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Bologna insanguinata
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Bologna insanguinata

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About this ebook

Mi son di nuovo perso e la strada è lunga. Lunga quasi quanto gli intrecci stradali dei decumani dedalici d’una Bologna a quel tempo e purtroppo, a tutt’oggi, soventemente sconsacrata...

Bologna, mia città natia. Città macchiatasi di reati e delitti morbosi, lordatasi e inceneritasi nella folle sconcezza dei più turpi atti criminosi. Qui rivisti dagli occhi d’un uomo smarritosi negli anfratti onirici della sua rinascenza maestosa. Un excursus esistenziale travolgente, goliardico, granguignolesco, sì, grottesco e boccaccesco. Al contempo ironico e malinconico. Diluito in un pazzo intreccio mnemonico che, partorito da scaturigini emozionali d’ancestrale metafisica misterica originatasi dalle abrasive, prime memorie perturbanti d’una naufragata adolescenza persino funerea e quasi da manicomio, riscoccherà brillantemente nel restaurato firmamento stellato di un’anima dapprima deturpatasi e fatalmente scomparsa fantasticamente, dunque prodigiosamente risorta in modo fantasmagorico. Un amarcord storico e stoico, virtuoso e funambolico, profumato di romantici effluvi psichici ammantati di reminiscenza candida e fluida, una nuda e cruda esposizione virginale di un’anima fatiscente, farneticante, persino affranta. Giammai però morbida e potentemente ancor intatta. Bologna, ricolma di liceali boriosi, di gente fintamente saccente e ipocrita. Il felsineo capoluogo emiliano qui riesplode furibondamente in modo torbido sotto forma di psichedelica detection speculativa scevra d’ogni retorica, incendiandosi in macabre vicende mescolate alla forza animalesca e selvaggia d’un intrepido, irrefrenabile cuore indomito.
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateJan 13, 2021
ISBN9791220317009
Bologna insanguinata

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    Bologna insanguinata - Stefano Falotico

    XXIII

    Nota introduttiva

    Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale?

    Sì. Posso dichiararlo onestamente.

    Sebbene vengano citati molti personaggi reali o esistiti del bolognese, perlomeno gravitanti nelle zone sue limitrofe, malgrado io ecceda goliardicamente a inquadrare alcuni di essi con impietose analisi all’apparenza impudenti, ogni connotazione nei loro riguardi è pittorescamente realizzata in maniera giovialmente, sanamente, vivacemente e puramente satirica e non offensiva, mirata esclusivamente a esaltarne o a sottolinearne, spregiudicatamente, irriverentemente ma al contempo bonariamente, vizi e difetti senza maliziose intenzioni disonoranti e oltraggiose.

    Dunque, il suo autore qui rimarca fermamente la sua burlesca e innocua volontà ironica dell’averli menzionati e descritti in forma spensieratamente ludica e innocente, flamboyant e non ingiuriosa, semplicemente ritraendoli con briosa spiritosaggine del tutto non lesiva della loro rispettabile immagine intatta e integramente, integralmente inviolata. Oserei dire amabile e irreprensibilmente candida.

    Prefazione

    Bologna, città un tempo rosea e florida, culla culturale di uomini valorosi, fratturatasi nella tetraggine sulfurea di notti criminose e plumbee. Bologna, un tempo fulgida, di vita soave rigogliosa e giocondamente armoniosa, screpolatasi or nell’agonica e al contempo baldanzosa ed euforica, melanconica e poi vigorosa rimembranza irosa e gioiosa d’un uomo laconico che, rammemorando il suo oscurato, scomparso passato addolorato, dall’oblio del dimenticatoio della sua riscattata coscienza restaurata a risorgimentale rinascenza amorosa, elucubrando il reminiscente tempo a sua estasi riagguantata in maniera portentosa, approfonditamente indagherà sulla nefasta tragicità d’innumerevoli, neri eventi scabrosi. Raggelanti e celati nell’omertà rabbrividente e agghiacciante che, fra i suoi carnascialeschi consanguinei e concittadini tristemente bugiardi e umanamente cannibaleschi, morbosi e falsamente silenziosi, serpeggia inquietante dal buio immane delle loro funebri, mortificanti aridità esistenziali, svelando scandalose verità furbescamente sepolte vive in modo atroce, verità offuscate e imprigionate nella vile e menzognera slealtà malata d’avida lussuria e ipocrita impostura. Un’indagine nelle viscere d’una città che fu altamente romantica, poi avvelenatasi nella sua anima adulterata, abrasivamente e corrottamente insanguinatasi e bruciatasi negli abominevoli, malvagi peccati più delinquenziali e lapidariamente, scelleratamente malavitosi.

    Una città deliziosa forse adesso non più cremosa, bensì disgustosamente delittuosa. Ma l’amore ci renderà di nuovo vivi e calorosi?

    Bologna insanguinata!

    La mia città, senza pietà, la mia città

    Ma come è dolce certe sere, a volte no, senza pietà

    Mi chiude in una stanza

    Mi fa sentire solo

    (Luca Carboni, La mia città)

    Qui ove rifulge, troneggiante sul famoso colle della Guardia, il santuario mastodontico della basilica di San Luca, accaddero fatti raccapriccianti e macabri. All’ombra sulfurea della torre Garisenda, al di sotto della celeberrima Asinelli, tra gli anfratti dedalici dei tetri e polverosi decumani felsinei, fra i perversi, rugginosi padiglioni memori d’echeggianti, tenebrosi spettri mai sopiti delle fecciose coscienze di molti suoi abitanti vagabondanti nell’annerito, poi affievolito e or, ahinoi, estinto nitore delle loro anime, un tempo ricolme e pulsanti di virtuoso candore, adesso invece decadute, marcescenti e putride, tra il cemento armato di fatiscenti periferie degradate, depravate e morbose, tra i labirintici portici lugubri e le sinistre ombre d’ectoplasmatici uomini corrottisi per colpa della più mendace, adulterante lussuria e della più bieca e pusillanime viltà dei loro cuori inceneritisi nel carbone abrasivo delle loro innocenze da loro stessi fortemente arse vive e quindi smorte, la parola amore risuonò lindamente feroce e scalpitante di purissimo ardore altissimo ed enormemente nobile fra coloro i quali però, assistendo agli eventi che vi narrerò, illanguiditi nei loro frantumati sogni impalliditi dinanzi all’orrore irraccontabile che leggerete, possono attualmente soltanto mestamente ricordare, emaciati e ancora rabbrividendo di paura immensa, le tuttora incomprensibili, dunque assurdamente ignote, sconvolgenti e immonde vicissitudini serpentesche e viscidamente aberranti tanto che, raggelandoli e uccidendoli nell’animo, sbrindellandoli e riducendoli come zombi abbandonati perfino dal dio più clemente, sono divenuti essi stessi un’allucinazione vivente delle esiziali e pestilenziali oscenità mostruose che videro e per sempre vivranno nelle loro esistenziali profondità eternamente scalfite e adulterate sino alla fine di tutti i tempi immortali.

    1. Parco della Chiusa, detto Talon e un matto più bello di Alain Delon

    Alle pendici di Casalecchio di Reno, piccolo comune ameno nelle vicinanze di Bologna, anzi, per essere più precisi, esattamente adiacente al capoluogo emiliano, è ubicato il Parco della Chiusa. Detto Talon, ribattezzato tale dai suoi cittadini, potremmo dire, più avvezzi a bazzicarlo vita natural durante in modo soventemente ripetitivo e, perdonate la mia ripetizione, noiosamente usuale.

    Che io mi ricordi, parafrasando il grande Ray Liotta di Goodfellas, ho sempre pensato che, all’interno di questo parchetto all’apparenza più cheto e mesto di un tranquillo, imperturbabile laghetto dall’acqua mansueta, v’abbiano abitato, soprattutto nelle tarde ore notturne, dei gangster. Sì, dei malavitosi, degli uomini fottutamente criminosi, dei mariuoli poco viventi un’esistenza normale delle più armoniose. Per meglio dire, oppure generalizzando un po’ alla buona, dei cosiddetti tipi poco raccomandabili che, altresì, potrebbero anche aver vissuto in modo più gioioso, sebbene ribadisca, invero molto trasgressivo e per niente fine, bensì arcigno e cinico, rispetto alla cosiddetta gente normale. Gente, quest’ultima, a prima vista esente da ogni colpa e assolutamente non imputabile di nulla. Ché queste persone, a dircela tutta, brave e a modo per l’appunto all’apparenza, probabilmente, rispetto a questi picciotti nudamente autentici, a prescindere dalle loro efferate malefatte schifosamente mostruose di tal ultimi, han perfino più scheletri nell’armadio da celare ipocritamente dietro la fantomatica e fallace, stolta rispettabilità del cazzo. Ah, gente comunque amabile. Capisc’?

    Fatto sta che, a Casalecchio, abitò uno zio di mio padre, Carlo. Comunista nato, orgogliosamente dichiaratosi tale.

    Ebbe due figli, Ivan e Barbara. Da piccolo, assieme a mio padre, andai a trovare spesso questo zio di secondo grado. Incontrando perciò anche i miei cugini, Ivan e Barbara, dunque miei procugini.

    Ivan, prendendomi in disparte, durante una serata giocosa in cui stavo follemente divertendomi come un matto infante, completamente, giustamente incosciente della dura e falsa vita stronza che si sarebbe, a una certa età, paratami dinanzi, svelatami, tristemente prospettata e palesatami in tutta la mia innocenza macellata in maniera terribilmente più crudele d’un infanticidio imperdonabile dei più turpemente efferati, ecco, dicevo, Ivan mi disse che, per nessuna ragione al mondo, senza mio padre, senza esser accompagnato e protetto da lui stesso oppure dal mio prozio Carlo, mi sarei dovuto avventurare lungo il parco di cui poc’anzi v’accennai. Gli domandai candidamente perché mai non potessi e lui, colto da un maldissimulato, da me già precocemente individuato, finto stupore da uomo oramai consapevole d’ogni umano, possibile orrore eventualmente, malauguratamente perpetratomi dalla cattiva gente malcresciuta e dunque smidollata che nel mondo a briglia sciolta impazza, m’apostrofò con far severo, ammonendomi ancora in maniera rigidamente tosta e imperiosa:

    - No, non recartici. Stanne lontano. Hai capito?!

    - Perché? - testardamente gli chiesi per la seconda volta.

    - Perché sì. No, non andarci mai da solo. Sono stato chiaro?

    - Va bene, l’importante è che non ti arrabbi.

    - Torna a giocare. La notte è lunga... Non fare il malmostoso o il permaloso.

    Ma io non m’arrendevo dinanzi alle sue ammonizioni e volevo vederci chiaro:

    - Perché? Perché non posso andare a divertirmi nel parco?

    - Perché c’è mia madre che, di notte, fa la strega e celebra il sabba assieme alle altre pazze che abitano nel nostro palazzo. Tua zia, Chiara. Sono stato chiaro?

    - Prozia. Ma non è matta, Ivan. Che dici?

    - No, non lo è. Ma è pur sempre una fattucchiera. E si lascia acconciare i capelli da una pessima parrucchiera.

    - Che significa fattucchiera?

    - Colei che ti prepara i biscotti quando vieni a casa nostra. Noi, come sai, ti ospitiamo volentieri, non sai quanto ti vogliamo bene e tu quei biscottini deliziosi bagni nel latte più squisito e cremoso. Candido come i tuoi sogni bagnati ancora d’innocenza morbida come la tua pelle inviolata. Ah, buoni i biscotti, vero? Immergendoli nel latte puro come la tua sobria freschezza da bambino ancora inconsapevole, giustamente, di tal mondo iniquo, impuro e putrido, la dolcezza della vita succhi, trangugi e pilucchi fra pinocchi adulti e porci come Mangiafuoco. Adulti che, in verità, sono solo degli allocchi.

    - Sei un poeta, Ivan?

    - No, sto solo filosofeggiando poiché, cugino caro, ricorda che la vita è dura e, durante l’avventura, si farà ancora più oscura.

    - Capisco. Ora devo andare in bagno a fare la pipì.

    - Buona pisciata.

    - Ivan, continua ancora a sparare, nel frattempo, altre cagate.

    - Ragazzo, sii educato. Chi t’ha insegnato a parlare in questo modo così volgare?! Forse, mia madre? Ah ah.

    - Non fa ridere, fa schifo. Ivan, che battuta di merda.

    Pisciai e pure cagai, ma quel suo racconto in merito alla triste nomea e perduta gloria del Talon non poco mi turbò. Anzi, nella paura più primordialmente inconscia, mi paralizzò. Angosciando, da allora in poi, le mie notti da infante non ancora corroso dalle iniquità d’una società ingorda. Ivan mi narrò anche che, una volta, vide al Talon un uomo dagli occhi azzurri come l’attore algerino, nato per di più nella capitale dell’Algeria, ovvero Algeri, Pierre Cosso. Naturalizzato francese.

    L’attore reso celebre da Il tempo delle mele 2 con Sophie Marceau che forse, ai tempi per l’appunto in cui i suoi occhi illanguidirono tutte le fighe delle donne, d’oltreoceano e non, ebbe segretamente anche una tresca con Giuni Russo di Alghero...

    In compagnia di uno straniero...

    Da cui Windsurf - Il vento nelle mani...

    A dire il vero, Ivan mi disse che quest’uomo misterioso che di notte s’aggirò lungo il Parco della Chiusa in modo pauroso e probabilmente anche minaccioso, lui lo associò persino alla bellezza di Alain Delon.

    Ora, non so se Ivan alludesse al Delon dei film di Luchino Visconti, cioè all’Alain di Rocco e i suoi fratelli e de Il gattopardo, quindi al Delon giovanissimo e forse ancora più sensualissimo di quello de La piscina, vale a dire l’Alain al massimo storico del suo sex appeal imbattibile e per le donne eccitantissimo, oppure se si riferisse a quello gangsteristico dei capolavori di Jean-Pierre Melville. Per quanto mi riguarda, già da bimbo, io fui malinconico come il Delon de La prima notte di quiete e già imparai a memoria l’incipit di Moby Dick, capolavoro letterario di Herman Melville. Sapendo che, da grande, non avrei mai avuto i soldi per comprarmi una gran villa. Comunque, non ridete, già all’epoca vedevo la vita in maniera assai linda, dunque orrifica. Sì, in forma chiarissima, cioè il superlativo del nome della mia prozia Chiara, dipinta da Ivan come una strega inconsolabile senza più speranzose albe.

    Fui altresì prematuramente cosciente che il mondo, non solo quello di Bologna e dintorni, è sempre stato pieno di misteri più inquietanti dei racconti di mio cugino Ivan. Consapevole anche che Alain Delon fu, è e rimarrà, anche da morto, più intrigante e più affascinante del parco Talon. Sul quale ritorneremo, molte volte, più avanti.

    Comunque Ivan, a quei tempi, mi definiva un cinnazzo, detto altresì cinno. Cinnazzo e cinno sono espressioni tipiche del bolognese per definire simpaticamente e affettuosamente ma anche, con un po’ di acida acredine e invidia non trascurabile, i bambini e i ragazzi che, secondo gli adulti, devono ancora crescere e comprendere cosa sia davvero la vita con tutte le sue annesse problematiche complesse. Ecco, il cinnazzo era Ivan. Io ero solo un bambino già uomo? Mentre oggi sono un uomo bambinesco che vorrebbe sentirsi un cinnazzo? Che cazzo ne posso sapere?

    Credo di essere uno stregone, spesso un coglione.

    2. Una soffice pasticceria ove si ricorda il passato poco croccante e non dolcemente fragrante

    Bologna è rinomata per l’arte culinaria e per la voglia libidinosa dei felsinei di essere molto cremosi con le donne. Fra yogurterie dallo strambo arredamento colorato, situate vicino Piazza Santo Stefano, detta Piazza delle Sette Chiese, la gente, poco martire a differenza del santo appena nominatovi, lecca dolcissimi gelati al gusto di crema e nocciola e, fra baci al cioccolato e qualche albero limitrofo dalla pigmentazione simile al pistacchio, in maniera

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