Arte
Anthony Vidler, professore di architettura alla Cooper Union di New York, ha descritto la scultura di Rachel Whiteread come “un’indagine su uno stato mentale interiore reso visibile (…) evocato da oggetti non espressionisti, apparentemente banali, i quali, a ben vedere, hanno letteralmente rovesciato l’esperienza su scala uno a uno”. Molti di quegli oggetti ordinari – scale, pareti, tettoie – sono espressi come negativi delle forme architettoniche originali e sono allo stesso tempo familiari, sconcertanti e, soprattutto, profondamente umani.
Tali effetti sono evidenti fin dall’opera più importante della prima personale della Whiteread, nel 1988: Closet, il calco in gesso dell’interno di un armadio, coperto in feltro nero. Pezzi successivi come Ghost (1990) sulle pareti di una stanza e House (1993), composto da calchi a grandezza naturale delle pareti interne di una casa a tre piani, sono risposte quasi architettoniche a situazioni emotive e sociali.
“Il mio primo oggetto veramente architettonico è stato Closet”, spiega l’artista nel suo studio di Camden, a Londra. “Lo spazio all’interno dell’armadio sembrava adatto per dimensioni e rigidità, si poteva camminarci intorno. Ma era possibile entrarci solo attraverso il desiderio. Qualcosa ha creato una risonanza”. Questo ‘desiderio’ di entrarci è significativo: Closet è un ricordo della sua abitudine di nascondersi dentro un armadio quando era bambina. E la stanza di cui ha fatto il calco per Ghost è stata scelta perché molto simile a una stanza nella casa dei genitori.
“Come artista, quando ho iniziato per così dire a trovare la mia voce, sono stata fortemente influenzata dal Minimalismo americano, che è molto legato all’architettura e alle unità strutturali.“Il mio lavoro è molto più caratterizzato da un linguaggio emotivo, che gli ha dato
You’re reading a preview, subscribe to read more.
Start your free 30 days