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Senza Tregua: STORIA DEI COMITATI COMUNISTI PER IL POTERE OPERAIO (1975-1976)
Senza Tregua: STORIA DEI COMITATI COMUNISTI PER IL POTERE OPERAIO (1975-1976)
Senza Tregua: STORIA DEI COMITATI COMUNISTI PER IL POTERE OPERAIO (1975-1976)
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Senza Tregua: STORIA DEI COMITATI COMUNISTI PER IL POTERE OPERAIO (1975-1976)

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In Italia l'interesse storiografico per i movimenti antagonisti che hanno permeato la società negli anni Settanta è schiacciato tra il revival sessantottesco, il rapimento Moro e le successive ipotesi dietriste. Tutto il resto di quella storia scompare, sommerso da ricostruzioni approssimative o molto personali.
Questo libro prende in esame una delle numerose esperienze organizzate che si resero protagoniste di quella lunga stagione di lotte: i Comitati comunisti per il potere operaio.
È una storia breve (si svolge dal 1975 al 1976) ma assolutamente esemplare per i contenuti e la pratica politica che ha espresso.
La sua conoscenza è da ritenersi fondamentale per chi è interessato a quel periodo della storia italiana: per le origini del gruppo, per i temi politici e organizzativi che ha introdotto nel movimento rivoluzionario del periodo, per gli sviluppi successivi allo scioglimento del gruppo.
Il libro utilizza abbondanza di generi di fonti, ma la ricostruzione è basata per lo più sull'esame di documenti come riviste, volantini e manifesti i cui autori sono gli stessi protagonisti della vicenda.
Questa storia di "Senza tregua" non si limita al solo periodo in cui questo gruppo nasce e muore, ma retrocede nel tempo, andando all'origine delle componenti che gli hanno dato vita, che sono fondalmente due: quella che proviene da "Lotta continua" e quella che deriva da "Potere operaio".
Gli anni Settanta sono stati frettolosamente archiviati, se non addirittura rimossi, ma nonostante sembrino già lontanissimi sono invece ancora relativamente recenti. Questo nuovo contributo di Emilio Mentasti li affronta abbattendo tanti luoghi comuni, e senza fare sconti a nessuno fa parlare i documenti, i quali per loro natura non si prestano facilmente ad essere manipolati anche se danno adito a diverse interpretazioni delle elaborazioni politiche di chi li ha prodotti.
LanguageItaliano
Release dateNov 4, 2021
ISBN9791220863766
Senza Tregua: STORIA DEI COMITATI COMUNISTI PER IL POTERE OPERAIO (1975-1976)

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    Book preview

    Senza Tregua - Emilio Mentasti

    INDICE

    INTRODUZIONE

    CAPITOLO I LOTTA CONTINUA

    L’ANOMALIA ITALIANA

    IL MOVIMENTO E LA VIOLENZA ANTIMPERIALISTA

    Valle Giulia

    L’INTERVENTO POLITICO A MIRAFIORI

    NASCE LOTTA CONTINUA

    LA CONTROFFENSIVA REAZIONARIA E LA VIOLENZA RIVOLUZIONARIA

    DA PRENDIAMOCI LA CITTÀ ALLO SCONTRO GENERALE

    LA MORTE DI LUIGI CALABRESI

    CILE E COMPROMESSO STORICO

    LA CRISI ECONOMICA

    IL DIBATTITO IN LOTTA CONTINUA A MILANO

    LA PRIMA FUORIUSCITA DALLA SEZIONE DI SESTO SAN GIOVANNI

    CAPITOLO II POTERE OPERAIO

    DA LA CLASSE A POTERE OPERAIO

    LA III CONFERENZA D’ORGANIZZAZIONE

    LAVORO ILLEGALE E FARO

    LA CRISI DI POTERE OPERAIO E IL CONGRESSO DI ROSOLINA

    GLI ULTIMI MESI DI POTERE OPERAIO

    CAPITOLO III SENZA TREGUA

    L’AUTONOMIA OPERAIA

    DA POTERE OPERAIO A LINEA DI CONDOTTA

    CRISI E RISTRUTTURAZIONE ECONOMICA

    IL MALE ITALIANO

    CORRENTE E FRAZIONE

    I PRIMI TENTATIVI ORGANIZZATIVI

    SENZA TREGUA

    I COMITATI OPERAI

    LE GIORNATE DI APRILE

    NO ALL’UNITÀ OPERAIA

    IL FERIMENTO FOSSAT

    GUERRA DI CLASSE PER IL COMUNISMO

    L’INTERVENTO NELLE SITUAZIONI LOCALI

    a) Roma

    b) Firenze

    c) Bergamo

    d) Napoli

    IL FERIMENTO DE MARCO

    NO AL DECRETONE ANTIOPERAIO

    L’OMICIDIO PEDENOVI

    I COMITATI COMUNISTI ATORINO

    LE ELEZIONI DEL 20 GIUGNO

    SEVESO

    NASCE IL COORDINAMENTO OPERAIO MILANESE

    REALISMO DELLA POLITICA RIVOLUZIONARIA

    IL GOLPE DEI SERGENTI

    IINDICE DEI NOMI

    INDICE DEI LUOGHI

    Notes

    EMILIO MENTASTI

    SENZA TREGUA

    Storia dei Comitati Comunisti per il potere operaio

    A Isabella, il mio amore

    SIGLE

    Acli – Associazioni cristiane lavoratori italiani.

    Ansa – Agenzia nazionale stampa associata.

    Ao – Avanguardia operaia.

    AutOp – Autonomia operaia.

    Br – Brigate rosse.

    Cc(m-l)ul – Comitato comunista marxista leninista di unità e di lotta.

    Ccpo – Comitati comunisti per il potere operaio.

    CdF – Consiglio di fabbrica.

    Cgil – Confederazione generale italiana del lavoro.

    Cgt – Confederation generale du travail.

    Cia – Central intelligence agency.

    Cisl – Confederazione italiana sindacati lavoratori.

    Cl – Comunione e liberazione.

    CoCoCen – Comitato comunista Centocelle.

    Cpa – Collettivi politici autonomi.

    Cpo – Collettivi politici operai.

    Dc – Democrazia cristiana.

    Dp – Democrazia proletaria.

    Eta – Euskadi ta askatasuna.

    Faro – Fronte armato rivoluzionario operaio.

    Flm – Federazione lavoratori metalmeccanici.

    Gap – Gruppi d’azione partigiana.

    Gip – Gruppi d’impegno politico.

    Gs – Gioventù studentesca.

    Iacp – Istituto autonomo case popolari.

    Ira – Irish republican army.

    Lc – Lotta continua.

    Mir – Movimiento izquierda rivolucionaria.

    Mls – Movimento lavoratori per il socialismo.

    Mo – Movimento operaio.

    Mpl – Movimento politico dei lavoratori.

    Ms – Movimento studentesco.

    Msi – Movimento sociale italiano.

    Msi-Dn – Movimento sociale italiano-Destra nazionale.

    N.d.A – Nota dell’autore.

    Nrp – Nouvelle Résistance Populaire.

    O. – Organizzazione.

    Pci – Partito comunista italiano.

    Pc(m-l)i – Partito comunista marxista leninista italiano.

    Pdup – Partito di unità proletaria.

    Pid – Proletari in divisa.

    Pl – Prima linea.

    Pli – Partito liberale italiano.

    Po – Potere operaio.

    PotOp – Potere operaio.

    Pri – Partito repubblicano italiano.

    Psdi – Partito socialdemocratico italiano.

    Psi – Partito socialista italiano.

    Psiup – Partito socialista italiano di unità proletaria.

    Raf – Rote armee fraktion.

    SdO – servizio d’ordine.

    St – Senza tregua.

    Uil – Unione italiana del lavoro.

    INTRODUZIONE

    Gli anni Settanta sono stati l’ultimo periodo in cui è sembrato possibile costruire in Italia l’alternativa storica alla società capitalistica. Da allora un velo di ambiguità, ignoranza e paura è sceso su tutto ciò che ha investito quel periodo, non a caso chiamato degli anni di piombo, metallo pesante, grigio, plasmabile e perciò ambiguo. L’importanza di scrivere di quegli anni perciò non sta solo nel ragionare sulla bontà delle idee promosse o sul fatto che fosse realmente possibile un cambiamento, ma nel capire che, contrariamente a quanto ci viene proposto, allora esisteva la consapevolezza di una tensione tra ciò che è e ciò che dovrebbe essere, dimensioni tra loro antagonistiche ma non per questo meno reali, anzi è proprio dalla dialettica che si sviluppano le contraddizioni reali. Solo accettando queste due dimensioni si può sostenere la potenzialità come possibilità storica e la sua realizzazione come evento storico: immaginare una società più libera e giusta era visto come alternativa possibile e perciò reale. Sopprimere questa dimensione di potenzialità considerandola irrazionale significa sopprimere la storia e la questione perciò diventa politica. La realtà che ci appare oggi è quella di categorie di pensiero divenute intercambiabili con i loro opposti, tanto da identificarsi spesso con questi, respingendo e dimenticando così la realtà storica. Vengono così negati gli orrori del fascismo, deformata l’idea di socialismo, si dimenticano le condizioni che fondano la democrazia, si perde il contenuto della libertà. Tale appiattimento permette di confondere dittature con democrazie, guerra con pace, alienazione con benessere e progresso. I vecchi concetti storici sono invalidati da nuove definizioni imposte, che servono a trasformare la falsità in verità.

    In un mondo tutto proiettato a terminare la conquista della natura, la razionalità progressista non sa che farsene della ragione storica. La lotta contro la storia è parte di quella contro la mente in cui potrebbero svilupparsi facoltà e forze centrifughe, tali da intralciare l’integrazione totale dell’individuo nella società. Ricordare il passato può dare origine a intuizioni pericolose e la società stabilita sembra temere i contenuti sovversivi della memoria. Ricordare è un modo di dissociarsi dai fatti come sono, un modo di mediazione che spezza per brevi momenti il potere onnipresente dei fatti dati. La memoria richiama il terrore e la speranza dei tempi passati, il ricordo fa in modo che nell’individuo si affermino le paure e le aspirazioni dell’umanità, così che ognuno possa trovare l’universale nel particolare.

    Il problema di un’umanità senza memoria non è perciò legato alla decadenza della società attuale ma è invece connesso al progresso della stessa. Essa si caratterizza per il principio della razionalità e liquida il ricordo, il tempo e la memoria come residui irrazionali. La progressiva razionalità della società industriale avanzata, prevede quindi l’impossibilità della memoria: se siamo in grado di riconoscere il passato come presente, se riusciamo a collegarci con esso, contrastiamo la razionalizzazione del pensiero da parte della realtà stabilita. In questo modo si può combattere la chiusura verso altri discorsi e comportamenti possibili, si possono sviluppare concetti che scuotono la stabilità di una società chiusa in se stessa. Avere una coscienza storica significa dotare il proprio pensiero critico di un metro di giudizio che cerca nella storia dell’uomo i criteri della verità e della falsità, del progresso e della regressione. Mettere in relazione il passato con il presente mette in luce i fattori che hanno prodotto i fatti, che hanno determinato il modo di vita, che hanno deciso chi era il padrone e chi il servo; proietta i limiti del presente e le alternative possibili. Acquisire questa coscienza critica significa sfondare l’universo chiuso del discorso e la sua struttura pietrificata.

    Così scrive Marcuse:

    Il Manifesto comunista fornisce un esempio classico. In esso ciascuno dei due termini chiave, borghesia e proletariato, governa dei predicati contraddittori. La borghesia è il soggetto del progresso tecnico, della liberazione, della conquista della natura, della creazione di ricchezza sociale, e della perversione e distruzione di questi risultati. In modo simile, il proletariato regge gli attributi dell’oppressione totale e della sconfitta totale dell’oppressione (Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione, 1967, Einaudi).

    Questo libro tratta della storia dei Comitati comunisti per il potere operaio, formazione politica che ha operato in Italia tra il 1975 e il 1976. Senza tregua era la rivista dei Comitati, così il gruppo veniva comunemente chiamato con lo stesso nome. La formazione ha avuto un ruolo di grande rilievo nel movimento antagonista di quegli anni e perciò, data l’incisività di quel movimento, nell’intera società italiana fortemente attraversata dalle lotte di quegli anni. Il periodo in cui opera Senza tregua vede l’emergere impetuoso dell’area dell’Autonomia operaia e la crisi dei gruppi extraparlamentari e non a caso i Comitati comunisti si formano da fuoriusciti di Lotta continua e Potere operaio, riprendendone i temi: egualitarismo, rifiuto della delega, autonomia e centralità operaia, ristrutturazione economica per ridisciplinare le fabbriche, no al riformismo, giustizia proletaria e decreti operai, organizzazione come problema del movimento.

    Per coloro che effettuano la scelta di aderire ai Comitati comunisti non esiste una frattura fra le lotte politiche del ‘68 e quanto avviene negli anni successivi. Dal loro punto di vista il periodo deve essere interpretato come una lunga battaglia unitaria; secondo i protagonisti del libro, il ‘68 dimostra chiaramente come la classe dirigente italiana, sia quella dei tradizionali partiti di potere che quella della sinistra storica, sia attraversata da una crisi profonda, e come in Italia esista una forte possibilità di tentare la via rivoluzionaria da parte operaia e studentesca.

    Fatti come l’omicidio Pedenovi a Milano, le prime gambizzazioni di capireparto, la costruzione dell’organizzazione comunista combattente Prima linea, non sono solo azioni violente e illegali, ma rappresentano l’esplicazione di un progetto politico più ampio che si renderà maggiormente visibile negli anni successivi: l’idea che alla lotta legale si debba unire quella illegale così da immaginare la biunivocità della militanza che deve essere politica e militare contemporaneamente; la necessità di innalzare il livello dello scontro arrivando a organizzare il secondo omicidio politico di sinistra in Italia; e ancora, il rifiuto della lotta armata e della clandestinità come momenti strategici della prassi rivoluzionaria per rimanere ostinatamente all’interno del movimento, farne parte.

    Tra le formazioni interne all’area dell’Autonomia operaia, i Comitati comunisti sono tra le poche che rimangono fedeli all’idea della centralità operaia, alla necessità perciò di costruire Comitati nelle fabbriche e nei reparti per arrivare ad avere poli operai in grado di generare l’organizzazione operaia rivoluzionaria, quella che deve decretare le proprie leggi, indipendentemente da quelle borghesi.

    Senza tregua è importante anche per le scelte che faranno i suoi protagonisti dopo la sua fine. Nell’ultima parte del libro si accenna al termine dell’esperienza dei Comitati comunisti che si divideranno in almeno tre momenti organizzativi differenti: Prima linea, Comitati comunisti rivoluzionari e Unità combattenti comuniste. Tutti e tre con processi organizzativi diversi, ma con l’idea che il processo rivoluzionario non può che essere violento, che la quota di violenza da esprimere deve essere immediatamente cospicua, che la scelta della lotta armata è un opzione non rimandabile nel tempo. Non è certo una novità, le Brigate rosse sono vive e vegete, altri gruppi armati come i Gap sono già scomparsi, altri stanno per farlo come i Nuclei armati proletari: la differenza sta nel fatto che i militanti dei Comitati non immaginano la scelta armata come strategica.

    È una storia piuttosto complessa sia per le origini che per gli sviluppi successivi al suo scioglimento. Proprio per rendere più chiare le vicende del gruppo, è stato necessario iniziare la ricerca ricostruendo anche la fase storico politica degli anni immediatamente precedenti, con specifica attenzione ai due gruppi da cui provengono i militanti dei Comitati: Lotta continua e Potere operaio. Ciò è importante perché i Comitati perseguono una linea politica che reputano in assoluta coerenza col proprio passato organizzativo. Questa parte, che compone i primi due capitoli del libro, non è certo una disamina completa dell’esperienza dei due gruppi, ma vi si evidenziano quelle caratteristiche e quelle posizioni che più influenzeranno alcuni loro ex militanti nel costituire la nuova formazione extraparlamentare. La storia di Lotta continua e Potere operaio viene perciò trattata non per una ricostruzione completa ma al fine di rendere più comprensibile il passaggio alla nuova formazione, viene data perciò maggiore enfasi a quei temi e a quelle pratiche che poi accompagneranno l’esperienza dei Comitati comunisti per il potere operaio. La trattazione che si interessa di Lotta continua termina agli inizi del 1975, cioè fino a quando alcuni suoi militanti escono dall’organizzazione per formare il gruppo di Senza tregua.

    Il libro compie una ricostruzione basata quasi esclusivamente su fonti dell’epoca, utilizzando per lo più documenti come articoli, volantini e manifesti i cui autori sono gli stessi protagonisti della vicenda. In alcuni casi sono stati consultati atti processuali, ben sapendo che questi contengono una verità parziale, in quanto chi rende dichiarazioni in condizioni di restrizione non può mai essere libero di esprimersi per intero. Questo vale ancora di più per le dichiarazioni fornite da imputati che ne hanno ricavato qualunque beneficio. Se ne è tenuto comunque conto perché quanto ricostruito è anche una storia illegale che ha avuto grande interesse giudiziario; certe verità infatti sono documentate solo negli atti di qualche processo, e quindi la scelta è stata quella di tenerne conto solo laddove tali documenti risultassero indispensabili a una ricostruzione più completa della vicenda di Senza tregua e dei Comitati comunisti per il potere operaio.

    Un’altra precisazione, questa volta non di metodo ma di contenuto. La partecipazione all’attività dei Comitati comunisti era molto eterogenea e a vari livelli, non sempre in comunicazione tra di loro, pertanto la loro pratica non può assolutamente essere schiacciata sui pochi fatti di sangue commessi, non tutti sapevano, non tutti concordavano, il turn over nell’organizzazione era elevato. Dalla lettura del libro risulterà evidente che l’attività dei Comitati è stata molto variegata, in sintonia con quello che era il movimento

    antagonista di quegli anni.

    CAPITOLO I

    LOTTA CONTINUA

    L’ANOMALIA ITALIANA

    Le agitazioni studentesche e operaie del ‘68 e dell’anno successivo si collocano all’interno di una crisi di comando politica, sociale e culturale che ha origine quando, verso la fine degli anni Sessanta, fallisce l’esperienza dei governi di centrosinistra, messi a dura prova dalla rivolta mondiale del ‘68 e dal prepotente protagonismo operaio italiano nell’anno seguente. In queste condizioni, per la classe dirigente italiana è impossibile scegliere con decisione tra formule di governo orientate a destra e la possibile partecipazione dell’opposizione comunista nella gestione della difficilissima crisi.

    Nel panorama internazionale, l’Italia senza dubbio rappresenta una forte anomalia per la durata della crisi politica innescatasi dopo il ‘68. In tutte le altre nazioni, la spinta rivoluzionaria si spegne di lì a poco, a volte solo dopo pochi mesi dalla sua origine, quando i governi forniscono risposte positive ad alcune delle istanze avanzate. Solo in Italia il sommovimento dà luogo a una crisi destinata a durare quindici anni, senza che i rappresentanti politici istituzionali siano in grado di mettere in atto strategie coerenti con le richieste avanzate dalla società.

    Il programma dei governi di centrosinistra negli anni Sessanta, unico precedente tentativo organico di dotare il paese di una serie di riforme che investano la società nel suo complesso, può quindi dirsi concluso con un fallimento. A fronte della necessità di riformare le strutture amministrative statali, di procedere a una riorganizzazione industriale e a una ristrutturazione tecnologica del proprio apparato produttivo, il centrosinistra decide di lasciare sostanzialmente intatta la rendita nelle aree urbane e di potenziare la spesa pubblica a scopi clientelari, accentuando lo sfruttamento della manodopera a basso costo, soprattutto di origine meridionale. Se a ciò aggiungiamo che dal punto di vista sociale le riforme avanzate non vengono approvate oppure sono applicate in modo da congelarne l’effettiva efficacia, si può capire perché il movimento studentesco, figlio della scolarizzazione di massa, viva una condizione ideale per sviluppare la propria politica di contestazione.

    Alla crisi strategica della coalizione di centrosinistra si sommano altre contraddizioni del sistema politico: il Pci, abbandonato il modello rivoluzionario leninista da almeno 30 anni, è incapace di scegliere la direzione della propria completa trasformazione in senso socialdemocratico; l’Italia possiede una delle costituzioni democratiche più avanzate, che convive con una legislazione di origine fascista di tipo autoritario; la società italiana è caratterizzata da un forte divario economico e culturale tra il Nord industriale e il Sud agricolo; i servizi sociali e le istituzioni pubbliche registrano forti ritardi rispetto alle altre moderne società industriali.

    Il movimento studentesco del ‘67-’68 modifica profondamente la situazione politica in Italia ponendo con urgenza richieste di soluzione di alcuni problemi sociali e istituzionali e introducendo il problema generale della crisi istituzionale, politica e socioculturale del sistema, senza però provocare mutamenti nella struttura del potere, né la conquista del potere reale, né la modifica dei rapporti di forza fra le classi.¹ La nuova soggettività giovanile non subisce più l’autorità delle generazioni precedenti e non si rassegna a un contesto nazionale che cambia troppo lentamente o che appare impermeabile agli elementi innovativi che provengono dal mondo e dalle culture giovanili, impedendone la loro promozione sociale.

    IL MOVIMENTO E LA VIOLENZA ANTIMPERIALISTA

    A livello mondiale, gli anni Sessanta rappresentano una fase eccezionale per i movimenti rivoluzionari, soprattutto quelli che agiscono nei paesi del cosiddetto Terzo mondo. La lotta di liberazione dei guerriglieri vietnamiti ha immediate ripercussioni sulla situazione italiana, accendendo la polemica tra la sinistra istituzionale italiana pacifista e il movimento per il quale «la parola pace oggi ha un suono falso».² Per il periodico Il Potere operaio, da cui trarrà origine Lotta continua, la lezione vietnamita rende evidente che quanto più le lotte proletarie cresceranno d’intensità, tanto maggiore sarà la reazione dello Stato e del capitale, fatto che rende necessario adeguare anche la quota di violenza proletaria: «non bisogna illudersi e illudere le masse sulla possibilità di ottenere pacificamente, democraticamente il rispetto dei loro anche più elementari diritti», «in ogni momento le masse devono essere preparate ad affrontare ogni forma in cui l’aggressione dei loro nemici si presenti, opponendo violenza a violenza.»³

    I militanti de Il Potere operaio affrontano così la questione della violenza: «da una parte è il modo più immediato per riproporre in tutta la sua forza l’affermazione dell’antagonismo tra le classi e la tensione verso la rottura rivoluzionaria, dall’altra è la discriminazione più semplice ed esplicita, rispetto alla pratica della mediazione portata avanti dai riformisti. Questa esigenza, che è ancora a livello teorico nel 1967, sollecitata dallo sviluppo delle lotte dei popoli del terzo mondo e da una previsione sull’espansione del conflitto di classe in Italia, si pone con il ’68 come una necessità pratica. Se all’inizio gli studenti oppongono la non violenza ai poliziotti che li sgomberano dalle università occupate, presto l’offensiva repressiva dello stato porta il movimento a rispondere sullo stesso terreno». La battaglia di Valle Giulia a Roma, del primo marzo 1968, in cui gli studenti riescono ad opporre la propria forza a quella della polizia, segna una svolta destinata a riproporsi in molte altre occasioni.⁴ Nel movimento si fa strada la consapevolezza che «alla violenza dei capitalisti, oggettivamente necessaria e ineliminabile, sia da opporre, se si vuole liquidarla, una violenza superiore, una violenza di massa».⁵

    Valle Giulia

    Questo é il resoconto sugli scontri di Valle Giulia a cura della dalla giornalista Elisabetta Bonucci: «la collina della facoltà d’Architettura é stata per tutta la mattinata di ieri un campo di battaglia. Carabinieri e poliziotti a migliaia hanno scatenato contro migliaia di studenti universitari e medi, contro professori e parlamentari, contro giornalisti e semplici cittadini la più brutale repressione. Hanno picchiato, ferito, arrestato, rastrellato per tutte le strade intorno. Hanno lanciato bombe lacrimogene, getti di ammoniaca dagli idranti, organizzato caroselli furibondi. Non basta: hanno anche sparato colpi di pistola in aria nel folto delle mischie più disordinate. Gli studenti si sono difesi, hanno contrattaccato. Sono riusciti perfino a tenere per qualche tempo la loro facoltà, mentre davanti alle gradinate bruciavano roghi di jeep e di pullman travolti nel tumulto. Hanno continuato a manifestare in tutta la città, per ore. Centinaia di feriti, centinaia di fermi, oltre duecento denunce, quattro arresti. La questura s’é data cura di precisare solo a tarda sera il bilancio della giornata: 148 feriti tra poliziotti, carabinieri e funzionari, 47 medicati e curati negli ospedali fra i dimostranti. Ma almeno 200 studenti e professori non hanno potuto raggiungere gli ospedali. Sono rimasti per ore senza soccorsi nei locali della questura, ammucchiati in terra, nei corridoi, nel cortile, dove capitava. Le urla dei ragazzi picchiati nelle stanze del palazzone di San Vitale (sede della questura, N.d.A.) si sono udite fin sulla strada.» L’Unità, La polizia é stata scatenata contro gli studenti romani, 2-3-68.

    Subito dopo la battaglia di Valle Giulia, gli studenti romani diffondono un volantino nel quale sostengono che «la lotta ingaggiata ieri ad Architettura é un fatto del tutto nuovo ed importante. Gli studenti hanno capito che quando si é in tanti e si é uniti non si ha più paura.»

    Volantino in www.informagiovani.it/30anni68/30studenti.html

    La questione della violenza entra a far parte della cultura di questa generazione di militanti in modo quasi naturale, come affermazione teorica e necessità pratica. Questo ragionamento non vale solo per Lotta continua o Potere operaio, ma per tutti i gruppi extraparlamentari che nascono tra il ’68 e il ’69, quando la grande mobilita zione studentesca e operaia degli anni successivi propone forme di violenza organizzata, in gran parte di matrice difensiva, nei confronti dei fascisti e delle forze dell’ordine. Il Movimento studentesco della Statale di Milano, coi suoi famosi Katanga⁶, costituisce i primi servizi d’ordine organizzati dai gruppi che poi vennero istituiti in tutte le città italiane, diventando sempre più ampi e militarizzati mano a mano che si andava precisando la strategia della tensione e il terrorismo nero metteva a segno colpi su colpi. I servizi d’ordine vanno a costituire una specie di corpo paramilitare privato che ha il compito di difendere i cortei di massa dai frequenti attacchi di carabinieri e polizia, ma all’occasione anche quello di scontrarsi con i fascisti o con i militanti delle altre organizzazioni extraparlamentari. Il rapporto tra i dirigenti dei gruppi e i loro servizi d’ordine muta a seconda delle organizzazioni, ma la loro struttura non sembra essere dissimile dagli analoghi organismi presenti nei partiti della sinistra storica, soprattutto nel Partito comunista italiano e nel sindacato. Molte volte il servizio d’ordine partecipa solo a tratti al dibattito politico interno delle organizzazioni di appartenenza, ha compiti precisi e separati da quelli degli altri militanti e in alcuni casi si sfiora lo spirito di corpo.

    L’INTERVENTO POLITICO A MIRAFIORI

    Nella primavera del 1969 alla Fiat Mirafiori di Torino esplode la lotta operaia più dura e incisiva del dopoguerra, dando vita all’atteso salto di qualità nello scontro di classe. Nella fabbrica piemontese, la più grande d’Italia, risultano chiare le caratteristiche del conflitto operaio. L’industria dell’auto italiana è centrale per dimensioni, qui si sono introdotte da tempo e in maniera massiccia le tecniche tayloristiche di organizzazione del lavoro che hanno prodotto un nuovo operaio, ben diverso da quello professionale che aveva dominato la fase industriale precedente. I nuovi lavoratori entrano in fabbrica come operai comuni, non vantano un mestiere, sono per la maggior parte immigrati del Sud, non hanno una storia sindacale alle spalle. Durante le fasi del conflitto, il rapporto col sindacato è di aperta frattura, gli operai rivendicano la propria autonomia e la volontà di decidere da soli, di rifiutare la delega. Le rivendicazioni operaie sono essenzialmente tre, e tutte puntano a mettere in discussione il sistema Fiat e la struttura del lavoro capitalistico: forti aumenti salariali uguali per tutti, passaggio per tutti alla seconda categoria, sganciamento del salario dalla produttività con abolizione del cottimo.

    Quell’anno, nella città piemontese convergono i settori di militanza più operaista di tutta Italia, quelli che mettono la classe operaia al centro dell’analisi del capitalismo e del suo sviluppo. Dopo un periodo di mobilitazione e intervento, nel maggio del 1969 nasce l’assemblea studenti-operai torinese che ha come principale obiettivo capire cosa sta accadendo dentro Mirafiori e nello stesso tempo divenire strumento organizzativo e di circolazione di informazioni e notizie sulle lotte operaie. Oltre ai lavoratori, vi partecipano la Lega studenti-operai (Vittorio Rieser, Liliana e Dario Lanzardo, Mario Dalmaviva), la parte veneta (Toni Negri) e romana (Franco Piperno, Oreste Scalzone)

    dei gruppi operaisti, alcuni giovani provenienti da Milano (Giairo Daghini, Sergio Bologna), altri dalla sezione universitaria del Pci torinese e dalla facoltà di Architettura (Alberto Magnaghi). Il movimento studentesco torinese inizialmente mostra titubanze nell’intervenire davanti ai cancelli della fabbrica, ma quando a Torino arriva Adriano Sofri, anche questa componente si mette in gioco direttamente con gli operai e partecipa all’assemblea studenti-operai. In estate, Torino vive un grande fermento: il 3 luglio si svolge la rivolta operaia di corso Traiano; nello stesso mese si firma l’accordo azienda-sindacati alla Fiat che avrebbe dovuto far terminare le agitazioni operaie e il 26 e 27 luglio al Palazzetto dello sport si tiene il convegno nazionale dei comitati e delle avanguardie operaie. Quest’ultimo appuntamento è di fondamentale importanza perché, proprio in questa occasione, si registra la spaccatura dell’assemblea studenti-operai e la formazione di due aree politiche distinte che andranno a costituire Lotta continua e Potere operaio. La prima trae il nome dall’intestazione dei volantini diffusi dall’assemblea e vanta tra i suoi componenti il Potere operaio pisano (Adriano Sofri) e il movimento studentesco torinese (Guido Viale, Luigi Bobbio), la seconda

    conta gli operaisti più convinti, il Potere operaio veneto-emiliano, il comitato di base del petrolchimico di Porto Marghera, gli operaisti romani, il gruppo di lavoratori studenti di Trento (Mario Dalmaviva) e alcuni intellettuali (Sergio Bologna, Giairo Daghini, Mauro Gobbini, Claudio Greppi, Lapo Berti). Il convegno viene convocato per predisporre indicazioni politiche valide in vista delle scadenze autunnali: tra gli obiettivi, quello di creare un coordinamento nazionale delle lotte operaie non controllate dal sindacato. La scissione deriva da una nozione di classe diversa: il futuro Potere operaio vede le lotte operaie come punto centrale nella modificazione dei rapporti di forza e del controllo del modo di produzione, Lotta continua pensa alla classe proletaria nel suo complesso, crede che la forza conquistata dagli operai in fabbrica debba riversarsi sulla città. Altro punto di scontro riguarda la tematica dell’organizzazione, per altro da entrambe giudicato strumento indispensabile per tentare la rivoluzione: Potere operaio asserisce che, per far compiere un salto di qualità alla mobilitazione operaia, si deve passare dal semplice momento rivendicativo della lotta al momento politico, Lotta continua invece avverte meno l’esigenza di strutturarsi, la questione non è essere alla testa del movimento, ma essere la testa del movimento stesso.

    Corso Traiano

    Per il 3 luglio 1969 il sindacato indice uno sciopero generale di 24 ore sul problema degli affitti; superando le indicazioni sindacali, diverse migliaia di operai si concentrano all’esterno dei cancelli della Fiat Mirafiori per effettuare un corteo con l’intenzione di generalizzare la lotta di fabbrica ai quartieri popolari: «prima ancora che il corteo si formi, un esercito di baschi neri e poliziotti si scaglia senza alcun preavviso sulla folla, pestando, arrestando, lanciando lacrimogeni. Cominciano gli scontri. Il corteo si forma di nuovo più lontano e si muove raggiungendo corso Traiano. Qui la polizia carica di nuovo, furiosamente. Ma poliziotti, padroni e governo hanno fatto male i loro conti. In poco tempo, non sono solo le avanguardie operaie e studentesche a sostenere gli scontri, ma tutta la popolazione proletaria del quartiere. Si formano le barricate, si risponde con le cariche alle cariche della polizia. Per ore e ore la battaglia continua e la polizia è costretta a ritirarsi. (…) la lotta contagia altre zone della città, dal comune di Nichelino a Borgo San Pietro, a Moncalieri.» Le forze dell’ordine procedono al fermo di più di 150 persone, nella grande maggioranza giovani operai. Sindacati e partiti condannano la rivolta, mentre l’Assemblea operai-studenti torinese scrive di prova dell’unità e della solidarietà operaia, «uno a uno gli strumenti con cui i padroni ci controllano vanno a farsi fottere. In fabbrica è finito il tempo di ricatti di guardioni e capi, e degli imbrogli dei sindacati. Fuori è finito il tempo della paura della polizia, o delle menzogne dei giornali e della radio.»

    Volantini Lotta continua di Assemblea operai-studenti, 4-7-69 e Fiat: la lotta continua di Assemblea operai-studenti, 5-7-69, in http://www.nelvento.net/archivio/68/operai

    NASCE LOTTA CONTINUA

    Dopo il convegno torinese e la relativa spaccatura, la neonata Lotta continua si propone di dar vita a un giornale nazionale che sia l’espressione delle avanguardie Fiat e il punto di raccordo degli altri nuclei organizzati di studenti e di operai sparsi per l’Italia. Il nome del giornale è Lotta continua per sottolineare la continuità tra la straordinaria esperienza di massa alla Fiat del maggio-giugno e la nuova proposta nazionale.⁸ Il nuovo progetto politico vede aderire il Potere operaio toscano, il Potere proletario di Pavia, il Movimento studentesco trentino e quello della università Cattolica di Milano.

    Lotta continua si aspetta che le prossime lotte contrattuali determinino la generalizzazione e l’approfondimento del distacco tra lotta politica e controllo politico del movimento operaio su di esse.⁹ Il nuovo gruppo rifiuta il sindacato non tanto per la sua linea rivendicativa poco combattiva, ma per il ruolo istituzionale di rappresentante della classe operaia preposto alla contrattazione e alla mediazione, che ostacola lo sviluppo dell’autonoma capacità di organizzazione politica della classe operaia. Il contratto, perciò, è considerato una gabbia dentro cui si cerca di incanalare la pressione operaia, uno strumento che riporta nell’ambito della legalità borghese le spinte operaie.¹⁰ Lc non è interessata alla creazione di un nuovo sindacato o alla formazione di piattaforme contrattuali più avanzate, l’obiettivo è creare un’organizzazione autonoma operaia dotata di un proprio programma

    politico. Ma la lotta non può essere limitata all’interno delle fabbriche, deve investire nuovi terreni di scontro sociale, quelli che riguardano le condizioni di vita dei proletari: casa, prezzi, trasporti. Solo così è possibile garantire la crescita complessiva dell’autonomia operaia.

    Fin dall’inizio Lotta continua rivendica l’uso politico della violenza di massa. È noto un articolo di Guido Viale che recita: «gli operai lentamente si emancipano. Distruggono in fabbrica l’autorità costituita, smantellano gli strumenti che i padroni usano per dividerli e controllarli, si liberano dai tabù che finora li hanno tenuti schiavi (…). Alla Fiat Mirafiori i dirigenti, non ancora abituati all’obbedienza, sono stati più volte costretti a sfilare tra due file di operai inferociti. Sulle loro teste calve, imperlate dal sudore e cosparse di sputi, le monetine da cinque lire tirate dagli operai s’incollano come coriandoli che luccicano al sole. Chi prova a fare il furbo viene punito.»¹¹ Quando il 19 novembre 1969, durante scontri tra polizia e manifestanti di sinistra, muore l’agente Antonio Annarumma, Lotta continua scrive che «in uno scontro tra proletari e polizia la ragione non sta dalla parte di chi ha il ‘morto’; la ragione sta sempre dalla parte degli operai».¹²

    LA CONTROFFENSIVA REAZIONARIA E LA VIOLENZA RIVOLUZIONARIA

    Tra l’estate del ‘69 e l’anno successivo, all’interno del movimento rivoluzionario si delineano tendenze e ipotesi politiche assai diverse, che trovano il proprio punto di rottura nella strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969 a Milano¹³, la strage di stato che rappresenta l’avvio della cosiddetta strategia della tensione messa in atto dalla collusione tra i servizi segreti deviati, l’estremismo neofascista e una parte della classe dirigente italiana che ritiene di dover rispondere con una svolta autoritaria, piuttosto che con riforme, sia alla contestazione studentesca che alla mobilitazione operaia dell’autunno.

    Il vero salto di qualità nelle analisi sull’uso della violenza nei gruppi extraparlamentari è senz’altro rappresentato dalla strage di piazza Fontana a Milano. Nel dibattito di allora, in quell’occasione lo Stato aveva manifestato tutta la sua capacità di violenza: aveva organizzato la strage, depistava le indagini, arrestava innocenti, ammazzava Pinelli. Tutto d’un colpo si scopre che la lotta politica ha assunto una dimensione imprevista e che di fronte ad uno Stato che arrivava a tanto, qualsiasi risposta può ritenersi lecita. Si inizia a temere per il restringimento degli spazi politici, si parla di fascistizzazione dello Stato, cioè si teme che lo Stato e la borghesia stiano preparando una guerra civile strisciante. Il movimento deve perciò prepararsi politicamente e militarmente alla precipitazione dello scontro.¹⁴

    Nel periodo 1969-1975 si scatena nel Paese un terrorismo di chiara matrice neofascista che compie stragi e attentati. La violenza fascista non è certo una novità, studenti e operai hanno già assaggiato lo scontro con gli estremisti di destra nelle scuole, nelle piazze e davanti alle fabbriche dove i padroni li utilizzano per sfondare i picchetti, ma è con piazza Fontana che il cerchio reazione-Stato si chiude. Il movimento si rende conto di non avere un interlocutore istituzionale intenzionato alla mediazione sociale, e apre una riflessione all’interno dei vari progetti politici in corso, sulla base della convinzione che il protagonismo sociale e collettivo sia necessario per contrastare la svolta reazionaria e aprire nuovi spazi politici e di partecipazione. Si affronta la questione della violenza non solo contrapposta a quella dei fascisti o come autodifesa nei confronti delle forze dell’ordine, ma come strumento che metta in discussione il monopolio della violenza statuale: davanti alla reazione nasce il diritto di esercitare la violenza rivoluzionaria. È in questo contesto che nascono le prime formazioni armate in Italia, i Gruppi di azione partigiana legati a Feltrinelli e le Brigate rosse, che cercano di stabilire un legame con le realtà operaie più combattive del periodo.

    Il tema della violenza é al centro del dibattito di tutte le formazioni extraparlamentari dell’epoca. Il gruppo di Servire il popolo intende applicare la strategia insurrezionale che in questo momento prevede da una parte «la lotta legale con lo scopo di educare gli operai e di accumulare forze», dall’altra la preparazione a un’eventuale clandestinità, poiché «il rapporto tra fascismo e democrazia borghese è assai stretto.»¹⁵ Avanguardia operaia sostiene che «la violenza proletaria è un metodo di lotta generale; alla violenza che ogni giorno i padroni portano avanti contro il proletariato, quest’ultimo oppone la sua risposta di classe. Dal picchetto per bloccare i crumiri fino all’insurrezione e, soprattutto, all’instaurazione della dittatura proletaria nel periodo di transizione e, quando è necessario, del terrore rosso.»¹⁶ Lo stesso gruppo del Manifesto riconosce nelle sue Tesi che «la crescita di lotte antagoniste al sistema, nella misura in cui si strappano risultati, modifica i rapporti di forza e tende a fare precipitare una crisi economica e politica. Questa crisi é necessariamente violenta, anche se non può assumere la forma della guerra civile per la forza stessa del movimento.»¹⁷ Il Partito comunista (marxista-leninista) italiano afferma che «il principio della lotta armata per la presa del potere è un principio universale della via rivoluzionaria. Questo principio è risultato dall’analisi concreta della questione dei rapporti di forza fra popolo e stato.» La lotta armata delle masse popolari è resa necessaria dalla stessa borghesia, che «fa fronte alla lotta popolare contraria alla reazione, con il rafforzamento del braccio armato e con il finanziamento delle squadre armate fasciste.»¹⁸

    È in questo periodo che si accentua, proprio nei punti caldi della conflittualità sociale, la tendenza della classe dirigente, incerta e divisa, a invocare la supplenza politica della magistratura, della burocrazia politica, di una stampa che dipende per gran parte dalle logiche dei partiti e dei potentati economici; è per questa via che

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