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The relationship between surprising aesthetics and technical components distinguishes the Citroën DS: a car for the masses that seems to come from another universe

Il filosofo francese Roland Barthes non poteva resistere al fascino della Citroën DS, la déesse, la ‘dea’, dalla pronuncia francese del nome. Così, nel 1957, inserisce nel suo Mitologie, breve, ma incisivo, saggio che condizionerà la fortuna dell’auto, nel quale scrive che “la DS ha tutte le caratteristiche di un oggetto proveniente da un altro universo”. Quest’automobile, che sembrava arrivata, appunto, da un altro universo, è sviluppata, a partire dal 1939, da un team franco-italiano come voiture de grand diffusion (VGD), un’auto, in sostanza, destinata alle masse. Il gruppo di lavoro, in cui i francesi sono responsabili della parte tecnica e gli italiani del design, comprende Flaminio Bertoni, artista, architetto e designer di Varese che, nel 1934 (in una sola notte, come scrive), aveva disegnato e modellato la pionieristica Citroën Traction Avant. Per la Citroën, Bertoni progetterà altre due vetture rivoluzionarie: la 2CV (1948) e la Ami 6 (1961). La DS segna l’apogeo del concetto di linea filante. Sostiene Bertoni che, mentre la disegna, ha in mente un pesce. Formatosi come ingegnere aeronautico, André Lefèbvre ripensa il rapporto tra , con una vista a 360 gradi enfatizzata nelle pubblicità. Scrive ancora Roland Barthes: “La DS è ovviamente l’esaltazione del vetro, e il metallo stampato ne è solo un supporto. Qui le superfici vetrate non sono finestre, aperture praticate in un involucro scuro, ma vasti piani d’aria e di spazio”. I finestrini, lo specchietto retrovisore, montato sul vetro del parabrezza e il parasole interno con uno specchietto “sul lato della signora” illustrano l’essenza dell’auto e ricordano il logo a doppio gallone della Citroën. Osserva Barthes: “Il marchio, con i suoi galloni, è diventato di fatto un emblema alato, come se si procedesse dalla categoria della propulsione a quella del moto spontaneo, da quella del motore a quella dell’organismo”. Le fasce di compressione, fatte di gomma o di neoprene di nuova introduzione, costituiscono la base e il presupposto della giunzione non mediata tra le parti. Su questo particolare, Barthes osserva: “C’è nella DS l’inizio di una nuova fenomenologia dell’assemblaggio, come se si progredisse da un mondo dove gli elementi sono saldati a un mondo in cui sono giustapposti e tenuti insieme unicamente in virtù della loro forma”. Una delle foto mostra i contorni delle quattro porte, i vetri anteriori e posteriori, con le incisioni dei tergicristalli, e i profili bianchi del tetto. In un certo senso, i profili di gomma riproducono la forma complessiva e quindi “la morbidezza della macchina”. Il parafango anteriore sottolinea l’originalità del design. I fari, ridisegnati a “occhi di gatto”, si distinguono dalla classica forma rotonda. Schermati da un guscio di vetro, sono visibili anche di lato, un’aggiunta di dinamismo che estende il profilo della vettura. Un’altra foto mostra anche la meccanica dei fari orientabili, introdotti solo nel 1968 dopo la morte di Bertoni avvenuta nel 1964. Il meccanismo era collegato al volante e l’alloggiamento dei fari con lenti a filo è chiaramente visibile. Gli indicatori di direzione posteriori, chiamati anche “trombe di Gerico”, sono posizionati in alto, a livello del tetto – l’idea si deve a un collaboratore di Bertoni – e sembrano razzi che spingono l’auto, in contrasto con le ruote anteriori aperte che invece la trainano. Queste due impressioni opposte creano una tensione, una dinamica interna alla forma. La piastra a scacchi del montante e l’elegante cerniera sovradimensionata del cofano posteriore, insieme con le frecce allungate e posizionate in alto, incapsulano l’immagine della DS esattamente come descritta da Barthes: un oggetto volante di un altro universo.

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