Il cavaliere di Madrid
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Book preview
Il cavaliere di Madrid - Stefano Falotico
Indice
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
XI
XII
XIII
XIV
XV
XVI
XVII
XVIII
XIX
XX
Il cavaliere di Madrid
di
Stefano Falotico
Copyright © 2017 Stefano Falotico
Immagine di copertina by Mala Spina
ISBN: 9788892679184
Youcanprint Self-Publishing
Docili, c’acchetammo per un’altra via solitaria, forse solare, forse invece cupissima allo scagliarsi tetro di un’avventura che travolti c’avrebbe in una lotta sfrenata contro la cupidigia feroce di uomini disossatori della speranza. Lasciammo Dora lì a Berlino, con l’augurio che nessuno più la sua purezza avrebbe violato. E, se ci fossero stati altri problemi, in suo soccorso, come la prima volta, saremmo accorsi, noi e Clint, cavaliere intrepido che sfuggì alla prigionia di Alcatraz, evase dal manicomio parigino, combatté accuse infamanti in quel di Londra, vinse l’ingiusto omicidio a San Pietroburgo e fece appunto risorgere la vita della splendente Dora nella città capitale di Germania che per anni fu orribilmente lesa da quella parete
divisoria d’un muro nazista. Noi, cavalleggeri di rinomate acutezze mentali, corridori negli anfratti neri delle colpe da noi scagionate per volontà supreme del voler vivere al di là degli stigmi e dei patimenti che l’uomo ignobile, per sue crudeltà efferate, perpetra e sempre infliggerà agl’innocenti, mordendoli nelle lor interiora invece che vivide devon essere e risonar tuonanti nel frastuono della vita, in questo caos di vita che Dio ci donò in grembo
della nostra natura fallacemente (dis)umana. Giammai estinti, uomini di coriacea possanza nella vastità delle entropie, soggiogati da infernali danze con gli abomini e osservatori dei precetti divini laddove squilla
la bellezza ancor da restaurare d’un mondo spesso fratricida e pugnace nel dar da maiale il male, scellerate sofferenze e imprimere marchi dolenti alla nostra pelle d’anime libere. Approdammo, dopo tanto altro fluttuante navigare, così come navigante è l’altalena ondosa dei (ri)cor(d)i, a Madrid, metropoli densa di spagnole ansietà, ribollente d’un altro crimine obbrobrioso che io, spero con saggezza, vi narrerò. E Clint era ancora con noi.
Quante ne abbiam passate e sorpassato eventi tragici... Ad Alcatraz, vi ricordate? Fummo preda salvifica d’un miracolo, la scaturigine divina d’una profezia avveratasi che scolpì le nostre forze in ribelle e bellissima evasione. Acciuffammo quei demoni nazisti poi di Parigi per le corna delle lor torture. Giungendo a San Pietroburgo, ove un nostro amatissimo fratello fu barbaramente ucciso da un infingardo traditore che ruppe prima di tutto il patto di fedeltà con l’Altissimo. Immacolata fu la vendetta, perché lui si suicidò, lui che sudicio aveva sporcato una purezza da lui scelleratamente infestata. E quindi Londra l’accusatrice e una macchinazione complottistica per ucciderci. Con qual potenza sempre di Dio ci scagionammo scappando nei pugni tonitruanti dei muscoli più accecanti. E ancora Berlino...
Noi qui siam volati alla volta di Madrid, città come tutte peccaminosa, ove da narratore vi racconterò quel che accadde, e serbo nella mia memoria dei posteri.
Ma noi in fondo chi siamo? Eclissatici nelle notti fosche, foriere di speranza in quest’agonico mondo infame che spella e disossa, che infrange gli uomini nati liberi, castigando le lor principesche esistenze idealistiche, sognatrici di un mondo che non scremi più fra bianco contro nero la beltà che dovrebbe esser serena della bellezza stessa, spesso così inquinata, infangata, inimicata persino da chi, abbruttendo la creatural magnificenza della natura nostra servitaci da un Dio straordinario, la punisce sacrificandola nella sua visione crudelmente oscena.
Noi, combattenti della fede, schierati nella battaglia al valor più romantico e giammai retorico della rilucenza immaginifica della vita che si propugna al(a)ta. Viviamo di espedienti, c’arrangiamo come possiamo e non ci spossiamo. Alla misericordia ci sposiamo.
Rimembra, caro Clint, quel che passasti, gli orrori che vedesti, la luce farsi oscurità, il tempo tuo speranzoso farsi notte buia, e ancor ricordi...
Alcatraz, prigionia salvifica e quel nano che t’illuminò, l’evasione che squagliò
i malefici cattivi, quel direttore infilato nel retto e appeso per le palle. Prigione, punizione, castigo delle innocenze. E ancora Parigi, con le sue punture e le sue farmacologie
che anziché esser curative illanguidivano tristemente i nostri sorrisi, tumefacendo la beltà e mortificandola nel bagno di anime castrate per squallida avidità del pensiero omicida e nazista. Poi ancora quella disdetta
a San Pietroburgo, la colpa che però s’insinuò nel cuor arido e già spento del traditore, la vendetta più punitiva perché trasmessa per purezza che lui non doveva scalfire né violare. E volammo
a Londra. C’accusarono, o meglio accusarono te Clint, per chissà quale assurdo disegno. Ma anche lì ce la cavammo. E non disperammo, giungendo forti a Berlino. Altro orrore vedemmo e lo combattemmo.
Ora, a Madrid...
1.
L’entrata in città
Entrammo in una porta laterale del vecchissimo quartiere, prima sorseggiando delle bevande in una locanda chiamata Il buon pastore. Locanda di avventori caldi
, saggiamente distribuiti nel loro alcol, singhiozzato con la "suspense di chi sai che può scoppiar, rissaiolo, in un nanosecondo. Una sana bevuta,
intrepida" oserei dire, ben da noi deglutita. E quindi c’immergemmo in Madrid, culla della civiltà cattolica, debordante in un cristianesimo laico da far accapponar la pelle e irrigidire la nostra religiosità in pose nostre quasi spaventate da tanta grondante storia. Sembrava un quartiere spuntato fuori da un gioco di ruolo fantasy, con guglie barocche castellanti
in pietra scolpita nel tempo marmoreo della