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King Of Hearts
King Of Hearts
King Of Hearts
Ebook395 pages5 hoursRake Forge University

King Of Hearts

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About this ebook

Il fallimento del college non era nei miei piani.
Nemmeno rimanere incinta.
Eppure, eccomi qui, pronta a iniziare un altro anno alla Rake Forge University, incinta e attualmente senza una casa.
Sembra che non sia l'unica a essere tornata.
Juan Hernandez, il migliore amico di mia sorella, cammina per il campus con quella mascella di granito e quelle ciocche di capelli corvini che gli baciano la fronte, con gli occhi di whiskey che riducono tutti in cenere.
L'ho evitato per mesi, ma nel momento in cui mi vede, il gioco è finito.
La prima cosa che fa è rubarmi le labbra in un bacio sconvolgente. Una punizione.
La seconda cosa che fa è salvarmi dal dormire in macchina. Una lezione.
Vivere con lui non funzionerà mai, non con le sue parole sfacciate, con il suo sguardo caldo e costante, o come il suo sfiorarmi.
Le sue dita marchiano la mia pelle come se mi possedesse e, a un certo punto, so che vuole.
Quello che non sa è che io appartengo a un altro uomo... e al mio ventunesimo compleanno tornerò da lui, che lo voglia o no.

*Questo è il secondo libro della serie Rake Forge University, si consiglia di leggere prima Wild Card.*
LanguageItaliano
PublisherRoyal Books Edizioni
Release dateAug 6, 2025
ISBN9791280463777
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    Book preview

    King Of Hearts - Ashley

    Prologo

    Taylor

    Avevo sette anni la prima volta che vidi qualcuno morire. L’uomo cadde a terra dopo che mio padre gli puntò la pistola al petto, formando un cerchio rosso scuro all’altezza del suo cuore e facendo battere il mio contro le costole. La paura mi bloccò, come una corda legata con nodi stretti, facendomi rimanere in quella stanza anche quando me ne andai. Da quanto erano pesanti a causa della corsa, sembrava che i miei piccoli piedi fossero rimasti incastrati in blocchi di cemento.

    Non fui abbastanza veloce da evitare la presa di mio padre. La mia coda di cavallo stretta nel suo grande pugno mi strattonava al piano di sotto, riportandomi nel luogo in cui aveva appena commesso un crimine efferato. Tremavo mentre lui si avvicinava al mio orecchio e parlava di dovere, penitenza e lezioni.

    Ero talmente piccola da non realizzare che ero solo un ammasso di creta nelle sue mani; che lui poteva modellarmi, plasmarmi e utilizzarmi come voleva. Aveva imposto le sue lezioni su di me non perché potessi essere desensibilizzata all’omicidio o allo spargimento di sangue, ma perché imparassi ad avere paura di lui.

    A tredici anni mi resi conto che, per quante lezioni mi avesse impartito, la voglia di mio padre di eseguirle non si sarebbe mai placata.

    «Quindi è questo che hai scelto, értékes?» domandò mio padre, stringendo il suo sguardo gelido e fissandomi. Mi mancò il fiato a sentire il nomignolo con cui mi chiamava da quando ero piccola. Quel termine aveva un significato affettuoso, eppure non una sola volta mi ero sentita preziosa per l’uomo con cui condividevo il DNA.

    Era alto, con i capelli che sembravano quasi dei lampi sulla sua pelle pallida. Faceva risaltare i suoi occhi di un azzurro chiaro… gli occhi del diavolo. Secondo alcuni ero stata fortunata, perché i miei erano come quelli di mia madre: più netti, come specchi di acqua scintillante presi dall’oceano.

    «Sì.» La mia voce era come un debole pezzo di legno che protegge una lastra di vetro durante un uragano. Il tocco leggero di mia madre sulla mia schiena mi costrinse a stare dritta, ricordandomi di tenere la testa alta nonostante l’istinto fosse quello di cedere.

    «Sai che sei già stata promessa alla famiglia Mariano… al giovane Markos.» Mio padre prese con disinvoltura il bicchiere che conteneva la vodka e se lo portò alle labbra.

    Come potrei scordarmi del ragazzo che ha reso la mia vita un inferno?

    Markos era un ragazzo aggressivo, come lo era suo padre: malvagio e minaccioso.

    Il tocco di mia madre sparì; sapevo che lo faceva per farmi stare dritta da sola. Non era mai stata troppo materna, ma avevo bisogno di sentirla. Specialmente mentre affrontavo Ivan, il lupo dell’est.

    «Sono pronta a mantenere quella promessa.» Vidi Jakob, il secondo in comando a mio padre, che si mosse.

    Era stato più lui un padre per me, di quanto lo sia stato effettivamente il mio vero genitore. Il movimento si percepì appena, ma io lo notai. Era preparato a difendermi se necessario.

    Si potevano contare sulle dita le parole che mi aveva detto negli ultimi tredici anni, ma i suoi gesti di gentilezza non si potevano misurare.

    Lo sguardo di mio padre passò alla donna dietro di me. Lei non emise suono. No, inspirò un filo d’aria ma non fece nulla mentre mio padre la sfidava con lo sguardo.

    «Lo permetterò, ma solo perché ho degli affari in Ungheria.» L’aria nella stanza sembrò diventare sempre più sottile mentre aspettavamo che finisse la frase. Posò il bicchiere con cautela, come se stesse riponendo una pistola carica e non avesse ancora deciso il suo obiettivo. «Ti lascerò libera, senza altre visite… ma spero che tua madre non ti permetta di rammollirti con il tempo, perché l’uomo che sposerai avrà a che fare con il sangue come me. È nel tuo futuro, che tu lo neghi ora o lo accetti dopo. Non puoi fuggirgli.»

    Gli feci un cenno deciso, il più stabile che la mia debole testa potesse sostenere.

    Tredici anni, affrontando l’uomo più pericoloso di questo lato del paese. Nel giro di pochi secondi avrebbe potuto cambiare idea, decidere di uccidere mia madre e vendermi. Conoscevo solo una piccola parte dei piani che Ivan aveva in serbo per me, ma nessuno di questi era decente o nobile. Erano patti intrinsechi di sangue e avevano un prezzo più alto di quanto un’anima potesse sopportare.

    Me ne andai, rassegnata riguardo al mio destino: a ventuno anni sarei diventata una sposa. Nessun urlo o grido l’avrebbe cambiato, ma almeno per gli anni successivi avrei avuto una tregua, una pausa dalle lezioni che mio padre mi imponeva… un sollievo dal rosso che macchiava il suo giardino ogni estate, dal vedere cadaveri in attesa di essere sepolti.

    Dovevo fare in modo che ogni secondo di libertà contasse, perché il ritorno a quella vita sarebbe stato senza un’anima o una sola speranza.

    1

    Taylor

    Ultimo anno di università: marzo

    «Hai intenzione di dire qualcosa?»

    La domanda netta penetrò nei miei pensieri, diffondendosi come inchiostro rovesciato su tutte le mie possibili giustificazioni. Avevo appena baciato qualcuno e lui non aveva idea del perché. Il problema era la verità… il vero motivo del mio gesto poteva anche essere scritto in Braille su una pietra e gettata nella parte più profonda dell’oceano. Per nessun motivo al mondo gli avrei detto perché all’improvviso l’avevo preso per la maglietta, facendo scontrare le mie labbra con le sue, lasciando che la sua lingua si insinuasse nella mia bocca e mi consumasse. Avrei portato la verità fino alla tomba.

    «Cosa vuoi che ti dica?» Mi allontanai, tendendo le dita contro l’aria, come se una forza invisibile potesse sminuire quanto era stato bello avere il suo corpo premuto contro il mio. Lo sentii ridacchiare. Avrei voluto voltarmi per vedere se le sue labbra si erano curvate nello stesso modo sensuale di quando aveva cercato di convincermi a guardare un film insieme ai suoi amici.

    «Quindi mi scrivi, mi dici di venire da te, mi limoni appena entro in casa… e non hai niente da dirmi?» Sembrava che stesse cercando di chiarire la situazione, ma non capivo perché. Sapevamo entrambi cos’era successo… era solo incazzato perché non volevo spiegare il motivo delle mie azioni.

    Il fatto che lui volesse un chiarimento mi faceva gonfiare il cuore.

    Presi del tempo cercando nella borsa prima il lucidalabbra e poi il telefono; dovevo allontanare quella sensazione.

    Avevo sognato, e fantasticato ossessivamente, il migliore amico di mia sorella per quattro anni, e dato che dopo il diploma avremmo dovuto prendere ognuno la propria strada, sentivo di dover fare una mossa.

    Obiettivo dell’anno: baciare Juan Hernandez prima del diploma.

    Era praticamente la mia sola aspirazione.

    Mallory, la mia sorellastra, sarebbe stata disgustata se avesse saputo che il mio unico sogno era quello di baciare un ragazzo e non di aprire o gestire un’attività, o altro, oltre a essere avvolta nelle sue braccia per il resto della mia vita.

    Era finalmente arrivata la chance di fare la mia mossa, quindi avevo preso il numero di Juan dal telefono di mia sorella mentre lei era sotto la doccia. Non ne andavo fiera, ma sapendo che Mallory era impegnata e Juan no, gli avevo scritto chiedendogli se potesse venire ad aiutarmi con una cosa di Mal.

    Mentii.

    Non che fosse la prima volta, ma era la prima bugia che rifilavo al ragazzo per cui avevo una cotta da quattro anni. Il piano era che, una volta soli, iniziassimo a parlare e a ridere, poi avrei fatto in modo che lui mi volesse – come voleva ogni altra ragazza. Ma Juan non mi era mai sembrato davvero interessato.

    Non importava come mi vestissi o comportassi, niente serviva a far sì che mi vedesse in un altro modo oltre che come la sorellina di Mallory. Quindi, quella era la mia unica opportunità.

    Avevo aperto la porta e, prima che uno di noi potesse dire qualcosa, l’avevo baciato.

    Per fortuna non mi aveva respinto. Sarei morta se l’avesse fatto.

    Si era fermato per un secondo, quelle labbra calde e setose fisse contro le mie. Un attimo dopo, aveva lasciato andare un gemito e si era mosso un po’, trovando il ritmo con me. Le sue labbra e la sua lingua si muovevano contro la mia bocca, le sue mani nei miei capelli, stringendoli e tirandoli con l’intensità giusta. Era esattamente tutto ciò che avevo sognato. Quando mi aveva spinta indietro contro il muro, avevo capito di essere andata troppo oltre.

    Mi ero fermata, perché tutto ciò che potevo avere da lui era un bacio. Non ci sarebbe mai potuto essere nient’altro. Le avventure andavano bene per me: mi piaceva fare sesso e non c’erano impegni. Juan era l’unico uomo su cui mi concedevo di fare fantasie, e lui non lo sapeva nemmeno.

    Il modo in cui si sfregò le labbra mentre guardava il pavimento, scuotendo la testa come se non riuscisse a credere a quello che era successo... mi fece provare una strana emozione.

    Stava già andando verso la porta e il mio petto faceva male da quanto avessi bisogno di tirarlo per il braccio così che potesse rimanere con me. Nessuno rimaneva mai, venivo sempre dimenticata e dopo un po’ ci avevo fatto l’abitudine, trovando un mio modo per intrattenermi… ma niente di quello era come avere il corpo di Juan schiacciato contro il mio o il modo in cui il suo profumo mi avvolgeva.

    Mi sentivo come se il polsino per la pressione sanguigna fosse stato stretto attorno al mio cuore mentre lo guardavo aprire la porta. Mi uscì un suono dalla bocca, che obbligò Juan a fermarsi con la mano sul pomello. Avevo una sola possibilità di dire qualcosa per fargli cambiare idea. Aveva risposto al bacio dopotutto, quindi ci doveva essere una parte di lui che mi desiderava… no? Eppure, mentre guardavo la sua alta figura accasciarsi contro l’ingresso, l’unico suono che mi uscì fu la solita serie di parole provate e riprovate, che avrebbero agito come un muro di protezione per chiunque mi fosse mai interessato.

    «È stato un errore… stavo aspettando Holden e pensavo fossi lui. Mi sono fatta trasportare un po’ dalla passione.»

    Le lacrime bruciavano per uscire, mentre soffocavo le parole che in realtà volevo confessare. Ma non potevo. Juan era il tipo di ragazzo che avrebbe fatto le cose nel modo giusto e che sarebbe uscito con me sul serio – sempre che gli importasse di me in quel modo…

    Ma anche se fosse successo, mio padre avrebbe trovato un modo per ucciderlo. Il mio ventunesimo compleanno sarebbe stato alla fine dell’anno e nessun uomo nella mia vita era al sicuro.

    Gli occhi di Juan lampeggiarono di dolore, poi la sua testa si inclinò in evidente frustrazione. Alzò la mano per massaggiarsi la mascella liscia, e io cercai di memorizzarlo così: era lì in piedi a casa mia, era bello ed era lì per me, non per la mia sorellastra.

    «Sai, pensavo…» I suoi occhi guardarono un attimo il tappeto prima che si ricomponesse. «Beh, non importa cosa pensassi. Mi hai dimostrato il contrario.»

    La porta si chiuse sbattendo mentre cercavo di scacciare una lacrima. L’avrei nascosto come un biglietto piegato con cura, nei luoghi più oscuri del mio cuore. Un giorno, dopo aver sposato Markos, l’avrei ripreso e avrei visto come avrei potuto amare Juan, come avrebbe potuto essere tutto.

    2

    Juan

    Maggio

    Una scarica di adrenalina mi colpì nel petto mentre inserivo la chiave nella serratura e la giravo per aprire. Non era casa mia, non era la mia porta, eppure lì mi sentivo sempre a casa. Facendo una smorfia al color verde petrolio che Mal non aveva mai voluto e alla ridicola ghirlanda appesa alla porta, entrai.

    Il sole riscaldava i pavimenti e le pareti, rivelando due finestre aperte, con le tende di pizzo che si gonfiavano nella brezza leggera; quel dettaglio non avrebbe dovuto disturbarmi, ma lo fece. Avere le finestre aperte significava che non erano chiuse e bloccate. Mentalmente mi rimproverai per essermi preoccupato del fatto che lei fosse al sicuro o meno; non avrebbe dovuto avere alcuna importanza. Era solo un piacere, una richiesta mandatami dalla mia migliore amica mentre stavo andando ad allenarmi. Come innaffiare una cazzo di pianta.

    «Sei di nuovo qui.» Una voce bassa parlò dietro di me, e una scossa mi colpì di nuovo.

    Mi preparai mentalmente a vederla, a sentire la sua indifferenza. «Hai di nuovo dormito fino a tardi.» Schioccai la lingua in risposta.

    Quella sua bocca imbronciata diventò una smorfia, mentre gli occhi azzurri roteavano verso l’alto. Sole, seta e tristezza: ecco di cosa era fatta quella ragazza e, per qualche fottuta ragione, mi chiamava a sé. Era come una melodia che risuonava nel mio sangue, martellava nelle mie orecchie e nel mio petto per avvicinarmi a lei, tenerla stretta… tenerla. Solo che non l’avrei mai fatto. Era una porta che ogni tanto doveva essere aperta e poi richiusa, sbattendo, dopo pochi secondi. Se lasciata aperta troppo a lungo, lei affondava i suoi artigli mirando al cuore. L’ultima volta era solo riuscita a causare un caso di palle blu… non l’avrei più fatta avvicinare tanto.

    «Perché sei così stronzo ogni volta che vieni qui?» Prese il caffè che avevo portato e lo bevve. Ovviamente pensava fosse per lei; era talmente egoista da pensare che io fossi lì per lei.

    Era solo per la mia migliore amica, che era così preoccupata per la sua cazzo di sorellina, se ogni tanto passavo a dare un’occhiata. A Mallory importava fin troppo, al punto di farsi venire un’ulcera o, peggio, un attacco cardiaco. Mentre a Taylor non fotteva una sega se Mal stava bene o se stava facendo un lavoro che non le piaceva. Ce l’avevo con lei per questo. Mal non lo sapeva, ma ero arrabbiatissimo che lei avesse dovuto rinunciare a tanto e sua sorella si permettesse di non sollevare neanche un dito.

    Andai verso la cucina, troppo incazzato con Taylor per notare cosa coprisse a malapena il suo corpo. Il modo in cui la canottiera premeva contro il suo seno mostrava chiaramente i suoi capezzoli turgidi e il fatto che non stesse indossando un reggiseno. E poi i suoi pantaloncini salivano così in alto da rivelare la curva dei glutei. Taylor Beck aveva un corpo per cui valeva la pena peccare, non lo negavo, ma avrei preferito diventare un prete cattolico e fare un voto di astinenza piuttosto che ripetere l’esperienza. Un bacio era stato sufficiente.

    «Sono l’unico stronzo che hai incontrato nella tua preziosa e protetta vita?» Sbirciai alle mie spalle mentre presi a lavare i piatti nel lavandino. Non seppi perché lo feci, ma mi dava fastidio vederli sporchi. Oltre alle innumerevoli confezioni di cibo d’asporto sul bancone. Quel posto era un casino. Taylor avrebbe dovuto andarsene visto che aveva finito la scuola, ma ogni volta che passavo a controllare, sicuro come l’oro, lei era ancora lì.

    «Tu non sai niente della mia vita», rispose, con voce un po’ esitante.

    Conoscevo abbastanza della sua vita da sapere che non si meritava tutto il tempo che perdevo a causa sua. Sapevo che era egoista ed egocentrica. Sapevo che era impressa nella mia mente e non ne conoscevo il motivo.

    Che io stessi facendo skate, lottando o scopando, lei era lì: capelli color del sole in un giorno sereno, occhi azzurri illuminati da lacrime non piante − che lei pensava nessuno avesse mai notato − e la sua pelle.

    Girai la testa, ignorando la sua pelle morbida e abbronzata. L’avevo toccata una volta e mi era rimasta in testa. A volte quell’immagine guidava la mia mano mentre mi masturbavo, sperando di cacciarla dalla mia mente.

    «So che quell’arrampicatrice sociale di tua madre ha trovato un biglietto della lotteria vincente sottoforma di idiota magico, ha sposato Charles Shaw ed è diventata la moglie di un milionario all’improvviso. So che sei stata viziata nel corso degli ultimi sei anni, rendendo la vita della tua sorellastra un inferno. So che sei egoista, presuntuosa e facile da scopare.»

    I suoi occhi azzurri scintillarono per le lacrime, ma non ne cadde alcuna. Alzò il mento, strinse le labbra e notai che i suoi pugni erano stretti.

    Sì. Arrabbiati, tesoro. Litighiamo. Scopiamo. Smettila di farmi soffrire.

    All’improvviso iniziò a ridere, facendo uscire uno sbuffo prima di spostarsi i setosi capelli biondi dal volto. Finirono dietro alle sue spalle, e non potei non pensare che era una mia fantasia tirarglieli mentre la scopavo da dietro. Una fantasia e un incubo.

    «Stai sprecando le mie energie. Sei totalmente dimenticabile.» Taylor mi passò vicino, prendendo il bicchiere di caffè e poi andando nella sua stanza in fondo al corridoio.

    Sapevo che le mie parole l’avevano ferita, e volevo che lo facessero ma, cazzo, non volevo ammettere quanto le sue mi colpivano come un missile centrando le mie insicurezze.

    «Vuoi sapere perché sono sempre uno stronzo ogni volta che ti vedo?» domandai all’improvviso mentre se ne andava.

    Si fermò in mezzo al corridoio e si voltò. «Perché ci siamo baciati e io pensavo che tu fossi un’altra persona?»

    Fuoco. Ghiaccio.

    Mi faceva sentire di tutto.

    Feci un passo verso di lei, socchiudendo gli occhi. «Sono uno stronzo perché sei egoista. Non ti meriti Mallory come sorellastra. Fa di tutto per te e tu le restituisci solo merda. Tutto quello che fai le rende la vita più difficile, ed è perché lei ha me, qualcuno a cui importa sul serio, che non addolcirò la verità su quanto io vorrei che tu sparissi, cazzo. Fidati, il fatto che mi hai baciato non ha nulla a che fare con tutto ciò. Non riesco proprio a sopportarti, ma nessuno ci riesce, quindi almeno non sono solo.»

    Ce l’avevo fatta finalmente. L’avevo fatta piangere.

    Lacrimoni scesero dalle sue ciglia nere mentre il suo collo diventava rosso dalla rabbia, arrivando fino alle guance.

    Ignorai ciò che sentii nel petto nel vederla reagire a quella che probabilmente era la frase più terribile che avessi mai detto a qualcuno in vita mia. Rimase lì a piangere mentre le passai vicino per uscire dalla porta. Forse avrei dovuto dire a Mal che non sarei più potuto andare a casa sua. Forse, dopo quel giorno, sarebbe sparita dalla mia vita una volta per tutte.

    *

    Giugno

    Juan: Andrai al matrimonio?

    Taylor: Chi sei?

    Juan: Non fare la finta tonta.

    Juan: Juan?

    Juan: Bingo.

    Taylor: (Emoji che ruota gli occhi) Che vuoi?

    Juan: Una cazzo di risposta sarebbe gradita.

    Taylor: Non devi per forza essere un coglione.

    Juan: E tu non mi devi per forza provocare, eppure eccoci qua…

    Taylor: Vaffanculo

    *

    Juan: Ho sentito che sarai la damigella d’onore… che ruolo strano per te, no?

    Taylor: Perché continui a scrivermi?

    Juan: Non ti ho scritto per una settimana…

    Taylor: Hai contato i giorni?

    Juan: Hai un accompagnatore per il matrimonio?

    Taylor:

    Juan: Pronto?

    Juan: Quindi continuerai a ignorarmi?

    Taylor: Sei uno stronzo… ti sei dimenticato cosa mi hai detto l’ultima volta che mi hai visto?

    Juan: Era tanto diverso dall’avermi chiamato da te, avermi ficcato la lingua in gola e poi dirmi che stavi baciando la persona sbagliata?

    Taylor: Pensavo non te ne fregasse.

    Juan:

    Taylor: Presumo che ti vedrò al matrimonio…

    Juan: Presumo di sì…

    3

    Taylor

    Settembre

    La mia unghia rosa passò sul volantino color magenta, leggendo bene ogni parola.

    «Cerco un coinquilino. Deve essere pulito e ordinato. Ottocento dollari. Ma che cazzo?!» esclamai a voce alta, socchiudendo gli occhi.

    Sul serio? Quasi mille dollari al mese per una camera sola?

    La mia mano scivolò via dalla bacheca dei messaggi mentre i miei polmoni fecero uscire un suono simile a quello di un palloncino che si sgonfia. Il sole era come una coperta di calore umido, che mi colpiva da ogni lato mentre mi asciugavo la fronte sudata. Ero riuscita a sopravvivere ai giorni peggiori dell’estate, ma in quel momento camminare con uno zaino enorme e la mia borraccia… era troppo.

    Per la prima volta dalla conversazione a cuore aperto con il mio patrigno, stavo iniziando a preoccuparmi. Avevamo organizzato un brunch qualche settimana prima, durante il quale avevo accennato all’idea di andare a vivere da sola. Lui si era offerto di comprarmi un appartamento, ma dopo che la mia sorellastra maggiore aveva rifiutato tutti gli aiuti di Charlie, il suo padre biologico, decisi che potevo farcela anch’io. Non avevo bisogno dei suoi milioni o di appartamenti gratis: potevo stare con qualche coinquilino e finire gli ultimi esami che mi rimanevano per ottenere la laurea triennale.

    Però, al momento, non potevo permettermi un affitto da ottocento dollari al mese. Non solo: non appena avevo iniziato a cercare un posto in cui vivere, avevo subito capito di essere arrivata tardi. Non era rimasto niente, e grazie al notevole aumento di nuovi residenti, si era creata una notevole bolla immobiliare che costringeva la gente a pagare prezzi altissimi per qualsiasi alloggio fosse disponibile. Poiché avevo rifiutato i soldi del mio patrigno, non c’era modo che io potessi permettermi quegli affitti. Ovviamente non ero idonea per nessun tipo di aiuto economico, ma avevo un piccolo fondo fiduciario che mia madre aveva creato per me. Mi sembrava totalmente diverso accettare aiuti dalla donna che mi aveva partorito invece di accettarli da Charlie. In più era un fondo che aveva iniziato quando eravamo povere. Contava solo diecimila dollari, che erano abbastanza per farmi sopravvivere per un po’, ma poi avrei dovuto cercare un lavoro.

    Il mio telefono squillò e mi fece distrarre da quei pensieri.

    «Ehi», risposi portando il telefono all’orecchio.

    «Hai già trovato qualche posto?» chiese la mia sorellastra e in sottofondo si sentì un rumore, come se avesse appena tirato qualcosa dall’altra parte della stanza.

    «Cos’è stato?»

    «Ho sollevato una scatola. Riesci a credere che non ho nessuno che mi aiuti, o un assistente che faccia questo tipo di cose per me?» Si lasciò sfuggire una risatina forzata, mentre qualcos’altro sbatteva contro il pavimento vicino a lei.

    Risi. «E quel giocatore di baseball che chiami marito?»

    «è in palestra, e potrebbe avermi detto di aspettare a sollevare queste scatole, ma mi sento un po’ ribelle oggi», spiegò orgogliosa.

    La mia sorellastra, che da un po’ chiamavo semplicemente sorella, aveva da poco iniziato a lavorare nell’ufficio di Charlie a New York, dove si era trasferita con il marito, Decker.

    «Non voglio sapere nulla sulla tua sfida con Decker. Risparmiatelo.» Risi ancora, facendo oscillare la mia borraccia mentre camminavo. Gli studenti universitari si affaccendavano nel campus, correndo per sistemarsi, trovare le classi e trasferirsi nei dormitori. Guardai con nostalgia una matricola con una scatola tra le braccia. Lei non era una senzatetto.

    «Sei senza fiato», disse Mallory con una punta di preoccupazione nella voce.

    Portai il polso alla fronte per asciugarmela, per poi rimettere il cellulare all’orecchio. «Sì… c’è più caldo di quanto immaginassi. Mi sento strana.»

    «Tay, fai attenzione. Certe ondate di calore possono essere molto pericolose.»

    Alzai gli occhi al cielo. «Lo so. Ho vissuto qui tanto quanto te.»

    «Sì, ma…»

    «Sai che ti voglio bene, Mal, ma hai chiamato per un altro motivo.»

    Lasciò andare un suono super drammatico mentre un altro schianto rimbombò nel telefono.

    «Volevo solo sapere se hai trovato un alloggio.»

    Emisi un sospiro e sprofondai su una panchina vicino all’edificio amministrativo. «Ho sicuramente delle opzioni.» Mi facevano male i piedi, le spalle e non avevo nemmeno iniziato il primo giorno.

    «Questo significa che non hai trovato niente.» Mal rise e riuscii a sentire il mio petto rilassarsi mentre mi univo alla risata. Mi mancava già, ed ero tornata alla Rake Forge solo da una settimana. Avevo passato quasi tutta l’estate con lei, e sentivo terribilmente la sua mancanza.

    «Non so cosa farò, Mal.» Scossi la testa, all’improvviso pesantissima. Altro sudore raggiunse le mie sopracciglia, inzuppando anche il collo e la schiena. Sapevo di aver bisogno di bere un po’ d’acqua, così presi la pesante borraccia e iniziai ad aprirla.

    «Sai che mi basta fare una telefonata», disse esitante.

    Le mie sopracciglia si aggrottarono mentre consideravo ciò di cui stava parlando.

    «Hillary?» Era una delle migliori amiche di mia sorella, avevo sentito si era trasferita a Chicago.

    Schioccò la lingua. «Non sto parlando di lei.»

    Feci la finta tonta. «Uhm, allora non saprei.»

    Mentre lo dissi, la persona in questione a cui sapevo si stesse riferendo stava venendo nella mia direzione con la testa chinata, guardando il suo telefono. Il mio cuore fece un piccolo salto mortale mentre il collo improvvisamente si allungò, teso per osservare ogni centimetro di lui, per assicurarmi che non fosse un miraggio o solo perché era strano vederlo dopo così tanti mesi. Più che altro perché lui non doveva trovarsi qui.

    Era laureato ed era un atleta professionista; non c’era nessun motivo valido per il quale dovesse essere al campus.

    «Juan ha chiesto di te», precisò Mal, probabilmente preoccupata di come avrei potuto reagire.

    Non avevamo più parlato di lui, tranne una volta mentre eravamo sul pavimento della mia camera, quando ammisi di voler ritornare a scuola. Lei non sapeva nulla del mio passato con il suo amico o della mia cotta, pensava solo che non andassimo d’accordo, perché in fondo per molte persone era difficile andare d’accordo con me. Probabilmente dopo il matrimonio ero stata un po’ immatura circa la sua amicizia con lui. In mia difesa, nessuno su questo pianeta mi aveva mai ferito quanto Juan, incluso quello psicopatico di mio padre.

    «Per favore, evita di dirgli qualsiasi cosa su di me», implorai mentre guardavo Juan camminare tranquillamente verso la porta che era quasi di fronte a me.

    Mi presi un secondo per ammirare la sua bellezza, solo per memorizzarla e usarla più tardi. Indossava jeans scuri che gli calzavano così bene che avrebbe potuto fare il modello. Delle Nike nuovissime erano sui suoi piedi.

    «È un bravo ragazzo, Tay. Ti aiuterebbe in un batter d’occhio.»

    Non sapeva della piccola visita di Juan dell’anno precedente: nessuno lo sapeva. Nessuno capiva che razza

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