Ambientalisti e filosofi dell'ambiente hanno ampiamente dimostrato che la biodiversità non è una qualità morale, ma un valore pratico. Rimuovere anche solo poche specie da un insieme naturale è una roulette mssa, in grado di provocare una reazione trofica a catena. Il fatto che molti dei più importanti difensori dell'ambiente e scienziati dei sistemi terrestri, oltre alla maggioranza dei progettisti più noti, si trastuilino ancora con dettagli e parametri, e persino con la legittimità semantica della biodiversità in nome delle ‘venerabili’ ambizioni della civiltà, è sintomo di un'insipienza che rasenta una vile ostinazione. Sebbene l'idea della “metà della Terra” sia stata divulgata da Edward Osborne Wilson1, il concetto non era originale ed è stato messo a punto, faticosamente, dal 19872 nell'arco di 15 anni, quando le percentuali sono state riviste: dall'iniziale 12 per cento al finale “poco più della metà”, raggiunto con aggiustamenti incrementali e un ampio consenso solo nel 20123. Tuttavia, la validità del concetto è ancora da dimostrare. Ci si chiede se, nell'era della bioemergenza, “metà della Terra” sia una parola d'ordine idonea per la pratica progettuale.
La fosca e preoccupante realtà è che, negli ultimi 40 anni, le politiche e le pratiche pubbliche non si sono mai avvicinate ai numeri reali delle ricerche (e la recente legge degli Stati Uniti sul clima non fa eccezione). La comprensione del termine ‘conservazione’ da parte dei non addetti ai lavori naturale. A causa della varietà di contesto e posizione, alcuni sono critici, altri ininfluenti rispetto al potenziale di stabilizzazione o trasformazione.
