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Ritorno a Skiathos
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Ritorno a Skiathos

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Benni Delproposto atterra a Skiathos per una vacanza. Frequenta l’isola greca da dieci anni e l’emozione per questo ritorno gli fa ricordare la prima volta, quando ci è venuto con Laura, sua cara amica.

Stavolta, però, avrebbe voluto festeggiare la fortunata decade con tutta la compagnia – Helmut e Wolfgang che conosce dai tempi in cui lavoravano insieme, Stefano produttore di documentari e, naturalmente, Laura – ma nessuno è potuto venire. Tranne Anna – amica da una vita che lui vorrebbe, forse, come fidanzata – che avrebbe dovuto essere lì con lui, se non le fosse capitato un vernissage in una nota galleria di Atene. Una occasione per lei che si occupa d’arte, anche se per campare è costretta a fare traduzioni. La promessa: raggiungerà Benni dopo due giorni.

Arrivato sull’isola la sera cena nella sua taverna preferita, dopo, passeggiando per il centro affollato di turisti incontra Kore – che ha già notato in albergo – una ragazza greca che lavora per un tour operator tedesco.

Tra una mail alla Betti – sua impiegata che con José manda avanti l’attività di produzione, commercializzazione e consegna a domicilio di lettiere per gatti – e un sms a Laura (che lavora come trader in una banca d’affari), il protagonista si destreggerà tra Horst e Helga, una coppia di tedeschi, la bella Kore e il ritardo cronico di Anna.

In un Paese segnato dalla crisi, un uomo circondato da donne, guai e tensioni politiche alla ricerca di un equilibrio sentimentale.
LanguageItaliano
Release dateMay 26, 2014
ISBN9786050305685
Ritorno a Skiathos

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    Ritorno a Skiathos - Andrea Campagnoli

    (1939)

    1

    Non sarei mai andato in Grecia se non mi ci avesse portato una mia amica di Milano che conosco da oltre vent’anni.

    Nei pressi di Brindisi l’aereo virò a est e attraversò l’azzurro del canale d’Otranto per imbucarsi nelle prime foschie sopra l’Albania. Accanto a me sedeva Laura e io potevo solo vedere dal finestrino le nubi diventare sempre più compatte e trasformarsi in cumulonembi, forse a causa della vicinanza con il monte Olimpo che era lì giù, cinque o seimila metri più in basso. Gli dei dovevano essere davvero imbronciati a giudicare dall’accoglienza che ci stavano preparando, perché anche dopo l’annuncio del comandante di prepararsi all’atterraggio, continuammo a ballare, cosa che – non avendo più volato da diversi anni – mi creò qualche scompenso cardiaco, mentre Laura, che amava scorrazzare per i cieli, se la stava godendo alla grande.

    Non ancora contagiato dalla sindrome delle previsioni meteo, ero piuttosto perplesso quando, dopo una picchiata con un’ampia virata verso ovest, siamo sbucati dall’ovatta grigia e l’isola mi è apparsa per la prima volta circondata da un mare color piombo e per nulla baciato dal sole. Siamo atterrati a poche centinaia di metri dalle case con una gran frenata di motori e rumori di carrelli su una pista circondata da piccole colline coperte di arbusti ed erba giallastra e da edifici più somiglianti a baracche che ad abitazioni. Lungo i finestrini correvano le gocce, ma quando l’hostess, poco prima che scendessimo la scaletta, con un sorriso e un tono un poco ironico, ci ha augurato buona vacanza, ho capito che non era uno scherzo e che si trattava di un vero nubifragio. A quei tempi l’aeroporto non era stato ancora ampliato e la distanza da percorrere di corsa era di poche decine di metri.

    Oggi il volo è monotono perché, come previsto, non ci sono perturbazioni in giro per i cieli e i pochi cumuli sparsi sono quelli del bel tempo. L’aeromobile ronza rumoroso senza nemmeno un’oscillazione che possa allietare l’attesa. Laura non è qui con me, ma io ho almeno avuto la fortuna di sedere vicino al finestrino e così posso guardare giù, dove le brulle colline solcate da sottili linee gialle di strade sterrate scorrono sotto le ali. Sorvoliamo chissà a che latitudine la Grecia, perché cerco invano l’Olimpo. Ma è meglio stargli a distanza. Da quel che si sente dire, gli dei sono più incazzati del solito, e di sicuro ciò non ha a che fare con il fatto che sto viaggiando da solo.

    Manco dall’isola da tre anni – troppi – e la voglia di tornarci era già grande prima di partire, adesso che manca una mezz’ora all’atterraggio non vedo l’ora di liberarmi di questo freddo condizionato e di respirare l’aria calda che sa di macchia mediterranea arrostita. L’idea di festeggiare i miei primi dieci anni da turista qui, mi ha fatto venire in mente di invitare tutti gli amici più cari a trascorrere insieme con me questa vacanza. Quell’idiota del mio ex collega Dolly, avrebbe usato l’espressione condividere, una parola che odio profondamente, perché lascia intendere che ci si debba amare così tanto, da ingoiare qualsiasi ingiustizia.

    Mi dispiace di non essere riuscito a mettere insieme la comitiva. Helmut mi ha detto subito: Oh no, io sono svevo, sono abituato a temperature sotto lo zero anche d’estate e lì fa troppo caldo per me. Lui è svevo e per questo, oltre che essere spilorcio, in verità solo con se stesso e non con gli amici, trascorre le vacanze a casa sua, lassù nelle Alpi Sveve, in mezzo a valli strette da montagnole verdi che non superano i mille metri di altitudine. La maggior parte dei tedeschi fa così nei periodi di crisi, anche se, come dice Wolfgang, non sono più quelli di una volta e ormai se ne fregano. In realtà per loro non esiste la crisi, perché, ligi alla legge sulla parità di bilancio e prevedendo tempi difficili, hanno già fatto da anni manovre economiche che da noi si farebbero soltanto se l’Italia fosse sulla luna e sotto la minaccia di scivolare nella Fossa delle Marianne.

    Solo una donna avrebbe potuto smuovere Helmut a scendere a valle e a raggiungere un luogo così caldo. L’ultima era una punk che è stata arrestata per detenzione di droga e guida in stato di ebbrezza. A onor del vero non stava guidando, ma sedeva in qualità d’istruttrice accanto a un allievo. Quando la polizia li ha fermati a sirene spiegate, lei lo stava strangolando, perché non si era fermato per far passare una vecchietta appena uscita da un negozio e che forse si sarebbe avvicinata alle strisce pedonali per attraversare. Così Helmut a proposito di quanto gli aveva raccontato Brigitte, che era la pazza che ai tempi stava con lui e lo trascinava in ogni sorta di avventure disgraziate. Infatti, con lei era stato a queste latitudini, nonostante il caldo.

    Il no di Wolfgang è stato perentorio, ma me lo aspettavo. Da quando vive laggiù, viene solo raramente in Europa e non certo per andare su un’isola greca. Nulla contro la Grecia, ma vivendo ai Caraibi, non è molto motivato. Ci vediamo a Milano a dicembre. Altrimenti perché non vieni tu qui? L’offerta mi allettava, però ho nostalgia della mia isola e due ore di volo sono già troppe per il mio carattere, figuriamoci più di otto. Wolfgang mi manca molto, ma ci sentiamo quasi tutti i giorni via computer e i suoi preziosi consigli da asso delle vendite, mi sono sempre utili. Senza il suo aiuto, non avrei certo avuto tanto successo con il nuovo articolo che ho lanciato qualche mese fa sul mercato.

    Devo assolutamente ricordarmi di telefonare a Stefano per il video promozionale che mi deve girare. Per difendermi dalla fottuta concorrenza ho bisogno di raggiungere una clientela più ampia. Le conseguenze mi terrorizzano, ma fino ad ora ho sempre centrato l’obiettivo: raddoppiare le vendite e triplicare i profitti. Ho detto a Stefano che una vacanza a Skiathos sarebbe stata una buona cosa, ma lui ha in ballo un documentario da girare proprio in queste settimane e perciò non è potuto venire. Gli dispiaceva, perché era stato in Grecia più di vent’anni fa e sarebbe tornato volentieri con la sua nuova amica. Non so come si chiama. Me l’ha detto, ma io sono sempre fermo a Francesca, che ho visto una volta a cena, ma oltre quindici anni fa e non è più attuale. Io sono un tipo un po’ distratto. A volte non ascolto nemmeno quel che mi si sta dicendo o ascolto soltanto una parte, perché poi mi perdo nei miei pensieri. Finisce poi che non mi ricordo o, peggio, che m’invento le cose.

    Lui, invece, ha molta più memoria di me e si ricorda l’ora e il giorno del suo primo bacio a una ragazza. Naturalmente non manca di festeggiare con lei tutti gli anni. Direi che potrebbero tranquillamente essere passati quarant’anni da quel giorno, ma la cosa non mi riguarda, anche se un pizzico d’invidia la provo; beninteso per la sua caparbietà nel ricordare e festeggiare quell’avvenimento e non certo per le sue numerose fidanzate. Questo è, almeno, ciò che vorrei far credere anche a me stesso.

    Sinceramente pensavo che almeno lui sarebbe venuto, ma anche la libera professione ha i suoi lati negativi. Io sono più fortunato, perché non lavoro da solo, ciò che mi consente di fare una settimana di vacanza. Mi spiace per Stefano, perché ci saremmo divertiti. Lui è molto più intraprendente di me. Ci siamo conosciuti, quando ancora non faceva cinema, ma si occupava di musica. Una sera mi telefonò un mio ex compagno di scuola che, per pagarsi gli studi di fisica, si era trovato un lavoro come traduttore simultaneo per una cantante italiana che lavorava in quel periodo in Germania. Mi chiese se potevo sostituirlo a Milano, dove lei doveva incidere un disco prodotto però dalla sua casa discografica tedesca. Ero un po’ perplesso, ma mi allettava l’idea di guadagnarmi qualche Lira e di conoscere una cantante famosa. Così incontrai Stefano che era l’assistente del produttore italiano, mentre quello tedesco parlava piuttosto bene la nostra lingua, per cui la mia presenza fu inutile. Fu Stefano a togliermi d’imbarazzo e a invitarmi a una seduta di registrazione. Io accettai e facemmo amicizia.

    Laura invece era la più rammaricata di tutti, per non essere potuta venire. Mi avrebbe seguito anche nell’albergo che abbiamo deciso di scegliere e che non è il nostro solito cinque stelle. Lei sostiene che, se si voglia trascorrere una sola settimana al mare, bisogna almeno soggiornare in un albergo come si deve, soprattutto in Grecia, dove non sempre gli standard sono paragonabili a quelli italiani. Un anno è andata a Creta e ha dormito con la sua amica in una stanza che era completamente perlinata. È vero che il legno ha bisogno di minor manutenzione rispetto a un muro e che protegge dal freddo, ma a fine giugno con più di trenta gradi non è il massimo, nemmeno con l’aria condizionata.

    Per venire incontro ad Anna, che ha sempre problemi di budget, sono riuscito a convincere Laura a prenotare un albergo a tre stelle. Lo conosciamo per averlo visto ogni volta che si andava in città con il torpedone municipale. È dotato di una bella piscina circondata da un prato ben curato, ma certo non è un albergo a cinque stelle. Ho provato a offrire ad Anna il soggiorno più agiato, ma lei non ha voluto assolutamente sentirne parlare. Laura aveva storto il naso e protestato. Anche lei era disposta a metterci la differenza per Anna che in fondo è la sua più cara amica, ma non c’è stata discussione. Lei, che sa quanto è testarda e orgogliosa Anna, si è lasciata convincere e sono sicuro che sarebbe venuta al Vasilis Poolbar per far piacere soprattutto a me.

    Purtroppo ha dovuto rinunciare, perché il suo capo ha ritenuto la situazione dei mercati troppo precaria e pericolosa per concederle la vacanza. La crisi Greca e il pericolo in cui si trova l’Eurozona continua a influire pesantemente sullo spread. Perciò ha dovuto disdire la camera e rimanere davanti ai suoi schermi ad acquistare e vendere titoli di stato. Se lo sentiva, perché già tre mesi fa, quando abbiamo prenotato, diceva che aveva una nostalgia terribile di Skiathos, ma che preferiva non pensarci. Chissà se riuscirò a rivederla quest’anno. Era stata la frase che aveva buttato lì a mezza voce e che io avevo fatto finta di non sentire.

    Ora l’aereo sta virando verso destra ed eccola lì la mia isola verde, ricoperta di pini marittimi, eucalipti e ulivi che si confondono nel resto della macchia mediterranea. Vedo il bellissimo albergo con la spiaggia, dove mi ha portato per la prima volta Laura e dove a questo punto andrei volentieri, se non fosse per Anna. L’acqua è meravigliosamente blu oltremare, colore dell’Egeo. Ecco le isolette, poco più che dei grossi scogli, e quella grande di Tsougria situata proprio davanti alla cittadina di Skiathos, dove sono stato solo una volta. Magari dopodomani ci vado.

    I passeggeri si stanno agitando, un po’ per l’atterraggio e un po’ per la vista che è incoraggiante. Adesso siamo sempre più bassi e sembra di atterrare all’Idroscalo che qui è la grande insenatura del porto nuovo, dove attraccano anche i traghetti provenienti dalla terra ferma. Eccole le auto ferme al semaforo e con un ultimo balzo l’aereo tocca terra. Il comandante inizia immediatamente la frenata, per non finire oltre la pista di atterraggio giù sulla spiaggia di Xanemos. Qualcuno applaude, felice di essere ancora vivo.

    Raggiungiamo il piazzale, dove al massimo ci stanno due aerei di queste dimensioni. Guardo fuori e non vedo il mio amico caposcalo che a quanto pare è sostituito da una donna bella robusta che indossa una cuffia antirumore e un giubbotto verde limone. A grandi gesti fa capire al pilota che può spegnere i motori. I mie concittadini, che spero di rivedere soltanto al ritorno, sono già in piedi e ora aspettano. Lo faccio anch’io standomene seduto ad ascoltare la mia musica. Sono più impaziente di loro, perché so già che cosa mi aspetta e soprattutto ho fretta di andare a buttarmi in acqua, anche se purtroppo dal Vasilis Poolbar non è comodo, perché il mare è distante. Mi sacrifico per Anna, come Laura si sarebbe sacrificata per me, più ancora che per la sua migliore amica.

    Finalmente scendo. Sulla scaletta sono investito da una piacevole aria calda che giunto sull’ultimo scalino ha già un che di soffocante, ma so che è l’effetto dell’aria condizionata. Comunque non me ne importa molto, perché è ciò che aspettavo e ora mi riempio i polmoni con la brezza carica di salsedine e di macchia mediterranea. Seguo i miei concittadini verso il portoncino d’ingresso della sala ritiro bagagli. Appena entro sono accolto dai suoni isterici dei cellulari che si stanno collegando con i vari operatori greci, che poi sono due, di cui il più importante sponsorizza anche i nuovi catamarani che fanno servizio tra le isole e la terra ferma. Dovrei riaccendere il mio smartphone, ma non ne ho molta voglia.

    Poi considero che Laura sarà là in tesoreria ad aspettare un mio sms e così scatto una foto della hall e gliela invio. Sento da fuori provenire i rumori dei bagagli scaricati sul nastro che si mette in moto. Non credo ai miei occhi quando vedo che la terza valigia è la mia. Questa volta rinuncio a ogni ritegno e come un selvaggio mi faccio largo e me l’agguanto. Senza perdere altro tempo mi dirigo verso l’uscita, dove cerco il cartello del mio tour operator. Lo tiene in mano una ragazza un po’ paffutella e spettinata che mi accoglie con un sorriso.

    – Lei è il signor?

    – Benni Delproposto.

    Lei mi cerca nell’elenco e poi commette l’ovvio errore di ripetere il mio nome mentre lo depenna. Sarebbe anche giusto, ma poi ripete con poca accortezza e con grossolana educazione solo il mio nome di battesimo, ottenendo una cacofonia disgustosa.

    – Bene signor Benito, benvenuto. Appena uscito c’è un taxi che l’accompagnerà al Vasilis Poolbar. Verso le diciotto passerò per…

    – No, no! – la interrompo. – Lasci stare. La ringrazio, ma vengo qui da dieci anni e può risparmiarsi la fatica.

    Vorrei aggiungere che è meglio se mi chiama Benni, anzi, signor Delproposto, ma mastica una cicca a bocca aperta e io la lascio al suo lavoro dopo averla ringraziata.

    Esco e un signore con la barba incolta e i capelli arruffati mi domanda in inglese, dove sono diretto. Poi mi indica il taxi che mi porterà a destinazione. Mi sono necessari soltanto poche decine di secondi per saltare in macchina, mentre l’autista chiude il cofano della Mercedes. Si tratta di un modello che non è nemmeno dei più vecchi. Dal finestrino vedo le facce invidiose e stralunate dei mie compatrioti che mi guardano. Loro, invece, sono invitati a raggiungere uno dei pullman fermi sotto il sole che li condurranno nei vari alberghi. Mi scappa da ridere, perché il panorama che gli si mostra qui intorno all’aeroporto e che vedranno mentre raggiungeranno le loro destinazioni, è piuttosto desolato e si domanderanno cosa li abbia spinti a venire qui in Grecia. Qualcuno, che confonde una vacanza con il grande Fratello, dovrà sorbirsi almeno un altro paio di ore di traghetto per raggiungere l’isola di Alonissos, dove saranno rinchiusi nel villaggio turistico e animati da uno speciale team di ragazze e ragazzotti made in Italy.

    Io, nel frattempo, sono già per strada. Mentre scorrono le immagini familiari, tra cui quella dello stadio di calcio sorprendentemente rinnovato, i muri perimetrali dipinti di fresco e la tribuna con addirittura una cinquantina di sedili belli colorati, ripenso ad Anna, l’unica determinata ad accompagnarmi in questa vacanza. È un vero peccato che non sia ancora qui con me. Mi ha telefonato una settimana prima della partenza.

    – Benni, sono Anna.

    Dalla voce un po’ concitata ho capito subito che c’era qualcosa che non andava e ho immediatamente pensato al viaggio.

    – Non so come dirtelo.

    Figuriamoci! ho pensato, immaginando anche la sua defezione.

    – Be’, prova a fare un disegno.

    L’ho sentita ridere nervosa.

    – Non mandarmi al diavolo… – ma poi si corregge, perché sa che non sopporto quell’inizio di frase che amava dire Silvia, la mia ex, quando tirava fuori qualche sua trovata. – Scusa, volevo dire che ho un problema.

    – Lo avevo intuito.

    – Sai, si tratta di una proposta che mi ha fatto Riccobono.

    – Il tuo amico collezionista?

    – Sì, il conte Amedeo Riccobono, quello al quale sto riorganizzando la biblioteca e i fondi sull’arte contemporanea. Mi ha detto ieri che non può andare ad Atene per una mostra di un giovane artista molto promettente, un futuro grande della scena artistica mondiale, già molto quotato, André Yussuf.

    – Non è quello sul quale volevi scrivere un libro?

    – No, quello è Robert Madison. Riccobono mi ha offerto di andare al vernissage al suo posto.

    – Be’, dai, è una buona opportunità.

    – Sì e pensa che in mia presenza ha telefonato a Mike Veniamis per annunciargli il mio arrivo!

    – È chi sarebbe costui?

    – Lui è uno dei più noti collezionisti d’arte contemporanea del mondo ed è il proprietario della galleria di Atene, dove espone Yussuf.

    – Una galleria proprio ad Atene?

    – L’ha aperta qualche anno fa.

    – Prima della crisi.

    – Sì, è l’ultima che ha aperto dopo quelle di New York, Londra e Tokyo. Veniamis tra l’altro è greco naturalizzato americano. Ha fatto fortuna nel settore del fast food.

    – Patatine fritte, ketchup e quadri. Mi pare una bella accoppiata.

    – Sono anche incaricata di trattare l’acquisto di un’opera da parte di Riccobono. – ha detto Anna facendo finta di non aver sentito il mio commento.

    – Ah, bene, sono contento. – le ho detto, ma non era assolutamente vero, perché avrei voluto strangolarla, anzi, non lei, ma quel riccastro che fa proposte di questo tipo; per non parlare del greco. – Non ti preoccupare, io me la cavo benissimo da solo.

    È a questo punto che ho scoperto di essere geloso, una condizione a me sconosciuta.

    – Oh Benni, non dire così. Guarda che tu parti domenica e il vernissage della mostra è due giorni dopo. Ho già visto come arrivare a Skiathos da Atene.

    Facendo quattro conti sarebbe arrivata tre giorni più tardi e ho pensato che comunque era meglio di niente.

    – Va bene, se vieni io sono contento. – le ho detto.

    – Sì, Benni, vedrai che arrivo. Tu aspettami!

    – Certo che ti aspetterò.

    – Mi perdoni? – ha aggiunto incerta.

    – Non ci penso nemmeno. Che cosa ti dovrei perdonare?

    – Grazie, Benni, sai per me è molto importante.

    – Certo, non sono mica stupido. Dai ci sentiamo appena arrivi ad Atene.

    2

    A quest’ora della sera il colpo d’occhio sulla baia del porto vecchio è magnifico. All’imbrunire l’azzurro del cielo è ormai pallido e l’acqua ha riflessi rosati. Ho spiegato a Anna che sarebbe dovuta venire per lo spettacolo del tramonto a Skiathos visto dalla piccola penisola di Bourtzi. Glielo ha confermato anche Laura. Per un motivo o per un altro non siamo mai riusciti a combinare le nostre ferie per venire qua insieme. Quest’anno sembra la volta buona.

    Con una certa dose d’invidia la penso al vernissage di Atene aggirarsi in mezzo agli invitati, magari a braccetto con questo greco ricco emigrato come molti negli Stati Uniti, dove ha fatto fortuna. La mia l’ho fatta miracolosamente in Italia, dove sono riuscito, poco prima della crisi, a raggranellare un tesoretto che mi consentirà di cavarmela. Non so, invece, con quali soldi Anna si paghi il soggiorno ad Atene. Probabilmente l’albergo glielo ha offerto il suo mentore, quel conte Riccobono che ha così tanti soldi, da potersi permettere di riempire di opere d’arte una villa ottocentesca in Brianza, e che io detesto profondamente. Va bene così, perché quello è pieno di soldi e lei ha bisogno di lavorare, soprattutto ora, che la fatidica frase ma va a lavorare!, detta con tono di rimprovero, non funziona più.

    Le telefonerò domani pomeriggio con la scusa di sentire se il viaggio è andato bene e per sapere che intenzioni abbia. Peccato per questo contrattempo. Volevo festeggiare insieme ai miei migliori amici, ma mi rendo conto che si trattava di una delle mie imprese impossibili da realizzare e l’esito mi era già chiaro in partenza. Certo, il mio intento era ben altro.

    Ho trascorso le ultime settimane prima della partenza ripensando alla mia amicizia con Anna e ho deciso che questa potrebbe essere l’occasione giusta per trasformarla in un rapporto diverso. Non so se lei a quarant’anni suonati abbia voglia di un cambiamento del genere. Chissà se Laura ci soffrirebbe? Credo di no, perché lei è una donna altrettanto forte. Oltre a tutto nemmeno con lei c’è mai stata una vera storia, ma solo un legame di amicizia che negli anni si è rafforzato, diventando a volte complicità.

    Sono trascorsi vent’anni da quando ho conosciuto Anna. Me la ricordo ancora la mattina in cui il grande capo FdM, come lo chiamava brevemente Wolfgang sottintendendo l’espressione colorita faccia di merda, è entrato con lei nell’ufficio commerciale per presentare la neo assunta. Indossava una giacca bianca sopra un paio di pantaloni neri e la frangetta le dava un’aria sbarazzina, mentre il suo sorriso nascondeva il normale imbarazzo di chi arriva in un ambiente di lavoro nuovo. Terminato il giro di tutta la Eich & Söhne Srl, filiale italiana della Eich & Söhne AG di Stetten, una piccola ma laboriosa località nelle Alpi Sveve, detta anche Piccola Siberia per le sue temperature glaciali e il cui nome completo non a caso è Stetten am kalten Markt – letteralmente al mercato freddo –, si è seduta alla scrivania posta alla mia destra. Dolly, il mio collega, sedicente responsabile commerciale dopo l’uscita di scena piuttosto turbolenta di Wolfgang, si è subito preso cura di istruirla. Non tanto perché le ha spiegato come gira il lavoro, ma perché con un paio delle sue battute alle quali ha riso con fastidiosa rumorosità soltanto lui, ha cercato di allentare la tensione per poi affiancarle Carla.

    Soltanto al termine della sua seconda settimana in azienda, trovandoci casualmente da soli in ufficio, ci siamo scambiati le prime vere parole da colleghi.

    – Mi sembra un po’ … – aveva commentato Anna a proposito di Dolly.

    – Che cosa vuoi farci, qui è così. L’azienda è monopolista, perché la concorrenza ha un divario tecnologico incolmabile, e le vendite si fanno per forza. – avevo risposto io e con questo eravamo già sulla stessa lunghezza d’onda.

    Il resto lei l’ha capito la settimana successiva quando è stata un giorno da me a vedere in cosa consisteva il mio lavoro. Comprese subito che il distacco con cui la trattavo non aveva direttamente a che fare con lei, ma dipendeva dal fatto che non volevo intromettermi nella gestione dell’ufficio.

    Le telefonate del clone di FdM erano epiche, come il Don Chisciotte che amava citare. Non dica questo. aveva esclamato piccato con chi stava dall’altra parte della linea e che era imbufalito per un reclamo piuttosto spinoso per la Eich & Söhne Srl e che danneggiava parecchio il cliente. Io mi sto mettendo in discussione, sto pensando a voce alta per cercare di trovare una soluzione. Era evidente che per trovare un accordo bisognasse andare di persona, ma lui era talmente oberato di lavoro in ufficio, da non avere il tempo di uscire.

    Uno dei suoi capolavori lo fece un giorno di fine Luglio quando iniziò a telefonare ai clienti più importanti per augurargli buone vacanze. Già l’idea era un programma. La crisi nel settore si stava facendo sentire e si capiva che dall’altro capo del telefono c’era perplessità. Qualcuno si è addirittura alterato, perché ha pensato a una presa in giro. I fornitori monopolisti non godono mai di grande simpatia; se poi ti telefonano per chiederti dove vai in vacanza, mentre tu hai problemi con la tua azienda, t’incazzi. Anna, dopo la prima telefonata, non riuscì a resistere e uscì dall’ufficio con un pretesto qualsiasi.

    La seconda gliela descrissi io alla macchina del caffè. Eravamo soli e la invitai a pranzo a mangiare una pizza. Non volevo assolutamente che si capisse che ci andavamo insieme e perciò ci incontrammo al semaforo, svoltato l’angolo. Il locale non era un problema, perché io ero l’unico a frequentarlo. Ancora oggi vado lì e mi siedo al mio tavolo vista mare, come l’ha definito una volta Laura, per la sua vicinanza alla vetrata che da sul marciapiede del viale alberato nella saletta in cui serve Mario. Lì, in meno di trequarti d’ora, ci siamo raccontati le nostre vite.

    – Sono scappata dal lavoro in banca, – spiegò Anna, – dove i colleghi maschi m’infastidivano con le loro battute a doppio senso e ci provavano. Qui l’azienda è grande, ma almeno nessuno si comporta in modo cretino con le colleghe. Ma toglimi una curiosità, perché lo chiami Dolly?

    – Oh, è stata un’idea di Helmut, un mio amico tedesco, quando gli ho raccontato del mio collega. Lui trova soprannomi a tutti. Io, per esempio, sono Benni von muh und mäh.

    – Cioè?

    – Dal verso delle mucche e delle pecore. Lui dice che io sono cattivo con loro, povere bestie: Du bist böse, böse, böse!

    – Ma perché quel nome?

    – Oh, Helmut gli ha dato questo soprannome, quando gli ho raccontato che il grande capo FdM l’ha chiamato a sostituire Wolfgang che, dopo tre anni d’incazzature con lui, se n’è andato sbattendo la porta. FdM ha scelto Dolly perché era

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