Thanks to thermographic technology, the French artist created a visual language that allowed him to capture the sensorial, political and existential situation on the eve of lockdown
Dal 2004, Antoine d’Agata vive e scatta fotografie in giro per il mondo, non ha una residenza fissa. Non vuole mostrare le differenti condizioni dell’umanità, ma la propria visione su ciò che esplora. Ha sempre cercato di spezzare i confini, non considerando la società nel suo insieme per ‘documentarla’, ma piuttosto immergendosi in un caos dove penetra a suo rischio e pericolo. Le sue immagini sono gesti soggettivi che mirano a spostare i confini della rappresentazione visiva fuori dalle ordinarie convenzioni del gesto fotografico. La sua opera prende la forma di un diario autobiografico, di un racconto cronologico di viaggi senza una sequenza precisa, di, che nasce nel marzo 2020 a Parigi, prima del , dalla necessità di testimoniare la situazione sanitaria ed economica da una posizione che mettesse in luce il nodo in cui i corpi resistono alla domesticazione economica e alla sorveglianza integrale dei comportamenti. Il 16 marzo, a mezzanotte, D’Agata cammina per la città e la fotografa. Per 45 giorni, senza sosta, sistemato negli uffici dell’agenzia Magnum, registra con un sensore termico collegato al suo telefono portatile l’emergenza virale che ha fatto della città uno strano teatro d’anime erranti, di teste abbassate e di corpi in fuga. È lui stesso un “agente di contaminazione”, si mette in gioco nell’esperienza fornita dall’epidemia e dall’isolamento. Attirato dal modo in cui questo apparecchio registra le radiazioni infrarosse emesse dai corpi, che variano in funzione delle temperature, l’artista subisce il fascino di un procedimento che riduce luoghi, oggetti e soggetti umani a figure essenziali, spogliate di caratteristiche o specificità superflue. “Attraverso questa ambivalenza tra solidarietà e contaminazione, l’ineluttabilità della morte sociale e di quella fisiologica, ho cercato di catturare questa situazione virale tramite un linguaggio fatto di sensi e di resistenza che trasfigura i corpi, dove l’immagine termica dà vita a forme, posture, figure, curve e zone impercettibili a occhio nudo”,1 racconta il fotografo.