The paradigm of time
Cominciamo dalla perdita, dal disastro, dal trauma: dall’incendio del Museo Nazionale del Brasile a Rio de Janeiro. Affreschi di Pompei, lo scheletro di 13 metri di un dinosauro erbivoro, un trono del re africano del Dahomey, centinaia di manufatti provenienti dalle popolazioni indigene delle Americhe, il sarcofago della sacerdotessa egiziana Sha-Amun-en-su e gran parte dei 20 milioni di oggetti conservati al suo interno sono andati bruciati in poche ore nella fatidica notte di domenica 2 settembre 2018. Sono rimaste in piedi solo le facciate del palazzo ex residenza della famiglia imperiale brasiliana all’inizio del XIX secolo e che assunse un aspetto neoclassico durante l’Impero del Brasile. L’architettura avvolta dalle fiamme viene trasmessa in diretta televisiva: occhi increduli guardano secoli di ricerche culturali e scientifiche trasformate in cenere. Da allora, la sensazione di assenza, sconfitta e senso di colpa sono diventati abituali per i brasiliani. Tuttavia, la distruzione non è la fine. Da essa può emergere qualcosa di nuovo, perfino positivo.
Gli esempi non mancano. Pensiamo a Lina Bo Bardi che, a 15 anni, realizza una serie di disegni ad acquarello ritraendo scene di vita a Roma. Tra quelle illustrazioni, c’è la raffigurazione di piazza Montanara piena di gente con, al centro, una fontana e un carro che trasporta botti di legno, tutt’attorno, degli edifici. Se si consulta l’odierna mappa di Roma non si riuscirà a trovare traccia di piazza Montanara. La giovane Lina ritrasse un largo che stava per essere distrutto nel corso di faustiani lavori di riqualificazione urbanistica durante il regime fascista. Questa piazza è scomparsa a causa del restauro del Teatro di Marcello, effettuato secondo il metodo del “restauro scientifico” ideato da Gustavo Giovannoni. Era il paradigma del tempo. Quella metodologia richiedeva di rimuovere le addizioni fatte sull’edificio originale: in questo specifico caso, vennero demolite le
