tu la pensassi così.»
«Certo che non voglio che la passi liscia» replicò Megan, accalorandosi. «Voglio che paghi per ciò che ha fatto a Dennis esattamente come lo vuoi tu.»
Il fratello era maggiore di soli tre anni ed erano stati molto vicini per tutta la vita, uniti non soltanto dal sangue, ma dalle personalità simili e dalla loro intelligenza pronta e vivace. Curiosi, esuberanti e determinati, ciascuno di loro aveva desiderato lasciare una traccia di sé nel mondo. Dennis aveva sempre voluto viaggiare, esplorare territori ancora sconosciuti. Megan, invece, aveva concentrato i suoi sforzi per diventare una reporter.
Alla fine aveva realizzato il proprio sogno, dopo molta perseveranza, conquistando un posto in un piccolo giornale di New York sul quale scriveva per la sezione Eventi Sociali. Attraverso la sua capacità, la fermezza e il duro lavoro, era riuscita a farsi strada nell’ambiente approdando in un secondo momento alle pagine di un quotidiano più importante. Si era però trattato di una vittoria dolce e amara perché Dennis non era stato con lei per condividere la sua gioia. Era morto nel suo primo viaggio in Amazzonia.
«Sì, lo so» ammise Frank, prendendo una mano della figlia e stringendogliela. «Ho parlato in preda ai fumi dell’ira. So che anche tu vuoi che quel tipo sia punito. Lo desideriamo tutti.»
«Non so che prove potremmo trovare dopo tutto questo tempo» sottolineò Megan.
«C’è dell’altro» si intromise Deirdre. «Dennis era... credo che stesse cercando qualcosa.»
La giovane fissò la sorella minore. «Cercando cosa?»
«Non ne sono certa. Un oggetto che gli era molto caro. Non potrà riposare se prima non lo riavrà.»
«Ha detto proprio così?» Di nuovo, la schiena di Megan fu percorsa da un brivido. Non credeva che i morti potessero tornare a parlare con i vivi, però...
«Ha detto qualcosa sul fatto che devono essere ritrovati... o ritrovato, non saprei» spiegò Deirdre. «Potevo però sentire la sua disperazione e il profondo significato che la cosa aveva per lui.»
«Quell’uomo lo ha ucciso per un motivo» commentò Frank, la voce vibrante d’eccitazione. «Non abbiamo mai saputo il perché, ma un movente ci deve pur essere stato. Sarebbe sensato credere che si possa essere trattato di un oggetto, qualcosa che Dennis aveva e che lui voleva per sé?»
«Pensi dunque che lo abbia ucciso per appropriarsene?» chiese Megan. «Cosa avrebbe potuto avere Dennis che quell’uomo non poteva comprare? È molto ricco.»
«Qualcosa trovato durante il viaggio» rispose Frank. «Qualcosa trovato da Dennis.»
«Nella giungla?» Incredula, Megan inarcò un sopracciglio. Aveva appena terminato la frase quando le venne in mente la storia dell’America del Sud. «Aspetta... Ma certo! Che cosa trovarono gli spagnoli quando esplorarono quelle terre? Oro. Smeraldi... Dennis potrebbe essersi imbattuto in una miniera... o in dei gioielli.»
«Naturale.» Gli occhi di Frank brillarono infervorati. «Deve essere una cosa del genere. E se riuscirò a sapere di che cosa si tratta e a scoprire cosa è stato rubato, potrei avere anche le prove che è stato quell’inglese a uccidere Dennis. Devo andare in Inghilterra.»
Megan si alzò. L’eccitazione del padre aveva risvegliato la sua. Per dieci anni aveva vissuto nel dolore per la perdita del fratello e nell’amara consapevolezza che l’assassino l’aveva fatta franca. Una parte della sua passione per il giornalismo le era venuta proprio dal suo desiderio, mai concretizzatosi, di ottenere giustizia per Dennis. Sapeva che le sarebbe stato impossibile aiutarlo, ma si era detta che avrebbe potuto essere utile a chi aveva avuto la vita distrutta o i cui diritti erano stati calpestati. Tra i colleghi era conosciuta per le sue crociate ed era tra i più abili a portare alla luce le storie di corruzione o di ingiustizia.
Tuttavia, non riusciva ancora a convincersi del tutto che la sorella avesse visto Dennis. Le parole del padre, però, erano molto sensate. L’uomo che aveva ucciso il fratello doveva avere avuto un motivo per agire... e la cupidigia era sempre stata una molla pronta a far scattare l’omicidio.
«Hai ragione» disse. «In ogni modo, dovrei essere io a partire.» Iniziò ad andare avanti e indietro per la stanza, sputando un fiume di parole eccitate. «Non capisco come ho fatto a non pensarci prima. Potrei investigare sulla morte di Dennis, proprio come faccio con una storia. In fondo, non è il mio mestiere di tutti i giorni? Non guardo le cose in profondità, non parlo con la gente, non verifico i fatti, non vado a caccia di testimoni? Forse riuscirò anche a scoprire cosa è accaduto realmente. Sebbene siano trascorsi parecchi anni, deve pur esserci un indizio che posso trovare. Anche se si tratta di qualcosa che non può essere portata in una corte di giustizia, avremo almeno la soddisfazione di sapere.»
«Megan, è pericoloso» protestò la sorella. «Sì, insomma, quell’uomo ha già ucciso una volta. Se ti presenti e inizi a fare domande...»
«Non gli andrò certamente incontro chiedendogli perché ha ucciso mio fratello» ribatté lei. «Non mi conosce. Escogiterò qualche trucco per avvicinarlo. Stai tranquilla, sono brava in questo.»
«Ha ragione» intervenne il padre. Le figlie si voltarono all’unisono per guardarlo, attonite. «Sono un uomo con la testa sulle spalle. So bene che Megan ha molta esperienza in questo genere di indagini. Però» aggiunse, gettando un’occhiata severa alla maggiore, «se pensi che ti lasci partire da sola sulle tracce di un assassino, allora hai meno cervello di quanto credi. Verrò anch’io.»
«Ma papà...»
Lui scosse la testa. «Niente ma, Megan. Partiremo insieme. Troveremo Theo Moreland e gli faremo pagare il conto per l’omicidio di tuo fratello.»
1
Theo Moreland, Lord Raine, appoggiò le mani sulla balaustra e guardò in basso, nella vasta sala da ballo, un’espressione scontenta stampata sul bellissimo volto. Gli occhi verdi, orlati da ciglia così lunghe e spesse che sarebbero apparse femminee su un volto dai tratti meno virili, si mossero pigri sulla pista affollata di ballerini.
Che ci faceva lì?, si chiese non per la prima volta nella serata.
Non amava le feste eleganti. Gli piaceva di più stare all’aria aperta, preferibilmente in qualche posto esotico, a fare cose più intriganti... e possibilmente pericolose.
Anche se, in un certo senso, persino il ballo di Lady Rutherford presentava i suoi rischi: madri ambiziose accompagnate dalle figlie che giravano in tondo come squali. Un genere di pericolo che di solito si premurava di evitare con cura. Non sapeva perché fosse venuto, quella sera. Si era sentito annoiato e inquieto, come spesso accadeva negli ultimi tempi, tanto che alla fine si era messo a scartabellare tra la pila di inviti, che di solito ignorava, decidendo poi per il ricevimento di Lady Rutherford.
Una volta arrivato, si era pentito della propria impulsività. Assediato da donne di tutte le età decise ad amoreggiare con lui, aveva finito per ritirarsi al piano di sopra, nella sala da gioco. Anche lì si era annoiato. Poi si era spostato nell’attuale punto d’osservazione da dove fissava tediato la vastità del salone sottostante.
«Lord Raine, che sorpresa!» esclamò una voce sensuale alle sue spalle.
Theo represse un gemito e si voltò. «Lady Scarle.»
La donna di fronte a lui era, da anni, una delle dame più affascinanti di Londra. Aveva il colorito vivido, i capelli corvini, profondi occhi blu e la carnagione fragola e crema. Se la sfumatura delle guance non era interamente naturale o se, di tanto in tanto, era necessario strappare uno o due fili bianchi, be’, questi erano segreti che solo la sua cameriera conosceva e che erano custoditi a suon di denaro sonante. A dire la verità, molti uomini trovavano difficile distogliere lo sguardo dal magnifico décolleté niveo di Lady Scarle che, come di consueto, quella sera era messo generosamente in mostra dalla scollatura profonda dell’abito porpora.
«Bene, bene» disse la donna, sorridendo e posando una mano sul braccio di Theo. «Credo che ci conosciamo abbastanza da poterci permettere di usare i nostri nomi di battesimo. Io sono Helena.»
Theo, imbarazzato, si agitò e le scoccò un vago sorriso. Non se l’era mai cavata bene con le donne rapaci e giudicava le signore come Lady Scarle ancora più snervanti delle giovani debuttanti tutte risolini ottusi.
Quando aveva lasciato Londra, in occasione della sua ultima spedizione, Lady Helena Scarle era sposata al vecchio e fragile Lord Scarle e quando aveva amoreggiato con Theo era stata interessata unicamente a una relazione senza impegni, che lui aveva evitato con pochi problemi.
Al suo rientro, però, avvenuto pochi mesi prima, gli era stata annunciata la morte del nobiluomo. Lady Scarle era quindi diventata una splendida vedova che adesso mirava a un nuovo marito, che le consentisse di salire di un altro gradino sulla scala sociale o economica. Sfortunatamente per Theo, lui avrebbe potuto assicurarle entrambe le posizioni.
E Lady Scarle si era messa in caccia.
«Ci sono rimasta molto male ieri quando non vi ho visto alla serata musicale di Lady Huntington» seguitò Lady Helena con voce vellutata.
«Mmh. Non è il mio genere» replicò lui, guardandosi intorno in cerca di una via d’uscita che tuttavia non lo facesse apparire scortese. Anche se, come gli era capitato di scoprire, Lady Scarle era immune a qualunque tipo di scortesia.
«Neppure il mio» replicò lei con un’occhiata melensa. «Pensavo, tuttavia... be’, la scorsa settimana, mentre parlavamo, ci siamo chiesti se mai ci sarebbe capitata l’occasione di un incontro durante una serata musicale.»
«Davvero?» domandò Theo, sorpreso. Ricordò di essersi imbattuto in Lady Scarle mentre stava cavalcando nel parco, la settimana prima. Lei aveva chiacchierato un po’ prima di lasciarlo andare, ma Theo non aveva prestato il benché minimo orecchio a ciò che gli aveva detto. «Ecco... devo averlo scordato. Vi chiedo scusa.»
Un lampo di rabbia le attraversò gli occhi blu – non era abituata a essere dimenticata dagli uomini – ma fu lesta a nasconderlo, abbassandoli e guardandolo con espressione ammaliatrice da sotto le ciglia. «Adesso mi avete ferita, Raine. Dovete fare ammenda e venire da me, martedì.»
«Io... uhm... sono quasi certo di essere impegnato, per quella data. Ah... Kyria!» Scorse la sorella attraversare la sala e la salutò con la mano.
Kyria, resasi immediatamente conto della situazione, gli sorrise con calore e si avvicinò. «Theo! Che piacevole sorpresa. E Lady Scarle.» Il suo sguardo si appuntò sul petto quasi nudo della donna. «Santo cielo, dovete essere gelata. Desiderate che vi presti il mio scialle?»
Helena sorrise a denti stretti. «Grazie, sto benissimo, Lady Kyria. O forse dovrei dire Mrs. McIntyre?»
«Vanno bene entrambi» replicò Kyria, calma. Alta, con i capelli di fiamma e gli occhi verdi, era senza dubbio la donna più bella presente al ballo. Era stata tra le dame più affascinanti di Londra sin dal suo debutto, meritandosi l’appellativo di Dea per la sua avvenenza e per l’innato fascino. Persino adesso, alla soglia dei trenta, moglie e madre, non vi era nessuna che potesse reggere il confronto con lei.
Lady Scarle, di parecchi anni più anziana di Kyria, era già sposata ai tempi del debutto della giovane, ma il fatto che la fanciulla ricevesse le attenzioni che una volta erano state tutte rivolte a lei, non le aveva fatto per nulla piacere. Le due donne non erano mai state amiche.
«Theo.» Kyria si voltò verso il fratello prendendolo sottobraccio con un gesto di possesso. «Mi chiedevo che fine avessi fatto. Credo di averti promesso questo ballo.»
«Sì» rispose lui illuminandosi. «Proprio così.» S’inchinò di fronte alla sua interlocutrice. «Se volete scusarci, Lady Scarle...»
La donna non poté che sorridere e mormorare: «Ma certo».
Rapido, Theo condusse la sorella sulle scale. Lei si protese verso di lui. «Mi devi un favore» gli sussurrò all’orecchio.
«Con piacere. Davvero non sapevo come fare. Stavo cercando di evitare l’invito a una delle sue serate, la settimana prossima. Non so ancora che diavolo mi abbia preso a venire qui» aggiunse accorato.
Kyria rise di gusto. «Non è da te. Mi ha molto sorpresa vederti.»
Theo si strinse nelle spalle. «Ero annoiato, immagino. Non so che cosa mi stia accadendo, ultimamente. Mi sento... inquieto.»
«Pronto per una nuova avventura?»
Theo, il figlio maggiore del Duca di Broughton, aveva trascorso la maggior parte della sua vita da adulto in giro a esplorare il mondo. Aveva sempre subito il fascino dei luoghi lontani ed esotici. Quanto agli sforzi fisici e ai rischi non facevano che aggiungere pepe ai viaggi.
Era tornato solo pochi mesi prima dall’India e dalla Birmania. Di solito riposava e recuperava le energie trascorrendo il tempo con la sua adorata famiglia per un po’, prima di ricominciare.
«Non lo so.» Corrugò la fronte. «Edward Horn sta preparando un viaggio in Congo. Vuole che vada con lui.»
«Tu però non ne sembri entusiasta.»
«Non molto» ribatté il fratello, il volto atteggiato a un’espressione perplessa. «Ho detto a Horn di non contare su di me. È molto strano. Mi sento agitato ma, al contempo, non ho voglia di andare da nessuna parte. Forse sto invecchiando.»
«Oh, certo... un matusalemme di trentaquattro anni!» lo prese in giro Kyria. «In effetti, sei già decrepito.»
«Sai perfettamente cosa intendo. Mi hanno detto tutti che un giorno, crescendo, mi sarei stufato di viaggiare. Forse è così.» Le scoccò un sorriso triste. «So solo che ogni volta che mi viene in mente di partire, qualcosa mi trattiene.»
Kyria studiò il suo bel volto con aria preoccupata. «Theo... stai bene? Mi sembri quasi... infelice.»
Non era un aggettivo che aveva l’abitudine di usare riferendosi a lui, che si buttava in ogni impresa con profondo entusiasmo.
Il fratello la fissò, serio. «Mi conosci. Non sono il tipo che fa il resoconto della propria vita. Non mi siedo a pensare a ciò che sto facendo, se mi diverto o non mi diverto. Non rimugino sopra a nulla.»
«No. Sei più uno che si getta a capofitto in ogni situazione. Che sa cosa vuole e in che modo ottenerlo.»
Lui annuì. «Ecco perché mi sento così spaesato. È come se mi mancasse qualcosa di cui ignoro la natura. C’è forse qualche impresa che dovrei tentare? Qualche posto che dovrei vedere? So solo che voglio qualcosa che non ho, qualcosa di più.»
Kyria rifletté alcuni istanti prima di parlare con una certa esitazione: «Be’, forse... Hai mai pensato di essere in un’età in cui la gente si sistema? Magari ti manca una moglie... una casa e una famiglia».
Theo si lasciò sfuggire un lamento. «Questa è certamente una cosa della quale tutti cercano di convincermi» rispose, spostando la testa in direzione delle madri e delle chaperon ammassate lungo le pareti a osservare le loro protette danzare. «Credo di essere stato presentato a ogni genitrice di figlia in età da marito, questa sera. Non so dirti quante hanno accennato fugacemente al fatto che sarebbe ora che mi sistemassi. Abbastanza da farmi scappare in cerca di un rifugio. Ma sono sempre così voraci?»
Kyria ridacchiò e annuì. «Non vi è nulla di più pericoloso di una madre che cerca di combinare un ottimo matrimonio alla propria figlia.»
«Non sono per caso le stesse donne che si sono sempre lamentate del fatto che manco di senso del dovere e non faccio altro che girovagare per l’intero globo invece di restare in patria e di prepararmi per ereditare il titolo? Quelle che ci chiamano quei pazzi dei Moreland?»
«Esatto. Ma certamente saprai che poco importa il grado di follia quando si è destinati, un giorno, a diventare duca. Un titolo cancella tanti peccati e più questo è importante, più peccati cadono nel dimenticatoio. Inoltre, se al titolo affianchi anche un cospicuo patrimonio, potresti persino avere due teste e non importerebbe a nessuno.»
«Cinico da parte tua.»
«Solo veritiero.»
«Non sono contro il matrimonio» rifletté Theo. «È semplice... Ecco, non riesco a immaginarmi legato a una di quelle ragazze, neppure alla graziosissima Estelle Hopewell.»
«Estelle Hopewell? Santo cielo, spero proprio di no. Quella ragazza non ha un briciolo di sale in zucca.»
«Perché? Per le altre è diverso? Forse è dipende dal fatto che sono sotto gli occhi attenti delle loro madri, ma in effetti ogni ragazza con cui ho conversato questa sera non aveva niente da dire e si limitava ad annuire a ogni cosa che usciva dalle mie labbra. Nessuna pareva avere una benché minima opinione o un interesse per le cose del mondo. Poi ci sono le zelanti vedove come Lady Scarle, che francamente mi terrorizzano. Riesci a immaginare una di loro entrare a far parte della nostra famiglia?»
Kyria rise di cuore. «Dio del cielo, proprio no! Forse devi trovarti una ragazza di campagna, come ha fatto Reed.»
Lui sorrise. «Anna è una persona rara, persino in campagna.»
«Sì, hai ragione. Comunque non perdo le speranze» concluse la sorella. «Uno dei miei fratelli ha sposato una donna meravigliosa. E sono certa che anche per te sarà così. Pensa solo che quattro dei pazzi Moreland sono riusciti a trovare l’amore. Quel giorno verrà anche per te.»
«Davvero?» Un sorriso impercettibile distese le labbra di Theo. «Forse hai ragione. Magari sto proprio aspettando questa donna perfetta. Per adesso, però, mi sono appena aggiudicato un ballo con la dama più bella di tutta Londra.»
E con queste parole condusse la sorella sulla pista da ballo.
Megan Mulcahey stava in piedi davanti alla finestra della stanza da letto che divideva con la sorella Deirdre nella casa che la famiglia aveva affittato a Londra. Sospirando, appoggiò la fronte contro il vetro ghiacciato. Le ci era voluto un mese per arrivare a destinazione, e adesso non era più sicura sul da farsi.
Per quanto caparbiamente ci avesse provato, non era stata capace di dissuadere il padre e la sorella dall’accompagnarla in Inghilterra. Avrebbe di gran lunga preferito investigare da sola, senza doversi preoccupare per loro.
Il genitore, tuttavia, aveva trovato un argomento per ciascuna obiezione da lei sollevata. I fratelli più giovani, Sean e Robert, erano in grado di badare al negozio, quindi la sua presenza non era indispensabile. Senza contare che sicuramente lei avrebbe avuto bisogno di una mano. Raramente le donne viaggiavano da sole, aveva puntualizzato Frank Mulcahey; il lungo tragitto dall’America all’Europa sarebbe filato più liscio se fosse stata scortata da un uomo. Senza contare che potevano esserci luoghi nei quali una signorina non sarebbe potuta entrare mai e poi mai. Entrambe queste affermazioni erano vere, e Megan lo sapeva, pur detestando di doverlo ammettere. Inoltre, si era trovata senza argomentazioni di fronte al punto più importante di tutti: il diritto indiscutibile del padre di essere fatto partecipe delle indagini volte ad assicurare alla giustizia l’assassino del figlio.
Deirdre, a dispetto della sua natura solitamente arrendevole e della generale aria di fragilità che faceva in modo che tutti si sentissero in dovere di prendersi cura di lei, si era dimostrata altrettanto caparbia. Le aveva rammentato di avere i suoi stessi diritti di veder consegnato l’omicida di Dennis alla giustizia, senza contare che era stata lei ad avere la visione del fratello.
«Inoltre» aveva concluso, «se non verrò con voi chi cucinerà e farà le pulizie per te e il babbo?»
Quella era stata un’argomentazione inattaccabile. Megan, infatti, non aveva mai amato occuparsi delle faccende domestiche ed era stata più che soddisfatta dell’andamento della casa che negli ultimi anni era stato affidato a Deirdre, situazione che le aveva permesso di recarsi a lavorare tutti i giorni come il padre mentre la sorella si dedicava alla famiglia.
Si era aspettata che la sorella maggiore, Mary Margaret, si dimostrasse d’accordo sul fatto che Deirdre e Frank non la accompagnassero. Era stata infatti lei a crescere i ragazzi Mulcahey con il padre sin dall’età di dodici anni e aveva sempre dimostrato di essere la più responsabile di tutti, quella con la testa sulle spalle. Adesso, sposata a un facoltoso avvocato e con tre figli, Mary Margaret era il modello di matrona conservatrice.
Con enorme stupore di Megan, Mary Margaret era stata concorde sul fatto che Deirdre e il padre la accompagnassero o, come aveva detto più precisamente, la tenessero fuori dai guai, e si era persino offerta di contribuire a pagare una parte del viaggio.
Alla fine, Megan si era imbarcata sulla Southampton, un battello a vapore, con il padre e Deirdre, e i tre erano arrivati a Londra solo qualche giorno prima. Quarantotto ore dopo avevano trovato una casa e vi si erano sistemati. C’era voluta un’altra giornata prima che Megan riuscisse a ottenere l’indirizzo di Theo Moreland, faccenda che avrebbe richiesto meno tempo se
