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Scozia, 1297 - Dopo avere scommesso con il fratello gemello di trovare moglie per primo, il guerriero Camron del clan Graham si trova a dover affrontare la battaglia più infuocata della sua vita: conquistare Anna, il suo primo amore. Anna è profondamente protettiva nei confronti della famiglia e della propria indipendenza, perciò l’highlander dovrà dimostrarle che lei è ben più della posta in palio in una scommessa... e che lui è un uomo di parola al quale può affidare non solo la propria sicurezza, ma anche il proprio cuore!
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Scommessa per l'highlander - Nicole Locke
1
Aprile 1297, terre del clan Graham
«È tardi» farfugliò Camron del clan Graham. «Dovremmo andare a letto.»
«No» bofonchiò suo fratello, Hamilton. «È presto... non vedi che il sole sta per sorgere?»
Camron alzò il capo dalla spalla del fratello e guardò verso il punto che gli stava indicando. «È soltanto un falò che non si è ancora spento.»
«Il nostro sì.» Hamilton scalciò e Camron per poco non ruzzolò in avanti, finché il fratello non si riaccomodò e lui poté di nuovo appoggiarsi senza paura di cadere.
L’aria di quella notte d’aprile era fredda. Motivo per cui tre falò in più erano stati accesi con grossi ceppi fuori dal villaggio, così che il clan Graham potesse riunirsi e festeggiare il ritorno suo, del fratello e degli altri perlustratori e salutare la partenza di coloro che avrebbero preso il loro posto ai confini delle terre.
Non si udivano voci. Gli uomini erano già partiti da ore o era davvero mattino presto come pensava Hamilton?
Il loro falò si era spento e di tutti coloro che erano usciti a festeggiare soltanto lui e il fratello restavano seduti su un ceppo, appoggiati l’uno all’altro, sorreggendosi a vicenda.
«Dobbiamo andare a letto» ripeté Camron.
«Non so se le gambe mi reggono» ammise Hamilton.
Camron sapeva che anche le sue erano molli, ma non c’era più nessuno. Se voleva andarsene, dovevano riprendere a funzionare. «Ma quanta birra abbiamo bevuto?»
«Siamo gli unici Graham rimasti in piedi» affermò il fratello.
In realtà non erano in piedi, ma era troppo stanco per puntualizzarlo.
«Mai scommettere contro un Graham, quando si tratta di bere. È impossibile vincere» continuò Hamilton.
«Ma io sono un Graham.» A Camron parve di aver già sentito quelle parole, pronunciate dal fratello.
Forse era successo la sera prima. Dopotutto, era così che iniziavano molte delle loro gare, sfide e scommesse. Da che si erano accorti di avere lo stesso aspetto, identico in tutto, dall’altezza al colore delle dita dei piedi, l’uno cercava continuamente di superare l’altro così da dimostrare le loro differenze.
Non tanto fra di loro, ma nei confronti del clan. Da parte sua, si sentiva ben diverso da Hamilton. Era ovvio... Lui era riservato, mentre il fratello amava vantarsi di essere coraggioso, audace o altri termini ridicoli. In realtà era un piantagrane. E di solito era lui a proporre delle scommesse.
Camron cercò di massaggiarsi la fronte, ma la mancò.
«Ahi!» esclamò Hamilton. «Perché mi hai ficcato un dito nell’occhio?»
«Meriteresti di peggio.»
«Forse non avresti dovuto bere tanto idromele.»
Idromele? Ecco perché la testa gli doleva! Aveva bevuto l’idromele di Seoc. Quell’uomo era robusto come una quercia. Preparava l’idromele proprio per riuscire a ubriacarsi. Nessun altro avrebbe dovuto berlo.
«Credevo che avessimo deciso di bere birra.»
«Sì, ma a quanto pare volevi ritrovarti con un bel mal di testa al mattino.» Hamilton appoggiò il capo sulla sua spalla. «Devo dormire.»
Anche lui. E invece rimasero lì, seduti su quel ceppo con la bruma che inzuppava i loro vestiti.
Non sentiva freddo, ma non sapeva se ciò fosse dovuto al falò che si era spento da poco ai loro piedi, all’idromele che gli scorreva ancora nelle vene o alla massa pesante del fratello appoggiato al suo fianco che bloccava il vento.
Si strinse fra le braccia. Se ci fosse stato freddo, si sarebbe alzato, ma poiché non lo era...
«È bello essere tornati a casa» commentò Hamilton a bassa voce.
Camron si risvegliò di soprassalto. Si era davvero addormentato? Udì Hamilton russare. Poco importava che a pronunciare quelle parole fosse stata la voce del fratello piuttosto che la sua... descrivevano al meglio ciò che provava.
Nel corso degli ultimi anni era stato difficile mantenere l’esistenza pacifica del clan.
E ciò non solo per via delle tensioni crescenti tra Inghilterra e Scozia o per colpa di Re Edoardo e della battaglia di Dunbar, combattuta a marzo dell’anno prima, quando Sir Patrick Graham era morto.
Durante quello scontro, lui e Hamilton erano fuggiti nel bosco trascinandosi dietro il loro amico Seoc, che aveva ricevuto una ferita al costato che si era poi infettata, portando con sé una febbre altissima che per poco gli era costata la vita.
La pace era interrotta anche dai clan vicini. Tra molti di loro vigeva un’amichevole rivalità, ma alcuni, come i Buchanan e i Colquhoun, non erano così amichevoli. Di recente la tensione fra loro era cresciuta, tanto che nemmeno un matrimonio l’aveva risolta.
Lui e Hamilton avevano partecipato alle nozze, ma sulla cerimonia aveva gravato un pesante presentimento con il quale il clan Graham non voleva avere nulla a che fare e, per fortuna, lui e il fratello non erano stati in alcun modo coinvolti.
La tensione crescente fra Inghilterra e Scozia li teneva già abbastanza occupati. Dal giorno della battaglia di Dunbar, per salvare vite era stato fondamentale perlustrare regolarmente i territori e scambiare informazioni tra i clan.
Si chiedeva se sarebbe bastato. Proprio in quel momento William Wallace intendeva colpire gli inglesi. Si trovava a Stirling, vero, ma nessuna battaglia era abbastanza lontana da tenere la gente al sicuro.
Lui e il fratello erano celibi e ben addestrati con la spada, di conseguenza venivano mandati spesso a comunicare con gli altri clan o in perlustrazione. Quella era la prima sera in cui, insieme a molti dei loro amici, erano a casa. Motivo di tanti bagordi.
Fu quindi colpito dallo scoramento quasi disperato che provava ogni volta che tornava a casa. L’amava, tuttavia vi trovava anche tormento. Un’inquietudine costante che non aveva nulla a che vedere con guerre e rivalità, ma che aveva a che fare con Anna, una donna di cui si era innamorato quando non aveva avuto più di dieci anni.
«Hai sospirato di nuovo, fratello mio.» Hamilton sollevò il capo, per poi riappoggiarlo sulla sua spalla. «Stai già pensando a lei? Non siamo qui nemmeno da un giorno.»
Poco importava che fossero rientrati da un’ora o dopo anni lontani. I suoi pensieri tornavano sempre su di lei.
«Oggi la rivedrò. Meglio che mi prepari all’idea, piuttosto che rimanere sorpreso imbattendomi in lei dietro un angolo.»
«Credevo di averti fatto ubriacare abbastanza da permetterti di passare almeno una nottata indenne» sospirò Hamilton.
«È per questo che mi hai sfidato a bere?»
Hamilton si drizzò a sedere, si accomodò meglio, per poi accasciarsi di nuovo su di lui.
Il braccio che aveva appena iniziato a sentire tornò a intorpidirsi.
Il fratello era pesante. Certo, lo stesso poteva dirsi di lui. Occhi e capelli marroni identici. Non erano alti come alcuni membri del clan, ma erano dotati di una forza maggiore. Nemmeno i genitori a volte li distinguevano. E loro ne avevano spesso approfittato.
Per quanto riguardava l’aspetto, Camron non si rivedeva mai sul volto del fratello. Anzi gli pareva ogni volta di guardare il proprio opposto.
L’unica a fare eccezione era Anna, che lo riconosceva sempre, forse perché non aveva mai smesso di fissarla da che era stato bambino, non riuscendo a staccarle gli occhi di dosso.
«Non sono stato io a lanciare la sfida» lo informò Hamilton.
Eppure era sempre lui che le inventava... o quasi. «Come riesci a ricordartelo con questo tamburo in testa?» gli domandò.
«La mia non batte. È solo stanca.»
Camron sentiva il corpo intero stanco, ma carico di una circospetta trepidazione ormai familiare. «Oggi la rivedrò» ripeté.
Seguì una lunga pausa. «Non ci fermeremo tanto come l’altra volta.»
Motivo per cui era preoccupato. Dopo averla desiderata da sempre, Anna sarebbe mai stata sua?
Ancora non ricordava perché quella sera di molto tempo prima, all’età di dieci anni, si fosse ritrovato all’aperto. Era stata una di quelle nottate con l’aria umida carica di pioggia, eppure calda. Ricordava che i membri del clan erano già andati a dormire, ma che il cielo scuro era illuminato dalla luna piena.
Con indosso una tunica corta, era sceso dal letto ed era uscito allungando le mani per sentire l’umidità sulla pelle e osservare il chiarore della luna riflesso sulle perle create dall’acqua. Affascinato da quell’incantesimo, non si era reso conto di quanto si fosse allontanato reggendo in mano acqua e raggi di luna finché non era giunto in un boschetto lungo il fiume.
Era lì che l’aveva vista. Sola, seduta su un masso, mezza girata così da mostrargli il profilo.
Anna del clan Graham, di cinque anni più grande di lui, sebbene all’epoca fosse stata ancora giovane, aveva avuto una schiera di potenziali corteggiatori in attesa. Era un argomento di cui gli adulti parlavano spesso, ma che lui non si era mai preso la briga di comprendere.
Forse fu colpa dell’ora o dell’incantesimo che si era portato dal letto. Forse del silenzio interrotto soltanto dallo scorrere lieve del fiume o del chiarore lunare che si infrangeva sulla superficie dell’acqua, creando riflessi simili a gioielli sparsi ai piedi di Anna.
Ma nulla di tutto ciò gli era parso bello come la ragazza che si passava un pettine tra i capelli bagnati. Con le braccia sollevate, la camiciola bianca le aveva fasciato la curva umida della schiena e le aveva nascosto i piedi che lei aveva piegato sotto di sé. Camron aveva sempre pensato che i suoi occhi azzurri fossero straordinari, ma tanta bellezza era condivisa dalle sue seriche ciocche nere che rivaleggiavano con la notte più buia.
«Ti sei riaddormentato?» gli domandò Hamilton.
«Sono ubriaco» gli confessò. Il gemello la conosceva già la storia di Anna e di quella notte tanto lontana. Non avrebbe apprezzato di sentirsela raccontare ancora.
«Sento di nuovo le gambe» lo informò Hamilton.
«Vuoi alzarti?»
Il fratello si sarebbe dovuto spostare per dargli la possibilità di sollevarsi dal ceppo su cui sedevano.
«No.»
Ciò lo sorprese. Non tanto la risposta, ma il tono di voce. Era sembrato riflessivo, eppure Hamilton non rifletteva mai.
«Allora restiamo qui» gli rispose.
«Ripartiremo presto verso i territori di confine.»
Non erano tornati nemmeno da un giorno, eppure il loro pensiero andava di continuo alle tribolazioni da affrontare. Avevano poco tempo da trascorrere a casa, ma a quanto pareva anche quella pace sarebbe stata guastata dai conflitti che divampavano altrove. Le pretese di Re Edoardo erano indesiderate e senza fine.
«Murdag è una ragazza audace, non ti pare?» chiese Hamilton. «Devo dire che sono proprio contento di trascorrere qualche giorno qui.»
Murdag, un’amica d’infanzia, aveva la loro età ed era la sorella minore di Anna. Da fratelli gemelli, loro due avevano sempre piantato grane, ma Murdag continuava a inventarsene di nuove. Gli anni non l’avevano domata.
«È stata lei a scommettere su chi avrebbe bevuto di più ieri sera» gemette.
Hamilton ridacchiò. «Già.»
Ci fu ammirazione nella voce del fratello. Era una cosa insolita e andava analizzata. Per quanto fossero tutti e tre amici, nessuno di loro era fidanzato né aveva messo su famiglia.
«È carina» commentò Camron, per capire se i pensieri del fratello avevano preso quella piega. I suoi no, poiché considerava Murdag come una sorella. Ciò detto... lui non era Hamilton.
Il fratello sbuffò. «Soprattutto quando ha sollevato il calice verso di noi.»
La sera prima Murdag era salita su un masso enorme, ergendosi con le gambe divaricate, il fuoco alle sue spalle. La sfida lanciata non era stata l’unica sorpresa.
«Non hai distolto lo sguardo» lo rimproverò Camron.
«Lo credo bene, visto l’abito fine che indossava!»
Le curve femminili della sorella minore di Anna erano state in bella mostra. Non erano di certo sfuggite a nessuno, se non a lui, che si era invece guardato attorno alla ricerca di Anna, che però non si era presentata.
«La voglio» sospirò Hamilton.
Non era la prima volta che il fratello desiderava una ragazza.
«Non pensarci» lo ammonì. Tuttavia, la sera prima era stato come se Hamilton avesse iniziato a vedere Murdag sotto una nuova luce. Si era preso una bella cotta.
«Non pensarci? Dobbiamo pensarci eccome, fratello caro. Ha la nostra età e siamo tornati a casa giusto in tempo, poiché non è stata ancora reclamata da nessuno. Sono proprio fortunato.»
Probabilmente Murdag non era fidanzata poiché al mondo non esisteva uomo abbastanza coraggioso da domarla. Così come Hamilton non aveva moglie poiché non vi era nessuno a domare lui.
I due si assomigliavano troppo; lei era come una sorella, perciò probabilmente si stava immaginando l’interesse mostrato da Hamilton. Il fratello di certo scherzava.
Provò un senso di nausea. «Perché mai abbiamo bevuto idromele?»
«Perché eravamo ancora in piedi?» suggerì Hamilton.
«Murdag ha bevuto con noi?»
«No, se ne era andata già da un po’ quando hai iniziato a versare quel dolce nettare.» Hamilton sbuffò. «Seoc era ancora qui con noi... credo.»
«Come minimo. Ma ora dobbiamo arrivare al letto e dormire un po’.»
«Troppo tardi. Il sole sta sorgendo.»
Camron aprì faticosamente gli occhi. Il buio della notte stava diventando grigio. Lo attendevano ore di nausea, sete costante e stanchezza. Forse sarebbe stato così distratto da evitare Anna per un altro giorno.
La fitta che provò al petto al solo pensiero fu la riprova che tale intenzione non avrebbe retto. Era doloroso evitarla, ma ancora di più vederla e non averla.
Dandosi una pacca sulle cosce, Hamilton si alzò. «Be’, diciamo che oggi siamo arrivati pari, ma ti avverto, fratello mio, che non mi tirerò indietro dinanzi alla sfida che ci siamo lanciati, né tantomeno che arriveremo pari alla fine di essa.»
Con il braccio che gli formicolava e il corpo che protestava, Camron si alzò.
«Avevamo scommesso su chi sarebbe rimasto in piedi?» domandò. «Perché ti dichiaro vincitore, così che possa stendermi finché non verrò tirato giù dal letto da chiunque oserà interrompere il mio sonno.»
«È un bene che tu voglia andare a dormire» affermò Hamilton un po’ troppo allegro. Chiaro segno che non aveva bevuto tanto idromele di Seoc quanto lui, ma anche dimostrazione che stava combinando qualcosa.
Con passo infermo Camron raggiunse l’albero più vicino e si slacciò le braghe per fare i bisogni. «Perché sei tanto contento all’idea che vada a dormire? Mi hai per caso infilato dei cardi nel letto?»
Una volta finito, si girò verso il fratello, che come lui si stava riallacciando le braghe.
Hamilton lo faceva in maniera del tutto diversa da lui. Possibile che nessuno li distinguesse?
«Perché mentre tu dormi» spiegò Hamilton, «io inizierò a corteggiare la donna che amo.»
La donna che amava? Il fratello doveva proprio scherzare riguardo a Murdag.
«Divertiti» gli rispose, avendo capito che ci avrebbe guadagnato ad andare a dormire.
«Già ti arrendi?» domandò Hamilton. «Non credi di avere già perso abbastanza tempo?»
Il tono riflessivo del fratello si ripresentò.
«Di che cosa stai parlando?»
Hamilton gli regalò un sorriso sghembo. «Oh, andiamo, non ti ritirerai dalla scommessa così. Non questa, non ora. Ti ho finalmente spinto ad agire e dopo averla vista con indosso quella veste fine, anch’io dovrò essere più deciso nel corteggiare Murdag. Di certo non sono stato l’unico a notare quei fianchi alla luce del falò. È ciò che ci serviva per partire.»
Il fratello intendeva davvero corteggiare la sorella di Anna? Qualcosa gli risuonò dentro. Un ammonimento, come un colpo con la parte piatta della lama di una spada sulla pancia o un cazzotto sulla tempia. Duro. Frastornante. Pericoloso.
«Che cosa ci serve esattamente per partire?»
Hamilton scoppiò a ridere, ma poi gli scappò una smorfia. Camron provò una certa soddisfazione nel notarlo. Forse, alla fin fine, aveva bevuto quanto lui.
«Ti sei davvero dimenticato della scommessa? Oh, questa è bella. Proprio bella.»
«Quale scommessa?» Non aveva la pazienza di stare dietro ai giochetti del fratello, non quel giorno, quando intendeva starsene a letto fino all’ora di cena.
Hamilton gli puntò contro un dito. «Non te la svignerai così, non questa volta. Altrimenti io... andrò a dirle di come hai passato gli ultimi anni a desiderarla. No! Le confesserò che abbiamo scommesso e allora sì che non vorrà più avere niente a che vedere con te.»
Il fratello non poteva che riferirsi a una persona sola. «Che cosa hai combinato?»
«Io niente! Sei stato tu a sfidarmi» lo informò Hamilton.
Eppure lui non faceva mai le scommesse... o meglio, quasi mai. Ma non poteva certo tirarsi dietro con il fratello tanto serio. Sebbene gli occhi gli brillassero divertiti, la provocazione era sottintesa dallo stesso tono di voce riflessivo.
«Fratello...»
«Giura.» Hamilton, tornato serissimo, strizzò gli occhi. «Prometti di non infrangere la scommessa. Giuralo, altrimenti ti rovinerò per sempre ogni possibilità con lei. Hai aspettato abbastanza. Non c’è più tempo da perdere. Lo hai sentito il consiglio degli anziani... Sai che cosa ci aspetta, che cosa aspetta a ogni highlander.»
«Dimmi della scommessa.»
«Hai scommesso che ti saresti sposato prima di me.»
«Sposarmi prima di te?» ripeté Camron. «Ma tu che cosa...? Chi sposerai?»
«Murdag. Sposerò Murdag.» Hamilton sorrise. «Il che è perfetto, visto che tu hai giurato che prima di ripartire avresti sposato sua sorella...»
«Anna.»
2
«Sollevami, sollevami!» esclamò Lachie, strattonando la mano di Murdag, che gemette.
«Non avresti dovuto bere così tanto ieri sera.»
Anna del clan Graham afferrò l’altra mano del fratellino, che si diede immediatamente una spinta, facendo perdere l’equilibrio alla sorella.
Quando il piccolo iniziò a cadere, Anna si sporse in avanti per sorreggerlo, ma la sua mano venne afferrata dalla sorella, che le lanciò un’occhiata di ammonimento.
Si drizzò, distogliendo lo sguardo. Lachie, che non aveva notato nulla di tutto ciò, rotolò sulla pancia, per poi puntare le mani a terra e rialzarsi. Con un sorriso radioso, afferrò di nuovo le sorelle per mano per farsi dondolare. Murdag puntò meglio i piedi.
Lachie, Lachlan, era molto più piccolo di loro. Aveva dieci anni, mentre lei ne aveva ventisei e Murdag ventuno. Era l’ultimo figlio avuto dalla madre, ancora più prezioso poiché lei era morta mettendolo al mondo.
Non sapevano se la donna alla nascita avesse notato che il figlio aveva il piede sinistro storto. Glielo avevano fasciato con lino e stecche. Era migliorato, ma non si era mai raddrizzato quanto l’altro.
Ciò, tuttavia, non frenava lo spirito del piccolo. No, l’unica cosa che ci riusciva era parlargli del piede e aiutarlo, cosa che alcuni membri del clan continuavano a fare, nonostante loro avessero pregato tutti di astenersi.
Correre, dondolare. Correre, dondolare. Lachie cominciava a essere troppo pesante per quel gioco, ma finché lo avesse chiesto, lei e la sorella lo avrebbero accontentato.
«Come va la testa?» la pungolò.
«Meglio dello stomaco.» Murdag lasciò la presa, scrollò la mano, quindi afferrò di nuovo Lachie. «Saresti dovuta venire ieri sera. Sono stati accesi tre falò per festeggiare il ritorno dei nostri amici. Seoc, i gemelli...»
«Preferisco stare a casa.» Anna abbassò lo sguardo sul fratello.
L’ultima volta che erano stati aperti i barili di birra e accesi i falò, Lachie era inciampato ed era caduto. Le sue bruciature, nel frattempo, si erano trasformate in cicatrici. Da allora intendeva tenerlo in disparte finché la sua esuberanza non si fosse equilibrata con un po’ di cautela. Sfortunatamente, temeva che la cautela del fratello fosse minima come quella di Murdag.
«Nostro padre è rientrato presto» aggiunse.
«Anch’io sono tornata...» iniziò Murdag. «Aspetta. Mi ha detto di dirti qualcosa.»
«Cosa?» Anna attese, ma quando la sorella scrollò le spalle, poiché si era dimenticata il messaggio, aggiunse: «A quanto pare non sei tornata abbastanza presto».
Murdag sbuffò. «Sono rientrata prima degli altri...»
«Barcollando» commentò Anna, rendendosi conto che il suo tono di voce era amareggiato.
Murdag smise di dondolare il fratello, al che anche lei si fermò. Lachie le tirò entrambe, ma loro non si mossero né lui lasciò la presa.
Sentendosi sicuro, si mise a sporgersi avanti e indietro.
Anna osservò la sorella, che la stava guardando con attenzione. Doveva scusarsi. Non le dispiaceva restare a casa con Lachie; anzi adorava trascorrere del tempo con lui. A essere onesta, sapeva che lo stava usando come scusa per restarsene lontana dal resto del clan. Non si sentiva più a proprio agio in certe situazioni. Non come qualche anno prima.
«Spero che ti sia divertita» disse, cercando di alleggerire il suo ultimo commento. «È solo che mi preoccupo per te.»
Murdag scrollò la mano di Lachie. «Fratellino caro, devi trovare un altro gioco prima che il braccio mi caschi a terra.»
Lachie le strinse la mano ancora più forte, al che Murdag gli diede un cazzotto lieve sul braccio.
«Ahi!» esclamò il ragazzino ridendo.
«Ne vuoi di più?» lo
