Walter De Maria Doug Aitken
Un presente viscerale / A visceral present
Two different and diachronic paths, but with striking assonances. An exploration of these two artists’ works reveals a paradigm shift in land art, from anthropocentric to eco-centric
“Ho incontrato Walter per la prima volta a downtown New York: pranzammo insieme in un freddo pomeriggio invernale”. Basta una frase a Doug Aitken, star dell’arte consacrata con il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia del 1999, per ricreare l’atmosfera del suo primo incontro con Walter De Maria, leggenda artistica del XX secolo scomparsa nel 2013. Poche parole da cui emana un senso di prossimità tra i due artisti, nati entrambi in California, a oltre 30 anni di distanza, e i cui percorsi artistici, seppur differenti e diacronici, sono similmente legati al concetto di frontiera, di territorio da conquistare ed esplorare, che quasi certamente deriva proprio dall’essere originari del lembo estremo del mondo occidentale, l’epico Far West. “Sono sempre stato a conoscenza della sua attività in campo musicale, come il suo brano per percussioni del 1964 Cricket music”, continua l’oggi cinquantatreenne Aitken, allontanandosi dalla dimensione ravvicinata del ricordo personale per riguadagnare la distanza da cui analizzare l’opera di De Maria. “Per me, esiste una connessione molto forte tra l’interesse di Walter per la musica minimalista e l’Arte Minimal e Ambientale che ha creato. Ho sempre pensato che il suo lavoro fosse molto ritmico e basato sulla modularità. La sua arte è musica visiva: è come se alcune delle sue opere scultoree come The Lightning Field (1977) o The 2000 Sculptures (1992) fossero composte da una serie di note musicali trasformate in oggetti fisici posizionati nello spazio in modo tale che la loro ripetizione dilati il tempo”. The Lightning Field, la creazione più importante e nota di De Maria, ha difatti molto a
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