About this ebook
Candace Camp
Candace Camp, texana, laureata in giurisprudenza, ha pubblicato oltre quaranta romanzi sia storici che contemporanei. Trame avvincenti, intrighi di famiglia e protagoniste coraggiose e indipendenti sono gli ingredienti base del suo successo.
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Miseria e nobiltà (eLit) - Candace Camp
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Indiscreet
Mira Books
© 1997 Candace Camp
Traduzione di Velia De Magistris
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
© 1998 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3050-288-8
Frontespizio. «Miseria e nobilta'» di Camp Candace1
Inghilterra, Dorset,
1812
Si era persa.
Camilla lo sospettava già da tempo e ora, mentre scostava le tendine dal finestrino e guardava fuori, ne fu sicura. La sua carrozza era avvolta dalla nebbia. Non aveva idea di dove fossero, se a poca distanza dalla casa di suo nonno, oppure sulla cima di una collina al di là del bosco di Edgecombe.
«Cosa devo fare, signorina?» chiese il cocchiere dall’alto del suo sedile.
«Fermiamoci per un istante» decise Camilla. «Lasciatemi pensare.» Con un sospiro, rimise la tendina al suo posto, e si appoggiò allo schienale imbottito del divanetto.
Era solo colpa sua, purtroppo. Se non fosse stata così immersa nei suoi pensieri, così assorta nei suoi problemi, avrebbe visto salire la nebbia, oppure avrebbe notato che il cocchiere della carrozza presa a noto, che non conosceva la zona, aveva imboccato il sentiero sbagliato. Invece aveva pensato solo a come uscire dalla difficile situazione in cui si era messa con le sue stesse mani, alla trappola che aveva costruito con le sue bugie, al fatto che anche zia Beryl ne fosse informata, e non aveva posto nessuna attenzione alla strada.
Ora avrebbe dovuto pagare per la sua leggerezza.
Camilla aprì lo sportello della piccola carrozza e si sporse all’esterno. La nebbia le impediva persino di distinguere con chiarezza le teste dei cavalli. Guardò in basso. La strada, quella sì che la vedeva bene, non era più di un sentiero di campagna, molto diverso dal largo viale alberato che conduceva a Chevington Park.
Si strinse nel suo mantello e saltò con leggerezza per terra. «Ma, signorina, cosa state facendo?» chiese il cocchiere, girandosi verso di lei. «Non ho neanche aperto la scaletta.»
Camilla gli fece un cenno con la mano. «Va bene così. Sono già scesa, vedete. Voglio solo dare un’occhiata in giro.»
L’uomo sembrava preoccupato. «Ora non vi allontanate, signorina. Non potete vedere la vostra stessa mano con questo tempo.» E poi aggiunse: «Posto selvaggio, il Dorset».
«Per caso avete una lanterna? Potrebbe essere utile.»
«Certo, signorina.» L’uomo si chinò, le porse la lanterna, un’espressione dubbiosa che aleggiava ancora sul suo viso.
Camilla lo ignorò e si avviò verso i cavalli, la lanterna ben alta per fare luce ai suoi passi. La luce non riusciva a penetrare la fitta nebbia, ma almeno illuminava il terreno permettendole di scorgere il sentiero.
Vedendola arrivare, il cavallo sulla destra roteò gli occhi apprensivamente, ma lei mormorò qualche parola di conforto e gli carezzò il collo, e l’animale si calmò immediatamente.
«Quello che devo fare» disse al cocchiere, «è camminare al fianco dei cavalli in modo da poterli guidare, così saremo sicuri di non uscire di strada o di non finire in qualche buca. Posso vedere davanti a me abbastanza chiaramente.»
L’uomo sembrava inorridito, come se lei gli avesse appena annunciato di essere sul punto di togliersi i vestiti.
«Suvvia, signorina! Non potete fare una cosa del genere!»
«Perché no? Mi sembra la soluzione migliore.»
«Ma non è quella più consona a voi. Guiderò io i cavalli» decise l’uomo, e si accinse a scendere dal suo sedile.
La voce di Camilla lo fermò. «È un nonsenso! E chi fermerebbe la pariglia se dovesse imbizzarrirsi? Io non sono capace di usare le redini, mentre sono capace di camminare e di guardare dove metto i piedi. E poi, ho vissuto da queste parti per tutta la vita.»
«Ma, signorina, non mi sembra...»
«Oh lasciamo perdere le buone maniere! Le buone maniere non ci porteranno fuori da questo pasticcio, giusto?»
Detto questo, Camilla voltò le spalle al cocchiere e si avvicinò a uno dei cavalli, prese una briglia e iniziò a camminare. I cavalli la seguirono docilmente.
Poiché aveva piovuto per tutta la serata, il sentiero era invaso dal fango, e Camilla cercò di camminare sull’erba che cresceva ai margini della strada sterrata per non sporcarsi le scarpe. La nebbia si stava diradando un poco, ma in compenso aveva ripreso a piovere.
E ben presto la pioggia si trasformò in un vero diluvio. Camilla camminava con difficoltà nel fango che ormai le arrivava alle caviglie, e il leggero mantello che indossava non poteva proteggerla dalle grosse e gelide gocce.
Pensò di prendere l’ombrello che aveva lasciato nella carrozza, ma non avrebbe potuto reggerlo e nello stesso tempo illuminare la strada con la lanterna e guidare il cavallo. L’altra possibilità era aspettare che finisse di piovere, ma la prospettiva di rimanere bloccata in quella campagna era ben poco allettante. Così continuò imperterrita la sua marcia, mentre fortunatamente la nebbia diveniva sempre più rada.
E poi, con la coda dell’occhio, notò un movimento alla sua destra e sobbalzò, lasciandosi sfuggire un grido di sorpresa.
Alzò la lanterna e scrutò la notte. C’era un uomo accanto a un piccolo albero, quasi completamente nascosto dai rami.
«Signore!» esclamò Camilla, lasciando andare il cavallo e correndo verso lo sconosciuto. «Signore, potrebbe aiutarmi? Penso di essermi persa, e...»
L’uomo si girò verso di lei, la fronte aggrottata, il viso pallidissimo. Stringeva in mano una pistola dalla lunga canna. «Silenzio! Vuole farci uccidere tutti?»
E nello stesso istante la lanterna esplose fra le mani di Camilla. I cavalli nitrirono e si agitarono in preda al terrore, e la lanterna, strappata dalla sua presa, cadde al suolo con un tonfo e si spense.
Camilla urlò di nuovo, e si girò per correre verso la carrozza.
Non aveva mosso che qualche passo quando l’uomo si lanciò su di lei con tutto il suo peso. Caddero insieme, lo straniero disteso su di lei, il suo corpo che la schiacciava contro il terreno.
Senza perdersi d’animo, Camilla reagì immediatamente, urlando e divincolandosi, le mani tese per graffiare il viso del suo aggressore.
«Smettetela, dannazione! Stanno sparando proprio contro di noi, non vedete? Restate ferma se non volete essere uccisa.»
Fu allora che Camilla capì cosa aveva colpito la lanterna. Un colpo di pistola. Altri spari risuonarono nell’aria. Accanto a loro i cavalli scalpitavano e agitavano la testa mentre il cocchiere, imprecando fra i denti, faceva del suo meglio per tenerli a bada.
Lo straniero alzò la testa e guardò oltre i due animali. Camilla lo osservò, notando gli zigomi alti e le sopracciglia scure e folte. Aveva un aspetto pericoloso, e d’istinto comprese che era lui il bersaglio di quei proiettili.
«Dannazione» imprecò l’uomo, «credo che stiano quasi per raggiungerci.»
«Cosa?» La voce di Camilla era acuta e stridula. «Cosa sta succedendo?»
L’uomo scosse la testa e, senza prendersi il disturbo di rispondere, si alzò in piedi e l’aiutò a fare altrettanto afferrandola con mani di acciaio.
«Correte!» ordinò trascinandola con sé.
«Lasciatemi andare!» intimò Camilla tentando di liberare il polso dalla sua presa.
Ci furono ancora due spari alle loro spalle, e Camilla sentì i proiettili sibilare accanto alla sua testa. Il suo compagno aprì lo sportello della carrozza e la spinse dentro. Camilla represse un gemito mentre colpiva il duro pavimento. In quel mentre, la carrozza prese a correre, trascinata via dai cavalli imbizzarriti che evidentemente il cocchiere non aveva più potuto trattenere.
Lo straniero era aggrappato allo sportello. Camilla pensò che avesse intenzione di lanciarsi all’interno, poi vide che invece stava usando lo sportello come sostegno per arrampicarsi sul tetto. «Fate attenzione!» urlò al cocchiere, e poi sentì il grido di sorpresa di quest’ultimo, i rumori inconfondibili della lotta e il tonfo sordo di un corpo, indubbiamente quello del povero conducente, che si accasciava sul sedile.
La carrozza guadagnò velocità in fretta, i cavalli ormai senza controllo, e avanzò cigolando e sobbalzando lungo lo stretto sentiero di campagna. Camilla strinse le mani sulla spalliera del divanetto per timore di essere sbalzata fuori dal piccolo abitacolo.
Sentì altri spari e scorse le ombre scure di uomini a cavallo. D’improvviso, un uomo grande e grosso apparve dal nulla e tentò di montare a sua volta sulla carrozza. Camilla urlò e si ritrasse e per caso la sua mano sfiorò l’ombrello che giaceva sul pavimento.
Lo prese e con quello colpì l’uomo con tutte le sue forze alla testa e allo stomaco. Il suo assalitore si lasciò sfuggire un grido di dolore prima di essere sbalzato via dalla carrozza.
Ansimante, Camilla si sedette sul divanetto, l’ombrello ben stretto in mano, pronta a usarlo contro gli altri inseguitori che in quel momento cavalcavano ventre a terra accanto alla carrozza. Lo sportello continuava a sbattere, e lei era certa che prima o poi il veicolo si sarebbe capovolto. Pioveva ancora, e grosse gocce di pioggia entravano nella vettura aperta.
Solo dopo un po’ si rese conto che stavano rallentando e che il traballio della vettura era diminuito al punto da permetterle di alzarsi e richiudere lo sportello. Guardò la pozza d’acqua che si era formata sul pavimento, ma c’era ben poco che potesse fare al riguardo. Poteva però togliersi il mantello fradicio di pioggia e, nel farlo, si rese conto che, quando lo straniero l’aveva spinta per terra, il suo vestito si era completamente imbrattato di fango.
Lo straniero. Camilla socchiuse gli occhi pensando all’uomo. Chi poteva essere, e cosa ci faceva sulle coste selvagge del Dorset? Sicuramente nulla di buono, di questo era certa.
Quegli uomini avevano sparato contro di lui e, ora che ci pensava meglio, aveva visto lo sconosciuto nascosto dietro un albero, probabilmente in attesa di qualcuno. Nessun dubbio quindi che l’avesse guardata con feroce rabbia quando lei gli era corsa incontro. Aveva praticamente segnalato la sua presenza agli altri uomini, dando loro la possibilità di reagire. Forse era un bandito, oppure una semplice canaglia che tentava di sfuggire ai suoi nemici.
Naturalmente, considerando il luogo in cui si trovavano, poteva essersi trattato semplicemente di gentiluomini, così venivano definiti coloro che svolgevano la lucrosa attività di contrabbandieri.
Tutti ne erano a conoscenza e, per dire il vero, anche molti cittadini altolocati, come giudici e magistrati, chiudevano un occhio su quel traffico illegale. In realtà, il mattino presto dopo una notte di luna, la maggior parte di loro trovava una regolare fornitura di cognac francese ad aspettarli accanto alle porte sul retro delle loro case. E c’era anche chi riteneva che i gentiluomini avessero ogni diritto di andare contro la legge, al punto che gli abitanti delle zone costiere si risentivano dell’intrusione del governo in quelli che consideravano i loro affari. Il contrabbando era più che mai fiorente in quel periodo, dal momento che le merci francesi non potevano più arrivare in Inghilterra a causa della guerra.
Camilla pensò ancora all’uomo, al suo viso scuro dagli zigomi pronunciati e dalle labbra piene, al suo sguardo penetrante, ai vestiti rozzi che indossava. Sì, decisamente poteva essere un contrabbandiere, oppure un bandito in attesa di assalire un viaggiatore, o ancora un furfante in cerca di vendetta. Ma di chiunque si trattasse, era certa di essere in pericolo.
Lo aveva visto quando lui non voleva essere visto, ed era stata anche la causa inconsapevole della sparatoria e dell’inseguimento. La corsa selvaggia della carrozza poteva essere niente se paragonata a quello che l’attendeva una volta che il veicolo si fosse fermato del tutto.
Era quanto stava accadendo proprio in quel momento. Camilla percepì il rallentamento dell’andatura: solo pochi istanti, lo sapeva, la separavano da un arresto completo, poi l’uomo avrebbe aperto lo sportello, l’avrebbe costretta a scendere e... Be’, non sapeva cosa le avrebbe fatto, ma non aveva alcun problema a immaginarlo nell’atto di picchiarla o persino di strangolarla, senza escludere la possibilità che le accadesse quello che, secondo le donne anziane, poteva succedere alle ragazze sventate che si allontanavano da casa senza essere accompagnate.
Camilla strinse il manico dell’ombrello fra le mani. Le era servito come arma poco prima, e poteva usarlo ancora. Forse, se fosse riuscita a cogliere lo sconosciuto di sorpresa, avrebbe potuto guadagnare un vantaggio utile almeno a fuggire.
La carrozza si fermò, e lei si raggomitolò accanto alla porta, il sangue che le pulsava furiosamente alle tempie, i nervi spasmodicamente tesi. Lo sentì saltare giù dal sedile, e udì i suoi passi risuonare sul terreno. Lo sportello si spalancò.
«State...?»
Con un grido, Camilla balzò giù dall’abitacolo, brandendo l’ombrello con entrambe le mani, e colpì con sua grande soddisfazione il viso dell’uomo. L’ombrello si spezzò in due, e l’uomo arretrò con un gemito, la mano sulla guancia.
Fu allora che Camilla iniziò a urlare con tutto il fiato che aveva in gola. Probabilmente nessuno avrebbe potuto sentirla, ma doveva provare, così come doveva cercare di scappare. Si alzò la gonna e corse sul sentiero sterrato, avvertendo a stento la pioggia che le inzuppava i vestiti o il fango che aggrediva le sue scarpe.
L’uomo si lanciò immediatamente al suo inseguimento. E per quanto Camilla corresse con tanta foga da temere che il cuore le scoppiasse, la raggiunse subito. Una forte mano le afferrò la spalla costringendola a fermarsi.
«Dannazione, donna!» esclamò lo sconosciuto. «Ma cosa vi succede? Volete attirare l’attenzione dell’intera contea?»
Camilla smise effettivamente di urlare, ma solo perché non aveva più fiato. Respirò profondamente e si girò di scatto, con i pugni tesi.
Lo colpì sul petto, e sentì una fitta di dolore risalirle lungo il braccio. L’uomo imprecò e le afferrò i polsi, ma Camilla indomita continuò a lottare con tutte le forze che le erano rimaste.
«Diavolo di donna, ma volete fermarvi? Siete per caso impazzita?»
Erano entrambi bagnati fradici, ma sembravano non notarlo mentre continuavano a lottare nell’oscurità. Lo sconosciuto era di gran lunga più alto e più grosso di Camilla, e non c’era dubbio su come si sarebbe conclusa quella colluttazione, ma lei stava lottando per la sua vita, e lottava selvaggiamente. L’uomo l’afferrò per la vita come se volesse sollevarla da terra, ma Camilla riuscì a girarsi e a graffiargli il viso.
L’uomo perse l’equilibrio e rotolarono a terra, la caduta attutita dal fango che aveva invaso il sentiero.
Camilla colse al volo l’opportunità di fuga, ma prima di poter riuscire a rimettersi in piedi, il braccio dell’uomo la fermò, facendola finire con il viso nel fango. Ne riemerse ancora pronta a dar battaglia, e l’uomo cercò di immobilizzarle le braccia lungo il corpo, ma lei era scivolosa per il fango e per la pioggia e sfuggì come un’anguilla dalle sue mani.
Continuarono a lottare finché, casualmente, una mano dell’uomo le sfiorò un seno, e lei trattenne il respiro, colta di sorpresa da quel tocco così intimo. Il che l’allarmò e la spaventò quasi quanto lo strano e improvviso calore che le serpeggiò lungo il corpo, effetto di quel contatto improvviso e inaspettato.
Anche lui sembrò sorpreso e si immobilizzò per un istante. Ancora Camilla cercò di alzarsi, ma svelta la mano dell’uomo si richiuse sul suo braccio. La stoffa del vestito che lei indossava si lacerò, e la manica rimase fra le dita del suo assalitore.
Di nuovo Camilla scappò e di nuovo l’uomo la riprese. Caddero nel fango, l’uomo le afferrò i polsi, portandoli al di sopra della sua testa, e si sedette su di lei, immobilizzandola con il proprio corpo.
Lei lo guardò, il torace che si alzava e abbassava in rapidi movimenti. Era bagnato fradicio e sporco di fango, la camicia era aperta dal momento che i bottoni erano stati strappati via durante la lotta. La sua pelle era esposta, umida e dorata. Aveva un taglio profondo sulla guancia, laddove lo aveva colpito con l’ombrello, e gli occhi scintillavano minacciosi.
La gola di Camilla si seccò all’improvviso. Lo sconosciuto aveva un aspetto molto virile e sembrava furioso, molto furioso. E lei era cosciente della natura allusiva della loro posizione, ed era soprattutto cosciente di provare un’insolita sensazione, una strana mistura di eccitazione, ira e altre emozioni che non avrebbe saputo come definire.
«Lasciatemi andare!»
«Non prima di avere ottenuto delle risposte» replicò lui. «Chi diavolo siete, e cosa ci fate da queste parti?»
«Che ci faccio qui?» ripeté lei, offesa. «Io ho il diritto di attraversare questa zona, e voi invece siete ovviamente in difetto. Lasciatemi subito, o vi ritroverete ad affrontare più problemi di quanti ne abbiate già!»
«Non mi sembra che siate nella posizione di impartire ordini» le ricordò lui, un sorriso divertito che gli incurvava gli angoli della bocca.
Aveva delle labbra piene e sensuali, e sicuramente il suo sorriso era accattivante, ma il suo viso aveva un’espressione dura e ironica che ne attenuava ogni possibile fascino.
Quell’ironia fece andare Camilla su tutte le furie. Con un ultimo sforzo, tentò di liberarsi dal suo corpo. L’uomo era troppo pesante perché lei riuscisse a smuoverlo, e l’unico risultato che ottenne fu che lo scintillio nei suoi occhi divenne ancor più sinistro e minaccioso.
«Mi sembra ovvio che voi siate un villano» disse nel tentativo di nascondere la sua paura. «Mi auguro che non vogliate anche comportarvi da scellerato.»
«Ben detto, signora.» Le sopracciglia dell’uomo si aggrottarono conferendo al suo viso un aspetto quasi demoniaco. «Ma voglio ricordarvi che senza testimoni non si può accusare nessuno. E inoltre direi che nessun crimine è stato commesso questa notte. Mi sembra che non sia un’offesa salvare una signora dall’aggressione di una banda di malviventi.»
«Voi lo sapete come lo so io che quegli uomini non erano affatto interessati a me. Era contro di voi che stavano sparando.»
«Forse, ma non sarebbe successo se voi non foste comparsa sulla scena, agitando quella lanterna ai quattro venti.»
«Bene, e come potevo sapere che stavate tendendo un agguato? Quello che volevo io era un aiuto, ma ovviamente ero inconsapevole di quale tipo di persona voi foste. Non sapevo di avere a che fare con un ladro.»
«Io non sono un ladro.»
«Ah!» Camilla gli scoccò un’occhiata incredula. «E cosa facevate nascosto nella nebbia, allora?»
«Questi non sono affari vostri, e se non fosse stato per voi, ora non saremmo in questo pasticcio.»
«Dovevo immaginarlo che voi siete proprio il tipo di persona che si sottrae alle proprie responsabilità. Come se fossi stata d’accordo con chi vi stava inseguendo!»
«Avete una lingua tagliente, questo è certo!» Di scatto l’uomo si rimise in piedi trascinandola con sé. «Ma non ho proprio tempo da perdere con queste sciocchezze. Quegli uomini potrebbero arrivare da un momento all’altro.»
Le prese un braccio e si avviò deciso verso la carrozza. Camilla piantò i piedi per terra. «Aspettate! Io non vengo da nessuna parte con voi!».
«E io non credo che sia una buona idea restare di notte in aperta campagna con un gruppo di uomini armati nei paraggi.»
«Io non ho detto che sarei rimasta qui! Ho detto che voi non salirete sulla mia carrozza!»
L’uomo la guardò per un lungo istante, poi di colpo le lasciò il braccio. «È vero. Avete ragione. Si tratta della vostra carrozza, e io non posso reclamare alcun diritto. Me ne vado, dunque. Addio, signora.»
Si girò e andò via, lasciando Camilla a guardarlo a bocca aperta. D’un tratto si ricordò del cocchiere, che sapeva in stato d’incoscienza e che poteva anche essere morto nel frattempo. E mentre lei era perfettamente in grado di condurre un calesse, non avrebbe potuto fare lo stesso con una carrozza. Senza considerare i pericolosi uomini armati che potevano essere ancora in agguato nella notte.
«Aspettate!» urlò, e poiché lo straniero non accennava a fermarsi gli corse dietro. «Aspettate! Per favore!»
L’uomo si fermò e si girò a guardarla, sul viso un’espressione inquisitoria. «Sì?»
«Non andate via. Io non saprei guidare la carrozza fino a Edgecombe.»
«Capisco. Sembrerebbe dunque che abbiate un problema con la vostra carrozza, giusto? Buona notte!»
«Oh, ora state esagerando. Sto dicendo che potete venire con me fino a Edgecombe.»
«E cioè che mi concedete l’onore di lavorare per voi?» chiese sarcastico. «Ma come siete gentile... Temo però di dover declinare l’invito. Per me sarà molto meglio camminare. Nella nebbia un uomo si nota molto meno di una grande carrozza.»
«I cavalli sono più veloci.»
L’uomo si strinse nelle spalle e riprese il cammino.
«Fermatevi! Non potete andare via così! Nessun gentiluomo abbandonerebbe una signora in una situazione del genere.»
«Bene, come senza dubbio avrete compreso, io non sono un gentiluomo. E, francamente, non ho ancora riconosciuto in voi nessuna qualità degna di una signora.»
«Va bene.» Camilla lo guardò dritto in volto. «Avete soddisfatto il vostro bisogno di insultarmi, quindi ora possiamo andare. Lo so che sarebbe assurdo camminare quando c’è una carrozza a vostra disposizione. Dal momento che il disprezzo è reciproco, almeno possiamo scambiarci un favore. La vostra abilità nel condurre i cavalli in cambio di un passaggio.»
L’uomo non disse nulla, si limitò a ritornare sui suoi passi e a prendere posto sul sedile del conducente. Con un balzo Camilla montò in carrozza, e il viaggio riprese fra scossoni e sobbalzi.
Quello che la metteva più a disagio, però, era lo stato dei suoi vestiti e dei capelli. Quella mattina aveva indossato un grazioso abito di mussolina e un paio di stivaletti verdi, e i capelli color rame le erano stati acconciati a mo’ di corona intorno alla testa. Ora le sue scarpe erano irriconoscibili, bagnate e incrostate di fango. Stessa sorte avevano seguito i vestiti e i capelli le ricadevano in una massa informe sulle spalle.
Come avrebbe potuto spiegare il suo aspetto una volta arrivata a Chevington Park? Lacrime brucianti le riempirono gli occhi. Come se non avesse già abbastanza problemi, con il nonno e con tutte le bugie che gli aveva raccontato...
Si asciugò le lacrime con il dorso della mano. Strinse i denti mentre i suoi pensieri volavano a quell’uomo odioso che l’aveva virtualmente rapita.
Era rozzo, nessun uomo di buone maniere l’avrebbe afferrata e gettata al suolo come aveva fatto lui. Ricordò come lo sguardo di lui aveva indugiato sui suoi seni, evidenziati dalla leggera stoffa del corpetto.
Arrossì, anche se era sola nella carrozza, ripensando a come i loro corpi erano stati intimamente vicini.
Si mosse a disagio sul sedile, sollevando la gonna bagnata. Il suo malessere aumentava con il passare dei minuti. I vestiti le si erano incollati alla pelle, la stoffa bagnata era fredda e lei tremava in modo convulso. Si avvolse nel mantello, con il solo risultato di coprirsi ulteriormente di fango. Eppure doveva fare qualcosa per ovviare alla situazione... In quel mentre si rese conto che la carrozza stava avanzando su una strada acciottolata. Spinse da parte la tendina e, affacciatasi al finestrino, vide che erano ormai giunti alle porte del villaggio.
Dalle labbra di Camilla sfuggì un sospiro di sollievo quando, dopo pochi istanti, entrarono nel cortile della locanda chiamata Blue Boar. Sollevata, aprì lo sportello della carrozza prima che questa si fermasse completamente, e saltò giù.
«Ragazzo, bada ai cavalli» urlò al garzone che stava attraversando il cortile per raggiungere la vettura. «E controlla anche il cocchiere. Potrebbe aver bisogno di un medico.»
Camilla non notò lo sguardo incredulo che le rivolse il ragazzo mentre stava già affrettandosi verso la porta principale della locanda, animata dal desiderio di mettersi al sicuro prima che lo straniero potesse avvicinarsi a lei.
Appena fece il suo ingresso nella sala comune la conversazione cessò di colpo e tutti si voltarono a guardarla. E anche Camilla si fermò, sorpresa di essere al centro dell’attenzione di tante paia di occhi. Poi ricordò. Nell’euforia di essere infine giunta alla Blue Boar, aveva dimenticato il suo aspetto. Abbassò la testa per guardare la gonna fradicia dell’abito, la manica stracciata, e arrossì fino alla radice dei capelli.
«Saltings! Come sono felice di vedervi!» esclamò poi, quando vide il proprietario dell’osteria, un uomo grasso e buffo, andarle incontro.
Camilla fece per muovere un passo verso di lui, ma fu fermata dalla voce brusca dell’uomo. «Ora, signorina, cosa pensate di fare? Entrare nel mio locale conciata in quel modo! Questa è un’osteria decente, e...»
«Saltings! Ma non mi riconoscete?» Lacrime di umiliazione invasero gli occhi di Camilla. Era quella la goccia che poteva far traboccare il vaso... Saltings, che la conosceva da tutta la vita, l’aveva scambiata per una comune vagabonda.
L’uomo la guardò più attentamente. «Vi conosco?»
«Certamente! Sono Camilla Ferrand!» A quel punto non riuscì più a trattenere le lacrime che, libere di rigarle le gote, tracciarono una scia visibile sul fango che le copriva il viso.
«Signorina Ferrand! Oh, Dio del cielo, ma cosa vi è capitato? Perché siete conciata in questa maniera?»
Le si avvicinò e fece per condurla, con gentilezza verso la stanza privata dell’osteria.
«Oh, no» disse poi, fermandosi. «C’è un signore lì dentro.» Guardò ancora Camilla, il suo viso stravolto e in lacrime, e tutti gli avventori che la osservavano avidamente. «Bene» decise, «sicuramente non potete restare qui fuori.» Spinse la porta della piccola stanza. «Chiedo scusa, signore» cominciò cautamente, lasciando entrare Camilla. «Ma abbiamo un piccolo problema. C’è una gentildonna qui, e non sarebbe corretto lasciarla fuori nella sala comune.»
Camilla guardò la stanza. Il gentiluomo seduto accanto al fuoco, perché era ovvio che si trattava di un gentiluomo così come lo straniero era
