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L'abbazia di Northanger
L'abbazia di Northanger
L'abbazia di Northanger
Ebook324 pages4 hours

L'abbazia di Northanger

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About this ebook

Introduzione di Riccardo Reim
Cura e traduzione di Elena Grillo
Edizione integrale

Catherine Morland, la protagonista del romanzo, è invitata a trascorrere qualche giorno presso l’ex abbazia di Northanger, residenza della famiglia del giovane pastore anglicano con cui si è fidanzata, e che la crede una ricca ereditiera. Suggestionata dal luogo e ancor più dalle intense letture di romanzi dell’orrore all’epoca in gran voga, la giovane vive alterando banali eventi quotidiani alla luce di immaginarie atmosfere di terrore. Una serie di malintesi, frutto della sua fantasia sovreccitata, mette a repentaglio il rapporto sentimentale appena nato, pregiudicato anche dalla scoperta delle sue reali condizioni economiche. Celebrazione dei riti di iniziazione sociale della borghesia inglese di provincia a cavallo tra Sette e Ottocento, quest’opera della Austen non si esaurisce nella storia di una contrastata passione, ma rappresenta una sottile parodia del romanzo sentimentale, e soprattutto del romanzo gotico, che resta di grande attualità ancora oggi.

«La sua passione per gli edifici antichi era seconda in grado solo alla passione per Henry Tilney, e castelli e abbazie riempivano generalmente di attrattive quei sogni a occhi aperti che ancora non erano riempiti dall’immagine di lui.»



Jane Austen

nacque a Steventon (Hampshire) nel 1775. Condusse una vita tranquilla, tra gli affetti familiari, a Bath e poi a Chawton, sempre nell’Hampshire. Si spense nel 1817 a Winchester. Di Jane Austen la Newton Compton ha pubblicato: Mansfield Park, Ragione e sentimento, Persuasione, Orgoglio e pregiudizio, L'abbazia di Northanger, Emma e Lady Susan - I Watson - Sanditon. Le opere della Austen sono disponibili anche nel volume unico Tutti i romanzi.
LanguageItaliano
Release dateDec 16, 2013
ISBN9788854128811
Author

Jane Austen

Born in 1775, Jane Austen published four of her six novels anonymously. Her work was not widely read until the late nineteenth century, and her fame grew from then on. Known for her wit and sharp insight into social conventions, her novels about love, relationships, and society are more popular year after year. She has earned a place in history as one of the most cherished writers of English literature.

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    L'abbazia di Northanger - Jane Austen

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    178

    Titolo originale: Northanger Abbey

    Prima edizione ebook: gennaio 2011

    © 1994, 2008 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-2881-1

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica realizzata da Gag srl

    Indice

    Introduzione di Riccardo Reim

    Prefazione di Elena Grillo

    Nota bibliografica

    Premessa dell'autrice

    Libro primo

    Capitolo primo

    Capitolo secondo

    Capitolo terzo

    Capitolo quarto

    Capitolo quinto

    Capitolo sesto

    Capitolo settimo

    Capitolo ottavo

    Capitolo nono

    Capitolo decimo

    Capitolo undicesimo

    Capitolo dodicesimo

    Capitolo tredicesimo

    Capitolo quattordicesimo

    Capitolo quindicesimo

    Libro secondo

    Capitolo primo

    Capitolo secondo

    Capitolo terzo

    Capitolo quarto

    Capitolo quinto

    Capitolo sesto

    Capitolo settimo

    Capitolo ottavo

    Capitolo nono

    Capitolo decimo

    Capitolo undicesimo

    Capitolo dodicesimo

    Capitolo tredicesimo

    Capitolo quattordicesimo

    Capitolo quindicesimo

    Capitolo sedicesimo

    Jane Austen

    L’Abbazia di Northanger

    Newton Compton editori

    Introduzione

    This little work was finished in the year 1803, and intended for immediate publication. It was disposed of to a bookseller, it was even advertised, and why business procedeed no farther, the author has never been able to learn. That any bookseller should think it worth while to purchase what did not think it worth while to publish seems extraordinary... ¹.

    Così, assai brevemente, in poche righe di advertisement, Jane Austen accenna, in occasione della pubblicazione (che avverrà soltanto nel 1818, alcuni mesi dopo la morte della scrittrice, a cura del fratello Henry), alla travagliata vicenda editoriale di Northanger Abbey ², sua prima opera completa, che vede la luce, per uno strano gioco del caso, insieme a Persuasion, da molti ritenuto il suo libro più ricco e maturo. I due romanzi – due poli estremi di un’arte sottile – escono dunque postumi, presso l’editore londinese John Murray (il quale tre anni prima aveva già stampato Emma), in quattro volumi, al prezzo di ventuno scellini ³. La tiratura, non proprio esigua, di 2500 copie, sta a dimostrare il succès d’estime – non certo l’attenzione del grande pubblico – che la scrittrice si è andata guadagnando nel giro di pochi anni con quel suo «casto e contenuto linguaggio che sarebbe andato a genio al Manzoni»: opere come Sense and Sensibility (1811), Pride and Prejudice (1813), Mansfield Park (1814) e il già citato Emma (1816) registrano anzi negli anni a seguire un consenso che andrà rapidamente crescendo per tutto il diciannovesimo secolo, fino a far affermare la Austen tra i più grandi romanzieri di lingua inglese e come «la prima scrittrice della tradizione letteraria britannica che sia indiscutibilmente di primo piano» .

    Northanger Abbey (al quale, tra l’altro, non ha certo giovato di venire pubblicato in coppia con Persuasion) è senz’altro il romanzo meno noto e fortunato della Austen; come nota Malcom Skey, «non è mai stato il preferito di nessuno» ⁷: nel 1803, come si è visto, viene addirittura acquistato dall’editore Crosby di Londra per la modica somma di dieci sterline senza mai venire pubblicato. Un’opera di esordio, dunque – ma, sia chiaro, non di apprenticeship – di cui il pubblico viene a conoscenza solo dopo le prove della maturità: meno compiuta e meno nitida, forse, ma dove l’autrice dispiega già con mano ferma le sue migliori qualità, assai al di sopra, comunque, della media di ciò che l’industria editoriale britannica proponeva in quegli anni. La bocciatura, a prima vista, sembrerebbe quasi inspiegabile, ma appare ben chiara se appena si pone attenzione a cosa veramente è – al di là di alcuni elementi che ne fanno, per molti versi, un prodotto abbastanza tipico della sua epoca – Northanger Abbey: ovvero, come osserva ancora Malcom Skey, «anche un romanzo sul romanzo, che esige dai suoi lettori una buona conoscenza critica, distaccata della produzione corrente» ⁸, poiché si basa – e ciò è essenziale alla struttura e alla trama – sulla parodia di due filoni ben distinti, che vengono a convergere nella figura della protagonista, Catherine Morland: il romanzo sentimentale e, ancor più, il romanzo gotico. La presa in giro del novel of sensibility – resa più caustica, qui, dall’ambientazione nella mondanissima Bath, vero e proprio teatro di riti sociali, luogo iniziatico per ogni fanciulla di buona famiglia – non era davvero più una novità per un certo pubblico abbastanza smaliziato ormai per divertirsi con Joseph Andrews e Shamela di Henry Fielding senza per questo mancare di commuoversi alle lacrimose vicissitudini descritte in Pamela e Clarissa ⁹; meno consueta, senza dubbio, era invece la parodia del romanzo gotico (ma si dovrebbe dire, in questo caso, soprattutto parodia di Ann Radcliffe), parte integrante e chiave psicologica di Northanger Abbey. Nel 1803, quando The Mysteries of Udolpho e The Italian ¹⁰ scatenavano un vero e proprio fanatismo, non valeva sicuramente la pena di urtare qualche suscettibilità per pubblicare l’opera di un’esordiente la cui risibile protagonista – immancabilmente delusa nella sua ricerca di qualche macabro frisson – è una inveterate reader di tales of terror ¹¹:

    «(...) E tu, mia cara Catherine, cosa hai fatto tutta la mattina? Sei andata avanti con Udolpho

    «Sì, ho letto da quando mi sono svegliata, e sono arrivata fino al velo nero.»

    >«Davvero? Che meraviglia! Non ti direi per nulla al mondo cosa c’è dietro il velo nero! Non muori dalla voglia di saperlo?»

    «Sì, certo. Che mai può esserci?... Non me lo dire, però... non voglio che tu mi dica niente. So che dev’essere uno scheletro, sono certa che è lo scheletro di Laurentine. Oh! Quanto mi piace quel libro! Ci passerei la vita a leggerlo. Ti assicuro che se non avessi avuto un appuntamento con te non sarei uscita per nessuna ragione al mondo.»

    «Cara creatura, quanto ti sono grata! E quando avrai finito Udolpho leggeremo insieme The Italian. Ho fatto per te una lista di dieci o dodici altri libri dello stesso tipo.»

    «Davvero? Quanto sono contenta! Quali sono?»

    «Te la leggo subito: ho i titoli qui, annotati sul mio taccuino. Ecco: Castle of Wolfenbach, Clermont, Mysterious Warnings, Necromancer of Black Forest, Midnight Bell, Orphan of the Rhine e Horrid Mysteriesv. Questi ci dureranno per qualche tempo.»

    «Sì, bene, ma sono tutti paurosi? Sei certa che siano tutti paurosi?» ¹²

    Questo dialogo tra l’eroina del romanzo e la sua amica Isabella Thorpe dimostra quanto Jane Austen fosse bene informata sul tale of terror: i sette titoli, talmente «tipici» da essere ritenuti per circa un secolo frutto della fantasia della scrittrice, sono invece (come è stato dimostrato) assolutamente autentici, tutti pubblicati tra il 1793 e il 1798 ¹³. Una sorta di piccola mappa della produzione media di quella gothic manner (o meglio, gothick, come veniva scritto nell’inglese settecentesco) inaugurata da Walpole ¹⁴ che da alcuni anni invadeva le vetrine dei librai e di cui la Austen deve essere stata divertita e sofisticata lettrice. Northanger Abbey è insomma un libro sottilmente demistificatorio, dove vengono smontati e messi alla berlina, con urbanità e apparente svagatezza, congegni e meccanismi di un genere ormai inflazionato e scaduto che seguitava a riproporre sempre più stancamente situazioni e temi più che collaudati al solo scopo di catturare un pubblico dal palato non troppo sottile: in Northanger Abbey, con il garbo degno di una conversation piece uscita dal pennello di Zoffany, Jane Austen parla in codice cercando complici, ammiccando con discrezione tra le righe in un educatissimo gioco in bilico tra arguzia e droit sens dove tutti sono – e siamo – perfettamente consapevoli che «charming as were Mrs. Radcliffe’s works, and charming even as were the works of all her imitators, it was not in them perhaps that human nature, at least in the midland counties of England, was to be locked for» ¹⁵.

    RICCARDO REIM

    1 «Advertisement, by the Authoress, to Northanger Abbey», in J. Austen, Northanger Abbey , 4 voll. (insieme a Persuasion ), Londra, John Murray, 1818: «Questo breve lavoro venne terminato nell’anno 1803, ed era destinato a un’immediata pubblicazione. Fu ceduto a un editore, fu persino reclamizzato, e l’autrice non è mai riuscita a sapere perchè la cosa non sia andata oltre. Che un editore abbia creduto valesse la pena di acquistare qualcosa che poi non ritenne opportuno pubblicare, è piuttosto strano...».

    2 Nel 1890 vi fu anche un breve scambio di lettere tra la Austen e l’editore Crosby a proposito della mancata pubblicazione del romanzo, che però non condusse a nessun chiarimento.

    3 Northanger Abbey (prima con il titolo Susan , poi con il titolo Catherine ) venne composto tra il 1798 e il 1799, subito dopo, sembra, quella prima stesura di Pride and Prejudice oggi perduta e nota come First Impressions : la Austen, probabilmente, apportò alcune modifiche al testo in occasione della presunta pubblicazione.

    4 M. Praz, La letteratura inglese , vol. II, Dai romantici al Novecento , nuova edizione aggiornata, Firenze-Milano, Sansoni/Accademia, 1968. A proposito dei primi, importanti estimatori della Austen, vanno ricordati il Principe Reggente (al quale, dietro sua esplicita richiesta, venne dedicato Emma ) e Walter Scott, che recensì molto favorevolmente il romanzo.

    5 Sense and Sensibility e Mansfield Park vennero anche tradotti in francese mentre l’autrice era ancora in vita: il primo nel 1815, il secondo nel 1816.

    6 Pat Rogers, The Oxford Illustrated History of English Literature , Oxford University Press, 1987; trad. it. Storia della letteratura inglese , ed. ital. a cura di Paola Faini, vol. II, Dall’età vittoriana ai nostri giorni , Roma, Lucarini, 1990.

    7 M. Skey, Introduzione a J. Austen, Northanger Abbey , trad. it. di Linda Gaia Romano, Roma, Theoria, 1982.

    8 Vedi nota 7.

    9 Si tratta dei due famosi romanzi «sentimentali» di Samuel Richardson, salutati da uno strepitoso successo e parodiati, appunto, da Fielding.

    10 I due romanzi della Radcliffe (pagati cifre record dagli editori: rispettivamente, cinquecento e ottocento sterline) furono pubblicati il primo nel 1794 e il secondo nel 1797.

    11 Questa tesi viene sostenuta anche da Ernest A. Baker, in A History of the English Novel, vol. VI, Londra, H.F. & G. Witherby, 1924-’39.

    12 J. Austen, Northanger Abbey , parte I, cap. VI.

    13 Fino all’inizio del Novecento quasi tutti gli studiosi erano concordi nel ritenere i sette titoli citati (in italiano: Il castello di Wolfenbach Clermont , Misteriosi presentimenti , Il negromante della Foresta Nera , Campana di mezzanotte , L’orfana del Reno , Orridi Misteri ) un’invenzione della Austen. Fu il bibliografo e collezionista Michael Sadler a dimostrarne l’autenticità, in una conferenza pronunciata davanti alla English Association nel febbraio 1927. I Northangher Novels sono stati pubblicati in cofanetto a cura di Devendra P. Varma dalla Folio Press di Londra nel 1968. A questo proposito vedi M. Skey, Il romanzo gotico. Guida alla lettura e bibliografia ragionata , Roma, Theoria, 1984.

    14 Con il romanzo The Castle of Otranto , pubblicato nel 1765.

    15 «Per quanto affascinanti fossero i libri della signora Radcliffe, e per quanto affascinanti fossero anche quelli di tutti i suoi imitatori, non era forse in essi che andava ricercata la realtà della natura umana, almeno di quella delle contee dell’Inghilterra centrale.»

    Prefazione

    Sebbene sia considerata una delle opere minori, e sia anche, stando alla più recente cronologia, una delle prime a essere stata scritta (non inganni la data di pubblicazione, il 1818, sei mesi dopo la morte dell’autrice, perché come ella stessa ci informa in una breve prefazione, il libro era già pronto per le stampe nel 1803 e, secondo la cronologia più probabile, era stato composto negli anni 1798-99), Northanger Abbey non ha assolutamente nulla, né nella struttura formale né nella caratterizzazione dei personaggi e delle situazioni, che la possa far considerare un’opera di apprentissage. Il piglio con il quale la giovane scrittrice (doveva avere tra i ventitré e i venticinque anni all’epoca in cui scrisse Northanger Abbey e, sembra, aveva già abbozzato una prima stesura del suo capolavoro, Pride and Prejudice, nota con il titolo di First Impressions e oggi totalmente perduta) affronta e organizza i suoi materiali narrativi, la pertinenza del linguaggio, l’essenzialità stringente dei dialoghi – già di consumata maestria – e l’equilibrio di questi ultimi con le parti descrittive e di riflessione, tutto concorre a costituire un’opera matura, della stessa qualità, oseremmo dire dello stesso rango, delle opere più universalmente note della Austen, quali il già citato Orgoglio e pregiudizio o Emma.

    Certo, in Northanger Abbey certe durezze non si sono ancora del tutto smussate, certe perorazioni, ancorché giocate sul filo dell’ironia, non sembrano ancora aver del tutto imboccato la via del sereno distacco – si vedano, ad esempio, nel V capitolo del I volume, l’accorata difesa del romanzo e del mestiere di scrittore di romanzi: «...non adotterò infatti quell’abitudine ingenerosa e impolitica, così comune tra gli scrittori di romanzi, di denigrare con la loro sprezzante censura quelle stesse opere il cui numero essi stessi stanno accrescendo, unendosi ai loro peggiori nemici nello stigmatizzare con i più roventi epiteti quelle opere stesse e raramente permettendo perfino che siano lette dalla loro stessa eroina che, se accidentalmente prenderà in mano un romanzo, sicuramente ne sfoglierà le insipide pagine con disgusto. Ahimè! se l’eroina di un romanzo non è sostenuta dall’eroina di un altro romanzo, da chi mai potrà aspettarsi protezione e rispetto? Non posso approvare un simile comportamento. Lasciamo che i critici letterari sparlino a loro piacere di queste effusioni della fantasia e all’uscita di ogni nuovo romanzo esercitino i loro vieti motteggi sul ciarpame che fa gemere i torchi. Non abbandoniamoci l’un l’altro: siamo un solo corpo ferito. Sebbene le nostre produzioni abbiano fornito piacere assai più vasto e costante di quanto non abbia fatto quasivoglia altro genere letterario al mondo, nessun’altra composizione è stata mai altrettanto denigrata. Per superbia, ignoranza, moda, i nostri avversari sono quasi altrettanto numerosi dei nostri lettori. E mentre l’abilità del novecentesimo scrittore d’un compendio della Storia d’Inghilterra o di colui che raccoglie e pubblica in un volume qualche dozzina di versi di Milton, Pope e Price, un articolo dello Spectator e un capitolo di Sterne viene elogiata da un migliaio di penne, sembra che sia universale desiderio denigrare le capacità e sottovalutare la fatica del romanziere disdegnando opere che si raccomandano solo per intelligenza, spirito e buon gusto» (V cap. vol. I, p. 39); o certe considerazioni moraleggianti sparse qua e là, come quella sugli abiti e le acconciature del X capitolo del I volume: «...Cosa indossare e come acconciarsi i capelli per l’occasione divenne il suo pensiero dominante, e in ciò ella non può trovare giustificazione alcuna. In ogni occasione gli abiti sono un modo frivolo di distinguersi e spesso un’eccessiva cura per l’abbigliamento è addirittura controproducente. Catherine lo sapeva benissimo: la prozia le aveva letto, il Natale precedente, un passo che lo spiegava con chiarezza. Nonostante ciò ella rimase sveglia, mercoledì notte, incerta tra la mussolina a pois e quella ricamata; e solo la mancanza di tempo le impedì di comprarsi un abito nuovo per la serata. Sarebbe stato un grossolano errore di valutazione, sia pure non raro, dal quale una persona dell’altro sesso, un fratello, piuttosto che una prozia, l’avrebbe potuta mettere in guardia, perché solo un uomo è consapevole dell’insensibilità degli uomini nei confronti degli abiti nuovi. Sarebbe mortificante per i sentimenti di molte signore sapere quanto poco il cuore di un uomo è toccato da ciò che c’è di costoso o di nuovo nel loro abbigliamento, quanto poco è toccato dalla qualità della loro mussolina e quanto scarsamente incline sia a una particolare tenerezza verso la mussolina a pois, piuttosto che quella a fiori, verso la garza di cotone piuttosto che verso la giaconetta...» (cap. X, vol. I,pp. 64-65).

    Ma di tali peccati veniali non ce n’è molti in Northanger Abbey, e siamo ben lontani dalle pur amabili esercitazioni di Love and Friendship (sic): quella sì opera di apprentissage ancorché – è Virginia Woolf a dircelo nel suo saggio «Jane Austen fa i suoi esercizi» – già in quelle prime pagine destinate solo al divertimento suo e dei suoi fratelli e non certo alla pubblicazione, «...tutto quello che [Jane Austen] scrive è rifinito e pulito e posto nella giusta relazione con l’universo come un’opera d’arte... Mai, nemmeno all’emotiva età di quindici anni, scrisse qualcosa per un suo senso di colpa, e in uno spasimo di pietà cancellò un sarcasmo, o lasciò impreciso un contorno in una nebbia rapsodica... Sta solo canticchiando tra sé un motivetto, provando alcune battute della musica di Orgoglio e pregiudizio e di Emma. Ma noi sappiamo che non c’è nessun altro capace di cantare in quel modo. Non occorre neppure che alzi la voce. Ogni sillaba ci giunge nettamente distinta attraverso le porte del tempo. E qualunque cosa si possa dire sul suo genio e suoi suoi cugini e su Mansfield Park, per noi è sufficiente rimanere ad ascoltare tutto il giorno Jane Austen che fa i suoi esercizi» ¹.

    In Northanger Abbey forse l’attizzatoio cui fa riferimento una conoscente per definire Jane Austen (la definizione è riportata da Virginia Woolf in un altro dei suoi preziosi saggi sulla scrittrice, quello intitolato «Jane Austen» e pubblicato nella prima serie del Common Reader) è più evidente che altrove: «...finché Orgoglio e Pregiudizio non dimostrò la preziosa gemma che si nascondeva in quel rigido astuccio, il suo posto in società non era molto più riguardevole di quello di un attizzatoio o di un parafuoco... Ma ora la cosa è molto diversa... essa è sempre un attizzatoio, ma un attizzatoio di cui tutti hanno paura... Un bello spirito, una disegnatrice di caratteri che però non parla, è veramente qualcosa che fa paura» ². Una certa rigidezza dunque, una certa essenzialità da teorema che non indulge ad abbellimenti, un’ironia non sempre totalmente serena che in taluni momenti si trasforma in satira, pur senza assurgere mai al ruolo di invettiva, sono le caratteristiche più evidenti di Northanger Abbey.

    Ironia su che cosa? In primis, sul romanzo sentimentale allora tanto in voga – quello alla Richardson, per intenderci; poi sul romanzo gotico e sulla sua massima rappresentante, Ann Radcliffe. Ma soprattutto ironia su Bath, sui suoi rituali sociali, sulle sue mode, sulle sue strade (che già da sole potevano fornire indicazioni sul censo e sullo status sociale di chi vi abitava), sulle fanciulle in cerca di marito alla cui schiera, stando alle dichiarazioni di una vicina di casa degli Austen ai tempi in cui abitavano a Steventon, una tal signora Mitford, contestate peraltro dal nipote e biografo della Austen, J.E. Austen Leigh, anche Jane Austen aveva appartenuto («la più carina, la più sciocca e più affettata farfalla in cerca di marito», pare l’abbia definita).

    Bath, all’epoca descritta in Northanger Abbey, verso la fine del Settecento cioè, era centro di mondanità e di eleganza: secondo, in Inghilterra, solo a Londra. Beau (Richard) Nash vi era stato maestro delle cerimonie nei primi decenni del secolo, lanciando la cittadina termale (già nota al tempo dei Romani) con l’organizzazione di seasons assai brillanti per intrattenimenti e presenze altolocate. Ne aveva promosso anche il rinnovamento urbanistico che, grazie a due architetti entrambi di nome John Nash, padre e figlio, aveva reso la città, con l’edificazione di splendide piazze e passeggiate, uno degli esempi più alti di architettura neoclassica. Bath, quindi, nonostante verso la fine del secolo XVIII abbia risentito della concorrenza di altre stazioni termali e balneari in ascesa e non sia più al suo culmine, è il luogo ideale per fungere da scenario al viaggio iniziatico della protagonista di Northanger Abbey: Catherine Morland, una fanciulla poco più che adolescente di buona famiglia che, lasciata la casa paterna in un villaggio del Wiltshire per un soggiorno di qualche settimana tra le mondanità di Bath, vi incontra nuove amicizie, corteggiatori, divertimenti e il signor Henry Tilney, un giovane gentiluomo che le fa palpitare il cuore. Il padre del giovane invita Catherine a trascorrere qualche settimana con la sua famiglia, di cui fa parte anche una figlia, una gentile fanciulla di nome Eleanor con cui Catherine stringe una bella amicizia, nella loro dimora avita, l’Abbazia di Northanger. Tilney padre crede che Catherine sia più ricca di quanto è in realtà, ed è per questo che la copre di gentilezze interessate vedendo in lei una possibile futura nuora. Catherine, all’oscuro dei piani del padre, un generale piuttosto collerico ed egoista, ma ben contenta dell’invito per la gioia di stare con l’amica Eleanor e soprattutto con Henry, li segue a Northanger. Ma non è solo dagli affetti che è attratta in quel luogo: il nome stesso di Abbazia risveglia in lei sensazioni e ricordi di letture appassionanti – quei romanzi gotici, The Mysteries of Udolpho di Ann Radcliffe innanzi tutto, che sono stati il pane quotidiano della sua fantasia hanno tutti per sfondo un castello o un’abbazia – e le crea sospetti e curiosità che solo l’arguzia realistica di Henry riuscirà a smontare. Seguono peripezie varie, durante le quali la povera Catherine, di cui il generale ha scoperto la relativa povertà, viene cacciata da casa e fa ritorno da sola (ma quale audacia per una giovinetta diciassettenne, sullo scorcio del Settecento), in sedia di posta, alla casa paterna. Qui Henry la raggiungerà, le offrirà la sua mano e il generale, finalmente ammansito, permetterà il matrimonio.

    Una trama esile, è stato detto da molti, ma certo non più esile di quelle degli altri romanzi della Austen, rigorosissima a non trascendere mai il campo circoscritto d’azione che si era scelto e che era quello di cui aveva diretta conoscenza. «Conversation pieces», ha definito i suoi romanzi Mario Praz: «non per ridurre l’opera della Austen a un quadro di costumi, non per invitare il lettore a sfogliarla come un curioso figurino di mode abolite... Gli ambienti che si vedono riprodotti nei ritratti di famiglia posson dare immagine di quello in cui la Austen visse la sua breve vita e scrisse la sua opera, non copiosa, ma partecipante della qualità di tutte le cose che la circondavano: qualità schietta, senza falli e magagne. Un carattere uguale di efficienza e di eccellenza distingue le sue pagine non meno che le suppellettili intorno, sobri mobili, solidi argenti. La cosa che anzitutto ci colpisce è la perfetta urbanità delle maniere e delle conversazioni che Jane Austen ci riporta: se quei ritratti di famiglia potessero avere un parlato, ecco quale sarebbe. Alla casistica delle belle creanze corrisponde la casistica dei sentimenti». ³

    E la casistica dei sentimenti in Northanger Abbey è certamente semplice ed essenziale, ma netta e nitida nei contorni come un’incisione, pur senza essere per nulla elementare.

    ELENA GRILLO

    1 V. Woolf, «Jane Austen fa i suoi esercizi», in New Statesman , 15 luglio 1922; trad. it. in V.W., Le donne e la scrittura , La Tartaruga, Milano, 1981, pp. 105-110.

    2 V. Woolf, «Jane Austen», tr. it. in Per le strade di Londra , Il Saggiatore, Milano, 1981, pp. 41-51.

    3 M. Praz, Storia della letteratura inglese , Firenze, Sansoni, 1979, pp. 405-406.

    Nota biobibliografica

    CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE

    1775. II 16 dicembre, a Steventon nello Hampshire, nasce Jane Austen, settimogenita del reverendo George Austen, pastore del luogo, e di sua moglie, Cassandra Leigh.

    1784-86. Frequenta, insieme alla sorella maggiore Cassandra, la Abbey School di Reading.

    1795. Scrive Elinor and Marianne, prima stesura di Sense and Sensibility.

    1796. Scrivere First Impressions che diventerà Pride and Prejudice (lo finirà nell’agosto del 1797).

    1797. Inizia a scrivere la stesura definitiva di Sense and Sensibility.

    1798-99. Scrive Northanger Abbey (inizialmente l’opera è intitolata Susan).

    1801. A causa del ritiro del reverendo Austen dalla sua attività ecclesiastica, la famiglia si trasferisce a Bath, dove la scrittrice ambienterà alcuni dei suoi romanzi.

    1805. Muore il reverendo George Austen. La Austen scrive The Watsons e Lady Susan (opere ambedue incompiute).

    1807. La famiglia Austen si stabilisce, con grande gioia di Jane, che detestava Bath, a Southampton.

    1809. La famiglia si trasferisce a Chawton, nello Hampshire, in una casa di proprietà del fratello Edward.

    1811. Inizia a scrivere Mansfîeld Park. Pubblica Sense and Sensibility.

    1813. Viene pubblicato Pride and Prejudice. Seconda edizione di Sense and Sensibility.

    1814. Inizia a scrivere Emma. Pubblica Mansfield Park.

    1815. Inizia a scrivere Persuasion. Pubblica Emma e, in Francia, Sense and Sensibility con il titolo Raison et Sensibilité.

    1816. Seconda edizione di Mansfield Park che esce in Francia, nello stesso anno, con il titolo Le Parc de Mansfield. Viene pubblicato in Francia anche Emma, con il titolo La nouvelle Emma.

    1817. Inizia a scrivere Sanditon ma, a causa della malattia che la porterà alla morte, non lo terminerà. Il 18 luglio muore a Winchester, dove si era recata, assieme alla sorella Cassandra, per tentare di curare la sua malattia (forse una forma del morbo di Addison). E sepolta nella Cattedrale. In dicembre, il fratello Henry cura la pubblicazione del volume contenente Northanger Abbey e Persuasion, e per la prima volta sul frontespizio compare il nome dell’autrice.

    BIBLIOGRAFIA

    L’edizione critica delle opere

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