Paolo VI: Il Papa del dialogo e del perdono
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Mons. J. Magee, segretario di Paolo VI
Scrivere un «Ritratto» non significa scrivere una biografia, ma delineare un Volto. Se poi si tratta di un Santo, allora il Volto è quello di un innamorato di Cristo, che si va plasmando nella contemplazione, nell'adorazione e nella carità operosa per la «sua Chiesa» e per l'intera umanità. Ed è anche un Volto che permette a Cristo di rivelare alcuni tratti del Suo stesso volto.
Antonio Maria Sicari
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Paolo VI - Antonio Maria Sicari
Capitolo I
Imparare ad amare
Ripercorriamo la vita di questo santo Pontefice, non badando per ora alla cronologia degli avvenimenti, ma ai richiami ideali che riscontriamo in alcuni momenti e situazioni della sua vita, anche se ci possono sembrare soltanto delle coincidenze.
Il primo scritto che possediamo di Giovanni Battista Montini è in un quaderno di scuola, dove il bambino aveva dovuto scrivere in bella calligrafia a grandi caratteri: «Io amo», ripetendolo per tutta la pagina (anche così si educavano allora i bambini!).
Il piccolo Battista (così lo chiamavano in casa) s’era subito sentito custodito tra le attenzioni di un papà dinamico e le cure di una mamma contemplativa.
Il papà gli insegnava ad amare la vita, non sentimentalmente, ma coltivando e difendendo un’indomabile passione per tutte le necessità del momento storico che i cristiani stavano vivendo e la mamma gli insegnava a stare con Gesù.
Papà Montini (in una lettera risalente ai primi anni di matrimonio) evocava volentieri questo delicato bozzetto familiare e ne ringraziava la moglie:
«Benedetta la tua bocca, che insegna ai miei bambini il nome e la vita del Salvatore... Il bel quadro che vedo coll’anima, tu e i piccini intenti a parlare di Gesù, mi coglie in un momento buono perché, appunto in questi giorni, ho letto un libro meravigliosamente bello sui primi tempi del Cristianesimo. La forza straordinaria di quel volume, la potenza descrittiva, la grandiosità con cui dipinge il fervore dei primi cristiani, la loro fede, il loro tranquillo eroismo – accanto ai mali, alla corruzione, ai pericoli, ai martirii, che quei nostri padri dovettero attraversare per farsi e conservarsi seguaci del Nazareno –, hanno alcun poco giovato a ravvivare anche in me il sentimento del dovere, della riconoscenza, dell’amore. Quel patrimonio di grandezza e di santità noi abbiamo ricevuto e dobbiamo conservare! E tu, carissima mi vieni appunto a dire, senza saperlo, che stai lavorando a quella conversione, e che pianti il germe nei miei figliuoli, e che essi t’intendono e ti corrispondono! Come deve essere bello il paradiso, dove tutti, padri e figli, ci troveremo insieme, in un eterno amore!»⁷.
E sappiamo che era la mamma che ogni domenica sera spiegava il Vangelo del giorno ai suoi bambini⁸.
Dai genitori, dunque, Battista ricevette un amore denso di testimonianza, dato che papà e mamma gli mostravano congiuntamente (o, se si vuole, «coniugalmente») come si abbraccia il mondo e come si abbraccia Dio:
«A mio padre devo gli esempi di coraggio, l’urgenza di non arrendersi supinamente al male, il giuramento di non preferire mai la vita alle ragioni della vita. Il suo insegnamento può riassumersi in una parola: essere un testimone. Mio padre non aveva paure. Aveva un che di intrepido. A mia madre devo il senso del raccoglimento, della vita interiore, della meditazione che è preghiera e della preghiera che è meditazione. Tutta la sua vita è stata un dono»⁹.
E riconosceva volentieri – unificata, nel suo cuore e nella sua mente – la loro duplice eredità:
«All’amore di mio padre e mia madre, alla loro unione, devo l’amore di Dio e l’amore degli uomini. O piuttosto l’amore di Dio che colmava i loro cuori e li aveva uniti nella giovinezza, si traduceva in mio padre nell’azione politica e in mia madre nel silenzio. O ancora una stessa volontà ostinata, una stessa determinazione totale in mio padre si esprimeva più come forza e in mia madre più come dolcezza. Ma la dolcezza riposa sulla forza»¹⁰.
E fu così che più tardi il carattere serio e riflessivo di don Battista (prima educatore di giovani universitari, poi monsignore di curia, poi arcivescovo di Milano e poi Sommo Pontefice) si sentì sempre affascinato e provocato dal tema dell’amore, un amore che doveva essere donato sempre, senza restrizioni.
Gli episodi e le citazioni sarebbero innumerevoli. Ne scegliamo subito due particolarmente totalizzanti.
Ecco il cuore di una Relazione da lui tenuta a Roma nel 1957 (quando era già Arcivescovo di Milano) a un «Congresso sull’Apostolato dei Laici»:
«Apostolato significa amore. Noi ameremo tutti... Ameremo il prossimo, e ameremo i lontani. Ameremo la nostra patria e ameremo quella degli altri. Ameremo i nostri amici e ameremo i nostri nemici. Ameremo i cattolici, ameremo gli scismatici, i protestanti, gli anglicani, gli indifferenti; i musulmani, i pagani, gli atei. Ameremo tutte le classi sociali, ma specialmente quelle più bisognose di aiuto, di assistenza, di promozione. Ameremo i bambini e i vecchi, i poveri e gli ammalati. Ameremo chi ci deride, chi ci disprezza, chi ci osteggia, chi ci perseguita. Ameremo chi merita e ameremo chi non merita di essere amato. Ameremo i nostri avversari: come uomo, nessuno vogliamo nemico. Ameremo il nostro tempo, la nostra civiltà, la nostra tecnica, la nostra arte, il nostro sport, il nostro mondo. Ameremo studiandoci di comprendere, di compatire, di stimare, di servire, di soffrire. Ameremo col cuore di Cristo: Venite a me, voi tutti... Ameremo con l’ampiezza di Dio: così Dio ha amato il mondo...»¹¹.
E possiamo ricordare subito – con un passaggio anche troppo veloce – le parole struggenti che egli lascerà scritte nel suo Pensiero alla morte (una meditazione scritta per sé, a tarda età, in un giorno di ritiro):
«O uomini, comprendetemi: tutti io vi amo... Prego il Signore che mi dia la grazia di fare della mia prossima morte dono d’amore alla Chiesa... Potrei dire che l’ho sempre amata... Ma vorrei che la Chiesa lo sapesse e che io avessi la forza di dirglielo come una confidenza del cuore, che solo all’estremo momento della vita si ha il coraggio di fare»¹².
Sappiamo così che, perfino pensando alla sua morte ormai vicina, Paolo VI aveva ancora il cuore del bambino che un tempo aveva scritto ripetutamente: «Io amo», nella sua pagina di bella calligrafia.
L’indelebile volto materno
Torniamo ancora agli anni dell’infanzia. La sofferenza segnò il piccolo Battista fin dalla nascita, il 26 settembre 1897. Il parto era stato molto travagliato e il bambino era sopravvissuto a stento.
Lo battezzarono quatto giorni dopo, il 30 settembre, nella vecchia chiesa della Pieve di Concesio (Brescia). Era lo stesso giorno in cui a Lisieux moriva santa Teresa del Bambino Gesù. E non era solo una coincidenza.
La sorella della Santa (che era anche priora del monastero) ha raccontato:
«Poche settimane prima di morire, Teresa, guardando una immagine che mostrava una bianca Madonna intenta a vegliare accanto alla culla di un bambino appena battezzato, aveva promesso: Più tardi andrò anch’io attorno ai bambini appena battezzati
»¹³.
Di questa preziosa e tenera promessa di una santa, Paolo VI si rallegrerà molto, scoprendo che lo riguardava così da vicino! Lo racconterà lui stesso, da Papa, ricevendo in udienza il vescovo della diocesi in cui era venuta al mondo la piccola
