La prigionia della tua levità
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La prigionia della tua levità - Stefano Falotico
abissale.
1. La fuggevole notte d’ogni tua gioia e delusione da bellissima donna solitaria
Che anno fu? Il 2017, credo.
Debbo con me stesso scusarmi se la mia memoria gravemente difetta, giacché ora son arrugginito nella lucidità mia che un tempo fu infallibile e cristallina. Adesso invero, nell’opalescenza annebbiante della mia decadente esistenza, è precipitata nel torpore d’una senile, candida evanescenza.
O forse sto vaneggiando, solamente stanco e atterrito da questa funebre storia assurda che tanto mi costernò d’avermi così adombrato addirittura nella smemoratezza di chi sia io davvero. Immobilizzandomi nel tempo presente forse insincero. Ah, ho una brutta cera.
Sì, non sono un vecchio ma un giovane ancora baldanzoso e aitante e pimpante, o almeno lo fui sino a ieri. Quando appresi una notizia per me allucinante, indelebilmente mortificante.
Lei è morta, è stata assassinata dal suo rapitore dopo che, presa di mira e vigliaccamente rapita com’ostaggio, nella notte della sua misteriosa sparizione, fu segregata e ammanettata nel covo di tal mostro divorante la sua verginità dell’anima.
Che l’imprigionò nell’antro delle sue mostruose perversità, nella spettrale, agghiacciante tetraggine della sua disumanità terrificante.
Lei è morta e non più tornerà. Agguantata in una notte in cui, spensierata, stupendamente graziosa, casta e irraggiungibilmente bellissima, stava passeggiando lungo il viale alberato d’un desolato parco.
Fu la notte del 23 Settembre 2017. Sì, l’anno è questo.
Perfettamente, adesso ricordo con esattezza impeccabile.
E, specchiandomi qui in bagno, scorgo il mio volto, addivenendo subitaneamente, dopo la mia trascorsa notte di forte, sconvolgente ubriachezza, alla mia reale età.
Sì, sono giovane. Giovane ma più vecchio di lei solamente di un anno.
Lei ieri è morta all’età di ventinove anni. Mentre io trent’anni li ho compiuti soltanto qualche mese fa.
Ma cos’avvenne quella notte nella quale, scivolando lei docile nel buio più apparentemente innocuo, fu aggredita da torvi, osceni balordi?
Lei, nella sua fierezza spensierata da ninfa solitaria, lei già precocemente adombratasi nel mutismo d’una tarda adolescenza incompresa. Poiché fu sempre così bella che, sin dai quindici anni in poi, nella notte delle sue ansie sterminate, cogitabonda, vagò nel delirio della sua solitudine fortificata solo da speranzosi, radiosi sogni tanto radiosamente liberi quanto cupamente melanconici, perdendosi nella più irreale trasfigurazione onirica d’una realtà a lei ostile.
I sogni di quell’età senza tempo in cui l’anima, per timore d’essere ferita, raggelata e al contempo in sé stessa calorosamente ripiegata, cammina a passo di danza nell’alta beltà di chimere eterne apparentemente infrangibili.
Ove se sei una principessa, nel tepore del suo segreto giardino fiorito di splendide e soavi illusioni non ancora sfiorite, balli di candore bello nel vento caldo che accarezza ogni fredda angoscia, ti lustri le vene con le interiori emozioni più vere e perciò, per paura che vengano sfidate e ferite, sabotate e mortificate, mai davvero si slanciano, paradossalmente, spensierate e gioiose, nella vita reale che per noi tutti dovrebbe essere magicamente armoniosa. La vita di quasi tutti è così bugiarda e assediata da traumi ferini, asfissiata dall’incalzante, latente e incombente presunzione altrui crudele così imbattibile da stremarci in solitudini e pianti inestinguibili.
Con tante fiorenti, viventi ma forse già frenate giovinezze che, pur di spezzare la temerarietà tonante d’una sessualità sbocciata o perlomeno non ancora corrotta e naufragata nell’oceano delle adulte perdizioni, non ancora maciullata dal putiferio chiassoso delle cattive coscienze indomitamente ricattatorie, s’isolano nel loro perturbato mondo, mestamente. Come te, mia stella raggiante che, proteggendoti nella cautezza leggera della tua amabile, sognante malinconia, avvolgendoti nella virginale purezza d’una castità inviolata che baciò la rigogliosa aurora dei più floridi, stupendi pensieri, ti celasti nella tetraggine delle tue angosce opprimenti. Ammantandomi di superbo fascino altero e investendomi d’immane desiderio nel mio vagheggiarti dolcemente, avvolgendomi nell’aura magnetica del tuo magnifico, segretissimo mistero