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Nuovissimo Testamento
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Nuovissimo Testamento

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About this ebook

Un giorno qualsiasi Fausto Albini è sulla spiaggia, con un bastone disegna un cerchio, forse ha un ricordo e si sente male. Portato d'urgenza al Pronto Soccorso, viene ricoverato nel reparto dei Disturbi affettivi, quello per i cittadini di DF con problemi di rotondità sentimentale. Insieme a lui, Manlio Cuzzocrea che ha pianto per giorni senza un motivo, Andrea Razzone scoperto a leggere e Angelo Siani che sogna ossessivamente la madre che non ha mai conosciuto. Evidentemente, il sistema di DF – che prevede bambini tolti ai genitori, mogli a rotazione, nessuna aspirazione e nessuna libertà di scelta – non funziona più come un tempo. Di fronte all'aumento dei focolai di empatia incontrollata, il governo del presidente Bussoli nel chiuso della sua impenetrabile cittadella fortificata si dice preoccupato: è impossibile governare un popolo che prova paura e desideri, i casi di disturbi affettivi in aumento rappresentano un pericolo. Intanto a confermare a Fausto Albini l'esistenza delle emozioni sarà l'incontro con la dottoressa Anna Cordio che ha in carico il suo caso e per la quale sentirà un sentimento indicibile e proibito: l'amore. Quando Fausto e i suoi compagni si renderanno conto che dietro la mancanza di empatia potrebbe esserci un disegno politico, dall'ospedale partirà il primo nucleo della resistenza, il cui scopo è solo uno: liberare le emozioni, riportare nel mondo l'empatia, dare voce a un "nuovissimo testamento", anche a costo di rimetterci la vita. Giulio Cavalli torna nella DF di Carnaio per raccontarci con lucidità e poesia le contraddizioni di una società che ci anestetizza alle emozioni e ci priva della curiosità di sognare.
LanguageItaliano
PublisherFandango Libri
Release dateFeb 18, 2021
ISBN9788860447586
Nuovissimo Testamento

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    Nuovissimo Testamento - Giulio Cavalli

    Prima parte

    Capitolo 1 – Un cerchio sulla sabbia

    Disegnò un cerchio sulla sabbia con un ramo spezzato e gli si ruppero le vene. Gli venne in mente quando nei suoi primi giorni di università aveva letto la parola sversamento, sarebbe diventato un rinomato architetto come avevano previsto gli algoritmi del governo, ci scommettevano tutti come si scommette sulle scommesse che non hanno nessun margine di rischio e, quando era incappato in sversamento, aveva pensato a un cuore rovesciato, una tazza di latte che gocciola dalla tovaglietta fino al pavimento, un corpo che si riempie all’interno dall’interno annegando dentro se stesso. Aveva riso, quella volta, di quell’immaginazione così infantile e già allora si era preoccupato di avere sorriso. Gli era ricapitato di sorridere e non aveva mai avuto il coraggio di dirlo a nessuno. Quel crac delle vene mentre osservava il solco tondo in spiaggia fu un dolore che non lo lasciò respirare. Era svenuto di faccia, i suoi ristretti l’avevano caricato sul sedile posteriore per avviarsi verso l’ospedale come prevede la procedura se qualcuno non risponde alle sollecitazioni esterne per più di quindici minuti. Furono quindici minuti di provocazioni vocali, poi fisiche, poi un accenno di massaggio cardiaco e di respirazione forzata e infine qualche sberla, roba leggera, più di dita che di palmo, schiocchi sulla spiaggia mentre gli insiemi degli altri ristretti continuavano ad affaccendarsi nelle loro cose, un bagno svelto, qualche partita a carte, qualche lettura del giornale nazionale o locale, alcuni studiavano, altri semplicemente stavano. Solo i suoi ristretti si erano occupati di lui, come stabilito dalla legge, senza nessun cenno di affanno, come previsto dal protocollo. Durante il percorso Mario, alla guida, spiegò che la congiuntura economica prometteva tempi buoni e produttivi, raccontò che nel 1983 ci erano stati gli stessi indicatori e si era trattato dell’inizio di un tempo prospero per tutti. Fulvio rispose che sì, avrebbe potuto essere il principio di un buon tempo, da uno a dieci probabilmente un otto o forse anche un otto e mezzo, molto dipende dal tenere congruo il numero delle nascite, disse Fulvio, e certo gli rispose Mario, rimanere in linea con i concepimenti è un dato fondamentale. Roberto sul sedile posteriore non ascoltava, non era interessato, manteneva la testa di Fausto perché non sbattesse e si era perso su alcuni conti che non gli tornavano in ufficio, forse ho capito l’errore, disse tra sé, concentrandosi per non dimenticare quell’intuizione. Furono al Pronto Soccorso in diciotto minuti, non aspettare l’ambulanza era stata una scelta proficua.

    Fausto non aveva recuperato i sensi, perdeva bava, filamenti, le palpebre chiuse e sfrigolate dagli occhi che talvolta schizzavano e poi restavano fermi, una statua di insetti sottopelle. Un’infermiera con un camice bordato di rosa, il nome Lucia cucito all’altezza del polmone sinistro, chiese i dati del paziente, li chiedo a voi perché non mi sembra in grado, no no rispose Fulvio, saranno ormai più di trenta minuti che è incosciente, mi segno anche questo disse l’infermiera accigliandosi, scriveva veloce e rotonda su un modulo sgranato e intanto chiamarono il dottore, la barella venne spinta all’ingresso riservato per i pazienti, la porta automatica non fece nessun rumore, nemmeno un soffio. C’era un ragazzo con qualcosa di rotto che si lamentava, sembrava un sogghigno, tenendosi il braccio con l’altra mano, una donna incinta che piangeva in silenzio dentro un fazzoletto e altri due, tutti e due con una giacca e una cravatta indossate come una divisa, la cravatta blu che a uno dei due stava troppo lunga e parecchio stropicciata, due giacche grigio nebbia tagliate nette sui polsini con una cucitura malfatta quasi rigonfia, l’uno con mocassini neri e uno sbercio che aveva scollato la suola, l’altro quello con la cravatta bislunga che si pesava il piede per sentire se era vivo ancora, se ci danno l’incidente di lavoro sono almeno quindici giorni disse quello con la scarpa bucata, noi abbiamo rispettato le norme gli disse l’altro attraversato dalla cravatta, sì ma sono almeno quindici giorni di malattia e ne approfitto per finire delle cose in casa che ho lasciato in sospeso, posso anche sentire all’Ufficio degli Affetti la scadenza della moglie, sì ma noi abbiamo fatto tutto come dovevamo farlo quando il carico è caduto disse l’altro sotto la cravatta lunga, sì questo sì gli disse la scarpa, quando ti scade la moglie? gli chiese la cravatta, a fine mese, a fine mese, perfetto, così puoi fare il cambio con tutto il tempo che serve, sempre meglio avere tempo in abbondanza, meglio sì, certo che sì, sì. Il ragazzo con qualcosa di rotto, forse il braccio, forse il polso, fermò con un dito alzato due medici che rimbalzavano sulla gomma degli zoccoli passando di lì, nella sala d’aspetto del Pronto Soccorso dove tutti aspettavano senza scomporsi e senza cedere alla fretta e senza ammalarsi di preoccupazione, dovrei solo sapere se riesco a prendere l’ultimo treno, disse il ragazzo mentre i medici lo ascoltavano dentro i camici bianchi, non possiamo saperlo noi, deve chiedere all’accettazione, gli rispose il medico con una barba a ciuffi che doveva essere difficile riordinare ogni mattina, dove abita? chiese l’altro medico con le vene del collo e una gobba sul naso che gli facevano una faccia tumultuosa, tutto nero, il ragazzo rispose dove abitava e il medico disse che sì, che i collegamenti erano davvero difficili e che probabilmente sarebbe stato meglio organizzarsi diversamente, domandando a qualche suo assegnato o male che vada al servizio navetta dell’ospedale, un ottimo servizio navetta si inserì il medico con la barba a ciuffi e gli occhi che sembravano rossi sotto la luce del neon, che faceva lo stesso rumore dei moscerini che friggono sui terrazzi in agosto, forse voglio fumare aggiunse il medico e l’altro sembrò quasi non sentirlo, anche il ragazzo ora non ascoltava più mentre teneva il braccio molle come se gli avessero spento un interruttore. Nessuno parlava troppo rumorosamente, velocemente, nessuno camminava con urgenza, nessuno soffriva con sofferenza, nessuno aspettava con impazienza, l’infermiera Lucia continuava a compilare carte dietro al bancone e sotto i numeri a pallini che indicavano la lista d’attesa, nessuno soffriva, nessuno si lamentava, non c’era nemmeno paura, perfino non c’era fastidio, il Pronto Soccorso era l’ennesima dimostrazione della rotondità sentimentale perfettamente riuscita, ora i medici si erano spostati alla macchinetta del caffè e tintinnavano di quel che dovevano fare, mentre la donna incinta parlottava al telefono sottovoce, sì sono qui c’è la carne nel secondo ripiano, diceva schiacciandosi l’apparecchio alla bocca, sicuro patate da tagliare a cubetti, sono la seconda, solo una persona, già fatto tutto, prendo un taxi, dovrebbero essere arrivate anche le bollette, le ho viste uscendo nella cassetta della posta, le chiavi sono nel cesto quello solito, così fai anche quello, alla prossima novità provo a chiamarti se non intralcio, ciao.

    Noi abbiamo fatto, disse Mario, frugando la tasca per ritrovare le chiavi dell’auto, non dovrebbe nemmeno esserci traffico da qua alla spiaggia, commentò Fulvio, mentre già aveva preso il passo per uscire dalla sala d’aspetto verso il parcheggio. Mario e Fulvio erano già arrivati al parcheggio, Roberto li aveva aspettati mentre si appuntava quelle due cose del lavoro che no, non poteva permettersi di dimenticare, le aveva scritte in bella copia sull’agendina che aveva sempre con sé, dalla carta rammollita dagli anni e in una delle sue prime pagine aveva appuntato la data del ritiro che si stava avvicinando a grandi falcate, mi mancano due anni e centoquarantotto giorni aveva pensato sfogliandola prima di prendere l’appunto, cercando una mezza facciata ancora intonsa. Abbiamo fatto, gli avevano detto Mario e Fulvio, e Roberto si era allacciato la cintura e si era messo in posizione come se dovesse partire un missile.

    Tornarono alla spiaggia, avrebbero avuto ancora due ore di libertà se non avessero incontrato ingorghi. Non si sa se trovarono strada libera, questo non se lo ricorda nessuno.

    Capitolo 2 – Dialogo con il dottore

    Ora riesce a vedermi? Riesce a rispondermi?

    Mi sento confuso.

    Mi dica il suo nome.

    Fausto Albini.

    Fausto, sente qualcosa qui?

    Qui dove?

    E qui?

    Credo di no.

    Quanto si sente confuso?

    Otto.

    Ha dolori?

    Al petto.

    Quanto dolore?

    Almeno sette.

    Altri dolori?

    Disturbi.

    Dove?

    Alla gola, come un soffocamento.

    Ancora?

    Sì. Ma in diminuzione.

    Mi spieghi bene cosa è successo sulla spiaggia.

    Stavo facendo un disegno con un ramo.

    Un ramo?

    Sì, un ramo che ho trovato lì.

    Che disegno?

    Niente di particolare, un cerchio.

    Signor Albini, lei sa che è vietato disegnare se non per imprescindibili motivi professionali?

    Sì, sì certo. Ma non era un disegno. Trascinavo un bastone sulla sabbia.

    Non si direbbe vista la sua reazione.

    Non ricordo nemmeno cosa fosse.

    Lasciamo perdere, torniamo ai sintomi.

    Giramento di testa.

    Come una sensazione?

    Come una sensazione.

    Ah.

    Ah?

    A. A. A come appunto. Lo vede.

    Vedo cosa?

    Fa molte domande. Anche questo non è normale. Non è nemmeno raccomandabile.

    Le chiedo perché non capisco. Lei ha un’idea di cosa possa essermi successo?

    Risponda a me, per favore.

    Certo.

    Che sensazione ha avuto disegnando sulla sabbia?

    Non stavo disegnando.

    Risponda per favore.

    Non so se fosse una sensazione o un malore.

    Ha appena parlato di sensazione, ha detto esattamente così.

    Qualcosa in testa, nel cervello.

    Signor Albini, non prendiamoci in giro: ha provato simpatia per quel disegno?

    No, no. Forse si trattava di un ricordo.

    La situazione non è migliore.

    Come se mi avesse richiamato un’immagine.

    Così non fa altro che peggiorare la sua situazione, signor Albini, non vorrei essere costretto a scrivere una relazione per la Polizia Affettiva. Se ha avuto la sensazione di dover ricordare qualcosa e di ricordare un momento che ha vissuto, significa evidentemente che dobbiamo intervenire forte e subito. Proviamo a ragionare con calma.

    Certo.

    Le è mai capitato di sorridere?

    No, mai.

    Le devo ricordare che le sue dichiarazioni hanno valore penale.

    Confermo, mai.

    Lei sa che grazie agli ultimi progressi della ricerca in questo ospedale siamo in grado di individuare eventuali sorrisi anche attraverso i nostri esami. Lo sa, vero?

    Non lo sapevo. Ne sono felice per la nostra sicurezza nazionale.

    Quindi la sua risposta è sempre la stessa?

    Certo.

    Signor Albini, ha un colore preferito?

    No.

    Preferisce qualche alimento in particolare?

    No. Mangio secondo la rotazione nazionale.

    Scrive?

    Al lavoro. Per i clienti.

    A casa scrive?

    Appunto un paio di cose da fare, alla sera, per il giorno successivo.

    Dove?

    Sull’agenda del governo.

    L’ha qui con sé?

    Sì, nella borsa.

    Infermiera, per favore, prenda l’agenda. Signor Albini, ci autorizza?

    Certo.

    Grazie.

    Si figuri.

    Ci sono pagine con inchiostro blu e con inchiostro nero.

    Non lo avevo notato, è la penna che mi forniscono in ufficio.

    Dove lavora signor Albini?

    Architetto per l’Azienda Elettrotecnica Nazionale.

    Che ruolo ricopre?

    Capo progetto.

    Che mi dice del suo lavoro? La gratifica?

    Non me lo sono mai chiesto. Lavoro.

    Perfetto.

    Dottore, le posso assicurare che non ho mai avuto sintomi di pazzia o di debolezza, né per i colori né per il lavoro né per altro.

    Le capita di volere qualcosa?

    No.

    Bene.

    Cosa ho avuto, dottore?

    Difficile dirlo prima che arrivino i risultati degli esami. Potrebbe essere un calo di zuccheri. Ha pranzato?

    Mezza porzione.

    Le porzioni sono calcolate sulla base di protocolli scientifici, perché non rispetta le quantità prescritte dal governo?

    Non avevo appetito.

    Doveva comunicarlo al suo tutore alimentare.

    Ho pensato che fosse una cosa passeggera.

    Signor Albini, se ognuno si prende la libertà di pensare finiamo male. Come lo vede un mondo governato dalle opinioni personali?

    Non voglio nemmeno pensarci. Ho commesso un errore. Saranno stati gli zuccheri che non ho ingerito. Sarò svenuto per questo.

    Signor Albini, lei ora faccia il paziente e mi faccia fare il medico. Mi dica, piuttosto, il nome di sua moglie assegnata. Come si chiama?

    Marta Tinelli.

    Da quanti anni le è stata assegnata?

    Due anni.

    Fra tre anni ha la rotazione.

    Sì, dottore.

    Sono emersi contrasti caratteriali?

    No, dottore.

    Che valutazione è stata data alla revisione?

    Otto, dottore.

    Come valuta l’efficienza di sua moglie?

    Otto e mezzo.

    Bene.

    Quanti bambini avete prodotto?

    Con la moglie attuale, due.

    Sono stati certificati sani all’ingresso dell’Asilo Nazionale?

    Sì, sette e mezzo il primo e nove il secondo.

    Sedici e mezzo la coppia. Perfetto.

    Ora come si sente?

    Sei.

    La confusione?

    In diminuzione, cinque.

    Ha appetito?

    Due.

    Dolori?

    Nessuno.

    Ha mai avuto la sensazione di essere molto stanco?

    Non so cosa intenda.

    Senta un po’, signor Albini, si ricorda della coppia che l’ha prodotto?

    No, nulla.

    Perfetto.

    Ora sono stanco.

    È stanco di questa nostra discussione?

    Stanchezza generale.

    La stanca rispondere alle domande?

    Anche.

    Ma si sente sotto pressione per i temi che stiamo trattando?

    Certo che no.

    Allora signor Albini, mi ascolti, le dico che c’è qualcosa che non torna nel quadro generale.

    Qualcosa di grave?

    Questo dovrebbe aiutarmi lei a capirlo. Mi permetto di credere che non mi abbia detto tutta la verità. Signor Albini, glielo chiedo schietto, è sicuro di non avere mai avuto sensazioni incontrollate? Qualcosa che le ha preso la gola, che le ha aumentato le palpitazioni o che le ha provocato debolezza alla tenuta delle gambe? È molto importante. Se dovesse essere qualcosa del genere, non è nulla di grave ma dobbiamo intervenire in un senso, altrimenti dovremo approfondire con i nostri esami per capire quale ghiandola, quale nervo, quale vena o cos’altro non funziona.

    No, dottore. Non sento, non ho pensieri particolari e sono nei parametri, non ho mai notato sintomi di eccessi.

    Lei sa che non sarebbe un problema.

    Certo.

    Nelle prossime ore potrebbe essere interrogato da agenti di polizia. Ora riposi.

    Va bene, dottore.

    La faccio spostare in reparto.

    Grazie dottore.

    Buona continuazione.

    Buona continuazione.

    Capitolo 3 – Marta Tinelli

    Marta Tinelli venne prelevata dalla sua abitazione la mattina successiva. La Polizia Affettiva bussò alla sua porta alle sette e trentotto minuti per intercettarla prima che uscisse per prendere l’autobus che la portava al lavoro, ma comunque in orario ragionevole perché avesse già provveduto alla toelettatura mattutina. Si presentarono con due scampanellate brevi e Marta Tinelli rispose da una finestra del piano superiore, una finestra di destra della facciata della casa a due piani con otto finestre, quattro per piano. Le abitazioni degli abitanti in classe cinque di DF erano tutte a due piani, tutte dipinte all’esterno di grigio quattrocentoventotto, così come i muri interni. La casa era composta da un ingresso stretto e lungo, a destra una mensola grigia quattrocentoventidue, per svuotare le tasche, a sinistra un attaccapanni per giacche e cappelli grigio quattrocentoventidue, poi un salone centrale arredato con un divano angolare nero settecentoventisette, un tavolinetto basso in plastica nero settecentoventisette, una televisione che per gli abitanti di classe cinque era di quarantanove pollici e una vaso di fiori finti con gambo verde trecentodue e petali verdi trecentosedici, colori utili al rilassamento defatigante, due bagni con sanitari bianchi zeroquattro e uno specchio e un mobiletto bianco zeroquattro, una camera da letto con un grande armadio a muro grigio quattrocentoventidue e un letto dello stesso colore, un letto a due piazze ottimo per facilitare la riproduzione, incastonato in due comodini che erano un unico pezzo con la testata di fattura robusta, la cucina dei classe cinque aveva i comuni elettrodomestici, frigorifero, forno, piano cottura, cappa e anche un forno a microonde e una piastra per panini, tutto in formica grigia quattrocentoventidue tranne i profili che erano neri settecentoventisette, una stanza per l’esercizio fisico con una cyclette e un tapis roulant e attrezzi e pesi verdi trecentosedici, la stanza per l’esercizio fisico era considerata una priorità dal governo di DF, l’esercizio fisico era fondamentale per garantire una perfetta rotondità affettiva che non cedesse alle sbavature di emozioni viatico di pazzia, dell’essere fuori misura e fuori luogo e per questo la stanza dell’esercizio fisico era prevista in tutte le case di tutti i cittadini di tutte le classi, variava la composizione e l’assortimento, solo quello, c’era lo spazio per il ripostiglio, un ripostiglio ampio dove accalcare gli abiti invernali d’estate e gli abiti estivi d’inverno e gli attrezzi che si usavano raramente, un ripostiglio a cinque ante lungo il muro grigio quattrocentoventidue con i pomelli bianchi zeroquattro dove Marta Tinelli aveva archiviato i suoi due abiti eleganti e i due abiti eleganti di Fausto, le sue due tenute sportive e le due tenute sportive di Fausto, i suoi abiti da mare e gli abiti da spiaggia di Fausto, gli indumenti da indossare con più libertà nelle giornate soli in casa, il suo cappotto e quello di Fausto, il suo impermeabile e quello di Fausto, le sue quattro paia di scarpe e le quattro paia di scarpe di Fausto, gli indumenti intimi dieci pezzi ciascuno, i calzini dodici paia lei e dodici paia Fausto, i due cappelli suoi e i due cappelli di Fausto, un paio di guanti per lei e uno per Fausto, due paia di ciabatte, in gomma e in tessuto, quelle sue e quelle di Fausto e la fornitura di tenute per il luogo di lavoro, la sua e quella di Fausto, oltre alle scope e qualche attrezzo per intervenire in piccoli aggiustamenti domestici senza dovere chiamare i tecnici. L’abbigliamento era grigio quattrocentoventiquattro, quello invernale, grigio quattrocentodue quello primaverile e quello estivo e solo un paio di scarpe, sia di Marta che di Fausto, era di un bianco zeroquattro da indossare nelle serate più importanti. Fuori, in giardino, dove i due poliziotti dell’Affettiva stavano con il muso all’insù osservando Marta che apriva la finestra e piegava gli angoli della bocca verso l’esterno per cominciare a pronunciare la prima parola di quella mattina che era stata solo silenzio fin lì, fuori in giardino le piantumazioni erano decise dal governo secondo un piano di disponibilità e di architettura umorale secondo le esigenze di gestione nazionale. Tutte le abitazioni di tutti i cittadini in classe cinque in tutto lo Stato di DF erano così, uguali l’una all’altra, copie appoggiate in fila come appena scese da un rullo trasportatore di una catena di montaggio di muri e tetti e giardini, una lingua di cellule tutte uguali che disegnavano un organo che non esiste in natura, un polpastrello lungo come tutto il braccio senza nessun neo e senza nessuna imperfezione, come succede solo con alcuni programmi informatici di grafica che rendono percettibile l’innaturale, un quartiere distinguibile solo per i numeri civici, altrimenti sarebbe stato un labirinto ripetuto come riesce solo il mare aperto.

    Buongiorno signora Tinelli, disse il poliziotto dalla strada, doveva essere il più alto in grado perché il collega reggeva a fatica carte, faldoni, una penna e chissà forse dei certificati, quello invece comodo con le braccia libere facendosi una tettoia con la mano sugli occhi per coprirsi dal sole, disse buongiorno signora Tinelli e lo ripeté due volte, la seconda con lo stesso tono ma a volume più alto interrompendo il buongiorno che Marta stava facendo scivolare giù dalla finestra come risposta, con il disincaglio che c’è sempre alla prima parola di prima mattina di chi si è svegliato solo in una casa vuota, buongiorno mi dica, disse Marta e aveva la voce ancora fredda che usciva in granuli ma nessuno ci fece caso, può scendere dovremmo parlarle, proseguì il poliziotto quasi dimenticandosi di metterci il tono interrogativo e finendo all’insù sull’ultima vocale con una parlata che sembrò goffa e malamente corretta, nessuno se ne accorse e certo arrivo disse Marta richiudendo la finestra con un breve risucchio di quell’aria mattutina che disinfetta i pensieri che di notte si appiccicano sui muri e nelle stanze. I poliziotti rimasero ad aspettare che la signora Tinelli avesse il tempo di attraversare il salone, percorrere il corridoio e trovare le chiavi della porta di casa appoggiate sulla mensola insieme alle chiavi dell’auto e a un mucchietto di scontrini ancora da sistemare, Marta segnava tutte le spese della casa in un suo registro per tenere d’occhio l’economia domestica ed evitare sorprese a fine mese, e di scendere le scale. Restarono fermi loro due nelle loro due divise, faceva caldo per tenersi quegli stemmi e quelle spalline ma non se ne accorsero, non si guardarono e non si dissero niente, fermi in attesa congelati per l’evento successivo, respiravano e basta e quello più giovane, quello che probabilmente anzi quasi sicuramente era il più basso in grado per quel suo inerpicarsi di mani che dovevano tenere in equilibrio tutte le carte, emise uno sbuffo che con tutta quell’immobilità e quell’attesa suonò come un fischio di un treno, ma non se ne accorsero e non fecero nemmeno un reciproco cenno di averlo sentito. Eccomi ditemi disse Marta mentre si avvicinava al cancello del giardino, senza fretta e senza nessuna preoccupazione, buongiorno signora ridisse ancora il poliziotto più anziano e questa volta buongiorno lo disse anche quello che cominciava a rovistare tra le carte, ditemi disse lei, abbiamo un mandato per chiederle di abbandonare l’abitazione, viene rimessa in turnazione in attesa di essere assegnata ad altro coniuge disse il poliziotto anziano mentre l’altro sfilava un documento che Marta prese a leggere allontanandolo, presbite, era un decreto di rimessa in circolo firmato dal ministero della Famiglia e del Matrimonio, ma è successo qualcosa? chiese Marta per niente preoccupata, una domanda pulita e liscia, no niente rispose il poliziotto, il suo marito assegnato Fausto Albini è ricoverato in ospedale per un sospetto crollo di nervi, non c’è ancora una diagnosi ufficiale, ma per precauzione il magistrato ha deciso di assegnare a lei un altro marito, capisco rispose Marta anche se non aveva capito ma non è che le interessasse un granché, il signor Albini ha mai dato segni che potessero far destare preoccupazione? chiese a Marta il poliziotto più giovane che ora si era appoggiato al cofano dell’auto per verbalizzare, no niente rispose Marta, ha mai scritto illegalmente o l’ha mai sorpreso a leggere materiale vietato? chiese ancora il poliziotto e no niente rispose ancora Marta, a lei bastano quarantacinque minuti? chiese il poliziotto anziano che adesso si stava quasi spazientendo come se inconsciamente considerasse già finito quel servizio, superato lo scoglio della comunicazione del fatto e dei provvedimenti conseguenti, quarantacinque minuti per prendere tutto mi dovrebbero bastare rispose Marta e pronunciò la risposta come se non le interessasse, prenda tutte le sue cose e lasci pure ciò

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