Robin Hood
4/5
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About this ebook
Traduzione di Lucio Chiavarelli
Edizione integrale
Ogni epoca, ogni generazione hanno avuto il loro Principe dei Ladri. Cavalleresco come Ivanhoe, spavaldo come D’Artagnan, Robin il proscritto ha la generosità di un santo e la giovialità di un ragazzo. Di sicuro l’arciere di Alexandre Dumas è il prototipo di una lunga serie di ladri gentiluomini. Il cinema lo ha a lungo inseguito nei labirinti di Sherwood, regno dell’allegria, dell’amicizia e delle sfide beffarde. Gli ha fatto assumere la scanzonata fisionomia di Douglas Fairbanks, la malinconica ironia di Sean Connery, il sorriso rassicurante di Kevin Costner, lo sguardo truce di Russell Crowe. Per i cartoni animati Robin è una volpe, l’inseparabile John un grosso orso. Ma nessuna immagine (come nessuno sbirro) è mai riuscita a imprigionarlo. La lotta che ha ingaggiato con il Potere è destinata a non aver mai fine. Perché Robin Hood è un mito: quello della giustizia che non ha pace e vaga per il mondo a risvegliare i suoi arcieri.
«Nelle prime ore d’una bella mattina d’agosto, Robin Hood camminava di buon passo per uno stretto sentiero della foresta di Sherwood. Era solo, ma aveva il cuore pieno di gioia e una canzone gli era venuta alle labbra.»
Alexandre Dumas
(1802-1870) fu uno degli scrittori più popolari della sua epoca. Autore eccezionalmente fecondo, ha legato il suo nome a più di trecento opere di narrativa (oltre al celebre ciclo de I tre moschettieri, ricordiamo Il Conte di Montecristo, La regina Margot, La Sanfelice, Il tulipano nero), di saggistica, di teatro e di viaggio, molte delle quali destinate a non tramontare, ancora oggi lette e amate in tutto il mondo da milioni di lettori. Di Dumas la Newton Compton ha pubblicato: I tre moschettieri e Vent’anni dopo, Il Visconte di Bragelonne, Il Conte di Montecristo, Garibaldi, Robin Hood, Il tulipano nero, La regina Margot e I Borgia.
Alexandre Dumas
Frequently imitated but rarely surpassed, Dumas is one of the best known French writers and a master of ripping yarns full of fearless heroes, poisonous ladies and swashbuckling adventurers. his other novels include The Three Musketeers and The Man in the Iron Mask, which have sold millions of copies and been made into countless TV and film adaptions.
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Robin Hood - Alexandre Dumas
Capitolo primo
Nelle prime ore d’una bella mattina d’agosto, Robin Hood camminava di buon passo per uno stretto sentiero della foresta di Sherwood. Era solo, ma aveva il cuore pieno di gioia e una canzone gli era venuta alle labbra.
All’improvviso una voce tonante, le cui capricciose intonazioni provavano il più assoluto disprezzo per ogni regola musicale, si mise a ripetere proprio la stessa ballata che Robin Hood stava canticchiando.
«Perdincibacco!», mormorò il nostro eroe mettendosi ad ascoltare attentamente il canto di quello sconosciuto, «è proprio strano questo fatto. Le parole che sento cantare le ho inventate io, quando ero un ragazzo, e non mi ricordo di averle insegnate a nessuno.»
Mentre faceva questa riflessione, Robin si nascose dietro il tronco d’un albero per aspettare che quel viandante tanto stonato passasse di lì. E infatti, quasi subito, comparve. Arrivato di fronte alla quercia, dietro cui s’era nascosto Robin Hood, il viandante si mise a osservare una zona in cui la foresta era più fitta e vedendo attraverso una macchia uno splendido branco di daini, disse ad alta voce: «Ah! Ah! ecco una vecchia conoscenza; vediamo se ho ancora l’occhio fino e la mano lesta. Per san Paolo! voglio levarmi il gusto di colpire con una freccia quello là che sembra si sia fermato ad aspettarmi!».
Dette queste parole, lo sconosciuto prese una freccia dalla faretra, se l’aggiustò sull’arco, mirò a un grosso daino e lo colpì mortalmente.
«Bravo! Bel colpo!», gridò una voce allegra.
Lo sconosciuto, preso di sorpresa, si voltò bruscamente.
«Vi sembra difficile, messere?», esclamò mentre osservava Robin dalla testa ai piedi.
«Sì, siete un abile arciere.»
«Davvero?», aggiunse lo sconosciuto con tono altezzoso.
«Soprattutto perché è evidente che non siete solito andare a caccia di daini.»
«Come avete fatto a capirlo?»
«Dalla maniera con cui imbracciate l’arco. Scommetto, messere, che siete certo più esperto nell’arte d’uccidere un avversario sul campo di battaglia che in quella di colpire un daino nel folto della macchia.»
«Ottima risposta», concluse allora lo straniero, facendosi una bella risata. «Posso chiedere il nome d’una persona dallo sguardo così penetrante da poter giudicare a colpo d’occhio la differenza tra un soldato e un guardaboschi?»
«Il mio nome non ha importanza in siffatta questione, messere; ma posso farvi conoscere le mie attribuzioni. Sono una guardia di questa foresta e non ho intenzione di lasciare i daini che mi sono affidati esposti senza scampo ai colpi di coloro che li prendono di mira per provare la propria valentìa.»
Allora lo sconosciuto replicò con un tono volutamente provocatorio:
«Non mi curo delle vostre intenzioni, cara la mia guardia. Anzi, vi sfido a impedirmi di colpire con le frecce i daini o i cerbiatti. Ne ammazzerò quanti vorrò!».
«Potreste riuscirvi, visto che siete un arciere agguerrito, se io non intervenissi. E allora ho intenzione di farvi una proposta. Ascoltatemi con attenzione. Io sono il capo d’una schiera di uomini risoluti, intelligenti ed esperti in tutte le arti marziali. Voi mi sembrate un bravo ragazzo; se il vostro cuore è leale, se non avete grilli per la testa, sarò lieto di arruolarvi nella mia banda. Dopo avervi ingaggiato, avrete il permesso di cacciare tutta la selvaggina che vorrete; ma se rifiutate di unirvi alla nostra associazione, vi invito a uscire subito dalla nostra foresta.»
«Quanta superbia in un guardaboschi! Adesso ascoltatemi voi con molta attenzione. Se non girate sui tacchi, e alla svelta, vi darò una lezione che, senza troppe parolone, vi insegnerà a misurare le parole: una bella scarica di bastonate.»
«Tu dovresti bastonare me?», esclamò Robin con molto scetticismo.
«Io, sì.»
«Senti, ragazzo, non ho nessuna voglia d’arrabbiarmi perché sarebbe peggio per te; ma se non mi dai retta, e subito, e non vai via da qui, t’aspetta il castigo che meriti; e poi, se non ti basterà, il ramo più alto d’un albero di questa foresta misurerà la forza del tuo collo e il peso del tuo corpo.»
Lo straniero scoppiò a ridere.
«Vorresti battermi e farmi impiccare: sarebbe divertente se non fosse impossibile. Su, caro, cominciamo pure: sono pronto.»
Robin allora ribattè: «Ah, io non perdo tempo a bastonare di mia mano tutti i fanfaroni che incontro. Ci sono dei bravi ragazzi fidati che mi tolgono questa seccatura. Adesso li chiamo e tu te la vedrai con loro, amico».
Robin Hood accostò un corno alle labbra; stava per suonare, quando lo straniero che aveva velocemente accostato una freccia all’arco, gli gridò con forza:
«Fermo, o t’ammazzo!».
Robin allora lasciò cadere a terra il corno, afferrò l’arco e balzando a fronteggiare lo straniero con meravigliosa destrezza esclamò a sua volta:
«Matto! Non vedi con chi vorresti combattere? Prima che tu possa provare a colpirmi io t’avrei già trafitto. La stessa morte che tu destinavi a me ti piomberebbe addosso. Avanti, ragiona. Non ci conosciamo nemmeno e ci trattiamo come nemici mortali senza un motivo serio. Le frecce sono armi sanguinarie, rimetti la tua nella faretra e giacché hai parlato di bastonarmi, vada per il bastone. Accetto la tua sfida».
«Allora d’accordo, vada per il bastone. Il primo che riuscirà a colpire alla testa sarà vincitore e libero di decidere della sorte dell’avversario.»
«Come vuoi, ma sta attento alle conseguenze della tua proposta. Se vinco io, avrò il diritto di farti arruolare nella mia banda?»
«Sì.»
«Benissimo, e che la vittoria arrida al più forte.»
Un combattimento di agilità e di forza ebbe inizio. Entrambi menarono bastonate a più non posso, ma lo sconosciuto non riuscì a colpire seriamente Robin nemmeno una volta. I colpi ricevuti lo avevano già abbattuto, quando decise di buttare via il bastone, irritato e ansimante.
«Basta, basta, non ce la faccio più.»
«Ti arrendi?», chiese Robin Hood.
«No, ma riconosco che sei molto più forte di me: si vede che sei abituato a maneggiare il bastone e questo ti dà un vantaggio troppo grande. Il combattimento non è leale. Sai tirare di spada?»
«Sì.»
«Accetti di continuare il duello con quell’arma?»
«Ma sì, certo.»
Impugnarono le spade. Erano tutti e due eccellenti schermitori: per un quarto d’ora si scambiarono colpi su colpi senza che l’uno riuscisse a ferire l’altro. All’improvviso Robin gridò:
«Adesso basta!».
«Ti sei stancato?», chiese lo straniero con un sorriso trionfante. «Sì.»
La confessione di Robin era sincera.
«E poi un duello alla spada non mi diverte affatto, mentre un combattimento a bastonate per me è tutt’altra cosa: i colpi sono meno pericolosi, meno crudeli.»
Mentre osservava attentamente il volto dello sconosciuto, la cui testa era coperta da un berretto che gli nascondeva una parte della fronte, Robin aggiunse: «Sono un po’ stanco, lo ammetto, ma non è questo il motivo per cui ho domandato una tregua. Dall’inizio del combattimento mi sono venuti alla mente ricordi d’infanzia, come se lo sguardo dei tuoi occhi azzurri non mi fosse del tutto ignoto. E anche la tua voce ricorda quella d’un amico, e non riesco a trovarti antipatico. Dimmi come ti chiami... se per caso sei tu colui che aspetto da anni con tutta l’impazienza d’una vera amicizia, sii il benvenuto. Se sei uno straniero, non importa, sarai egualmente bene accolto. Ti apprezzerò per le tue qualità e per i cari ricordi che il tuo aspetto mi fa tornare alla memoria».
«Mi parli con una lealtà che mi turba, messere», rispose lo sconosciuto. «Con molto dispiacere però ti dico che non posso soddisfare la tua pur lecita domanda. Non sono un uomo libero. Il mio nome è un segreto che la prudenza mi suggerisce di serbare per me solo.»
«Non devi temere niente da parte mia», riprese Robin. «Sono uno di quelli che la gente chiama banditi. E poi sarei incapace di tradire la tua fiducia. Disprezzo la viltà di chi osa rivelare un segreto, anche se ne è venuto a conoscenza involontariamente. Dimmi come ti chiami...»
Lo straniero esitò ancora per un attimo. «Sarò un amico per te», aggiunse Robin con sincerità.
«E sia. Mi chiamo William di Gamwell.»
Un grido proruppe dal petto di Robin Hood.
«Will! Will! il caro Will il Rosso!»
«Sì!»
«E io sono Robin, Robin Hood.»
«Robin!», gridò il giovane e corse ad abbracciare il suo amico, «ah! che fortuna trovarti!»
I due giovani si abbracciarono quasi scontrandosi per l’impeto e si guardarono l’un l’altro con gli occhi brillanti di gioia ed emozione. «E pensare che io t’ho minacciato!», disse Will.
«E io, allora, che non t’avevo riconosciuto!», rispose Robin.
«Stavamo per ucciderci!»
«Ci siamo perfino bastonati!»
«Bah, non pensiamoci più. Ma, dimmi, come sta... come sta Maud¹?»
«Non preoccuparti: Maud sta benissimo.»
«È sempre così...?»
«E sempre molto bella, e ti ama, Will, non pensa che a te; il suo amore non si è mai affievolito, ti sposerà. Quella tenerissima creatura ha pianto per la tua mancanza, e credo che anche tu abbia sofferto moltissimo; ma lei ti farà felice se tu l’ami ancora.»
«Oh! Se l’amo! Come puoi dubitarne, Robin? Si, l’amo, e lei, grazie al cielo, non mi ha dimenticato! Mai un attimo ho smesso di pensare a lei, il suo caro ricordo è sempre stato nel mio cuore e mi ha dato forza nei momenti peggiori. Era per me come il coraggio per il soldato sul campo di battaglia, la consolazione per il prigioniero nella cella oscura. Maud, caro Robin, è stata il mio pensiero, la mia speranza, il mio futuro. Grazie a lei ho avuto la forza di sopportare stenti e fatiche. Dio mi aveva dato un’incrollabile fiducia nell’avvenire: ero certo di rivedere Maud, di sposarla e di trascorrere con lei gli ultimi anni della mia vita.»
«La tua tenace speranza sta per realizzarsi, caro Will.»
«Si, Robin, anch’io ne ho il lieto presentimento. E per dimostrarti quanto ho pensato a quella fanciulla, ti racconterò un sogno fatto in Normandia; ho ancora in mente questo sogno, nonostante sia passato quasi un mese.
Mi trovavo in una prigione, con le braccia legate e il corpo incatenato: davanti a me, a qualche passo, c’era Maud, con il volto pallido e insanguinato. La ragazza mi tendeva le mani, triste, e si lamentava con parole che non capivo, ma era chiaro che soffriva orribilmente e mi chiedeva aiuto. Come t’ho detto, ero incatenato e mi dibattevo in terra, mordendo rabbiosamente le catene che avvincevano le mie braccia, insomma facevo sforzi sovrumani per trascinarmi fino a lei.
Improvvisamente le catene si allentarono, poi caddero del tutto. Allora balzai in piedi e corsi da Maud: la strinsi al mio petto e coprii di baci le sue gote pallidissime; a poco a poco il sangue cessò di sgorgare dalle ferite. Le labbra della ragazza riacquistarono colore; riaprì i suoi occhioni neri e avvolse il mio viso con uno sguardo così tenero e riconoscente, che mi sentii commosso fino alle lacrime; il cuore mi balzò in petto, e mi lasciai sfuggire un gemito sommesso. Soffrivo e al tempo stesso ero felice.
Poco dopo mi svegliai. Saltai giù dal letto con la ferma intenzione di tornare in Inghilterra: volevo rivedere Maud, che doveva essere tremendamente infelice e bisognosa del mio aiuto.
Mi recai subito dal capitano: era stato l’intendente di mio padre, e perciò mi attendevo da lui comprensione e protezione. Gli dissi del mio desiderio di tornare a casa, ma non gliene rivelai la causa, perché quell’uomo mi avrebbe deriso. Egli rifiutò duramente di darmi un permesso, ma questa prima sconfitta non mi fermò: come posseduto dalla smania di rivedere Maud, supplicai quell’uomo, cui altre volte avevo dato degli ordini, lo scongiurai di esaudire la mia richiesta. Tu mi compatirai, Robin, ma non importa, voglio dirti tutto.
Mi inginocchiai, dunque, ai suoi piedi, ma la mia debolezza lo fece sogghignare e, con un calcio, mi respinse indietro. Allora, mi alzai: estrassi la spada dal fodero e, senza pensare, senza esitare, ammazzai quel miserabile. Da quel momento sono braccato: avranno perduto le mie tracce? Lo spero. Ecco perché, Robin, credendo che tu fossi uno straniero, ho rifiutato di dirti il mio nome, ma ora benedico il cielo che mi ha portato da te. Adesso parliamo di Maud: vive ancora nella casa di Gamwell?»
«Nella casa di Gamwell? Will, non sai dunque che cosa è successo?»
«Non so nulla. Raccontami, mi fai paura.»
«Non preoccuparti, la sventura che ha colpito la tua famiglia è passata, il tempo e la rassegnazione hanno cancellato i segni di un fatto doloroso: la distruzione del castello e del villaggio di Gamwell.»
«Il mio castello distrutto! Santo cielo! e mia madre, mio padre, le mie povere